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Autore: Archangel 06     16/03/2012    3 recensioni
[Cyberpunk 2020]
Nella violenta Night City del XXII secolo la banda criminale Biohazard capitanata dalla misteriosa Four è diventata in poco tempo la gang più pericolosa di tutta la città, arrivando a controllare una vasta fetta del mercato nero, che alimentano loro stessi rubando qualsiasi cosa alle corporazioni o all'esercito: veri e propri agenti patogeni, e non è un caso che siano conosciuti con nomi che richiamano virus, batteri e malattie mortali....
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Giù Nello Sprawl '
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N.D.A. : il termine Biohazard indica propriamente il Rischio Biologico, misurato in una scala che va da 1 -rischio minimo- a 4 -rischio massimo-. dunque il soprannome di Four, essendo associato al massimo rischio indica il capo della banda, mentre Three, Two e One sono i suoi quattro luogotenenti in ordine decrescente di importanza.




Il cyberspazio.
A scuola durante le ore di informatica ti insegnano che quando è nato nel 1969 si chiamava Arpanet, e poi nel 1980 è diventato Internet.
Nel 2020 è diventato Cybernet.
 
La cosa che accomunava questi tre nomi era il concetto che si trattasse di una “rete”: ora però Cybernet è diventato il Cyberspazio.
Non è più solo una rete di interconnessioni tra computer, è una realtà alternativa a se stante intangibile ma pesantemente reale.
 
Dal 2066, quando è stato possibile entrare quasi fisicamente nella rete grazie alla realtà virtuale, il mondo si è praticamente diviso in due: da una parte ci sono i cybernauti, che si badi bene non sono i visitatori occasionali della rete, come una donna che cerca un paio di scarpe o un ragazzo che va a passarsi un po’ di tempo in una room pornografica.
 
Il cybernauta è l’abitatore del cyberspazio, colui che ne conosce il più intimo funzionamento e la cui mente ormai ha preso residenza in quell’universo parallelo immateriale, formato da milioni di Km di cavi.
Per etereo che sia la sua presenza è comunque indiscussa e indiscutibile, visto che i suoi avvenimenti spesso e volentieri hanno ripercussioni anche nel mondo reale e per averne la prova basta infilarsi un paio di spinotti nel cranio. Non è raro sentire due cybernauti discutere dell’ultimo scontro informatico tra questo e quell’hacker, o di questa o quella guerra informatica tra corporazioni che influenza l’andamento dei titoli in borsa.
 
Dall’altro lato ci siamo noi, i “geonauti” come ci chiamano, con una certa sfumatura di disprezzo, i cybernauti.
Loro hanno il monopolio su ciò che per noi è vitale, ossia l’informazione.
L’informazione è l’essenza stessa del cyberspazio.
 
Naturalmente per una geonauta come me, questo gigantesco parassita che si nutre di quantità indicibili di energia elettrica ha una sua utilità, come per tutti: non è così invece per Eva, perché per lui il cyberspazio è casa.
 
Alle volte mi chiedo se esista un cybernauta più irritante di lui.
Quando ci siamo conosciuti e siamo entrati in affari siamo addirittura venuti alle mani prima di trovare un accordo, perché lui pretendeva una percentuale dei guadagni davvero esosa.
Eva è, in fin dei conti come tutti i cybernauti, un fottuto bastardo che se la tira perché “Tiene per le palle noi geonauti terricoli”.
 
Comunque sia, io ho bisogno di lui, perché mi fornisce le informazioni che mi servono per il mio lavoro giù nello Sprawl: con la mia banda mi sono assicurata circa un anno fa il controllo della zona peggiore della periferia di Night City.
Nuove droghe, nuove armi per arti meccanici, armi, materiali… ci pensiamo noi.
Ed è qui che Eva entra in gioco.
 
