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Autore: Shadowolf    17/03/2012    1 recensioni
Robert e Jude non si conoscono, e vivono in due stati diversi. Sono entrambi sulla ventina, ma sembra essere l'unica cosa che hanno in comune. Due mondi scollegati che cercano di sopravvivere quando tutto quello che li circonda crolla all'improvviso su di loro, e senza alcun motivo.
Genere: Drammatico, Horror, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Le onde del mare gli hanno tenuto compagnia per gli ultimi tre giorni, anche se hanno portato una leggera brezza fredda nel cuore della notte, che di tanto in tanto ha fatto scivolare qualche granello di sabbia dentro la tenda a chiusura ermetica in cui ha vissuto da sabato pomeriggio. Da quando, cioè, ha detto a sua madre che avrebbe passato il weekend nella casa delle vacanze di Jamie, il suo migliore amico, nel paese adiacente al loro, situato appunto sull’Oceano. In realtà lui è via con i suoi genitori in montagna, approfittando della pausa primaverile, ed è completamente all’oscuro di essere stato tirato in ballo in tutto questo. Ma è sicuro che non ne avrebbe fatto un problema, niente affatto. È sempre pronto a coprirgli le spalle, in qualunque momento. Sa che è fortunato ad averlo come amico.
Robert sbadiglia pigramente quando Whiskey comincia a leccargli tutta la faccia, e non prova neanche a tentare di convincerlo a smetterla. È la terza mattina, sa da sé che non la finirà fin quando non avrà avuto la meglio su di lui. Così decide di tagliar corto e di trascinarsi fuori dalla tenda, avvolgendosi il plaid attorno a mo’ di mantello. Apre la chiusura zip e si protegge gli occhi, come aspettandosi un raggio del sole malvagio pronto ad accecarlo, ma invece percepisce soltanto un intenso grigio marmoreo intorno a sé, e capisce che la sua breve vita da vagabondo è stata appena messa a termine dal tempo atmosferico, carogna lui. Perché tutto quello che scorge sono nuvole e nuvole, e dal momento che sa distinguerle piuttosto bene sa che si metterà a piovere nel giro di un paio d’ore al massimo. “Dannate previsioni...” borbotta, e si affretta ad uscire, per far spazio a Whiskey, che stava spingendo da ogni direzione possibile per precederlo fuori. Se a sua madre è parso un po’ strano che lui si portasse insieme il suo pastore tedesco non l’ha dato a vedere, ma Robert ha ragione di credere che non è stato questo il caso. Lei sa benissimo quanto lui ci sia affezionato, lo tratta come il fratello che non ha mai avuto, trascinandoselo dappertutto, quando gli è possibile. E d’altronde, lo stesso Jamie ha un cane, Iceberg, e i due vanno molto d’accordo. Ha talento nell’inventare storie plausibili e parallele, glielo riconoscono tutti.
Si guarda attorno e non vede una singola persona camminare o fare jogging lungo il bagnasciuga, ma la cosa non gli dà da pensare più di tanto, dopotutto è lunedì mattina, e il tempo è brutto. Anzi, pare quasi che nell’aria ci sia qualche particella strana, perché mentre stanno camminando Whiskey ogni tanto si ferma immobile e alza gli occhi in alto, rimanendosene fermo ed immobile per un paio di secondi prima di ritornare a passeggiare come nulla fosse mai successo. A Robert pare una cosa curiosa, e non perché non l’abbia mai fatto, anzi, proprio perché è un gesto particolare che hanno imparato ad abbinare alle tempeste tropicali che un paio di volte l’anno seminano un po’ di scompiglio lungo tutta la East Coast. Il punto è che adesso sono abbastanza lontani da fenomeni del genere, temporalmente parlando. La primavera non è stagione di uragani e compagnia varia.
‹‹ Stai impazzendo anche tu, Whiskey... ›› borbotta volgendogli una rapida occhiata, ma il suo compagno non lo degna proprio, e anzi, approfitta della pausa per allentare la sua pipì mattiniera. Robert ridacchia e scuote la testa, aspettando che finisca prima di ricominciare a camminare. ‹‹ Oggi torniamo a casa, sai? Non vogliamo mica che mamma si insospettisca... sai che non la smette più sennò. Quindi sbrigati, così smontiamo la tenda e vediamo di prendere il primo bus che passa per casa... ›› Almeno, questo è quello che spera. Perché per legge gli animali non potrebbero viaggiare sui mezzi pubblici, se non nelle gabbiette. Prospettiva totalmente da escludere per un pastore tedesco. Però non si sa mai, può sempre trovare un autista simpatico o perlomeno compassionevole che chiuda un occhio, soprattutto considerato che ha solo un paio di fermate da fare prima della sua, e che il tempo minaccia pioggia.
