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Autore: Thiana    16/03/2012    1 recensioni
Le più grandi storie d'amore nascono dall'amicizia. Amicizia così profonda, da diventare amore.
Dal testo: «Promettimi che resterai sempre qui con me.» Arricciò il naso, cosa che faceva sempre risaltare le sue lentiggini. Tom sorrise ancora, mostrando il vuoto lasciato dal dente di latte, e il sorriso arrivò ad animare i suoi grandi occhi nocciola. «Sei la mia migliore amica, noi non ci lasciamo mai.»
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La giraffa ha il cuore lontano dai pensieri. Si è innamorata ieri, e ancora non lo sa.
Stefano Benni.




Occupata a spazzolare il cavallo dal manto marrone davanti a lei, la donna non si premurò neanche di rispondere alla figlia.
Tanto lo sapeva. Come tutti i giorni, da ormai tre anni, sua figlia Camille correva nel capanno abbandonato a confine della proprietà e passava il pomeriggio con Thomas, il figlio dei vicini.
Il sorriso sdentato di Tom che l’accolse fece sorridere a sua volta la piccola Cam. Lei, con i capelli lisci legati in due treccine, si piegò con le mani sulle ginocchia a riprendere fiato.  Si diede una manata sulla salopette di jeans sporca di terriccio e, finalmente, si avvicinò all’amico.
A soli sette anni, Cam era la persona più intelligente che Tom avesse mai conosciuto. O almeno così credeva.
Sdraiati nel capanno, esattamente sotto il grande buco nel tetto che permetteva ai raggi del sole di penetrare e scaldarli, i due ragazzini parlavano della notizia del giorno.
«Io non ci credo che Annie si sposa. Ha solo 23 anni.» Si lamentò Cam. Prese un sassolino e lo lanciò lontano colpendo una vecchia padella arrugginita e facendola risuonare.
Tom la guardò con gli occhi sgranati. «Wow.» Allungò la vocale come solo lui sapeva fare. «Hai fatto centro!»
Presi da quel nuovo gioco -colpire la padella con i sassolini- dimenticarono il loro discorso e smisero solo quando i genitori di Camille la andarono a chiamare.
Con  una scrollata di spalle si salutarono e la bambina seguì i genitori, poi improvvisamente si fermò e corse indietro.
Prese la mano di Tom tra le sue e la strinse quasi a fargli male.
«Promettimi che non farai come Annie. Promettimi che resterai sempre qui con me.» Arricciò il naso, cosa che faceva sempre risaltare le sue lentiggini.
Tom sorrise ancora, mostrando il vuoto lasciato dal dente di latte, e il sorriso arrivò ad animare i suoi grandi occhi nocciola. «Sei la mia migliore amica, noi non ci lasciamo mai.»
Soddisfatta della risposta, Camille gli pestò un piede e corse via ridendo.
Non appena Tom mise piede nella sua camera, dopo il bagno e la cena,  prese un quaderno nascosto sotto il materasso e iniziò con lo scrivere la data del giorno seguente.
 
24 Luglio 1949: 
Perché i vermi non hanno le zampe?
La fatina dei denti, dove prende i soldi?
Cosa significa ‘cincischiare’?
 
Scrisse l’ultima parola più di qualche volta, finché non fu sicuro di averla scritta bene.
Ogni sera, prima di dormire, si scriveva le domande che avrebbe fatto a Camille. Lei sapeva così tante cose.
Pensando a qualche scherzo da farle l’indomani, si addormentò sorridendo.
 
 
 
 
Quel giorno non si era fermata un momento. Aveva fatto su e giù per la fattoria al posto di sua madre, troppo malata persino per alzarsi dal letto.
Appena ebbe un attimo di pausa si fermò accanto alla recinzione di confine con i Callugan e alzò le braccia sopra la testa per stiracchiarsi. Abbassò lo sguardo e si passò una mano sul jeans scolorito della salopette.
Nonostante la fatica, le piacevano giornate come quelle. Il lavoro le impediva di rimuginare, di ricordare. La sera si buttava sul letto sfinita e, prima di poter pensare a lui, si addormentava.
Gli ultimi due anni, da quel settembre del ’57, li aveva dedicati al lavoro ignorando le poche amiche e i tanti corteggiatori.
Suo padre scuoteva la testa ogni volta che, raccontandole di qualche ragazzo che chiedeva di lei, Camille si metteva a lavorare. E ogni volta sua madre cercava di distrarla mandandola il più lontano possibile da quel vecchio capanno.
Le mamme lo sanno, era l’unica cosa che le aveva detto sua madre quando Tom era partito.
Un bel giorno di quasi due anni prima, Camille aspettava il suo amico nel capanno. Come sempre.
Però, per la prima volta, Tom non era arrivato. Preoccupata per la salute dell’amico, l’ormai diciassettenne era corsa nella casa dei vicini che, affranti e dispiaciuti per lei, le avevano detto solo: E’ partito.
Per qualche mese aveva continuato ad andare nel capanno, fino al giorno in cui si era ripromessa di non farlo più.
Promessa che però non aveva mantenuto. Suo padre si era chiesto dove sgattaiolasse di notte, poi l’aveva seguita. Entrava nel capanno, sfiorava vecchi oggetti, sedeva in terra e parlava con il suo amico. L’amico che era partito senza un saluto.
Il sole caldo di maggio la scaldava, ma non tanto da dover tenere un cappello. Si arrotolò le maniche della camicia a quadri che indossava sotto la salopette di jeans e si rimise al lavoro.
Il rumore di un furgone le fece alzare gli occhi. Conosceva perfettamente il rombo di ogni furgone che passasse lì, ma quello le era sconosciuto. Si schermò gli occhi dal sole e mise a fuoco un vecchio furgone rosso che veniva parcheggiato nel giardino dei vicini.
Ne scese un ragazzo più alto di lei, con i capelli scuri e una camicia a quadri.
Nonostante la distanza e il tempo passato, Camille non aveva dubbi su chi fosse. L’ampiezza del torace, il profilo e quel modo di camminare le erano familiari più di quanto volesse.
Aprì la bocca per urlare il suo nome ma la voce non le uscì. La rabbia che aveva covato per quegli anni divenne lacrime che cominciarono a bagnarle le guance. Velocemente se le asciugò con il dorso della mano e restò a guardare Tom che, resosi conto della sua presenza, le correva incontro.
Quando la raggiunse, sorrise pronto a salutarla, ma qualcosa nella sua espressione lo bloccò.
Rabbia? Risentimento? Tristezza?
Non era mai stato bravo a leggere le emozioni, era sempre stata lei a dirle quello che le passava per la testa.
Come quel giorno in cui l'aveva trovata strana ma non aveva capito che fosse imbarazzo, quello. E alla fine della serata Camille le aveva chiesto di insegnarle a baciare i ragazzi.
 
