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Autore: mizuki95    18/03/2012    3 recensioni
"Il suo alterego dagli occhi rosso cremisi gli puntava ancora contro la pistola, mentre Usagi-san dietro di lui si teneva la spalla ferita. La situazione era critica, anche perché l’altro non si smuoveva dalla sua posizione. E nuovamente, ripeté quelle parole “Non dire nulla!”." La one-shot tratta del senso di colpa di Misaki per la morte dei suoi genitori. Astenersi dalla lettura masochisti o tutti quelli che odio leggere storie contenenti il sangue.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Akihiko Usami, Altro Personaggio, Keiichi Sumi, Misaki Takahashi
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
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Buongiorno a tutti\e! Questa one-shot è un esperimento che ho provato a fare perché non ho trovato fiction che mi soddisfacessero su quest’argomento. Ma purtroppo, poiché il risultato non mi piace nonostante l’abbia scritta io, considero questo esperimento fallito. La one-shot tratta del senso di colpa di Misaki per la morte dei suoi genitori, ma non sapendo come potrebbe reagire l’ho fatto molto OOC, scusate. Anche Usagi-san e Sumi sono OOC, chiedo venia anche per questo. Il personaggio del Misaki con gli occhi rossi, se alcuni\e di voi se ne ricordano ancora, è in realtà Mizuki, la doppia personalità di Misaki da me creato in un’altra fic, che potrete leggere su “Yami no hikari” ed il sequel qui su EFP, chiamato “Destiny”. Purtroppo la prima fiction è stata bannata perché conteneva elementi di pedofilia, ma sarei felice se andaste oltre la superficialità e andaste a leggerla sul forum sopra citato. Ma torniamo al personaggio. Guardandolo dall’ottica di “Lui vorrebbe dimenticare”, questa one-shot può essere considerata tranquillamente come un pezzo mancante della fiction, ma anche no. Anche perché “questo” Mizuki è molto diverso dal vero (cioè, Mizuki non ferirebbe mai Misaki! 8(Q_Q)8). Ed è stata una faticaccia non potergli dare alcun nome! Parlando di Sumi, questa storia può essere inserita temporalmente a prima che ci provasse con Usagi-san quando c’è il festival culturale alla Mizuhashi (manga, volume 7 o 8; anime, seconda serie episodio dal 4 al 10, in questa fascia qui dovrebbe trovarsi l’episodio in questione), soprattutto quando Sumi dice che Misaki dovrà fargli un favore, e infatti sarà quello di “lasciargli” Usagi-san. Il finale è banale e scontato, e ne sono veramente dispiaciuto, ma non sono riuscito a pensare ad altro! Che altro mi rimane da dire? Ecco, ad un certo punto l’altro Misaki inizia a parlare non più dicendo “io” ma “noi”. Ebbene, accade perché è il piccolo Misaki che si nasconde dietro l’alterego a parlare, per cui non è uno dei due lati ma proprio l’anima di Misaki…non c’avete capito nulla, vero? Allora fate finta di nulla e andate avanti con la lettura! Non dico che dovete per forza recensire perché ormai ho capito che tanto non lo fate nemmeno se vi minaccio, ma sappiate che mi fa molto piacere leggerle, che siano fatto bene e lunghe o che siano corte ma piene d’entusiasmo!
 
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Il suo alterego dagli occhi rosso cremisi gli puntava ancora contro la pistola, mentre Usagi-san dietro di lui si teneva la spalla ferita. La situazione era critica, anche perché l’altro non si smuoveva dalla sua posizione. E nuovamente, ripeté quelle parole “Non dire nulla!”.

Ma torniamo all’inizio degli eventi. Tutto iniziò con un sogno, un enigmatico sogno fatto da Misaki dopo esser stato praticamente costretto a dormire con il coinquilino\fidanzato.

Nel sogno Usagi-san, dopo avergli proposto di mangiare fuori, lo precedeva mentre lui rimase impalato al centro del soggiorno. Delle braccia lo stringevano da dietro, e una voce, una voce identica alla sua, gli sussurrò all’orecchio «Non dire nulla…o chi ami morirà». Il ragazzo si voltò di scatto, ritrovandosi però in un battito di ciglia con la schiena contro il pavimento e l’altro sopra di sé, con un ghigno poco rassicurante dipinto sulle labbra.

Quell’altra persona era lui stesso, ma con degli occhi di un forte rosso cremisi e molto più forte di lui, visto che dopo essersi seduto sulla sua pancia gli teneva ferme le braccia con i ginocchi con estrema facilità.