Mezz’ora dopo, zaino in spalla e Whiskey al guinzaglio, Robert raggiunge finalmente la prima fermata utile, e comincia ad aspettare il primo autobus della giornata. Tira fuori l’iPod dalla tasca dei jeans e legge sul display che sono le otto e tre quarti. Il che vuol dire che devono passare venti minuti prima di scorgere quello giusto. Lo rimette a posto e sbadiglia piano, lasciandosi andare sulla panca adiacente al palo della luce. È solo dopo un po’ di tempo che si accorge dello strano silenzio ovattato che giace intorno a loro. Non solo non hanno incontrato nessuno sulla loro strada, ma – si rende conto solo adesso – non hanno nemmeno udito alcun suono. Né uccelli, né motori, né clacson. Niente di niente ad eccezione di qualche piccola folata di vento di tanto in tanto. Strano.
Ma c’è qualche altra cosa che non torna, e che non riesce a mettere a fuoco. Si guarda attorno un paio di volte, poggiando lo sguardo su ogni dettaglio gli capiti a tiro, ma continua a non trovare nessuna risposta. E probabilmente avrebbe finito con il rinunciare, almeno per quel momento, se Whiskey non avesse preso a giocare con i lacci delle sue scarpe.
‹‹ Andiamo, smettila... ›› si lamenta, abbassando gli occhi sul suo compagno e cercando di metter su un’espressione seria. ‹‹ Dobbiamo rimediare un passaggio qui, se non ti comporti bene non troveremo nessuno disposto a farci salire sul suo a-- ›› si interrompe all’improvviso, sgranando gli occhi come si accorge di aver appena capito la cosa di cui era in cerca. È trascorsa ormai mezz’ora da quando sono lì, e non è passato un singolo veicolo, neanche una moto. E se questo poteva essere normale durante i finesettimana, quando la gente usa le grandi strade per muoversi verso il mare, non lo è certamente nei giorni lavorativi. ‹‹ ... autobus. ›› conclude allora, e la parola assume un significato un po’ strano pronunciata in quel momento, quasi come se fosse proibita.
Robert fa vagare lo sguardo tutto intorno a sé e all’improvviso sente una leggera ma persistente fitta di vuoto cominciare a farsi largo dentro di sé, man mano che il suo cervello fa una semplice addizione.
Nessun suono, nessuna cosa animata nei paraggi, vivente o meno.
Dove sono finiti tutti?


Non appena dischiude leggermente gli occhi la prima cosa che lo colpisce è l’assenza della solita luce del corridoio che viene perennemente lasciata accesa dai suoi compagni di appartamento. Nel dormiveglia in cui si trova arriva anche ad ipotizzare che in realtà quello sia solo un sogno, perché altrimenti non si spiegherebbe una cosa del genere. Significherebbe che finalmente l’hanno ascoltato – o anche solo che si siano stufati di sentirlo blaterare all’infinito sul risparmio energetico e robe del genere – e gli pare troppo poco plausibile.
‹‹ Se è uno scherzo non fa ridere nessuno, ragazzi... ›› sbotta, la voce ancora impastata di sonno, mentre si rigira tra le coperte, con zero voglia di alzarsi. Ma non giunge alcuna voce in risposta, ed allora ripete la domanda, esattamente come prima, ma alzando un po’ il tono, per esser sicuro che lo possano sentire. Però il risultato rimane sempre quello. ‹‹ Idioti... ›› commenta, e sbadigliando sonoramente infila la testa sotto il cuscino, chiudendo gli occhi e cominciando a predisporsi nuovamente ad una nuova dormita. “Si stancheranno, prima o poi...” pensa fra sé, raggomitolandosi le gambe contro il petto ed avvertendo il sonno stare sul punto di riprenderselo. È solo a quel punto che realizza il silenzio quasi totale che lo avvolge, e che in un primo tempo non aveva considerato, per via della luce.
Gli ci vuole poco per capire il perché di ogni cosa. Se la sua mente non lo inganna, oggi è il 19 marzo. In altre parole, l’inizio della famigerata “Pausa di Primavera” che tutti andavano ventilando, da una decina di giorni a quella parte. Ed ecco spiegato il motivo della calma piatta che circonda il suo risveglio, quel lunedì mattina. Sono tutti via, tornati alle loro famiglie, alle loro case, ai loro amici del paese. Non sa come sia la situazione negli altri dormitori, ma immagina pressoché uguale, eccetto forse per qualche nerd il cui unico scopo nella vita è accumulare ottimi voti e qualche altro studente straniero, come nel suo caso.
