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Autore: Cynthia_Zizi    12/03/2012    2 recensioni
Questa one-shot è dedicata a tutte le ragazze che si sentono brutte esteriormente e che per questo si fanno un sacco di paranoie, sono timide e vorrebbero sempre nascondersi oppure hanno paura di essere se stesse per il giudizio altrui.
Bene, care principesse, sappiate che non esiste ragazza che possieda il dono dell'umiltà e della dolcezza che avete voi.
E il ragazzo che popola questa 'favola moderna' è un ragazzo oscuro ma profondo sentimentalmente. Avete presente il genere di ragazzo dall'aria misteriosa che sembra arrivato da un'altra epoca? Quello che all'inizio potrebbe sembrare chiuso e introverso ma che poi senti proprio dietro di te come volesse proteggerti?
Sono sicura che sarebbe onorato di conoscervi.
Vogli farvi vivere la stessa sensazione che ho provato io leggendola.
Voglio che anche voi possiate condividere, possiate imedisimarvi nella ragazza che è ognuna di voi.
Siete voi stesse, perchè siete tutte bellissime, sempre.
Genere: Fluff, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Sono emo, e non mi vergogno a dirlo. Mi faccio vedere in pubblico, consapevole di tutti gli sguardi storti che mi fissano indagatori, cercando di capire che cosa non vada in me e perché anche io mi sia ‘convertita’ a questa inutile e inquietante moda giovanile. Ma non cambierò certo perché alcune persone sparlano e ti sputano addosso sentenze senza conoscere il vero significato della parola ‘emo’."

La mia ultima lezione di danza classica prima del saggio. Devo sbrigarmi o farò tardi.

Mentre cammino spedita col mio grosso borsone fucsia, ripenso all’ennesimo dispetto delle mie crudeli compagne di danza.

Non le vado a genio, l’avevo capito fin dall’inizio, quando mi sono presentata e sono entrata per ultima nel salone di ballo dimenticandomi le scarpette di gesso.

La più altezzosa, la "leader" in poche parole, si mise a bisbigliare e quando la maestra mi guardò i piedi un potente colpo di memoria mi investì la mente: le scarpette.

Tutte scoppiarono a ridere e mentre la maestra le zittiva corsi in spogliatoio a ripescarle dal borsone.

Da lì cominciò il mio martirio, se così si può dire. Non c’è giorno in cui loro debbano trovare un difetto o un piccolo particolare per farle ridere e insultarmi.

Gli occhi cominciamo a bruciarmi, ma è solo il vento, mi convinco. Guardo la mia maglietta bianca. Non fa freddo.

Scaccio dalla mente quelle ultime immagini e corro il più veloce possibile in palestra; mi cambio velocemente, indossando il tutù e legandomi i capelli da ballerina, non riuscendoci, ma vengo interrotta da Laura, la "leader" del gruppo di serpi.

"Cosa fai, sfigatella? Non riesci a legarti i tuoi capelli?" mi chiede con sguardo serpentino.

Io faccio finta di non sentire e continuo imperterrita.

"Oh, poverina, sei pure sorda ora?" mi punzecchia mentre mi toglie la mano dalla testa.

"Lasciami in pace Laura" le rispondo con un sospiro.

Ma lei sembra non aver finito.

Intanto le si avvicina Silvia, un’altra del gruppo.

Laura mi toglie l’elastico dalla mani e me lo tira in faccia a mo’ di fionda.

"Smettila! Sei più cattiva del solito oggi!" le urlo mentre lo raccolgo da terra.

Le due si guardano ridendo e Laura indica a Silvia la mia borsa poggiata sopra la panca di legno.

Io mi alzo, con l’intento di fermare la ragazza e mi incammino, ma mi sento tirare la calzamaglia da dietro. Mi giro e vedo Laura, più crudele che mai che con uno spintone mi fa cadere per terra.

