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Autore: Jules_    18/03/2012    4 recensioni
"Non deve essere così, tutto quello di cui abbiamo bisogno è assicurarci di continuare a comunicare."
[...] Rassegnato, John lasciò cadere la nuca sull'uscio e sospirò. Quel suo amico, Sherlock Holmes, era davvero insensibile come aveva creduto all'inizio? [...]
Genere: Fluff, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Continuare a comunicare-Keep Talking



"DAL BLOG DI JOHN H. WATSON 
 
Quella mattina, stranamente, non venni svegliato da provette sbattute o dall'odore pungente di qualche strano intruglio. Quel giorno mi alzai casualmente, grazie ad un inusuale sole invernale. Era gennaio inoltrato ma, stranamente, il cielo londinese era limpido e la neve andava via via sciogliendosi. Ruotai la testa e cercai assonnatamente la sveglia, afferrandola per guardare meglio l'orario: 10:30. Strano che il mio amico non avesse ancora iniziato a fare confusione. Mi stiracchiai lentamente, tanto non avevo nulla d'importante da sbrigare, misi su gli indumenti del giorno prima e scesi al piano inferiore, indeciso se fare colazione o preparare il pranzo. Ruppi il silenzio tutto attorno precipitandomi giù dalle scale e facendo scricchiolare quei vecchi gradini, filando subito in cucina. 
-Buon giorno, Sherlock!- gridai cercando un piatto tra due alambicchi ripieni di un ambiguo colore verdognolo e un recipiente ermetico contenente quelle che, apparentemente, sembravano unghie. O forse lo erano per davvero. Non volli saperlo e aprii il frigorifero, afferrando una bottiglia di quello che sembrava essere succo d'arancia rossa. Capii in tempo che si trattava di sangue messo in fresco. Lo riposi immediatamente al suo posto e finii per prendere l'unica cosa commestibile lì dentro, un hamburger del giorno prima. Sospirai richiudendo delicatamente lo sportello ma nel momento in cui posai il panino sul piatto, mi resi conto. Il silenzio. 
Era relativamente normale che Lui, quando la sua mente non era soggetta a stimoli particolarmente interessanti, cadesse in un piccolo limbo depressivo, chiudendosi in un silenzio quasi spaventoso. Appoggiai il piattino sul tavolo guardando in direzione del salotto. Non vedendo molto da quella posizione, mollai quel 'pasto' e mi diressi cautamente nella stanza affianco. Quella totale calma piatta era a dir poco inquietante. Addirittura il rumore del traffico cittadino lungo Baker Street pareva ovattato e, quasi per non rovinare quella quiete o per non disturbare, mi avvicinai in punta di piedi. Lui se ne stava di là, rannicchiato sulla poltrona nell'angolo della sala, in pigiama e vestaglia, con i piedi sul sedile, le ginocchia sino al mento e lo sguardo fisso su un punto indefinito del pavimento davanti a sé. Riuscii perfettamente a notare i suoi limpidi occhi azzurri, quasi sbarrati, con l'espressione di chi ha fatto un incubo o di chi ci sta ancora vivendo dentro. Affianco a lui, sul comodino, stava un piatto di insalata e un bicchiere di vino, completamente intatti: non ci voleva un genio della deduzione per capire che non mangiava come minimo da un giorno intero, se non di più. I raggi del sole filtravano attraverso la finestra e sulle tende, andandosi ad adagiare sul bracciolo sinistro della poltrona in cui era appostato, senza sfiorare la sua esile figura, come se anche loro fossero spaventati da quell'uomo così particolare. Non si percepiva nessun movimento o suono dal suo corpo e per un momento fui tentato di avvicinarmi per assicurarmi che stesse bene, ma non me la sentivo di 'interromperlo': una volta che ci provai, mi rispose in una maniera così sconsolata ed apatica che pensai di averlo mandato in depressione definitivamente. 
Ma ora non sapevo cosa fare. 
Eppure era già da parecchio tempo che stava così: prima di quel giorno aveva trascorso le ultime tre settimane senza uscire dalla sua camera; che si fosse mosso e che avesse almeno provato a mangiare era già un gran traguardo per lui, in quelle condizioni. Adesso, però, mi domandavo il motivo. 
Che fosse a causa di quella donna, Irene Adler? Il suo caso, in teoria, era stato archiviato e di lei si sapeva ben poco, ormai: nessuno l'aveva più rivista dopo quello scandalo di Belgravia. Eppure...cosa lo faceva rimanere così, il fatto che lei fosse stata l'unica donna a fregarlo o c'era di più? Coinvolgimento personale? L'immagine di uno Sherlock Holmes che sta male per una donna mi fece deglutire alquanto rumorosamente. No, non poteva essere. Lui non poteva innamorarsi...di una donna. 
Solo dopo aver formulato questo pensiero mi resi conto di quanto fosse stato meschino il mio commento e, scuotendo la testa un secondo, ero ormai intenzionato a parlargli. Afferrai il coraggio a due mani mentre, con passo più svelto, andai a sedermi sull'altra poltrona, afferrando il giornale ed aprendolo a caso. 
Rimasi così, circondato dal silenzio, per circa venti minuti, ma intanto l'agitazione e il terrore si stavano impossessando si me, la voglia di dire qualcosa era incontenibile. Alla fine mi decisi, riordinai nella mia testa alcune parole e provai ad emettere qualche suono valido. 
-Ehi, hai sentito? La borsa è in ribasso. Probabilmente...- 
-Zitto! Silenzio!- ruggì Holmes senza muoversi di un millimetro ma contraendo i muscoli del volto in un'espressione d'ira. 
Restai impietrito a guardarlo mentre lui non si scomodava a ricambiare lo sguardo: qualcosa lo turbava, e avrei capito cos'era a tutti i costi. Pensai che forse sarebbe stato meglio lasciar perdere, ma qualcosa mi impediva di alzarmi da quella sedia ed uscire. 
-Che cos'hai, Sher...- 
-HO DETTO DI SMETTERLA!- questa volta si voltò a guardarmi per un attimo. Il suo viso, da pallido ed emaciato, si era colorato di un porpora acceso, le sue vene del collo s'erano ingrossate ed erano diventate come solchi di pietra, mentre i capelli pieni di sudore facevano trasparire uno sforzo sovrumano. I suoi occhi sembravano biglie infuocate, ricoperta da vene rossicce, ma le sue iridi rimanevano brillanti e limpide. Non lo avevo mai visto così. Mi guardò in cagnesco per pochi secondi, poi ruotò nuovamente il volto verso la finestra con il gomito sinistro sul bracciolo della poltrona, la mano davanti alla bocca e lo sguardo fisso e vuoto sull'esterno.
-Vattene via-. 
E il silenzio calò nuovamente." 
 