Jude è inglese infatti, e fino all’anno prima, quando si era diplomato con discreto successo ad Oxford, non era mai stato negli Stati Uniti, né a dirla tutta era nei suoi piani andarci a breve. Ma ovviamente sentire le sue opinioni non era mai stato una possibilità concreta, e quindi nel giro di un’estate si era ritrovato a dover fare i bagagli alla volta di Harvard, nientemeno.
‹‹ Stupidi Americani... ›› grugnisce, scalciando le coperte sul fondo del letto e lasciando andare un altro quieto sbadiglio. Non gli piace stare da solo, si annoia. E se quando era a casa sapeva dove poter trovare gente in qualsiasi momento, qui gli è sempre sembrato di avere così tante persone intorno che adesso non sa nemmeno da dove cominciare a muoversi. Si sente perso, e la cosa non gli piace, proprio per niente.
Così, seppur contrariato, si obbliga ad alzarsi, raggiungendo la doccia e spogliandosi strada strada, disseminando vestiti ovunque. Dopotutto, se da solo deve stare, tanto vale trovare i lati positivi della faccenda. Rimane sotto il flusso dell’acqua a lungo, chiudendo gli occhi e sospirando piano, alla ricerca di qualcosa con cui riempire la sua giornata. Ma tutto quello in cui riesce a pensare in quel momento è solo la vasca idromassaggio che addobba il bagno che lui e sua sorella condividono, a casa. Si immagina l’acqua calda, e le bolle di sapone. Ma soprattutto, il movimento rilassante dell’acqua contro il suo corpo. Quanto vorrebbe essere a casa, in quel momento.
‹‹ Dài, Jude, smettiamola adesso... ›› si rimprovera a quel punto, e con un gesto deciso chiude il getto e si avvolge nel suo accappatoio verde, stringendoselo in vita e sospirando piano, calciando svogliatamente i vestiti di nuovo nella sua stanza, ammucchiandoli poi in un angolo. Se ne sarebbe occupato dopo.
Si lascia andare di nuovo sul letto e solo in quel momento si ricorda di avere un cellulare, perso da qualche parte lì attorno. Può ancora fare affidamento su di lui, anche se gli altri sono tutti via. Lo cerca un po’ dappertutto, prima di avere l’illuminazione e recuperare i pantaloni scuri che aveva indosso sabato, l’ultima sera in cui ha messo il naso fuori dalla porta, per un’ultima notte brava prima dei dieci giorni di isolamento o quasi che erano davanti a lui. Ed infatti eccolo lì, ovviamente morto. Tipico. Aspetta di collegarlo al caricatore per poi accenderlo, tamburellando impazientemente sul comodino, pensando che quel maledetto cellulare finirà per farlo morire di vecchiaia, per quanto è lento. Comunque alla fine ci riesce, e tempo due minuti gli cominciano ad arrivare un po’ di messaggi. Si regala un piccolo ghigno malizioso non appena nota che sono tutti della stessa persona, come aveva supposto. Li legge tutti, per bene, prima di cominciare a pensare ad un’unica risposta da dare, preferibilmente breve e non troppo affezionata. Quasi distaccata, ma senza esagerare.
Ha appena composto le prime due parole quando sente bussare alla porta. Un unico tocco. Si interrompe e si chiede chi diavolo possa essere. Ci pensa un attimo su, facendo un rapido calcolo della gente che conosce, per poi concludere che sono andati tutti quanti a casa. Quindi decide di lasciar perdere.
Ma a quanto pare non è un’opzione contemplata dalla persona al di fuori dell’appartamento, che anzi intensifica il pugno contro la porta man mano che i secondi trascorrono, fino a rendere il rumore completamente insopportabile.
‹‹ Arrivo, arrivo, per la miseria! ›› strilla allora, riallacciandosi l’accappatoio in vita e affrettandosi all’ingresso, fermandosi per un attimo di fronte allo specchio per rimettersi a posto i capelli, perché comunque non si sa mai. Dopodiché allunga la mano ed afferra la maniglia, tirandola e spalancando la porta.
Sulle prime non vede nessuno davanti a sé, e pensa ad uno stupido scherzo.
Si volta a destra e a sinistra, niente.
Sta per chiudere la porta e ritornare al suo cellulare quando infine lo vede.
Steso ai suoi piedi c’è un ragazzo con i capelli pettinati alla perfezione, camicia e gilet, pantaloni stirati. Tipico figlio di papà, l’orgoglio della sua famiglia.
Peccato che sembri morto.

   
 
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