Assaltare la limousine di un corporativo che trasporta un progetto interessante non è una cosa da niente, perché quei fottuti bastardi girano con una scorta militare degna del presidente degli Stati Uniti: in più tendono ad assicurarsi la fedeltà delle persone giocando sporco, microchippando quei disgraziati che si trovano a dover lavorare per loro in modo che non possano fare nulla contro la corporazione, e non puoi davvero mai sapere se il tizio che hai davanti ha una carica esplosiva nascosta dentro un arto meccanico, pronta a far saltare in aria lui e te se appena apre bocca.
Eva serve a questo: lui è in grado di superare l’ ICE che protegge i database corporativi, ed è abbastanza bravo da riuscire a scansare i Black ICE, procurandoci così le informazioni che ci servono senza farci correre rischi eccessivi.
Ovviamente se lo becca la Netwatch o viene beccato da uno dei programmi anti- operatore finiamo nella merda tutti quanti, ma parte del suo lavoro consiste esattamente nel non farsi prendere, e in questo campo è davvero il migliore.
 
Quella volta sembrava aver ficcato il naso in qualcosa di davvero lucroso.
 
***
 
Sono sempre stata brava a rendermi invisibile in mezzo alla massa: dopotutto nel mio mestiere la discrezione è essenziale tanto quanto la capacità di usare la forza, perciò mentre viaggiavo nella metropolitana con l’impianto audio craniale acceso, sembravo una qualunque chiunque, uno di quei volti che dimentichi appena volti lo sguardo.
Chissà se il giovane bullo seduto accanto a me con i capelli di fibre ottiche luminose all’ultima moda avrebbe mai pensato di essere gomito a gomito con il pericoloso “Four”, il capo della gang criminale che da un anno a quella parte controllava i traffici illegali della zona nord dello Sprawl di Night City.
 
Eva mi aveva chiamato la mattina stessa.
“Avanti, sputa il rospo. Che hai trovato?” dissi senza preamboli schiantandomi sul divano di casa sua.
 
Si grattò distrattamente la testa rasata a zero per lasciare liberi gli spinotti craniali, e mi fece un sorriso soddisfatto osservandomi con i suoi occhi bionici azzurro intenso.
“Mi sono infilato nel database della Oriental Chemistry S.P.A. e ho scoperto…”
“Fammi indovinare. Hanno sintetizzato un’altra droga illegale.”
 
“Bingo. Complimenti per l’acume, Sherlock” ridacchiò.
La Oriental Chemistry ufficialmente produceva fertilizzanti per l’agricoltura, ma tutti giù nello Sprawl (e naturalmente nel Cyberspazio) sapevano che deteneva il monopolio della produzione e del commercio delle droghe sintetizzate a partire dal papavero, era solo una delle tante società controllate dalla Biotechnica.  
 
Eva si andò a sedere alla sua postazione di navigazione, una poltrona imbottita su cui poteva stare comodamente sdraiato mentre viaggiava ad occhi chiusi nel mondo virtuale, e prese un fascio di otto cavi che terminavano con altrettanti spinotti che infilò uno alla volta negli appositi fori del cranio: era la sua cresta punk quella, il suo orgoglio di hacker del 22° secolo.
In pochi secondi si materializzò un avatar olografico che lo riproduceva alla perfezione, con tanto di spinotti ed espressione strafottente: era l’ultima tendenza informatica.
L’unica differenza era che l’ologramma era stato rivestito con una avveniristica cromatura, tipo quel vecchio film di supereroi, i Fantastici 4 e Silver Surfer.
“Allora… apri la cartella Alfa- 14, e apri il primo file” ordinò.
 
Il luccicante avatar tirò fuori dal nulla una cartella, la riproduzione perfetta di una cartella di cartoncino, la aprì e tirò fuori il primo file, che si ingrandì fino a diventare l’ologramma in tre dimensioni di un viso che conoscevo anche troppo bene.
 