«Camille…» Mormorò soltanto, guardandola dall’alto.
«Non sono più solo ‘Cam’?» Lo riprese lei, con la voce che le tremava.
«Scusami.»
«Hai tanto da farti perdonare. Sei andato via senza neanche salutare.»
«Ti ho scritto una lettera in cui… ti spiegavo.»
«Non l’ho mai ricevuta.» Ammise quasi fosse colpa sua.
«Non l’ho mai spedita.»
«Mi sei mancato. E non hai mantenuto la promessa.»
La promessa. Come uno schiaffo, Tom ripercorse quel giorno di tanti anni prima. Gli sembrava una vita passata. Cos'era rimasto di quel ragazzino senza un dente e con la parlata sbiascicata?
La risposta la trovò in un sorriso, quello della ragazza che lo guardava. Nonostante fosse arrabbiata, delusa e ferita, era felice di vederlo.
«Mi dispiace. Ma ora sono qui.»
Posò il piede appesantito dallo stivale sulla stecca della staccionata e con un saltò entrò nella proprietà dei vicini. Allargò le braccia e aspettò, neanche troppo a lungo, che la ragazza si gettasse contro il suo petto, la strinse a sé e le sussurrò ancora le sue scuse all’orecchio.
«Ti odio.» Mormorò Camille tra i singhiozzi con la voce attutita dal petto del ragazzo.
Lui le posò una mano sui capelli e la lasciò scendere sulle spalle della ragazza, l'allontanò un poco da sé e le sorrise.
«Non andrò più via. Te lo prometto.»
Qualcosa però nello sguardo di Camille gli fece capire che non era tutto lì.
Se solo non se ne fosse andato, pensò Cam, non sarei stata costretta ad accettare.
«C'è qualcosa che dovrei sapere, vero?» Mormorò lui con un tono troppo simile ad un'affermazione.
La ragazza annuì.
«Negli ultimi tempi papà è stato male e non ha potuto lavorare e... A settembre mi sposerò con John Kasalev.»
Tom lasciò cadere il braccio inerme lungo il fianco.
John Kasalev era l'unico figlio dell'azienda di legna della città. Suo padre possedeva mezza River Hill. Ci mise poco ad immaginare Camille, la sua Camille, al fianco di quel borioso di John.
Le sorrise, convinto che la ragazza fosse solo intimitida dal dirglielo.
Lei invece scosse la testa. «Non sorridere ti prego. E' solo per papà che lo faccio. La fattoria sta andando in rovina e-»
Non riuscì a finire la frase che Tom le posò una mano sul collo, una sulla guancia e l'attirò a sé, posando le labbra sulle sue.
Si mossero entrambi con cautela. Emozioni completamente diverse dal primo bacio che si erano scambiati coinvolsero i due. La timidezza e l'inesperienza della prima volta furono spazzate via dall'amore e dalla passione.
Felice di non essere stato rifiutato, Tom si ritrasse dalla ragazza, con lentezza.
«Sposa me.»
 
 
A qualche metro di distanza, il padre di Camille sedeva sulla sua sedia a dondolo. Sorrise vedendo i due stretti l'un altro.
Oh, non avrebbe mai permesso che Camille e John si sposassero. Non finchè la speranza che Tom tornasse fosse stata viva nel cuore della ragazza.



Thia's corner.
Allora, è solo la mia seconda storia originale, ma mi piace proprio scriverle. Alcuni errori di coniugazione delle frase di Cam e Tom da piccoli sono volute. Io, a quell'età, qualche congiuntivo lo sbagliavo. (Capita anche ora!) Soprattutto, cinquant'anni fa, credo sia 'normale'.
Eeeee... niente.
Ciao. :)
   
 
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