"Sfigatella, di cosa hai paura? Non vedi che non sta facendo niente di male?" mi dice sorridendo malignamente.

La schiena mi fa male, ma riesco ugualmente a rialzarmi.

"Ora smettila, o vado dritta dalla maestra di danza" le rispondo massaggiandomi una costola.

Laura si mette a ridere: "Peccato che non si ancora arrivata tesoro!" ghigna.

La paura mi assale, quando vedo Silvia estrarre dalla mia sacca il cellulare e poi incamminarsi verso il bagno.

"Carino questo pezzo di plastica vecchio, vediamo se resiste anche all’acqua" dice mentre si mette a ridere con Laura che intanto mi sbarra il passo.

"Silvia! No, non farlo!!" urlo mentre cerco di liberare il passaggio.

Non ci riesco e soprattutto non vedo più Silvia.

Poi sento un tonfo secco.

Il mio cellulare è andato e Silvia ne viene fuori ridendo come una matta mentre Laura le batte un cinque.

Io scoppio in lacrime e fuggo via, prendendo borsa e vestiti, che fortunatamente si sono salvati.

Sento la voce di Laura che mi raggiunge: " Vai a piangere dalla mamma ora sfigatella!" urla dallo spogliatoio.

Io esco, rossa in viso e con gli occhi appannati dalle lacrime. Vedo scendere dall’auto la maestra di danza che mi guarda preoccupata: "Cristina, cosa…?" ma non fa in tempo a finire la frase che già sono salita sul primo autobus che passa. Il più lontano possibile, il più lontano da loro, il più lontano da questa crudele realtà.

Fortunatamente, dopo un’ora di corsa con l’autobus riesco a farmi portare in centro.

Sono ancora in calzamaglia e ho i capelli tutti scompigliati.

Per i miei a quest’ora dovrei essere ancora in palestra e il ritorno è previsto per mezz’ora. Ho il tempo di darmi una sistemata.

Mi incammino sulle vie del centro, un po’ più tranquilla ma perforata in me stessa. Questa volta hanno esagerato, e di grosso, perché quella che ci rimette sono io.

E ora come glielo spiego ai miei che il cellulare è andato a farsi fare un bagnetto nel water della palestra?

Scaccio via questo pensiero, ci penserò dopo.

Entro in un porticato, e avanzo verso un bar.

La barista, una giovane donna sulla trentina, mi vede e mi sorride. Io mi avvicino un po’ titubante, in fin dei conti so di sembrare una poveretta in cerca di elemosina e la capisco se fa così.

"Buongiorno, vorrei ordinare una cioccolata calda" chiedo gentilmente.

Lei mi risponde altrettanto gentilmente: "Certo, desideri qualcos’altro?" mi domanda.

"Il bagno, dove lo posso trovare?"

La barista me lo indica con un gesto della mano e io le sorrido incamminandomi.

Entro e mi guardo allo specchio: "Sembro una sfigata" dico a bassa voce osservando i capelli scuri scompigliati e la calzamaglia tutta tirata da una parte.

E mi accorgo che lo penso davvero. Forse hanno ragione. Forse sono solo una sfigatella che cerca di arrivare dov’è Laura, ma la verità è che io… non sono nessuno.

Una lacrima mi riga per l’ennesima volta il viso, così apro il rubinetto e mi do una sciacquata veloce alla faccia, poi metto la maglia sopra la calzamaglia e i leggings al posto del tutù. Per ultimo mi sistemo i capelli scompigliati e li lego in una coda.

Rimetto tutto dentro il borsone fucsia ed esco.

La barista mi vede e si tranquillizza. Avevo solo bisogno di una ripulita!

Mi siedo a un tavolino dove è già pronta la mia cioccolata calda e la sorseggio a piccoli sorsi.

Com’è calda!

Dopo dieci minuti mi alzo e prendo il portafoglio dalla mia sacca ma la gentile barista mi ferma: "Tranquilla, te la offro io" mi dice strizzandomi l’occhio.

