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Autore: Rosebud_secret    19/03/2012    6 recensioni
Un nuovo caso da cui John viene estromesso, Sherlock sembra rifiutare la sua presenza, portando il dottore ad indagare da solo e a restare turbato di fronte ad una fotografia che sembra collegare il caso in corso con il passato di Sherlock.
Dal testo: Non avevo molta voglia di scorrazzare in giro per la città poco dopo l'alba e, sopratutto, non avevo voglia di telefonare a Sarah per dirle che non sarei andato a lavoro nemmeno quella mattina.
Sherlock scese in un lampo, rapido come sempre e mi sarei aspettato un qualche rimprovero, visto che ero ancora in tenuta da notte, ma non mi disse niente. Secondo elemento che mi mise sull'avviso.
Lo seguii sino al pian terreno.
“Tu non vieni.”

Mi sono interrogata molto sull'infanzia che potessero aver avuto Sherlock e Mycroft, ho fatto ricerche e chiacchierate costruttive, in merito. Questa storia è quel che ne è venuto fuori, spero che vi piaccia.
Ros.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Mycroft Holmes , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Picture from the past:

 

 

Quelle due settimane erano state un mistero per me.

Lestrade aveva telefonato di prima mattina, ero stato svegliato dallo squillo del cellulare di Sherlock perché, la sera precedente, mi ero addormentato in poltrona.

Sherlock era sul divano, sveglissimo e completamente immobile.

 

“Passami il telefono.” mi disse.

 

Non avevo protestato, benché fosse chiaro che gli sarebbe bastato allungare appena il braccio per prenderselo da solo.

Aveva risposto ed era stato, stranamente, in silenzio. Un elemento che mi mise sull'avviso sin da subito.

 

“Io esco.” mi disse, balzando in piedi.

 

Guardai la sua schiena sgusciar via dallo studio e puntare alla sua stanza. Mi alzai a mia volta, un po' riluttante. Non avevo molta voglia di scorrazzare in giro per la città poco dopo l'alba e, sopratutto, non avevo voglia di telefonare a Sarah per dirle che non sarei andato a lavoro nemmeno quella mattina.

Sherlock scese in un lampo, rapido come sempre e mi sarei aspettato un qualche rimprovero, visto che ero ancora in tenuta da notte, ma non mi disse niente.

Secondo elemento che mi mise sull'avviso.

Lo seguii sino al pian terreno.

 

“Tu non vieni.” non si premurò di avere tatto, ma, in fondo erano ben pochi i momenti in cui Sherlock e il tatto si incontravano.

 

“Perché?”

 

“Non ho tempo per questo, adesso.” spalancò la porta e uscì in strada.

 

Lestrade lo stava aspettando in macchina e quando lo vidi salire ebbi l'ultimo elemento: Sherlock non andava sulla scena del crimine su una macchina di servizio, prendeva sempre il taxi.

 

“Sherlock!” lo chiamai.

 

Tutto ciò che ottenni fu un cenno di saluto e un colpo di clacson da Lestrade.

Dopo quel giorno Sherlock divenne più etereo di uno spettro, lo vedevo poco, rientrava solo se strettamente necessario e, ovviamente, non rispondeva ai miei messaggi.

Due settimane.

Due settimane così, senza che mi facesse capire che cosa avessi fatto di tanto sbagliato per essere declassato a semplice coinquilino.

Quindi mi sorpresi molto di trovarlo in casa, quella sera, dopo quelle due settimane di assenza quasi totale.

Era seduto sul davanzale, con le spalle appoggiate alla finestra chiusa e il violino sulle gambe. Non mi parlò, sembrava stanco, esausto e pensieroso.

Questo, tuttavia, non placò il mio malumore e il mio orgoglio ferito.

Accesi la luce e lui se ne lamentò.

 

“Mi spieghi cosa diamine sta succedendo, Sherlock? Ti sei annoiato di me?”

 

Sollevò lo sguardo con un'espressione confusa.

 

“Non è il momento.” mi disse con tono seccato. “Non ho tempo per i tuoi sfoghi emotivi.”

 

Passi dietro di me, poi Mycroft fece la sua comparsa. Sherlock si alzò bruscamente e quasi lanciò il violino sulla poltrona.