«Non dire nulla» ripeté quello afferrandogli il viso nella mano sinistra mentre con la sinistra spremette un piccolo tubetto e così facendo ne riversò il grigio-trasparente contenuto sulle labbra del diciannovenne, tenendogliele ferme con l’altra mano.

Dopo aver fatto ciò gli soffiò sulle labbra con una luce sinistra negli occhi e continuando a sorridere, mentre Misaki si ritrovò le labbra letteralmente incollate. Ma il peggio arrivò quando l’altro ragazzo estrasse dalla manica destra del maglione un ago con un lunghissimo filo rosso annesso, cosa che accrebbe ulteriormente la paura del bruno, che prese a dimenarsi senza il risultato sperato.

 I ginocchi dell’alterego erano irremovibili, e i suoi calci non colpivano altro che il vuoto; nonostante si dimenasse come potesse, scuotendo anche la testa, e mugolando ad alta voce, tutto ciò non impedì all’altro di tenergli il viso fermo e compiere su di lui la sadica tortura della cucitura delle labbra.

 Il dolore che Misaki provò fu atroce e lancinante, e nonostante l’alterego cucisse senza commettere il minimo sbaglio, senza ferirgli le gengive o creare qualche buco in eccesso, il sangue si riversò lentamente dalla pelle del suo viso. Impotente, subì quella lenta quanto dolorosa tortura fino alla conclusione di essa, segnata dai denti dell’altro ragazzo che tagliarono quel che avanzava del filo. Mentre questi ripose l’ago in una tasca dei jeans, il diciannovenne ne approfittò per allontanarlo con una testata e scappò fuori dall’appartamento senza nemmeno mettersi le scarpe, terrorizzato e con il viso che perdeva sangue.

Correva senza nemmeno lui sapere dove, quando ad un semaforo intravide la figura di schiena di Usagi-san. Ne urlò il nome nonostante il dolore che gli procurò il gesto ed il mugolio che doveva essere il suo più potente grido, ma in quel momento delle braccia gli circondarono il collo da dietro, facendolo tremare di terrore.

 Il ragazzo dagli occhi rossi non disse nulla, semplicemente gli indicò la mano destra e abbassando lentamente lo sguardo, Misaki scoprì di avere un sottilissimo filo rosso legato intorno al mignolo della mano, mentre la fine del suddetto filo, e di questo se ne accorse seguendolo con lo sguardo, era legato al mignolo della mano destra di Usagi-san, che stava attraversando.

Improvvisamente però l’uomo si sentì il dito strattonato e voltandosi vide i due, in special modo il sangue e la bocca sfregiata dell’amato. Ma non ebbe nemmeno il tempo di fermarsi a guardarlo bene che un’auto lo investì, scaraventandolo poco lontano.

 Misaki, sconvolto, nonostante volesse correre dall’uomo, era trattenuto dall’alterego, che sorridendo sadicamente gli sussurrò all’orecchio «La colpa è tua, solo tua. Non devi dire nulla, o chi ami morirà…assassino!».

 Il bruno si destò subito dal sogno, mettendosi seduto sul letto. Respirava velocemente, ed era tutto sudato. Dall’altra parte del letto, Usagi-san lo osservava anch’esso seduto con sguardo a metà del preoccupato e dell’interrogativo «Stavi facendo un incubo?» si sentì domandare dal partner, mentre questi gli accarezzava lentamente la testa, per farlo calmare.

Fu tentato di dirglielo, ma la frase ripetuta dalla sua versione sadica del sogno lo fece desistere. E poi, nonostante avesse compreso quasi completamente che quello era stato solo un sogno, si sentiva veramente come se avesse le labbra cucite ed incollate. Poteva davvero parlare?

«N-non era nulla…» disse a voce molto bassa, mentre lentamente si rilassava. Usagi-san non gli credette e poco dopo i due stavano dormendo l’uno nelle braccia dell’altro. Per quella notte non ci furono altri incubi, ma Misaki faticò molto per riprendere a dormire, spaventato di rifare quel terribile incubo.

 Il giorno dopo non parlarono di quello che era accaduto la notte precedente, soprattutto perché era lo stesso Misaki a fare di tutto per evitare l’argomento, ma quella stessa notte il sogno si ripeté.

 Ma aveva una variante. Infatti il suo alterego prima che Usagi-san si voltasse mutò la propria mano sinistra in una gigantesca forbice, e tagliò il filo.

 L’uomo dunque continuò a camminare mentre l’auto che nella precedente versione del sogno lo aveva investito, ora gli passava dietro senza alcun problema.