Io sono un po’ titubante ma le sorrido ringraziandola più volte.

"Grazie mille signorina, è molto gentile" le dico.

"Per una ragazza così carina come te è il minimo"

Io rispondo prontamente: "Beh… carina no!"

Ma lei mi sorride ancora di più: "Non direi…" risponde ridendo bonariamente.

Io mi giro e faccio per andarmene, apro la porta e vedo un ragazzo poggiato alla colonna del porticato che guarda… me? Possibile?

Mi giro per vedere se mi sbaglio ma vedo solo la barista che mi sorride incoraggiante…

Ora capisco!

Beh… mi giro e attraverso la porta.

Lui è sempre là.

Ha un ciuffo piastrato e nero che gli ricade coprendogli un occhio azzurro, jeans attillati a vita bassa, una maglietta con un cuore stilizzato fucsia e sopra un giacchino di pelle.

Ha un fascia di cuoio borchiato sul polso e due piercing ai lati della bocca.

Noto anche che ha un leggero segno di matita nera sotto gli occhi e gli auricolari alle orecchie.

Ma non è un tipico "emo-boy?"

Ne vedo in giro e ne sento parlare molto, non che ne sia particolarmente appassionata, ma mi affascina quel loro modo di pensare e di vivere la vita. E’ come se fossero racchiusi in una bolla di vetro e non sentissero quello che avviene fuori. Sono sempre molto solitari, con gli auricolari sempre addosso e quell’espressione di tristezza che gli avvolge quasi sempre.

Pensandoci bene, forse sono gli unici che hanno veramente colto l’idea del mondo in cui viviamo.

Sto per andarmene e oltrepassare il porticato, ma noto che l’"emo" alza gli occhi dal cellulare e mi guarda.

Io non riesco ancora a crederci. Mi giro per assicurarmi che non stia fissando altre ragazze, ma dietro di me ci sono solamente alcune donne e qualche uomo in giacca e cravatta.

Ma perché allora, sta fissando proprio me?

Insomma, non ho assolutamente niente di speciale e per di più non potrei mai a piacere a un ragazzo come lui… beh, per il semplice fatto che non ho mai sentito un emo stare insieme ad una ragazzina in tutù e chignon.

Ora che ci penso il ragazzo in questione avrà due o tre anni al massimo in più di me.

Comincio ad avanzare qualche passo guardandolo a intermittenza, ma è sempre lì che mi guarda.

Respiro profondamente. Su Cristina, è solo un ragazzo. Non vorrai dirmi che hai paura di lui ora?, penso tra me e me superandolo, finalmente.

No, non ho paura di lui.

L’unica cosa che mi sta ribaltando le idee è il fatto che forse lui, l’emo-boy che fino a un istante fa mi stava guardando, ha cambiato in me qualcosa.

E ora come ora, non so perché dopo una giornata tremenda come questa, mi viene da sorridere.

Solamente grazie a lui.

Entro a casa in punta di piedi, anche se so benissimo che mia madre è a casa e mio padre è tornato dal lavoro da appena cinque minuti. Ma lo faccio lo stesso.

Salgo le scale con la borsa fucsia a penzoloni sul mio braccio, ma mamma mi interrompe proprio quando sto girando l’angolo della mia camera.

"Ciao tesoro! Come è andata la lezione di danza?" mi chiede con un cucchiaio in mano.

Io rispondo a monosillabi.

"Be… bene! Grandioso!" rispondo con un po’ troppa di felicità in me stessa.

Mia madre mi guarda di lato, poi sorride: "Sono contenta tesoro, la cena è quasi pronta" mi dice mentre ritorna in cucina.

Io tiro un sospiro di sollievo, l’ho scampata, per ora.

Proprio quando sto per chiudere la porta della mia stanza, passa mio padre.