 

“Ti cerco da quindici giorni e ti presenti adesso?!” non lo avevo mai visto così irritato per la non presenza di suo fratello, di solito si irritava quando Mycroft osava anche solo comparire sulla soglia dello studio.

 

Era ufficiale, non ci stavo capendo più nulla.

 

“Avevo delle faccende importanti da sbrigare all'estero. Sei abbastanza grande per cavartela da solo, convieni?”

 

“Li hai letti i giornali?” Sherlock ignorò la frecciata di sana pianta.

 

“Dal luogo in cui mi trovavo non ho avuto modo.”

 

Segreti, tanti segreti, la vita di Mycroft ne era costellata...

Ad ogni modo i due Holmes si stavano comportando come se io nemmeno esistessi. Provai a schiarirmi la voce, ma non valse a molto.

Sherlock avanzò, scostandomi da un lato con malagrazia. Buttò a terra una fascina di documenti e recuperò una copia del Sun, passandola al fratello.

Vidi gli occhi di Mycroft esplorare la prima pagina e la sua mandibola irrigidirsi. Si rivolse a me.

 

“Può lasciarci, dottor Watson?”

 

Guardai Sherlock, pronto a sentirgli dire che no, io potevo restare, perché io lavoravo con lui, ero con lui.

Ma non disse nulla.

 

“Ok. Levo il disturbo.” borbottai, voltando i tacchi e imboccando le scale a scendere.

 

Non tentai nemmeno di origliare di nascosto, non avevo più dodici anni, ma l'essere scaricato così, senza una spiegazione dal mio migliore amico mi provocò un'altra ondata di brutale fastidio.

Volevo saperne di più.

Ovviamente anche io avevo letto i quotidiani, in quei giorni e sapevo perfettamente del caso di cronaca nera che aveva agghiacciato Londra, ma non riuscivo proprio ad afferrare che cosa ci fosse di diverso da tutti gli altri casi per cui Greg aveva contattato Sherlock, in passato, anzi, quello di Rachel Hollman non era nemmeno uno dei più cruenti.

Salii su un taxi.

 

“Dove la porto?” mi chiese l'autista con tono bonario.

 

“New Scotland Yard.”

 

Ignorai i suoi successivi tentativi di conversazione, non avevo davvero voglia di parlare di alcunché. Pagai ed entrai in centrale, procedendo a passo spedito verso l'ufficio di Greg.

Bussai, ma non ricevetti risposta, buttai un occhio all'interno e mi decisi a superare l'uscio.

Sulla scrivania c'erano diversi documenti inerenti al caso in questione, ma fu la lavagna ad attirare la mia attenzione.

C'erano numerose annotazioni, alcune scritte da Sherlock stesso.

Anche in questo caso, non c'era nulla di strano o singolare, solo elementi sul profilo dell'assassino e sul suo modus operandi.

Spaziai ancora con lo sguardo e notai la stessa prima pagina del Sun che Sherlock aveva fatto leggere poco prima a Mycroft, accanto a quella, altre tre, in fotocopia, una del 1991, una del 1986, e una del 1981.

Il meno recente mostrava la foto di una casa, una bella villetta, feci giusto in tempo a leggere l'indirizzo che Lestrade entrò nel suo ufficio.

Mi voltai con un sorriso imbarazzato per esser stato colto con le mani nel sacco, ma Greg non sembrò sorpreso di vedermi.

 

“Mi aspettavo che saresti passato, prima o dopo. Sherlock lo aveva detto.” lo sentii dire, mentre, con un gesto deciso staccava gli articoli dalla lavagna.

 

“Sherlock? Lui mi sta ignorando di sana pianta da due settimane!” ribattei scocciato. “Che cos'è? Un nuovo gioco? Una caccia al tesoro? Che ti ha detto di dirmi?”

 

Greg sospiro, passandosi una mano sul volto stanco. “Devo riferirti solo un messaggio: fuori dai piedi.”

 

“Ma tu mi dirai, comunque, qualcosa, vero?” insistetti, ormai fuori di me.

 

Si sedette dietro alla scrivania. “E' complicato, John, ha preso questo caso molto sul personale.”

 

Sbuffai. “Lui prende tutto sul personale, farebbe carte false pur di dimostrare quanto è bravo, lo sai tu, come lo so io. Ora, perché questa volta si sta muovendo in sordina? Che cosa c'è di diverso?”