“Ti presento il colonnello Benjamin Arnold, capo della Squadra di Sicurezza della Oriental… non ho trovato la formula nei database, però ho spiluccato le teleconversazioni tra il laboratorio dove l’hanno sintetizzata e i piani alti della corporazione, e pare che i primi campioni destinati ai componenti del C.d.A. verranno portati dopodomani assieme alla formula alla sede della Oriental. Ci sarà anche lo scienziato a capo del team che l’ha sintetizzata…”
 
“E in tutto questo Arnold cosa centra?” feci io, con voce neutra.
Tuttavia dentro fremevo, e strinsi così forte la mano che se non fosse stata da tempo sostituita da un arto bionico mi sarei spaccata le ossa.
Non credevo che avrei di nuovo avuto a che fare con lui.
 
“È il corriere, naturalmente. Nonché l’unico a conoscere il codice di apertura della serratura elettronica della valigetta, ma quello non sarà un problema, in qualche ora un hacker motivato come il sottoscritto te la forza senza problemi… quindi non serve che ti fai remore per prenderlo vivo. Anzi, quando lo ammazzi infilagli nel culo una pallottola anche per me, visto che quel pezzo di merda ha fatto mettere degli ICE anti operatore killer attorno alla base informatica della Oriental. Un Cerbero mi ha quasi sbranato” commentò, serafico.
 
“Me ne ricorderò. Hai il percorso del corriere?”
“Pretendi troppo. Però partirà alle sedici e trenta in punto da qui… visualizzazione files 2 e 3” ordinò all’avatar, che obbedì chiudendo la prima immagine e aprendo quelle richieste, che si rivelarono essere la fotografia di una porta e una mappa satellitare con segnato un punto rosso.
“Quelli sono i laboratori della Oriental, e quella è la porta da cui uscirà Arnold con la valigetta. Ah, un’altra cosa, la scorta sarà composta da soldati made in Arasaka… fate attenzione, è gente pericolosa. Hai una memoria?”
 
Io frugai nel mio marsupio, ed estrassi una scheda di memoria che lui infilò in uno slot del cyberdesk dando l’ordine di trasferire tutti i dati, e restituendomela dopo pochi secondi.
“Tutto tuo. A presto.”
 
***
 
L’operazione è stata un successo.
Come previsto, Arnold è partito alle 16.30 dal punto indicatoci da Eva, con una scorta più esigua del previsto: evidentemente o non volevano dare nell’occhio o non consideravano questo prodotto così importante.
Comunque sia, per primo abbiamo fatto fuori Arnold, un compito che ho svolto personalmente, e poi quelli della scorta.
Tra parentesi per colpa loro abbiamo dovuto rinunciare a rivendicare il colpo, perché altrimenti l’Arasaka sarebbe venuta a cercarci e allora si che saremmo stati nella merda fino al collo. 
                      
Non è stato facile. Dopotutto era un mercenario, e uno dei migliori.
Ora ci penserà Diphteria, il nostro tecnomedico, a far sparire il cadavere, in questo momento sta staccando e catalogando uno alla volta tutti i suoi ammennicoli.
 
Ci vorrà un po’ prima che la droga inizi a fruttare, dobbiamo iniziare a produrla: il procedimento è costoso, ma i ricconi sborseranno cifre astronomiche per averla e così ammortizzeremo le spese.
 
Appoggio i piedi sulla scrivania della mia camera/ ufficio, e mi tiro fuori dal cassetto una bottiglia di tequila, la apro e ne bevo un lungo sorso, lasciando che l’alcol mi arrivi diretto nello stomaco vuoto come un cazzotto.
“Uh” sospiro. Già mi sento meglio.
Alzo di nuovo la bottiglia in un tacito brindisi alla foto di Sid, il primo Four dei Biohazard.
“Divertiti all’inferno, Sid. Di sicuro è un posto migliore di questo.”
Lo pensavo davvero. Uno doveva mettersi davvero d’impegno, per riuscire a pensare a un posto peggiore dello Sprawl di Night City.
 
***
 
Four guardò la strada nove metri più in basso, stringendo il suo Uzi Miniauto 9 con le dita metalliche del braccio bionico: le luci al neon quasi esauste si riflettevano in un freddo e fantasmagorico arcobaleno sul telaio lievemente opaco di titanio non rivestito dalla finta pelle e lasciato scoperto dalla manica corta della maglietta in kevlar.
 