"Ehi Cristina! Come è andata oggi?"

Io alzo gli occhi al cielo: " Molto bene papà, grazie!" rispondo.

Lui mi sorride e se ne va.

Ora chiudo la porta, ora chiudo la porta, ora chiudo la porta…

"A proposito Cristina, penso che il tuo cellulare non prenda in palestra. Prima tua madre ha provato a chiamarti" conclude mentre scende le scale.

Io mi sento mancare.

Sarà una lunga battaglia fino all’ora di andare a letto, me lo sento.

Sono seduta a tavola e giocherello col cibo nel mio piatto, mi si è già chiuso lo stomaco prima ancora di cominciare.

Mia madre mi guarda: "Non hai fame?" mi chiede mentre addenta un pezzo di carne.

"Non molta" rispondo.

"Cara, prima ho provato a chiamarti ma non rispondevi, probabilmente il tuo telefono non prende."

Io mi sento lo stomaco in gola.

"Ehm… beh, non è proprio così… cioè l’ho rotto."

"Cosa?" esclama mio padre.

Io abbasso la testa.

"Puoi spiegarci come è successo?"

"Io… lo stavo prendendo da sopra la mensola dello spogliatoio, solo che non ci vedevo fin sopra lì e l’ho spinto. E’ caduto e si è rotto a metà." Mento fino all’ultimo contro me stessa. So che non è una bella cosa, ma non posso permettere che lo scoprano.

Mio padre si porta una mano alla fronte.

In quell’istante suona il telefono di casa.

Mia madre si alza e va a rispondere.

"Ora dov’è?" mi chiede papà fermo.

Io sorrido debolmente nella speranza di impietosirlo.

"L’ho buttato, ormai non c’era niente da fare" rispondo.

Mio padre sta per scagliare su di me, un sacco di offese e rimproveri che spero finiscano presto per il mio bene, ma torna mia madre.

"Cristina, era la signorina Arnaldi, la maestra di danza, vuole sapere come stai perché oggi sei scappata in lacrime dalla palestra…Posso sapere che succede? Le altre compagne di danza non lo sanno stranamente" dice ferma con le mani sui fianchi.

Io sento la rabbia ribollire dentro di me. Quelle due stronze di Laura e Silvia fanno le santarelline ora. Mi sento avvampare tutta.

E ora come glielo spiego che mi hanno fatto schiattare il telefono dentro il water del bagno, perché le sto antipatica e secondo loro sono una "sfigatella"?
Per fortuna mio padre mi salva: "Lo so io cara, Cristina ha rotto il telefono e l’ha buttato via, perché secondo la sua teoria da cestino, non c’era più niente da fare! Cristina! Ma quante volte te l’ho detto che devi venire da me se hai qualche problema con qualcosa?!" urla, mentre io abbasso lo sguardo.

Mia madre rimane a bocca aperta: "Oltre a questo, ti sembra un buon motivo per scappare via piangendo, l’ultima lezione prima del saggio?! Senti, non so cosa ne penserà la signorina Arnaldi, ma cerca di metterti a posto. Non puoi buttare via un telefono come se niente fosse, anche se è rotto a metà!" sbotta.

Ti prego fa che finisca tutto, fa che finisca tutto…

"Non so quanto presto rivedrai un cellulare nuovo, non vorrei che buttassi via anche quello perché ha un graffietto" dice mio padre.

Io mia alzo e me ne vado.

Non voglio dare la soddisfazione ai miei di vedermi piangere anche ora.

Non capiscono come io mi senta in questo momento. E forse non lo capiranno mai.

Mi butto sul letto e piango tutte le lacrime che ho indosso, mi aggrappo al cuscino e soffoco i sussulti del troppo piangere.

Mi sento uno schifo.

Odio la danza classica, odio a morte quelle bastarde.

Odio la vita perché mi ha dato solo sofferenza.