 
John, a quella provocazione, non si mosse. In quella stanza quella quiete spaventosa circondava ancora tutto e ovattava i pochi suoni presenti, quali il tintinnio dell'orologio e il respiro dei due. Watson ora fissava inespressivamente i fogli di giornale davanti a sé. Diede un'ultima occhiata all'amico che ancora non gli rispondeva: il suo sguardo freddo ed iracondo vegliava ancora su Baker Street. Con un rumore sordo e netto, John si alzò, facendo spostare leggermente la propria poltrona, voltandosi dalla parte opposta. Strinse gli occhi sperando che Sherlock dicesse qualcosa. Nulla.
Il detective sembrava non aver intenzione di muoversi o di chiudere le palpebre. Dava l'impressione di qualcuno che non dormiva o che non riposava gli occhi da molto, troppo tempo. E lui non voleva farlo.
Rimasero così per una manciata di minuti, Holmes seduto e Watson in piedi, dandosi le spalle a vicenda, ma anche quel poco tempo trascorso, ai due, o almeno a John, sembravano ore. Nessuno voleva fare il primo passo. Era tutto così immobile che si poteva quasi udire la televisione della signora Hudson al piano inferiore e il ronzio di una mosca. Quel silenzio tanto amato da uno e odiato dall'altro, però, fu interrotto da dei passi e l'ex militare poté chiaramente udire la porta di Sherlock chiudersi bruscamente, accompagnato dal rumore di una chiave che gira nella toppa.
 
Un tonfo, e l'alta figura del detective era sprofondata nel materasso. Chiuse gli occhi allargando le braccia, ma lì riaprì subito, con un'espressione rassegnata ed avvilita in volto. Le sue dita affusolate e pallide s'aggrappavano alle coperte stringendole quasi come se volesse strapparle e lacerarle. Lasciò per qualche minuto che i suoi pensieri defluissero, sperando che quell'immagine svanisse dalla sua mente rigida, ma niente. Si alzò di scatto e, con un ringhio acuto, tirò un pugno secco contro la porta.
 
