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Autore: blazethecat31    18/03/2012    1 recensioni
Il passato di Tailsina raccontato in sintesi da Blaze dopo un anno dal loro primo incontro. (E fu così che raggiunsi l'apice della depressione) Dedicata a Ros the eplhe.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ti sentivi un essere inutile fin dalla nascita: abbandonata in un tempio, senza una casa, hai passato la tua intera infanzia da sola, tra le strade trafficate, i mari in tempesta e le foreste isolate.

Chiunque vedendoti avrebbe avuto la voglia di prenderti in giro, per colpa delle tue code che tutti consideravano un’anomalia. E’ dagli scherni di questo genere che iniziasti ad odiare il mondo, in aggiunta a coloro che cercavano di lapidarti ogni volta che trovavi un vicolo riparato per la notte.
Ricordi?
Usavano le pietre per cacciarti, come se volessero allontanare un malato di lebbra, un delinquente odiato da tutti, o magari un pazzo.
Va’ via bevitrice di veleni!  Urlavano in coro.
Questa frase ti fa ricordare il tuo primo tentativo di suicidio, quello che ti portò a scoprire il dono che possiedi.

Eri stremata, non mangiavi da giorni, e ti ritrovasti davanti una bottiglia di veleno, non del tutto vuota, vicino a una grande discarica affollata da barboni in cerca di cibo.
Senza pensarci troppo l’hai aperta, e bevendo quelle poche e amarissime gocce  che erano rimaste eri rimasta ad aspettare che il liquido velenoso facesse il suo sporco lavoro con te.
Passarono i minuti, e ancora non succedeva niente. Eppure eri convintissima che quello non fosse qualcosa di bevibile. I senzatetto della zona avevano visto tutto e, lasciando perdere tutto quello che avevano faticosamente trovato per sfamarsi, scapparono via da te.
Ancora più sola, ancora più stanca di vivere, ancora più triste.
Ora anche i reietti della società cercavano di cacciarti via, non ne potevi davvero più.
Ma ecco un’altra occasione: qualche giorno dopo ti ritrovasti in un parco, con lo sfondo degli aceri in autunno; in fondo c’era un torrente sovrastato da un ponte.
Iniziasti a correre, sperando che le gelide acque di quel corso potessero accogliere il tuo cadavere sul fondo, in modo che nessuno potesse veder  nulla.
Come ben sapevi, nuotare non era il tuo forte.
E così, dopo vari stenti e versando una scarica di lacrime che doveva essere l’ultima, hai buttato fuori tutta l’aria che avevi dentro in modo che sotto l’acqua non avessi avuto la possibilità di consumare molto ossigeno, sei salita sul parapetto e ti sei buttata.
Dopo pochi attimi eri già a un passo dalla morte, quando le tue code furono prese da qualcosa di caldo e forte, dopodiché il vuoto.
Le nostre vite si incontrarono in quell’istante.
Il tuo risveglio in ospedale e la breve battaglia per me non contarono niente, all’inizio pensavo solo che saresti tornata subito in forma e poi te ne saresti andata via, come un viandante riposato che lascia la locanda, scordandosi immediatamente di coloro che gli hanno prestato soccorso, vitto e alloggio. Invece mi hai addirittura chiesto di venire insieme a me…
Ma quella stessa sera…
L’incubo.
Lo shock.
La depressione stava per colpirmi, il fatto della morte dei miei genitori era della massima riservatezza, e tu sei venuta a sapere tutto.
Era quello uno dei miei pochi punti deboli, e tu l’hai trovato, senza esserne consapevole.
Volevo scappare via da tutto e tutti, stavo malissimo, non potevo permettere il fatto che un estranea fosse venuta a sapere dell’episodio più brutto della mia vita.
Quando avevo varcato la porta di casa, e mi ero nascosta in mezzo all’alta siepe iniziai a piangere silenziosamente. Era più rumoroso l’impatto delle lacrime con la terra umida che i miei sospiri, ma il mio cuore stava urlando dalla disperazione.
Smisi subito, anche perché mi avevi trovata cercando il mio perdono.
Guardandoti con occhi severi iniziai una riflessione, non so se durò vari minuti o pochi secondi.
E’ vero, tu sei stata l’unica a essere venuta a conoscenza della mia esperienza più spaventosa, ma che colpa ne avevi? Non potevi certo esserne consapevole, è normale essere sprizzanti di curiosità quando si conosce una nuova persona.
Tu mi hai raccontato la tua vita come qualcosa di inutile, di intralcio, da buttar via come un oggetto di fabbrica costruito male. E’ incredibile come tu possa saper essere oscura, tanto da farmi quasi rabbrividire.
Lo notavo da come camminavi: schiena curva, testa bassa e i pugni che stringevi spesso e volentieri, alla vista di qualche passante.
Avevi avuto una vita orribile, e entrambe avevamo bisogno di qualcuno con cui poter stare, confidarsi, fare amicizia insomma.
Qualcuno a cui poter donare il proprio cuore.
Al diavolo l’orgoglio, al diavolo la paura. Io voglio ricominciare daccapo.
Però, “amiche”; che parola grossa…
Nonostante le mie poche esperienze al riguardo posso ben dire che essere tali non significa solo stare sempre insieme, bisogna sapersi aprire, fidarsi, essere pronti anche a donare la propria vita. E se la cosa non è reciproca, la cosa migliore da fare è lasciar perdere.

E’ tardi, andiamo a casa.

Ora, dopo un anno, non ho avuto rimorsi riguardanti la mia decisione.

Felice anniversario Tailsina. Il mio regalo è rappresentato da questo testo che spero tu possa apprezzare.

  
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