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Autore: adamantina    17/03/2012    5 recensioni
Due occasioni in cui Jace ha preferito Clary ad Alec e una volta in cui non l'ha fatto. One-shot sentimentale-drammatica.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Clarissa, Jace Lightwood
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autore: adamantina

Titolo: Two times Jace chose Clary over Alec and one time he didn't

Fandom: Shadowhunters

Genere: Drammatico, Sentimentale

Avvertimenti: One-shot, lieve Slash, Het (lo so, non ci credo neanch'io!)

Introduzione: Due occasioni in cui Jace ha preferito Clary ad Alec e una volta in cui non l'ha fatto. One-shot sentimentale-drammatica.

Note dell'autore: Questa fic doveva essere 100% Jalec e invece è uscita un po' così. Boh, giudicate voi ^_^

 

 

TWO TIMES JACE CHOSE CLARY OVER ALEC AND ONE TIME HE DIDN'T

 

La telefonata non sarebbe potuta arrivare in un momento meno approppriato.

Jace era sul divano insieme a Clary per guardare un film... beh, quella era la scusa ufficiale. In realtà, al momento i suoi occhi erano impegnati ad ammirare ben altro che uno schermo al plasma: scorrevano senza sosta dal suo volto arrossato al suo corpo scoperto, mai sazi della bellezza inconsapevole di colei che aveva creduto essere sua sorella.

Le loro labbra si erano appena unite in un bacio pieno di desiderio quando lo squillo fastidioso li interruppe.

«Non rispondere» lo pregò Clary.

Jace diede un'occhiata allo schermo lampeggiante del cellulare. Esitò.

«È Alec» replicò. «Potrebbe essere importante.»

A malavoglia, prese la telefonata. Clary sbuffò leggermente.

«Alec? Che succede?» chiese Jace.

«È Magnus» replicò una voce spezzata dal pianto. «Mi ha lasciato.»

Jace ebbe un solo istante per sentirsi dispiaciuto per lui; poi la sua attenzione venne deviata sulle labbra di Clary che gli stavano percorrendo lentamente la clavicola. Rabbrividì mentre lei gli lanciava uno sguardo eloquente.

«Mi dispiace» riuscì ad articolare. «Ora però... devo proprio andare. Ne parliamo stasera, eh?»

Prima che Alec potesse replicare, Jace aveva già chiuso la telefonata e spento il cellulare. Una sola, vaga nota di rimorso rintoccò nella sua mente prima che Clary scacciasse ogni distrazione, permettendogli di concentrarsi solo su di lei.

Non lontano da lì, a pochi metri dall'appartamento di Magnus Bane, Alec si sforzò di cacciar via le lacrime e, con rabbia, cancellò il numero di Magnus dalla sua rubrica. Per un attimo fu tentato di cancellare anche quello di Jace -ma alla fine non ne abbe il coraggio.

 


.o0°0o.

 

 

Jace era seduto sul letto di Alec, che con meticolosa pazienza gli tracciava diversi iratze sul corpo. Mosse lo stilo con delicatezza sul suo zigomo, per prima cosa, dove campeggiava un graffio sanguinante.

Erano reduci da una normale routine: avevano combattuto contro un paio di demoni minori in un vicolo semideserto del Bronx, poi erano sopraggiunti i rinforzi delle creature infernali e li avevano messi leggermente in difficoltà... non che Jace l'avrebbe mai ammesso.

«Sei un idiota» commentò Alec, terminata la prima runa di guarigione, osservando il graffio che lentamente si rimarginava.

«Prego, figurati. Di nulla» replicò casualmente Jace.

«Perchè continui a farlo? A metterti in mezzo tra me e i demoni?»

«Uhm, non lo so. Per salvarti la vita? Non vorrei sembrare troppo drammatico, però.»

«Avrei potuto ucciderlo. Ci stavo riuscendo» ribattè Alec a denti stretti, sbottonando con gesti meccanici e metodici la camicia del compagno per mettere in luce le sue ferite.

«Sei il mio parabatai. È naturale che ti voglia aiutare.»

«È per questo, dunque. Perchè siamo parabatai» commentò Alec, neutro, cominciando a tracciare un altro iratze sotto alla ferita causata dagli artigli del demone.

«Certo. Parabatai, migliori amici, fratelli. Pensavo avessimo stabilito di non voler essere melodrammatici» disse Jace, stringendosi nelle spalle. «Qual è il problema?»

«Il problema, Jace, è che-» Alec si morse la lingua per non dire qualcosa di cui avrebbe potuto pentirsi. «Niente. Lascia perdere.»

Lo sguardo di Jace si addolcì.

«Pensavo che ne avessimo già parlato.»

«Sì, beh, tu hai parlato. Non hai lasciato che io dicessi nulla che potesse mettere a rischio... tutto. Noi.»

Jace socchiuse gli occhi mentre Alec premeva lo stilo più del necessario per tracciare l'ultimo iratze.

«So già quello che vuoi dirmi, Alec. Lo so da tanto tempo, ma pensavo di essere stato chiaro. Io... » Si fermò, notando che lo sguardo dell'amico era fisso sul copriletto. «Alec, guardami.» Alec obbedì controvoglia, alzando gli occhi blu e incontrando quelli di Jace. «Io ti voglio bene come a un fratello, anzi, di più... ma con Clary è diverso. La amo, Alec, e niente potrà mai cambiare questo.»