Mentre Misaki osservava ciò, l’altro gli disse all’orecchio destro «Vedi? E’ stato semplice. Per non perdere le persone amate, bisogna non avere persone da amare. Ricordati…indifferentemente da quello che succede, tu non devi mai, e poi mai parlare…».

Al suo risveglio il ragazzo si ritrovò con il volto rigato di lacrime, solo nella sua stanza. Improvvisamente gli scappò un singhiozzo dalla gola e l’appartamento gli apparve in tutto il suo silenzio.

 Il sensei non era con lui perché stava scrivendo uno dei capitoli più importanti e decisivi del suo nuovo romanzo, e aveva promesso di fargli compagnia a letto non appena avesse finito. Il bruno trattenne il respiro subito dopo il singhiozzo, in silenzio ascolto di passi che non ci furono. Fortunatamente, pensò, il rumore dei tasti aveva coperto il suo singhiozzo.

 Non voleva dare un motivo allo scrittore di interrompere il suo lavoro, tanto meno per occuparsi di lui.

Non voleva creargli problemi…

“Non dire nulla!”

Le parole dell’altro se stesso del sogno gli tornarono in mente appena ebbe formulato quel pensiero, e tremò di paura. Cosa diavolo voleva significare quel sogno?

 Domandandosi questo si asciugò le lacrime e ficcò la testa sotto le coperte, nella speranza di riacquisire il sonno perduto e di non far preoccupare Usagi-san vedendolo piangere.

Il mattino successivo Sumi, fin troppo perspicace, comprese che il kouhai avesse un problema e nella pausa mensa lo invitò a parlarne con lui «Non è nulla, senpai!» gli disse Misaki mangiando una rotella di naruto (pasto della giornata, ramen).

«Non puoi nascondermi le cose, lo sai. Allora, cos’è? Hai litigato con Usami-sensei?»

 «T-tra me ed Usagi-san va tutto bene!» sbottò guardandolo negli occhi «E allora cosa?»

 «Ehm…uh, ecco…» Misaki esitò un po’, ma poi gli domandò «Ecco, senpai…tu credi nei sogni premonitori?»

 «Ovviamente no» rispose diretto l’altro, senza lasciare spazio al minimo dubbio «Cosa c’entra? Hai fatto un sogno premonitore?»

 «Bè, qualcosa del genere…forse…».

Il senpai, sospirando, si alzò da tavola e prendendo il proprio vassoio semi-vuoto disse «Alla fine delle lezioni vieni con me, forse ho capito cosa può aiutarti» e con questa enigmatica frase concluse la conversazione.

 Al termine delle lezioni, Sumi trascinò Misaki in una libreria «Senpai, devi comprare dei libri?» gli domandò il più giovane, ma l’altro sorridendo disse solo «Ho solo i soldi per il biglietto della metropolitana. Se dovessi comprarmi un libro, me lo dovresti pagare tu».
Arrivato ad una sezione precisa della libreria iniziò a leggere i titoli dei libri che conteneva, mentre il diciannovenne lo osservava in silenzio.

Quando Sumi trovò il libro che stava cercando, appoggiando la schiena contro il muro, lo aprì e domandò al kouhai «Allora, dimmi le caratteristiche principali del sogno. Che succedeva?»

Mentre Misaki gli rispondeva, getto una veloce occhiata al titolo del libro, “Il libro dei sogni” «Beh…in pratica è comparso un ragazzo identico a me, con gli occhi di colore…»

 «Azzurri? Neri?» lo interruppe l’altro, cercando una voce specifica nel libro.

 «No, rossi…»

 «Rossi? Solo i conigli hanno gli occhi rossi…eccolo qua. “Occhi rossi: indice di colpa o rimpianti. Alterego con gli occhi rossi: è la manifestazione del proprio subconscio, disturbato da sensi di colpa, rimpianti, tristezza repressa”, e così via…è il tuo caso?»

«Eh? Non lo so…ma andiamo avanti, abbiamo poco tempo!» disse sbrigativo il bruno, indicando l’orologio posto sopra la porta dell’entrata. Entro mezz’ora sarebbero dovuti essere alla stazione, altrimenti avrebbero dovuto farsela a piedi.

 «C’è…ecco…labbra cucite?»

«Che? Labbra cucite?!» e cercando la voce, aggiunse «”Labbra cucite: imposizione di silenzio assoluto su un argomento preciso. Spesso ciò che non si dovrebbe dire è un segreto o qualcosa di correlato, qualcosa di cui si vuole tenere gli altri all’oscuro.” Che altro?»

