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Autore: EllieHope    12/03/2012    3 recensioni
Mi sorrise, felice di vedermi e mi attirò a sé per baciarmi. Una scarica di emozione pura attraversò il mio corpo e non potei fare a meno di domandarmi se ogni nostro bacio, abbraccio o contatto casuale sarebbe stato sempre così emozionante. In cuor mio, pregai affinché fosse così.
‘Sei pronta?’ mi chiese con il suo miglior sorriso sghembo.
‘Pronta.’ Risposi emozionata.
‘Dove mi porti?’ chiesi mentre raggiungevamo la macchina parcheggiata poco più in là, senza riuscire a mascherare la curiosità che mi stava divorando.
‘E’ una sorpresa, Kris. Se ti svelo dove ti sto portando, che razza di sorpresa è?!’ fece apposta per stuzzicarmi.
‘Come vuoi.’ Dissi, fintamente offesa.
Non passarono nemmeno dieci secondi che, proprio come avevo previsto, mi strinse e mi baciò per farsi perdonare.
‘Perdonato?’ mi chiese speranzoso e divertito insieme.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kristen Stewart, Robert Pattinson
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Ehi! Primo capitolo di una nuova storia. Non potete nemmeno immaginare la tremarella che ho in questo momento: Piacerà? Non piacerà?
Ma, mi son detta, buttati e lo saprai! J
Spero davvero che vi colpisca e che vi piaccia e, vi prego, di lasciarmi una recensioncina per farmi sapere che ne pensate. Se vi piace come inizio e se vi fa schifo. Se, secondo voi, dovrei cambiare qualcosa…insomma, fatemi sapere!! :D
Un bacione
Ele.

Ps. Consiglio musicale à  http://www.youtube.com/watch?v=ZRci-l11A0E                                 

 

 

 

A new life in Vancouver

 

 

 

                                                                                                                                            12 novembre 2012.

 

Cara Sophie,
ho  deciso di partire e andarmene da qui. Abbandono Londra, per sempre.
Sto scappando dai ricordi.
Sto scappando da me stessa.
Sto scappando verso Vancouver.
Sperando che sia più facile. Sperando di non trovare altro dolore, altre perdite.
Prima tu, poi i miei genitori. Ora sono sola. Sola.
Completamente sola.

 

Quell’ultima parola rimbombò come se l’avessi urlata, pesante come un macigno.
Chiusi gli occhi, impedendo all’ennesima lacrima di rigarmi il viso, e mi passai una mano tra i capelli rossicci. Presi un profondo respiro, ritrovando l’autocontrollo di sempre. Riaprii gli occhi, posai la penna e chiusi il diario color rosso brillante e lo riposi con cura in fondo alla borsa, dopodiché mi alzai e, facendo attenzione a non svegliare la signora che dormiva beatamente nel posto di fianco al mio, mi diressi in bagno, sgranchiendomi le gambe indolenzite.
Erano già passate sette ore da quando l’aereo era decollato.
Sette ore da quando avevo lasciato Londra e tra poco più di due ore sarei arrivata a Vancouver, in Canada.
Vancouver.
La città che sognavamo di visitare io e Sophie non appena ci fossimo diplomate.
Ma poi tutto era andato storto.
Il mondo mi era crollato addosso quando, una sera, tornando dal lavoro, avevo trovato mio padre, in salotto, intento a confortare mia madre in lacrime. Si accorsero di me e mi vennero incontro e mi abbracciarono. Restai immobile. Non capivo cosa stesse succedendo. Fino a quando la verità arrivò inaspettata e sconvolgente: Sophie. La mia migliore amica. La persona con la quale ero cresciuta, non c’era più. Morta in un incidente d’auto assieme ai suoi genitori.
Scomparsa, per sempre.
Nei mesi successivi mi chiusi in me stessa. Non mangiavo. Non parlavo. Mi sentivo vuota, senza vita. Ma, senza l’aiuto di nessuno, mi rialzai con la consapevolezza che lei, non avrebbe mai voluto che mi lasciassi morire, che mi buttassi via così.
Quel pizzico di serenità ritrovata, però, fu spazzato via quando, un anno più tardi, anche i miei genitori morirono.
Un incidente d’auto.
Un ALTRO incidente d’auto.
L’ENNESIMO che mi portava via le persone che più amavo.