 

“Ho promessi di non dire niente.”

 

“Quindi con te si è confidato?” il mio tono uscì oltremodo risentito.

 

“No, John, accidenti! Io sono il detective che segue il caso, sono per forza a conoscenza degli avvenimenti!”

 

“Sì, come ti pare.”

 

Uscii dal suo ufficio, sbattendomi la porta alle spalle.

Persino Greg ne sapeva più di me e questo era assurdo, inaccettabile.

Bene, se Sherlock voleva davvero tenermene fuori, allora, ufficialmente, ne sarei rimasto fuori.

Chiamai Molly e le chiesi se potevo passare qualche notte da lei. Quella cara ragazza accettò senza nemmeno chiedermi perché. Era tutt'altro che stupida, come diceva Sherlock, aveva capito dal mio tono che ci fosse qualcosa che non andava e non aveva voluto impicciarsi.

Tornai a casa con il cuore pesante.

Trovai Sherlock nello studio, intento a suonare non so cosa al violino. Superai la stanza e salii al secondo piano per buttare qualche vestito di ricambio, il computer, il caricabatterie e altre cose utili in un borsone.

Feci in fretta e sussultai quando, voltandomi, lo vidi sulla soglia, appoggiato allo stipite. I suoi occhi chiari si posarono sul bagaglio che tenevo a tracolla e mi sentii a disagio.

La ragione era dalla mia parte, lo sapevo, nonostante questo il pallido lampo di delusione nei suoi occhi mi fece sentire in colpa.

Non vi badai e lo superai, uscendo dalla camera.

 

“Ti è mai capitato di voler tenere qualcosa per te solo, John?” la sua voce fermò la mia discesa, mi voltai, pieno di rabbia.

 

“Stando a contatto con te il concetto di priavacy si annulla, quindi ho smesso di sentire quel bisogno.” sbottai.

 

“Saluta Molly.” non aggiunse altro e mi precedette al piano inferiore.

 

Lo raggiunsi in studio e feci un ennesimo tentativo. “Se vuoi che ti stia vicino devi dirmi cosa sta succedendo.”

 

“Non ho bisogno di questo, voglio solo che non ti intrometti.” il suo tono di voce si era leggermente alzato, accompagnato da un'occhiata pregna di fastidio.

 

“Richiamami quando sentirai di essere di nuovo il mio migliore amico.”

 

“Ti stai comportando in modo stupido e infantile, John!” mi gridò dietro.

 

Sbattei la porta dell'appartamento e attraversai la strada.

Avevo voglia di camminare, di sbollire, quindi me la feci a piedi sino a casa di Molly. Mi accolse, preoccupata, ma non le dissi nulla di quanto successo.

Accennai solo al fatto che avevo discusso con Sherlock e che avevo bisogno di stare un po' lontano da lui.

Mi accomodai nel piccolo sgabuzzino che lei aveva ri-arredato come stanza degli ospiti. Era piccolo e angusto, ma per me andava più che bene.

Aprii il computer e, maledicendomi per la mia poca coerenza, ricercai l'indirizzo che avevo letto nell'ufficio di Greg, mentre sorseggiavo il caffè che Molly mi aveva preparato.

 

“Aubrey Walk, Kensington, W8.”

 

Le prime due pagine di Google mi rimandarono a diversi siti di agenzie immobiliari e ne fui molto sconfortato.

Aggiunsi la parola “omicidio” e subito trovai quel che stavo cercando.

Aprii il primo link e subito mi soffermai a pensare a quanti malati ci fossero su questo mondo. Il sito in cui ero finito conteneva un elenco dettagliato dei più cruenti crimini d'Inghilterra con foto e descrizioni approfondite e una musica sinistra in sottofondo.

Non c'era più decenza.

Beh, forse non avrei dovuto fare tanto lo schizzinoso, visto che era proprio grazie a “quei malati” che potevo saperne qualcosa di più.

Troppo pigro per leggere, aprii la prima immagine, la stessa che avevo visto a Scotland Yard e ne scorsi altre. Era una bella casa, di quelle da famigliola perfetta da sitcom, stanze grandi, luminose, arredate con stile e un bel cadavere di una giovane donna nella stanza da letto. Ok, forse quest'ultima cosa non era così da sitcom, in fondo. Nella foto il corpo era semi coperto da un telo e due poliziotti si stavano apprestando a portarlo via.

