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Autore: _giumuddafuggaz    13/03/2012    2 recensioni
Quando ogni cosa pare accatastarsi alle altre, peggiorare la situazione instabile che minaccia di crollare giorno dopo giorno, l'unica cosa possibile è rialzarsi.
Io ho cercavo un lui, quel lui mi ha trovato.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Shannon Leto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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è la prima One-shot  in cui mi cimento quindi non vi garantisco nulla.
Ho avuto l'ispirazione grazie ad una foto, una foto trovta per puro caso.

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"un buon articolo, un buon articolo"
dovevo immaginarlo, le convocazioni da parte del capo non portano mia nulla di buono. 
"se nemmeno questo mese riesci a consegnarmi qualcosa degno d'apparire sulle pagine del mio giornale, sei fuori" 
eppure da parte mia l'impegno c'era, mi sforzavo di trovare qualcosa d'interessante qualcosa che potesse colpire il pubblico ma su, siamo realisti, chi potrebbe mai compare un giornaletto provinciale che riesce a riportare solo le sagre del paese? in realtà non ero io il problema, lo era lui. 
Il ticchettio della penna echeggiava nella camera d'albergo oramai vuota. La scrivania mi pareva l'unico posto ancora intatto di quella stanza troppo triste per essere ricordata; lenzuoli sbiaditi, il passare degli anni consuma anche loro, la gente li impregna d'odori, di ricordi. Non mi sarei mai immaginata di finire cosi, da piccola alla domanda "come vorresti essere da grande?" rispondevo "felice", mi dicevano che la felicità non esiste, che è solo un momento transitorio dopo il dolore, quel momento in cui dopo essere crollata riesci a intravedere una mano vicina che t'aiuta a rialzarti. Ecco, credo d'averlo toccato il fondo ma qui non c'è nessuno.
Lascio scivolare la mia testa fra le mani "riuscirai a superare anche questa" mi dico "ce la farai, come hai sempre fatto". Porto alle mie ginocchia la tracolla di pelle stesa a terra. Raduno foglie e blocchetti di cui la riempio, il solo pensiero d'uscire mi mette l'angoscia, per quanto squallido possa essere, li dentro mi sento al sicuro, mi sento come se ogni mio problema potesse essere confinato in quelle quattro mura, io me ne libero rimane la, il mondo fa rumore, io resto in silenzio. 
Ancora un sospiro, sono fuori. 
La tappezzeria color senape ricopre tutto il corridoio, le pareti sembrano venirmi addosso, il colore m'acceca Le luci d‘un ascensore paiono il faro alla fine del buio, il passo si fa sempre più veloce, ora più che mai ho bisogno di prendere una boccata d’aria. I tasti colorati vanno a creare strani ritmi numerici, piano terra, quella è la mia destinazione. Mi ricordo che per arrivare a casa dei nonni dovevamo usare un enorme ascensore d’accaio, ero sempre io quella a spingere il bottone, mi faceva sentire grande, grande per i miei cinque anni d’età. Abitavano al settimo piano, pochi secondi, fino a che non sentimmo uno strattone, il nulla sotto i nostri piedi. Mia madre continuava a spingere i due campanellini che segnalavano la nostra presenza nella scatola di latta posta quattro metri da terra “andrà tutto bene, tesoro” cercava di sovrastare il mio pianto “andrà tutto bene”
Da quel giorno usai sempre le scale o almeno ogni volta a m’era possibile.
Un suono metallico segna il suo arrivo, le porte si vanno a spalancare accoglienti, una sottile musica d’attesa riesce a placare i mie pensieri. Sono sola. Conto i secondi che ci separano da terra “uno, due, tre.. ancora tre piani” uno strattone e le porte si spalancano nuovamente, lentamente la sagoma d’un uomo va a formarsi.
-Giorno appoggia la schiena sulla lunga parete in tessuto
-Giorno cerco d’accennare un sorriso che va a storpiarsi appena capisco che non è realmente interessato, che quel buongiorno era rivolto a chiunque. 