Mi riscossi e osservai il mio riflesso allo specchio del minuscolo bagno dell’aereo: ero stanca e occhiaie scure contornavano i miei occhi verdi, quasi lampeggiando sulla mia pelle color avorio.
Mi lavai le mani e mi sciacquai il viso per rinfrescarmi, dopodiché uscì e, accompagnata dal sorriso caloroso dell’anziana hostess, tornai al mio posto.
Mi infilai le cuffie dell’Ipod nelle orecchie e, cullata dalla musica, mi addormentai.
Dopo quelli che mi parvero venti minuti, fui svegliata dalla voce del comandante che, attraverso l’altoparlante, ci comunicava che, a breve, sarebbero iniziate le operazioni di atterraggio e contemporaneamente la spia luminosa ci informò che era giunto il momento di allacciare le cinture.
A poco meno di trenta minuti, mi sarei stata catapultata in una nuova realtà.
A poco meno di trenta minuti, avrei cominciato la mia nuova vita.

Inevitabilmente agitata e altrettanto emozionata, scesi dall’aereo e con la navetta raggiunsi lo stabile dell’aeroporto internazionale di Vancouver.
Scrutai il cielo e notai che la perenne coltre di nubi lasciava scorgere il pallido sole canadese.
Sorrisi.
Il sole mi metteva di buon umore, sin da quando ero bambina.
A Londra, proprio come a Vancouver, era raro che il sole riuscisse a scavalcare le spesse nuvole e si facesse vedere. Così, non appena accadeva, correvo a chiamare Sophie, che abitava in fondo a Pierremount Avenue, e insieme andavamo a giocare in giardino, fingendo di essere due principesse in attesa dei rispettivi principi azzurri.
Raggiunti i sedici anni però, di fiabesco, nella mia vita, era rimasto ben poco.
Scacciai quei pensieri malinconici.
Non volevo ricordare.
Non ancora.
Non ero pronta.

Recuperai le mie valigie e, superati i minuziosi controlli, uscii.
L’aria gelida di novembre mi investì e mi strinsi nel pesante cappotto color panna per proteggermi dal freddo.

Non mi sembra il caso di inaugurare la tua nuova vita con un’influenza, Kristen, mi dissi.
Fermai un taxi e vi salii.
‘1128 Hastings Street W.
Marriott Pinnacle Hotel
, per favore.’ dissi gentilmente all’autista. Avrei alloggiato in albergo, fino a quando fossi riuscita a trovare un posticino che facesse al caso mio.
‘Certamente, signorina.’ mi rispose cordialmente e partì.
Ringraziai il cielo che mi fosse capitato un autista taciturno e discreto, poiché non avrei sopportato domande e interrogativi, sul perché mi trovassi a Vancouver, da dove venissi, perché ero partita e altri mille bla bla bla.
Ne avevo già avuto abbastanza alla dogana dell’aeroporto dove mi avevano tempestato di domande, insospettiti dalla mia giovane età e incuriositi dal motivo della mia visita.
Ma non era una semplice visita.
Ero venuta per restare. E nonostante avessi soltanto diciannove anni, avevo già pianificato il mio futuro: mi sarei iscritta alla University of British Columbia, frequentato la facoltà di interpretariato e traduzione, e avrei cercato un lavoretto part-time, aspettando di laurearmi e trovare un lavoro vero.
Ma, sebbene avessi le idee chiare, me la stavo letteralmente facendo sotto.
Sospirai.
Il taxi arrivò a destinazione e l’autista, estremamente gentile, mi aiutò a scaricare le pesanti valigie. Gli sorrisi e gli diedi anche una buona mancia, ringraziandolo.
Ripartì, lasciandomi sola e imbambolata davanti all’imponente edificio.
Alzai lo sguardo e respirai a fondo, cercando coraggio.

Bene Kristen
, mi dissi,
pronta per una nuova vita?

  
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