John ebbe un sussulto: sbarrò gli occhi e volse lo sguardo in direzione della porta dell'amico. Deglutì. Avrebbe voluto tanto aiutarlo, ma si limitò ad avvicinarsi alla stanza, appoggiando la mano sul legno freddo. Parlò con un filo di voce, mentre, cautamente, si adagiava al pavimento. -Sherlock...-
 
 
Sentendosi chiamare, Holmes ebbe come un ritorno alla realtà.
Seduto a terra, con la schiena contro la soglia, accostò l'orecchio
sulla superficie liscia, senza dire una parola.
"Penso che dovrei parlare adesso" 
 
Watson s'avvicinò ancora di più per sentire se
provenissero altri rumori dall'interno, una risposta.
"Perché non mi parli?" 
 
Voleva, forse, dire qualcosa, ma, non appena
schiudeva le labbra per farlo, non usciva alcun suono.
"Non mi sembra di riuscire a parlare ora" 
 
Dall'altra parte, solo e ancora silenzio.
Si morse il labbro. -Sherlock, dimmi qualcosa, almeno...-
"Non parli mai con me"
 
Con le dita nei capelli, chiuse gli occhi, e la sua voce grave
emise qualche vibrazione paragonabile ad un sibilo. -Io...-
"Le mie parole non verranno fuori bene"
 
A quel rumore, un pizzico di speranza tornò negli occhi
di John, che si prestò più attentamente all'ascolto. -Dimmi-.
"Cosa stai pensando?"
 
 
Staccando la mano, Holmes guardò inorridito il suo palmo
pieno di sudore. I suoi ricci erano appiccicati alle tempie e
una strana ansia mista a tensione gli fece accelerare il battito.
"Mi sento come affogare"
 
Con il cuore in gola, rimase in attesa.
"Cosa stai provando?" 
 
-NO!- gridò stringendo i pugni e rannicchiandosi attorno
alle ginocchia: no, non ce la poteva più fare.
"Mi sento debole ora"
 
 
Watson ebbe un sussulto e tornò a guardare
la porta, come se volesse sbirciarci attraverso.
Poteva chiaramente sentire il respiro affannoso
dell'amico dall'altra parte.
"Perché non parli con me?"
 
Strinse i denti, quasi come per controllarsi,
con gli occhi ancora più rossi.
"Ma non posso mostrare la mia debolezza"
 
Rassegnato, John lasciò cadere la nuca sull'uscio e sospirò. Quel suo amico, Sherlock Holmes, era davvero insensibile come aveva creduto all'inizio?
 
Intanto lui, Holmes, si torturava: quel pensiero non se ne sarebbe mai andato. Procurava dolore e sollievo allo stesso tempo. Era quasi piacevole, ma attaccava direttamente quell'area del suo cervello addormentata e che non era abituato a stimolare o ad usare. Decise di farlo un'ultima volta.
Chiuse le palpebre e ripenso' per l'ennesima volta a tutti i fatti accaduti negli ultimi mesi, a tutte le persone viste e che lo avevano circondato. Distingueva la figura del fratello e il suo sorriso malizioso, il volto calmo di Molly, le smorfie di Lestrade e le imprecazioni della signora Hudson. I suoi ricordi vagavano velocemente, e gli tornò in mente Lei, La Donna, Irene Adler, e i suoi inganni, ma nessuna di queste immagini lo aveva davvero impressionato. Poi le sue visioni parvero arrestarsi, e una voce invase il suo subconscio; una voce sibilante e roca allo stesso tempo, che scandiva chiaramente quelle parole che, ormai, gli erano fin troppo familiari.
 
"Ti brucerò. Ti brucerò il cuore, te lo garantisco".
 
Quella sentenza suonava come una condanna alle orecchie di Sherlock, ma la figura quasi inumana di Moriarty venne subito sostituita da un'immagine ancora peggiore e ancora più angosciante: nella sua mente si disegnavano i contorni di un uomo in un cappotto, poi i tratti si fecero più distinti e fu subito riconoscibile John. Il ricordo di lui chiuso nell'esplosivo, della sua faccia rassegnata all'arrivo di quel pazzo e il fatto che la sua vita fosse appesa ad un filo era ancora vivido nella sua testa, e lo torturavano. La cosa che non capiva era il perchè. Perchè proprio lui? Forse lo sapeva; forse, semplicemente, non voleva ammetterlo; forse anche lui, Sherlock Holmes, era...umano.
Non riuscendo più a sopportare quell'immagine, aprì le palpebre di colpo: gli occhi fissavano il vuoto e, per quella che a lui pareva la prima volta, sentii qualcosa di umido e salato corrergli lungo il viso, sfiorandogli la bocca.
 
 
-The End
Ispirata a "Keep Talking" dei Pink Floyd
  
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