Faceva caldo e aveva appoggiato la giacca da parte aspettando di rimettersela al momento di entrare in azione.
Three era seduta al suo fianco sulla cornice sporgente di un lucernario.
 
“Verranno?”
“Puoi contarci.”
Lei si sistemò meglio sulla testa i vistosi gogglers, che aveva decorato con lunghissime borchie metalliche ai lati e cambiando le lenti, inserendone un paio con il simbolo dei Biohazard che spiccava bianco su uno sfondo nero.
Ne aveva a decine, di quegli occhiali, e tutti diversi.
Un’innocua mania come tante.
 
“Non mi piace il cielo stasera, Sid. Sono preoccupata.”
Lei era l’unica a conoscere il suo nome, come lui era l’unico a conoscere quello di lei.
Era la regola. Nessuno doveva sapere il vero nome di nessuno, nei Biohazard. Ognuno aveva il proprio soprannome, quello di un batterio o di un virus particolarmente insidioso.
 
Four alzò lo sguardo, e in effetti il cielo aveva assunto una curiosa tinta violacea anziché il consueto color grigio scuro, non del tutto nero, dovuto alla violenta illuminazione pubblica che si rifletteva nell’atmosfera inquinata.  
 
“Piccola, ti ho promesso che fotteremo la zona ai Vipers e lo faremo. Tu devi preoccuparti solo di farne fuori il più possibile, Elain.”
Rimasero diversi secondi in silenzio.
 
Si sentiva in sottofondo il ronzio di Night City, il suo battito cardiaco formato da migliaia e migliaia di motori che rombavano come le api di un gigantesco alveare.
 
“Dovreste venire di sotto, stanno arrivando.”
La comunicazione di Two arrivò attraverso gli auricolari radio, Three si alzò e Four diede un’occhiata alla strada. Vedeva chiaramente la linea dei suoi ragazzi, e vide avvicinarsi i Vipers sulle loro moto.
 
“Andiamo.”
 
In pochi minuti erano arrivati alla strada, uscendo dalla vecchia palazzina di tre piani abbandonata sul cui tetto si erano appostati a spiare l’arrivo della banda nemica.
 
Arnold con tutta la sua boria da ex Marine era su di una Mitsubishi ultimo modello, e li osservava con un ghigno feroce, reso ancora più inquietante dalla cicatrice che gli segnava di traverso il viso.
“Chi è di voi quello che si fa chiamare Four?” domandò.
 
“Sono io.” Sid venne fuori dalla fila di uomini, con un’espressione mortalmente seria in volto.
“Ma guarda, un ragazzino! Torna a succhiare il latte, moccioso.”
Una risata dal gruppo delle Vipere, ma Sid non si scompose. “Entro oggi vi faremo sloggiare, Arnold. Maschere!”
 
Istantaneamente da alcune finestre volarono dei candelotti fumogeni, lanciati da degli Hazarders che Four aveva fatto appostare.
Le Vipere non avevano la maschera, e il gas li costrinse a battere in ritirata mentre gli Hazarders li inseguivano e li ingaggiavano uno alla volta.
 
“Dov’è Arnold?? Trovate Arnold!” gridò Four, liquidando uno degli ultimi.
 
Dopo neanche un quarto d’ora la confusione si era calmata, ed era sceso sul campo di battaglia un innaturale silenzio.
Solo i vincitori erano rimasti in piedi.
 
Uno sparo spezzò quello strano incanto, e dopo qualche istante che parve eterno Four si accasciò a terra, nell’immobilità generale.
 
“Cercate Arnold, è stato lui! Prendetelo!” gridò Elain senza troppa convinzione. Di sicuro si era già dileguato.
 
“E ora che facciamo, Four?” le aveva domandato Leprosy, che indossava sempre e comunque una maschera anti gas, anche quando non era in azione.
Nessuno l’aveva mai vista davvero in faccia.
 
“Tirate su i corpi, cercate solo quelli che hanno degli impianti cibernetici interessanti e staccateli, li rivenderemo. Ai nostri daremo degna sepoltura. ”
“Va bene, Four.”
 