Ha la testa china su un piccolo telefono nero, alcuni ciuffi di capelli castani vanno a coprire gli occhiali da sole con cui nasconde il suo volto. 
-Ha che piano scende? La mia voce si fa sottile tanto che non riesco a capire se lui m’abbia sentita
-Lei dove scende? Per la prima volta da quando è entrato mi rivolge la sua attenzione, sembra compiaciuto di ciò che vede, si lascia scappare un sorriso 
Abbasso il capo quasi imbarazzata.
Un strattone più forte ci fa sobbalzare, le luci si spengo per qualche secondo, il buio ci circonda. Cerco un appiglio, un qualcosa che possa farmi sentire protetta, anche solo per pochi attimi.
Una luce di riserva spazza via l’oscurità di quei due metri quadrati.
Sono a pochi centimetri da lui, mi fissa, è impaurito quanto me.
-non penso scenderemo più
Sbuffa o probabilmente cerca di soffocare una risata inopportuna ma che avrei tanto voluto sentire.
 
Lascio scivolare a terra la borsa. M’accovaccio vicino alle porte metalliche mentre continuo a guardarlo intento a cercare di chiamare qualcuno, qui dentro.
-non c’è campo 
Mi guarda. Come se niente fosse continua a sbracciare cercando una tacca che gli permetta di chiedere aiuto
-sei proprio testardo, sai? 
-L’ho visto fare in un film risponde lui affannato 
rimane in piedi per qualche altro istante, poi si rassegna sedendosi di fronte a me. 
-Ok, non funziona lascia scivolare il telefono nella tasta dei pantaloni 
-Che t’avevo detto? 
-Non accetto conigli dagli sconosciuti   ridacchia lui 
-Be, non tutti gli sconosciuti sono cattivi, non pensi? 
Si toglie gli occhiali che va a poggiare per terra, la mano destra rimette a posto i capelli scompigliati.
-fra tutti gli sconosciuti, sei la più bella con cui potevo rimanere chiuso in ascensore 
Non so perché ma credo a quelle parole, ci credo senza sapere quale sia il suo scopo, quale siano le sue intenzioni. Le mie dita vanno a rincorrere le maniche della giacca che mi ricopre, chiudo gli occhi appoggiando la testa contro la parete. 
Sento il suo profumo farsi più forte, tanto che ho paura rimanga impresso a fuoco sulla mia pelle. Uno scatto, lui è accanto a me. 
-Facciamo una scommessa, se indovino da dove vieni ti rivelo il mio nome?
Sorrido inconsapevole di ciò che stia accadendo, perché non chiedermelo? Perché non presentarsi come tutti gli altri? Il mio sguardo si perde nei suoi occhi color nocciola, pare cosi sincero, cosi perfetto, forse perfino troppo, troppo per essere vero.
-Sei sicuramente europea  continua lui 
Un occhiolino conferma la sua ipotesi, il suo viso s’illumina.
-parlami   se ne esce dal nulla con questa proposta, questa proposta che pare segnare una smorfia confusa sul mio volto, quella smorfia che lui riconosce
-qualsiasi cosa
-qualsiasi cosa? Questo tuo gioco mi sta mettendo a disagio
-Perfetto, ho la risposta sobbalza compiaciuto -sono sicuro al novanta per cento che tu sia italiana e se ho ragione per tua fortuna l’interrogatorio è finito
-DIN DIN DIN abbiamo un vincitore! Con un braccio per aria a mo di campanella lo guardo sorridere -si sente cosi tanto?
-Sinceramente? Si. Ma l’indizio fondamentale sta nei tuoi occhi, nessuna donna qui a Los Angeles ha degli occhi cosi 
Cera d’avvicinarsi, avvicinarsi più di quanto la mia mente voglia. Continuo a ripetermi che non lo conosco nemmeno, che potrebbe essere uno spacciatore, un terrorista e io senza saperlo mi starei tuffando nelle braccia d’un maniaco ma il mio corpo pare bloccato, lui vuole restare, vuole restare li con lui. 