Un caso come tanti altri.

Mi ero ormai arreso ad un irrimediabile cinismo, scorrendo le foto con crescente noia, quando...

 

“Oh Cristo..!”

 

Tirai indietro le braccia e la tazza si schiantò sulla moquette con un tonfo sordo, rovesciando ovunque il caffè.

C'erano due bambini, raggomitolati dentro l'armadio della camera dove era stato trovato il corpo.

Ingrandii l'immagine per quanto potevo, ma solo per scrupolo.

Li avevo già riconosciuti.

Quei due bambini erano Mycroft e Sherlock. Un agente stava parlando con loro, cercando di farli uscire

Il cellulare vibrò nella mia tasca e lo tirai fuori.

 

“Senti, qualsiasi tuo sentimento assurdo io abbia ferito, cercherò di rimediare. Ti chiamerò appena questa faccenda sarà finita. SH”

 

Lessi sul display.

Mi coprii la bocca con una mano, troppo sconvolto per fare qualsiasi cosa. Mi alzai e cominciai a fare avanti e indietro per la stanza.

Non sapevo cosa fare e, soprattutto, se dovessi fare qualcosa.

Sherlock era sempre stato riservato ed evasivo riguardo al suo passato e provai la sensazione di aver commesso un peccato mortale nell'essermi impicciato in quella maniera.

Non potevo tornare indietro anche perché sapevo alla perfezione che, qualora avessi incrociato lo sguardo del mio migliore amico lui avrebbe capito, avrebbe dedotto che lo sapevo.

Mi diedi dello stupido e dell'immaturo perché non ero riuscito ad intuire come e quanto la questione fosse grave. Mi ero lasciato guidare dal malumore e dalla delusione.

Chiusi il computer e afferrai la giacca, uscendo di volata dallo stanzino.

Molly mi guardò sorpresa.

 

“Devo uscire, scusa!” le notificai, scappando via.

 

Avevo appena aperto il vaso di Pandora e, in qualche modo, dovevo ricacciarci dentro quel che avevo scoperto.

Presi un taxi e mi diressi al Diogenes Club.

L'idea di confrontarmi con Mycroft in merito a quell'argomento mi spaventava, non avevo idea di come avrebbe potuto reagire, ma era l'unica strada percorribile.

Entrai e non degnai di uno sguardo quel branco di misantropi intenti a leggere in silenzio.

Puntai direttamente all'ufficio e feci irruzione senza nemmeno bussare.

Mycroft stava alla finestra con stretto in mano un bicchiere di bourbon. Non si voltò a guardarmi e bevve un piccolo sorso.

 

“Sapevo che sarebbe passato, dottore. Sherlock voleva tenerla fuori da questa faccenda, pensava che avrebbe frainteso e, in questo caso, sono pienamente d'accordo con lui.”

 

Mi sedetti e mi versai un bicchiere a mia volta, tracannandolo.

Ero nervoso.

 

“Curioso, le sue mani tremano.” mi fece notare.

 

Probabilmente lo aveva dedotto da come avevo fatto tintinnare il bordo della bottiglia contro il bicchiere.

 

“Io... non so che devo fare...” confessai.

 

Lui si voltò e si sedette a sua volta, incrociando le dita sul piano della scrivania. “A che proposito?” mi domandò.

 

Mi sentii preso in giro. Era palese che sapesse “a che proposito”.

Odiavo il modo che Mycroft aveva di relazionarsi con il prossimo.

Prese un altro sorso e sorrise lievemente.

 

“Mi permetta di rassicurarla, John. Io e Sherlock non siamo quello che siamo a causa di un evento traumatico avvenuto durante la nostra infanzia, anzi, è proprio il fatto che siamo sempre stati in questo modo che ci ha permesso di salvarci in molte situazioni. Non siamo un caso clinico, il nostro essere anaffettivi e non interessati alle relazioni interpersonali non deriva da niente di ciò che lei possa aver ipotizzato.”

 

Lo ignorai, perché per me era inconcepibile anche il solo pensiero che un evento del genere non potesse aver scosso due bambini.