Mi rigiro nel letto. Questo mi ricorda il ragazzo che ho visto oggi, col suo sguardo triste e quegli occhi così incredibilmente profondi e veri.

Istintivamente, in mezzo a questa tormenta, il pensiero di lui mi fa sorridere. Come oggi.

Chissà se lo rivedrò di nuovo, lo spero con tutta me stessa, così gli potrò chiedere come mai è venuto a tirarmi su il morale, non sapendo che ero così triste.

Forse l’aveva capito appena mi aveva visto.

Gli emo sono bravi a capire lo stato d’animo delle persone e forse lui oggi, aveva capito il mio.

Eppure c’è chi continua a discriminarli per il modo in cui si presentano al mondo. Ma il loro è solo un modo per esternare le loro emozioni, anche e soprattutto, di questi tempi, quelle negative.

Mi alzo e vado in bagno, accendo la luce.

Sono una schifezza. I capelli sono appiccicati alla fronte e sono rossa in viso e sotto gli occhi.

Ho bisogno di una doccia, così accendo l’acqua calda ed entro.

Si sta benissimo sotto il calore dell’acqua a getto. Ti infonde tranquillità e pace.

Se potessi scegliere dove stare oltre a dove sono ora sceglierei la doccia con l’acqua calda!

Esco( di malavoglia) dopo mezz’ora e mi asciugo i capelli e il viso umido.

Mi riguardo allo specchio.

Se solo potessi dimostrare a quelle due stronze che non sono una "sfigatella" anonima.

Ma è impossibile se continuo ad andare in giro vestita con calzamaglia e i leggings rosa…

Chi me l’ha fatto fare?

Chi mi ha costretto ad indossare sempre e comunque la maschera da eccellente e bella ballerina di danza classica… se io in verità non mi sento affatto così?

Non mi sento per niente soddisfatta di quella che sono, non mi sento a mio agio nei panni di brava danzatrice classica.

Io non voglio fare per forza qualcosa che non mi va.

Ma tutti si aspettano che io domani, al saggio dia il meglio di me e non mi sento di deluderli.

Ma loro hanno deluso me.

Ogni mio pensiero, mi riporta sempre al ragazzo che ho visto oggi, almeno lui ha avuto il coraggio di dimostrare in pubblico chi e soprattutto come si sente.

Perché non posso farlo anche io? In fondo questa è la mia vita e non voglio rovinarla per piacere a tutti in tutù, così forzatamente da dover ritrovarmi su un letto a piangere lacrime amare.

Questa sono la vera io che ora reclama giustizia; vuole togliersi questa inutile maschera e mostrarsi com’è veramente al mondo; vada come vada almeno ci ho provato.

E comincio da stasera.

Quando i miei se ne sono andati a letto, mi chiudo in bagno.

Sopra il lavandino c’è una matita nera water-proof, resistente all’acqua, un mascara nero e un eye-leiner scuro.

Comincio col svitare pian piano il tappo della matita e calco sotto l’occhio un grosso segno nero.

Senza fermarmi a guardare, prendo l’eye-leiner e ne metto una striscia proprio sopra le palpebre e infine passo il mascara sopra le ciglia in modo da volumizzarle al massimo.

Riavvito il tutto e lo metto via, poi liscio i capelli color notte e stiro con l’aiuto di un pettine un grosso ciuffo che parte da una estremità della fronte coprendo l’occhio nell’altra estremità.

Con un colpo di forbice comincio a scalarli, mentre l’immagine di quel ragazzo poggiato sotto il porticato mi fa da fotocopia.

Apro il rubinetto dell’acqua facendo scivolare sotto il getto la ciocca di capelli che ho tagliato.

Infine dò una piastrata al ciuffo e hai capelli in generale.