«Ecco…nient’altro, il sogno finisce così» mentì il bruno sorridendo leggermente, mentre il senpai riponeva il libro sul suo scaffale. Dopo di questo uscirono dalla libreria, e mentre Misaki ringraziava l’altro ragazzo per averlo aiutato e avergli prestato il suo tempo, quello lo liquidò dicendogli che in cambio voleva fatto un favore, un favore che gli avrebbe chiesto un altro giorno.

 Grazie all’aiuto del libro il bruno aveva quasi interamente decifrato il terribile incubo, e la seconda parte che aveva tenuta nascosta al senpai era la cosa più ovvia da comprendere.

 Lui aveva paura di perdere Usagi-san, e la cosa si stava riversando anche nei sogni. Quella sera stessa l’incubo si ripeté, ma questa volta Misaki era deciso a cambiarne gli eventi.

Infatti quando l’altro lo spinse contro il muro, lui afferrò il tavolino che aveva accanto e glielo spaccò addosso, correndo via «Non dire nulla!» gli gridò l’alterego correndogli dietro, ma continuando a correre disse «Non sarà col silenzio che lo salverò!» e vedendo Usagi-san di schiena, lo chiamò con quanta voce avesse in gola.

 L’uomo si voltò all’udire il proprio nome prima di entrare in strada, e la macchina gli sfrecciò davanti senza conseguenza. Appena lo raggiunse gli si buttò tra le braccia, contento per averlo salvato.

Ma questa soluzione non piacque molto all’altro Misaki, che avvicinandosi con la rabbia dipinta sul viso, disse «Stai sbagliando! Tu non dovevi parlare! Se non avessi parlato…!» «Sei tu a sbagliarti» disse deciso il bruno, ponendosi tra l’altro ed Usagi-san «Se non avessi parlato, non lo avrei salvato. E questo filo rosso non sarebbe intatto. E poi…è stato lo stesso Usagi-san a dirmi di parlare, più di una volta»
 «Lui non sa a cosa sta andando incontro!» sbottò il ragazzo dagli occhi rossi «Solo perché te lo ha chiesto, tu vuoi obbedirgli? Hai già dimenticato cos’è successo perché hai parlato una volta? Eh, assassino?».

 Il paesaggio intorno a loro cambiò, e si ritrovarono in un cimitero, davanti a due tombe. L’alterego dava le spalle a queste, ma indicandole gli disse «Se credi davvero che sia così facile, almeno scusati con loro per averli uccisi!»

 «No, io…» provò a dire il bruno, scosso dalla vista delle tombe dei suoi genitori, e non si accorse che l’altro gli si era avvicinato e gli teneva il viso tra le mani, sovrapponendo le loro fronti.

«Non hai bisogno di parlare, puoi risolvere tutto da solo. Non permettere alla tua debolezza di uccidere qualcun altro. Tu sei il solo responsabile, e lo rimarrai in eterno. Continua per la tua strada, e non dire nulla»

«Ti sbagli!» gridò intervenendo Usagi-san, staccando i due e stringendo l’amato tra le braccia «Lui non è il responsabile per quello che è successo! E’ stato solo un incidente! Io gli starò sempre accanto, quindi non procurargli altri problemi e sparisci! Io non lo lascerò mai da solo»

 «Usagi-san…» disse commosso il ragazzo, quando l’altro estrasse una pistola da dietro la schiena e sparò un colpo alla spalla destra dell’uomo, per poi dargli un calcio sulla tempia sinistra per allontanarlo da Misaki.

 «No! Fermati!» gli ordinò senza successo questi, rimettendosi tra i due, ma fu attraversato dallo sguardo d’odio e tristezza dell’alterego, che gli disse «Da quando sei diventato così egoista? Non ti basta avere Takahiro? Finora è andato tutto bene, ma quest’individuo si è intromesso! Cerca pure di discolparti dal tuo peccato. Non farti abbindolare, tu sai la verità. Tu sai com’è andata. E sai anche di essere l’unico responsabile»

«Io…»

«Non dire nulla!».

 La situazione si era fatta critica, e l’alterego non abbassava l’arma. Appena Misaki avesse abbassato un po’ la guardia, non avrebbe esitato a riempire di piombo Usagi-san.