Non solo inconcepibile, proprio inaccettabile.

Mycroft poteva negare quanto voleva, non gli avrei creduto.

 

“Chi era quella donna?” gli domandai.

 

Sospirò e distolse lo sguardo.

Io feci marcia indietro.

 

“Se per lei è un problema, ecco... io...”

 

Mi zittì con un cenno e con un'occhiata ferrea.

 

“Non mi crea problemi, mi spazientisce il fatto che abbia deliberatamente ignorato quanto le ho appena detto. Comunque sia, sapevo che sarebbe venuto qui e sapevo anche che avremmo affrontato questa conversazione. Quella donna si chiamava Amanda Cross ed era la nostra bambinaia. I nostri genitori lavoravano molto, quindi la presenza di qualcuno che si occupasse di noi era necessaria, almeno fino a quando non ebbi un età consona ad pensare a me stesso e a mio fratello.”

 

Strinsi tra le mani il bicchiere, lo posai, poi lo ripresi.

Dovevo tenermi impegnato con qualcosa.

Mycroft sembrava quasi divertito dalla situazione e questo mi sembrò ancora più assurdo e mi innervosì ulteriormente.

 

“Vuole conoscere maggiori dettagli?”

 

Restai in silenzio, ammutolito e attonito.

 

“John?”

 

Esitai ancora e mi alzai per andarmene, opponendomi con tutto me stesso alla curiosità.

 

“Sherlock non ha voluto parlarmene. Rispetto la sua decisione.”

 

Tornai da Molly e cercai di dimenticarmi della faccenda. Non ci riuscii, ovviamente, anche perché vidi comparire quella stessa foto anche su dei quotidiani, mantenendo l'anonimato dei bambini, certo, ma per me non faceva differenza.

Oh, no, io sapevo.

Sherlock si fece sentire una settimana dopo con uno dei suoi soliti, brevi, sms.

 

“Caso chiuso. Torna a casa. SH.”

 

Mi precipitai da lui e mi fermai dieci minuti davanti al portone per cercare di calmarmi, prima di salire.

Avevo aspettato il suo sms per giorni interi e in quel momento volevo solo scappare via il più velocemente possibile.

Lo trovai nello studio, steso sul divano e in vestaglia, intento a massaggiarsi le tempie.

 

“C-Ciao.” balbettai a disagio.

 

Lui voltò la testa in mia direzione e sorrise. “Ciao, John.”

 

Deglutii, cercando di cacciar via il rospo che aveva preso residenza nella mia gola. “Come stai?” gli chiesi.

 

“Bene.” mi rispose.

 

Esattamente come Mycroft, Sherlock appariva divertito dalla situazione e la cosa mi atterrì.

Mi levai la giacca, ignorando il fatto che si era alzato.

 

“Dobbiamo parlare.” disse, all'improvviso, con tono un po' più serio.

 

Sussultai, stringendo la sommità dello schienale.

 

“No, no! Ero io ad essere in torto e mi dispiace, davvero. Ti chiedo scusa, non sei obbligato a dirmi nulla!” balbettai in modo sconnesso.

 

Sorrise di nuovo e mi diede le spalle.

 

“Quella foto è un falso.” mi notificò.

 

Non gli credetti, ovviamente.

 

“Lo sai bene che non è vero! Te lo giuro, non voglio che mi dici nulla, ok?”

 

Tornò a sedersi sul divano e aprì il suo computer.

 

“John, vieni qui.”

 

Mi sedetti accanto a lui e rabbrividii nel vedere la fotografia incriminata aperta sul suo desktop.

 

“Dimmi cosa vedi.”

 

Il rospo in gola gracchiò, costringendomi a schiarirmi la voce. “Ci sei tu... con tuo fratello, sotto shock, un agente sta cercando di farvi uscire e...”

 

“E hai sbagliato tutto.” mi interruppe con gli occhi che brillavano. “Guarda meglio la foto, l'agente non sta parlando con noi, segui la direzione del suo sguardo, è semplicemente chinato a terra ad esaminare la moquette. Inoltre le ombre proiettate da “me e Mycroft”non seguono precisamente la direzione di quelle proiettate da altri oggetti, questo avrebbe subito dovuto farti capire che questa foto è un falso, tuttavia, non era l'unico modo.”