Mi guardo: Dio quanto sono cambiata! Non pensavo bastasse così poco a farmi sentire così… strana. Mi piace la sensazione, non so come descriverla. Mi sento strana, ma una piacevole stranezza e poi, sento crescere sicurezza in me. Potrei andare fuori anche ora a urlare al mondo che sono io veramente e che va bene così! Perché io mi sento bene così! Mi sento a mio agio con me stessa!

Ma quello che vorrei fare ora, più di ogni altra è andare a bussare alla porta di quel bellissimo e oscuro angelo dark che mi ha sconvolto le idee in positivo e che mi ha tolto quella maschera che prima mi nascondeva.

Anche se ancora non ti conosco, so che ti dovrò per forza rincontrare, anche solo per una volta e cinque minuti, per ringraziarti di avermi aperto gli occhi sulla paura di mostrarsi come veramente si è, e tu, dolce emo-boy sei anche la prima persona che mi abbia fatto sorridere spontaneamente di una cosa semplicissima.

E con questo pensiero mi ripulisco e chiudo tutto, accorgendomi, mentre mi sto per addormentare, che per chissà quale strano motivo, mi batte forte il cuore.

L’indomani mi sveglio, stranamente sollevata, per andare a scuola.

Apro il mio armadio dei vestiti e guardo attentamente cosa c’è dentro.

Una maglietta rosa (per cambiare), dei leggings lilla e un maglioncino a V rosso.

Per la prima nella mia vita faccio una smorfia di disgusto che punta dritto verso i miei vestiti. Come ho fatto per 15 anni della mia vita ad andare in giro vestita come mia nonna?

E perché ho cambiato idea proprio adesso?

Comincio a frugare tra la marea di maglie, vestitini e calzamaglie e mi imbatto per caso, in una felpa col cappuccio nera, con una grossa tasca sul davanti. Era sotterrata sotto un groviglio di pantaloni elastici e leggings di vario tipo.

Il mio sguardo si sposta in basso, vicino alla tasca. C’è ricamato un piccolo teschio fucsia e oltre ad essere smisuratamente grande mi accorgo che la prendo e la butto sul letto. Sorridente.

Me l’aveva regalata una vecchia amica a Natale, era punk e quando me l’aveva messa sulla mani io avevo fatto una smorfia bonaria per simulare disgusto.

E ora la sto ringraziando migliaia di volte a mente per quel stupendo regalo.

Per ultimo un paio di jeans (forse gli unici) di colore viola scuro, che si restringono verso il basso. Con questo mi lavo e mi vesto e quando ho finito di truccarmi mi guardo allo specchio.

Diamine, che bello!

Però manca ancora qualcosa. Un paio di scarpe.

Tiro fuori dalla mia testa l’immagine dell’angelo dark, e con un po’ di fatica riesco a ricordare che hai piedi portava un paio di scarpe un po’ rotte e slacciate.

Scarpe rotte? Che scarpe sfasciate avevo, io? Eliminando le scarpette da ballerina ovviamente.

Sì! Corro verso il porta scarpe e lo apro: dentro ci trovo un paio di all-star nere e viola con la punta un po’ consumata… è da molto tempo che non le metto! Mi siedo sul letto e le slaccio una a una, facendo un nodo ad ogni laccio e nascondendolo sotto la scarpa.

Ora mi guardo veramente allo specchio: perfetto!

Poi scendo con lo zaino posandolo vicino al divano e prendendo al volo un biscotto.

Mia madre si gira e quasi non gli casca per terra la tazza di caffè.

"Che… Cristina, ti sei vista per favore? Mi sembri una di quei ragazzi che vanno in giro depressi… solamente per attirare l’attenzione! E non pensare che la faccenda del telef…"

"Mamma" la interrompo: "Sono gli emo quelli che intendi tu! E sparare a caso cattiverie su di loro senza neanche conoscerli non mi sembra il caso!" sbotto prendendo lo zaino.

La saluto mentre mia madre fa una smorfia e si siede a tavola.

"Ricordati che oggi c’è il saggio di danza" mi dice sorseggiando il caffè.