***
 
E così ora lei era Four.
Portava avanti con tenacia il progetto di Sid, e non avrebbe permesso a niente e a nessuno di farlo affondare nel mare tempestoso dello Sprawl, nemmeno alle mega corporazioni.
Anche perché in quell’universo caotico chi non si adattava era automaticamente fuori.
Non c’era quasi spazio per lo scrupolo e la morale.
 
Picchiettò distrattamente sul caricatore del suo Uzi con le dita meccaniche, rimanendo incantata ad osservare la perfezione della sintepelle che le ricopriva.
Aveva perso il braccio sinistro durante uno scontro con una banda rivale, ma in fin dei conti non era stata chissà che grossa perdita, anzi.
Perdere un arto (ovviamente se potevi permetterti di rimpiazzarlo) rappresentava un guadagno, da un certo punto di vista: dopotutto un braccio normale non poteva reggere il confronto nemmeno con la più rozza delle protesi di fabbricazione russa.
 
Il rumore sordo della porta che veniva educatamente percossa la distrasse dalle sue elucubrazioni: prese l’Uzi che teneva appeso alla sedia e vi infilò rapida il caricatore.
“Avanti.”
 
Era Pestis, il gestore del locale dove i Biohazard avevano la loro base.
“Sempre pronti, eh Four?” sorrise il grosso nero, mostrando l’inquietante chiostra di denti d’oro di forma triangolare che gli era valsa il soprannome di “Golden Shark”.
 
“Non sono rimasta viva fino ad adesso perché ho dormito, Pestis.”
 
“Giusto. Hai notato il colore del cielo, stasera?” fece nuovamente  Pestis grattandosi il grosso naso schiacciato dopo aver appoggiato sul tavolo il vassoio con i tramezzini al granchio e lattuga.
 
Four guardò fuori dalla finestra.
In effetti il cielo aveva assunto un’inquietante tinta rosso- violacea, chissà per quale strano fenomeno.
L’onnipresente nebbia rendeva tutto abbastanza sanguigno, come se qualcuno avesse nebulizzato minutissime particelle di sangue venoso.
 
“Qualcuno morirà.”
“Come?” Pestis bloccò a metà il cigolante tragitto verso la maniglia della porta del suo braccio meccanico russo. Four gli aveva proposto più volte di cambiarlo con uno nuovo, non c’erano certo né problemi di soldi né di disponibilità di tecnomedici disposti a impiantargli qualsiasi cosa, ma lui aveva sempre rifiutato. Diceva che ci era affezionato.
 
“Niente, Pestis. Puoi andare.” Four lo congedò con un gesto della mano, e quando l’uomo uscì allungò il braccio per prendere un tramezzino, guardando fuori.
 
Le giunsero attutite le urla di una donna, probabilmente una prostituta che stava venendo picchiata.
Normale amministrazione.
 
Sperò che non fosse una delle sue ragazze, altrimenti sarebbe stato un bel casino con le ritorsioni.
Non c’era un dio, non nello Sprawl, vigevano soltanto la legge del più forte e quella del taglione: per sopravvivere bisognava buttare alle ortiche la morale e badare al proprio interesse.
 
Lasciò che il suo sguardo corresse sulle due mensole sistemate lungo la parete più lunga della stanza, tutte piene di goggles di diversi modelli mentre faceva scattare le digitolame della mano destra e scavava un piccolo solco sul legno.
La sua piccola mania.
 
Bussarono di nuovo, stavolta era Three.
“Capo, c’è un tizio giapponese che ti vuole parlare. Dice di chiamarsi Yorinobu Arasaka.”
 





Angolino dell'autrice 

Salve :3 ultimamente sto parecchio fissata con il filone fantascientifico cyberpunk, quindi ho voluto provare a scrivere questa cosa ispirata al GDR Cyberpunk 2020, tratto dalla saga "la trilogia dello sprawl" di William Gibson... spero vi piaccia. 
penso che ci sarà un seguito, e forse anche un prequel... stay tuned, Choombatta! 
   
 
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