-non mi hai ancora detto il tuo nome  lo respingo dolcemente portandomi il palco della mano sul viso, potrebbe prenderlo come un semplice vizio, come un gesto compiuto per pura routine. 
-Shannon  pare aver recepito il messaggio, riporta le mani dietro la schiena come per tenersi dritto
-Oh, piacere Shannon 
-e lei, come si chiama ragazza dagli occhi neri come la notte?
Disegno sul mio volto un piccolo sorriso, è il primo ragazzo che mi dice certe cose. Probabilmente è per puro interesse, probabilmente è abituato a far cadere ai suoi piedi decine di ragazze ma non posso far a meno di pendere dalle sue labbra, quelle labbra che provano ad avvicinarsi a me dal primo momento 
-Giulia
-Bene Giulia, la informo che sia ufficialmente non più sconosciuti
Alzo il capo come per correggere la frase grammaticalmente scorretta da lui pronunciata ma vado a tacere appena sento il suo sguardo sulla mia pelle. 
-Cosa c’è nel borsone? 
La sua voce mi fa tornare con i piedi per terra, in quel ascensore a chi sa quanto metri, appesi nel vuoto. 
-fogli, penne, libri 
Senza nemmeno chiedere avvicina la tracolla a se e inizia a frugarci dentro, faccio per strappargliela via quando qualcosa colpisce la sua attenzione 
-scrivi per un giornale? 
“scrivevo..” sussurrò raccapezzando le pagine cadute a terra -in teoria
-non ami parlare, vero? Nemmeno io, ma devo.
Un sospiro più sentito degli altri si fa spazio nella mia cassa toracica, i miei occhi si riversano nei suoi, bingo questo ragazzo è diverso, è lui che voglio, è lui la mano che m’aiuterà a ricominciare. 
-nulla è per forza 
-non quando sei sotto i riflettori ventiquattro ore al giorno, no puoi essere te stesso, devi parlare ma nello stesso tempo devi stare attendo a non dire troppo o troppo poco, non sono quello che molti credono, quello è il batterista d’una band, non Shannon
-suoni in una band? 
Pare realmente sorpreso da quella domanda, continua a fissarmi, incredulo 
-ho detto troppo, come al solito
-o troppo poco..
I nostri sguardi s’intrecciano, ancora poco, poco prima che il mio corpo l’abbia vinta sulla mente. Porta la sua mano destra sotto il mio mento, le sue dita disegnano piccoli cerchi sulle mie labbra, mi lascio scivolare tra le braccia di quello sconosciuto, quello sconosciuto che ora ha un nome, un lavoro, un cuore. 
Un bacio, solo uno. 
Mi sorprende la delicatezza con la quale mi tocca, mi sfiora. 
Le porte dell’ ascensore vanno a proiettare l’angusto salone d’ingresso dell’ hotel, qualcuno ha notato la nostra mancanza? Qualcuno attendeva quel ascensore? 
M’alzo strofinandomi i pantaloni di tessuto increspati, mi porge la borsa e poi scompare. Nemmeno il tempo d’un saluto, d’un abbraccio d’un semplice ricordo da porre come conclusione di quell attimo.
Un foglio giallastro scivola via dalla tasca principale della sacca, un inchiostro blu lascia intravedere delle parole 
 
Non tutte le storie hanno un lieto fine. A volte si desidera solamente qualcosa, qualcosa che ci porta a credere che sia per sempre. Non dico d’aver bisogno d’un per sempre, almeno non ora ma mi basterebbe una cena, una cena con la ragazza che ha visto lo Shannon senza considerare il batterista, la ragazza dagli occhi neri come la notte. P.S sotto trovi il mio numero “nulla è per forza” ma io spero in un “con piacere”, non te la prendere, non sono bravo con gli addii, non se voglio un nuovo “buongiorno”. 
  
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