«Io…credo di essere imperdonabile» disse Misaki, con lo sguardo abbassato «No, Misaki…!» provò a dire l’uomo, ma fu interrotto dal ragazzo, che proseguì dicendo «Sono imperdonabile, e me ne farò un’idea. Ma, solo per questa volta, voglio essere un egoista. Anche se ho paura di ripetere quello che ho fatto tanti anni fa, voglio stare con Usagi-san. Cercherò di impedire qualsiasi spiacevole evento, ma non me ne starò zitto. Non più. Non voglio farlo preoccupare più di quanto non sia già, e l’unico modo è parlare. Devo crescere, per potergli stare accanto»

 «Stupidaggini!» gridò l’altro, colpendogli con forza la tempia sinistra con il manico della pistola, ferendolo «Sono solo sciocchezze senza senso! Parole senza fondamento! Vuoi uccidere di nuovo? Vuoi perdere di nuovo chi ami? E solo per essere felice?! Cosa vorresti fare per lui? Nulla, tu non puoi fare nulla! Lo odi tanto da volerlo vedere morire?!»

«Io non lo odio, anzi…è il contrario. Ed è proprio per questo che voglio stargli vicino» disse il bruno, rialzando lo sguardo e tenendosi la ferita con la mano sinistra «Ti prego, concedimi solo questo…»

 «Mai! Non farò mai una cosa del genere!» gridò furioso il ragazzo dagli occhi rossi, mentre questi si riempivano lentamente di lacrime.

 «Che cosa…ti è successo? Sei cambiato troppo, e troppo velocemente! Cosa ti ha reso così temerario? Non vogliamo più…non vogliamo più veder qualcuno morire per colpa nostra!> e così dicendo, iniziò a piangere «Non potremmo più sopportarlo…»

 «Lo so» gli disse Misaki abbracciandolo lentamente «Credo di sapere cosa mi abbia cambiato così tanto…è stato proprio Usagi-san, con il suo modo di trattarmi, di parlarmi, e il tempo che abbiamo passato insieme. Mi dispiace per i miei genitori, ma credo che sia il momento di crescere. Anche Nii-chan lo vorrebbe».

L’alterego improvvisamente si rimpicciolì, prendendo le sembianze di lui da bambino, e continuava a piangere «Non dimenticherò mai quello che ho fatto» disse ancora il bruno, coccolando il bambino «E me lo porterò con me per sempre. Ma non dovrà diventare un peso che mi impedisca di amare, altrimenti renderei ancora più tristi tutti. Inclusi mamma e papà…».

Il paesaggio cambiò nuovamente, ma questa volta diventò uno grande spiazzo bianco dove volavano dappertutto bolle di sapone di diversa grandezza.

 Usagi-san si avvicinò ai due, e vide con stupore che il bambino era diventato ancora più piccolo, della grandezza di un peluche «Allora, mi augurerai buona fortuna?» gli domandò Misaki, ma la figurina scosse con forza la testa «Stiamo scherzando? Non lo faremo mai! Noi rimarremo qui, in attesa di vederci fare il passo falso che ci farà ricadere nella tristezza! Perché quel momento arriverà, ed è meglio essere preparati» e continuando a piangere scoppia in una tristissima risata, interrotta di tanto in tanto dalla ripetizione di quelle parole.

Dopo questo una grande luce apparve da sopra le teste dei tre, e appena Misaki vi rivolse lo sguardo si accorse che era già mattina. Si trovava nel lettone con Usagi-san, o più precisamente incastrato tra le braccia dell’uomo, nel suo letto.

 Mentre si domandava come vi fosse arrivato, contando che ricordava di essersi addormentato nel suo letto, provò per una decina di secondi a liberarsi, senza successo. Allora si ributtò sul letto e si mise ad osservare il volto addormentato dell’uomo, riflettendo sull’assurdità del suo sono.

Quello non era mai stato un incubo, né un sogno premonitore.

Era la sua paura inconscia di perdere Usagi-san a causa sua, così com’era accaduto undici anni prima con i suoi genitori. La cosa buffa era che la parte di sé che si riteneva innocente da quell’incidente, che credeva dover essere molto piccola, in realtà si era mostrata con le sembianze dell’uomo che amava. L’altra, invece, si era mostrata con le sue sembianze attuali, perché tutt’oggi se ne sentiva responsabile.

Ma il rimpicciolimento aveva avuto un lato positivo, oltre al mostrargli il vero aspetto di quel suo lato, ovvero quello di un bambino: il rimpicciolirsi significava l’aver ridimensionato quel senso di colpa fino ad allora così opprimente per lui, e forse d’ora in avanti le cose sarebbero andate avanti.

 “Non dire nulla!” riecheggiò nella sua mente, e da parte sua ricambiò con un bel “Ma và al diavolo” e baciando una guancia dell’uomo dormiente accanto a lui, disse «Ti voglio bene, Usagi-san».
 

THE END

  
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