Alec annuì e distolse di nuovo lo sguardo, per poi alzarsi di colpo.

«D'accordo» disse, la voce che suonava strana. «Devo andare, ora.»

Naturalmente, pensò mentre si dirigeva a passo svelto verso l'esterno, dove avrebbe potuto trovare un angolino in cui piangere senza essere notato, ancora una volta Jace non lo aveva lasciato parlare.

 

 

.o0°0o.

 

 

La battaglia era veramente dura.

Jace era esausto, i suoi muscoli ben allenati dolevano all'unisono con tutte le ferite che aveva ricevuto. Stavolta stavano davvero avendo la peggio.

Cinque demoni Maggiori erano un evento più unico che raro. Mayrise e Robert Lightwood erano a Idris per motivi di lavoro e avevano lasciato l'Istituto nelle mani degli Shadowhunters più giovani: Jace stesso, Alec, Isabelle e Clary.

Jace avrebbe preferito che quest'ultima restasse fuori da quel combattimento, ma non si aspettava nulla del genere quando aveva raggiunto Central Park. Il massimo che avevano affrontato erano stati due demoni Maggiori, una volta, e già allora era stato difficile cavarsela. Eppure, stavolta gli sembrava davvero un'impresa impossibile.

Due demoni erano già stati abbattuti, ma i tre restanti erano più agguerriti che mai.

Jace estrasse dalla cintura l'ultima lama angelica che gli rimaneva e ne sussurrò il nome.

Quindi si lanciò contro uno dei demoni, attaccandolo lateralmente. Con la coda dell'occhio vide che Isabelle stava facendo lo stesso dall'altra parte.

Dopo lunghi e penosi minuti, durante i quali un colpo di coda al torace gli spezzò almeno un paio di costole, finalmente il mostro venne rispedito da dove era arrivato.

Dolorante e stremato, Jace indietreggiò di un paio di passi per riprendere fiato e monitorò la situazione.

«Jace!» gridò Isabelle. «Non possiamo farcela da soli! Vado a chiamare aiuto!»

Lui annuì e Isabelle si allontanò di corsa.

Lo Shadowhunter stava per rimettersi all'opera con un altro demone quando un urlo acuto gli ferì le orecchie. Clary era stata afferrata da una delle mani dotate di artigli del mostro e sollevata di un paio di metri dal suolo.

Jace imprecò e si lanciò verso di lei, ma, prima che la raggiungesse, una strana sensazione, una morsa allo stomaco, lo costrinse a voltarsi.

Alec era a terra e il secondo demone incombeva su di lui. Jace seppe immediatamente, senza ombra di dubbio, che il colpo che stava per infliggergli con gli artigli avvelenati sarebbe stato fatale.

Alla sua sinistra, la ragazza che amava rischiava la vita; alla sua destra, lo stesso valeva per il suo migliore amico.

La sua mente non ebbe il tempo di pensare. Ad agire furono il suo corpo ed il suo istinto, del tutto indipendenti da qualunque pensiero razionale.

Si lanciò contro il demone e lo colpì con la lama angelica. Il mostro indietreggiò, ferito, e ruggì di rabbia; Jace, con un movimento fluido dettatogli da anni di addestramento, saltò e lo colpì nuovamente, stavolta centrando il cuore.

Mentre crollava a terra, Jace atterrò agilmente e si voltò immediatamente.

«Clary!» urlò, mentre si rendeva conto del significato di ciò che vedeva.

Isabelle era inginocchiata accanto a Clary e piangeva. Il quinto demone era stato ucciso.

Jace si ritrovò, senza sapere come ci fosse arrivato, accanto alla sua ragazza, che giaceva inerte in una pozza di sangue, il corpo straziato dagli artigli del demone, la testa ferita per la caduta. Estrasse lo stilo e cercò di convincere le proprie mani tremanti a disegnare un iratze.

«Non serve» replicò Isabelle, il volto rigato di lacrime. «Ci ho già provato... non c'è più nulla da fare, Jace.»

Ma lui la ignorò e provò comunque più volte, invano.

Quando alla fine si arrese, iniziò a capire cos'era successo. Scattò in piedi e urlò, un grido così profondo e carico di disperazione che Isabelle rabbrividì e sentì la sua angoscia vibrare in tutto l'ambiente gelido che li circondava.

«Devo... avvertire il Conclave, sta arrivando qui... E Simon...» Isabelle si allontanò di nuovo, non sopportando il dolore di Jace, egositicamente scappando da esso. Dopo la perdita di Max, questo era un ennesimo, duro colpo da affrontare.

Jace crollò nuovamente in ginocchio accanto a Clary. Riuscì a ricomporsi abbastanza da sussurrare:

«Ave atque vale, Clarissa Fray» la voce spezzata.

Poi arrivarono le lacrime.

Fu allora che Alec, fino a quel momento impietrito, immobile, si decise a raggiungerlo.

«Jace...» mormorò, il dolore evidente nella sua voce.

Lui non lo guardò. Era consapevole, pienamente e dolorosamente consapevole, che se avesse lasciato morire Alec Clary sarebbe stata ancora viva.

Forse la sua runa da parabatai aveva agito per lui, costringendolo a scegliere Alec, o forse era stato solo istinto.

In ogni caso, mentre Jace piangeva, Alec rimase accanto a lui. Ancora una volta in silenzio, ancora una volta incapace di ringraziare abbastanza il suo parabatai.

 

 

   
 
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