Io annuisco non convinta: "Non sono sicura di voler continuare con la danza classica" rispondo guardando per terra.

Alza gli occhi di scatto, con lo sguardo arrabbiato, sento che stanno per volare delle offese, ma mentre sta per cominciare a parlare, prende un bel respiro e dice: "Va bene Cristina, non posso essere arrabbiata con te perché non vuoi continuare con la danza classica, è una tua scelta e se ti sei stancata va bene così. Ma promettimi che almeno questo saggio lo farai, okay?" mi chiede guardandomi negli occhi.

Io annuisco mentre un grosso sorriso si forma sulla mia bocca. Non me l’aspettavo proprio reagisse così!

"Va bene, okay lo farò! Grazie mamma!" rispondo correndo alla porta.

Sono già in ritardo!

Sono così contenta che per poco non comincio a fare piroette per la strada! Sono contenta perché non dovrò più fare qualcosa che non mi va; sono contenta perché quelle due non avranno più occasione di prendermi come bersaglio e sono contenta… perché finalmente ho rivalutato mi stessa e ho scelto la strada che voglio cominciare a camminare. Con gli auricolari nelle orecchie arrivo davanti alla scuola, mi sistemo il ciuffo davanti un occhio ed entro non guardando nessuno in faccia. Non mi importa se bisbiglieranno sotto voce in cerca di tutti i "difetti" che potranno trovare in me. Finalmente la mia vera io è uscita dal guscio e non ha intenzione di ritornare indietro.

Mi sento afferrare lo zaino da dietro, mi giro e vedo Laura stranamente da sola che se la ride da sotto.

"Ciao sfigatella!" dice con aria canzonatoria.

Io mi tolgo un auricolare per sentire meglio.

"Come mai oggi viene vestita a scuola come… com’è che si chiamano? Ah sì, gli emo! Mi dispiace dirtelo, ma se pensi che quegli sfigati spacchino la strada dove passano ti sbagli cara mia! Sono solo dei depressi cronici che non riescono ad arrivare dove sono io! E per di più, Cristina mia… sembri un emo tarocca! Ma che disgusto!" si porta una mano alla bocca mentre io rimetto gli auricolari e me ne vado verso la mia classe.

Splendido. La mia giornata si è rovinata nel giro di pochi minuti e a me è caduto quel sottile muro di autostima che avevo acquistato. Ci vuole di più per farla cadere a terra.

Dio quanto è difficile.

Le ore di scuola passano lentamente e la lancetta dei secondi sembra fermarsi su ogni singolo numero più di un'ora abbondante.

Finalmente esco, stando attenta a non vedere spuntare quella serpe da dietro qualche angolo.

Via libera. Sta parlando dall’altra parte della scuola con alcune persone.

Io comincio a camminare velocemente con gli auricolari riuscendo a passare (tramite slalom) tra una marea di ragazzi alti il doppio di me.

Poi raggiungo il centro.

Decido di fermarmi di nuovo in quel bar, magari la barista mi offre un’altra cioccolata calda!

Scherzi a parte, sono speranzosa di vederlo di nuovo poggiato sotto il porticato.

Appena raggiungo la porta vedo la barista pulire un paio di tavoli.

Mi vede, in un primo momento strabuzza gli occhi, poi sorride e io, ricambiando mi avvicino al tavolino.

"Ciao!" mi dice mentre mi fa accomodare.

"Ehi!" rispondo.

"Che cambiamento…"

"Cristina" sorrido.

"Beh… che cambiamento Cristina! Mi piacciono molto i ragazzi così. Solitari, sempre un po’ tristi. Sono molto educati sai? Ce n’è sempre uno che viene qui…" alza gli occhi e mi sorride da sotto i baffi.

Io arrossisco leggermente, si sta per caso riferendo al ragazzo così dannatamente bello di ieri?

  
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