 

Ingrandì l'immagine di fronte ai miei occhi, mentre io finivo con l'odiarlo un pochino di più ad ogni parola che tirava fuori.

 

“La struttura delle bitmap, John, sia semplici che complesse è graduale, i pixel hanno colori gradienti a scalare che non sono mai troppo netti o troppo pastosi. Osserva, ora, la struttura dei pixel del contorno di me e Mycroft, sono pastosi e questo significa che tutta la linea di contorno è stata corretta con un timbro clone...”

 

Mi alzai e cominciai a muovermi nervosamente per la stanza, tanto avevo già smesso di ascoltarlo appena dopo “bitmap”.

Lui si interruppe e restò in attesa.

Presi un respiro profondo, reprimendo il desiderio di spaccargli la faccia.

 

“Questo vuol dire che non era vero niente?!” il mio tono uscì un po' stridulo.

 

Ridacchiò sottovoce ed annuì.

 

“Ma Mycroft... lui...” mi trincerai dietro la mia convinzione.

 

“Mycroft si è solo divertito a giocare con te, possibile che tu non abbia ancora capito come sia fatto mio fratello?”

 

“Ma tu eri irritato per il fatto che non si fosse fatto sentire per due settimane, avevi... bisogno di lui...”

 

Prese il violino e se lo sistemò sotto il collo, iniziando a pizzicare le corde con la punta delle dita.

 

“Certo, volevo che rendesse ampiamente reperibile quella foto in rete.”

 

Mi presi le tempie tra le dita e scoppiai a ridere istericamente.

Ero stato malissimo in quelle settimane, davvero al peggio e scoprire che era stato tutto uno scherzo fu per me motivo di rabbia e di sollievo.

 

“Perché non mi hai detto niente?!”

 

Sherlock puntò i suoi occhi su di me. “Ma è ovvio: mi serviva una controprova, se tu potevi cascare nel tranello, allora anche le probabilità che l'assassino ci sarebbe cascato erano alte. Infatti così è stato.”

 

Non mi interessava come avesse risolto il caso.

Non lo volevo proprio sapere.

 

“Sei... io non riesco nemmeno a trovare un insulto per definirti! Hai idea di come mi hai fatto stare?!”

 

Lui si alzò e mi afferrò per le spalle.

 

“Io non ho fatto niente, se non prevedere i tuoi comportamenti. Hai fatto tutto da solo, John, sei tu, infatti, che hai deciso di non rimanerne fuori come io ti avevo suggerito di fare...” sogghignò.

 

Lo spinsi via e lui rise, convinto che avrei sbollito presto la mia rabbia e tutto sarebbe tornato come prima.

Si buttò sul divano.

 

“Non c'è più latte.”

 

“Un'altra volta?”

 

“Mh mh.”

 

Uscii a comprarlo, visto che dovevo resistere alla tentazione di strangolare il mio migliore amico e stavo litigando con la cassa automatica, quando mi balenò in testa una domanda.

Ok, quella foto era ritoccata, ma perché Sherlock e Mycroft erano stati ritratti in una simile posa?

Mi arresi all'evidenza che non lo avrei saputo mai e mandai al diavolo quella dannata macchinetta, Sherlock avrebbe fatto a meno del latte e ben gli stava!

 

 

Fine

 

N.d.A.: Storia forse un po' strana, nata da un interessante scambio con Prez_Silverrope, in cui ci siamo ritrovati a fare un'analisi di quale fosse stata l'infanzia dei due Holmes.

In rete, come ho detto a lui, ci sono teorie discordanti, alcune che presuppongono che nel passato di Sherlock e Mycroft ci sia un evento traumatico che li ha portati a diventare quello che sono, mentre altre sostengono che i due fratelli siano così di natura.

Essendo incapace di prendere una posizione ferma in merito, ho giocato su entrambe le teorie, non rendendo universale né la prima, né la seconda, anche perché non abbiamo modo di riscontrare obbiettivamente quale sia quella corretta dai racconti di Sir Arthur Conan Doyle.

Spero che l'esperimento vi sia piaciuto e che vi abbia divertito quanto ha divertito me scriverlo.

Sono curiosa di sapere i vostri punti di vista!

Un bacione,

Ros.

   
 
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