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Autore: Nialls_Wife    19/03/2012    9 recensioni
Demi è una ragazza molto fragile. Da diversi anni vive col terrore di andare a scuola a causa del bullismo che non le permette più neanche di esprimersi. Demi troverà, seppur sbagliando, un modo per far tacere anche solo temporaneamente il dolore.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Demi camminava a passo veloce per il corridoio della scuola. Le bruciavano tremendamente gli occhi. Il suo unico desiderio in quel momento era quello di arrivare e rinchiudersi nel bagno femminile. Voleva solo piangere, non chiedeva altro. “Demetria il latticino”: queste parole le risuonarono nella mente. Le avevano dette loro, quei ragazzi che da due anni non la lasciavano ne’ vivere ne’ respirare. Che cosa c’era di sbagliato in lei? Perchè la chiamavano continuamente “latticino” o “palla di lardo”? Era troppo pallida? Era grassa? Più si poneva queste domande, più le si gonfiavano i bellissimi occhi scuri che aveva. Sentiva che numerosi occhi maliziosi la seguivano, che molte ragazze ridacchiavano al suo passaggio e che i gruppetti di ragazzi che superava la chiamavano con quei terribili nomignoli.    
                                                                                   
Entrò nel bagno femminile dove alcune ragazze, che stavano chiacchierando, si zittirono e iniziarono ad osservarla con aria di sfida. Demi, nonostante volesse ignorarle, non potè fare a meno di sentirle ridacchiare istericamente mentre si  allontanavano. Proprio mentre stava per chiudere il chiavistello di una delle porte del gabinetto, la campanella trillò ricordandole che era ora di tornare in classe.
Qualche ora dopo tornò a casa. Sbattè la porta della propria camera, si buttò sul letto, affondò la testa nel cuscino e urlò. Respirava affannosamente . Sentiva il sangue pulsare sulle tempie e scorrere violentemente nelle vene.  Alzò la testa dal cuscino e si accorse di averlo bagnato con le proprie lacrime. Si stupì: per la rabbia non si era nemmeno resa conto di essere scoppiata a piangere. Si chiese se fosse rabbia, vergogna o dolore ciò che provava.

Era sola in casa, nessuno l’aveva sentita ne’ piangere ne’ gridare. Si alzò e si diresse verso il bagno. Si guardò allo specchio e vide la propria immagine riflessa: la sua pelle, così bianca, le faceva provare un senso di disgusto verso se’ stessa; le sue guance così rotonde le facevano venir voglia di strapparsele. Si portò le mani sui fianchi, criticando le sue curve così accentuate. Si sfilò le proprie scarpe e i jeans. Dopo ciò si girò di schiena e scrutò i propri glutei formosi: provava schifo per se’ stessa. “Palla di lardo”, si disse, “hanno ragione: sei una palla di lardo. Latticina!”. A queste parole una lacrima le rigò.

Aprì l’armadietto sotto al lavandino. Vide per prima cosa la scatoletta delle forbici. Incosciamente la prese e la aprì. All’interno vi erano appunto le forbici affilate e a punta della madre. Pensò a quanto potesse far male il passaggio di quelle lame così affilate sulla pelle. Sulla propria pelle.  Punirsi? Era questo ciò voleva davvero fare? Dopo anni di insulti e nomignoli era giunta alla conclusione che la colpa era sua. Sì, non poteva essere diverso.  Le prese tra le mani e se le rigirò tra le dita. Doveva far veramente male. Più male di ciò che sentiva nel proprio cuore. Prese la parte di lama e la avvicinò al polso sinistro. La inclinò leggermente e si fermò quando la sentì toccare la pelle. Il dolore fisico avrebbe certamente prevalso su quello psicologico. Chiuse gli occhi.
                                                                                                                  
Premettè forte le forbici e iniziò a passare lentamente e a fondo la loro lama sulla pelle. Faceva malissimo, pensò. Talmente male che riusciva a concentrarsi solo su quel dolore. Non sentiva più le risate dei bulli, non vedeva più le minacce e le cattiverie che aveva trovato scritte sul proprio diario. Si dissolvevano nella sua mente tutte le battutine pungenti e maligne che avevano pronunciato in sua presenza e che non era mia riuscita a dimenticare. Sentì cadere sulle proprie gambe un liquido caldo e insolito. I suoi occhi continuavano a rimanere chiusi, mentre le lacrime le cadevano copiosamente da sotto le palpebre. Il liquidò le inizio a scivolare anche giù per la gamba, andando ad imbrattare il pavimento. Aprì i propri occhi.

In un primo momento non riuscì a distinguere niente a causa degli occhi appannati dalle lacrime. Quando poi le ritornò la vista sentì che avrebbe vomitato, ma non lo fece. I suoi polsi erano rossi e pieni di graffi profondi e di color rosso scuro da cui sgorgava molto sangue. Non si era accorta di essersi tagliata anche il polso desto. Il pavimento era imbrattato di rosso.                                                                                                                                                                  Iniziò a respirare affannosamente e a guardarsi in giro per la stanza: si era davvero tagliata le vene? Non le pareva vero. Era una cosa sbagliata, una cosa che non si doveva fare. Prese un pezzo di carta e iniziò a raccogliere il  sangue per terra, continuandosi a chiedere cosa le fosse passato per la mente.  Una volta ripulito tutto si lavò i polsi: tutta le parti intorno ai tagli erano rossa e e le prudevano.
Si sedette sul letto e fu in quel momento che realizzò una cosa: questa cosa le era piaciuta. Le era servita. Il dolore fisico si era rivelato più forte di quello psicologico. Erano stati momenti di libertà. Non aveva avuto per la testa le cattiverie che aveva subìto. Allora era questo che doveva fare per non sentire dolore e se questo le permetteva di non soffrire per alcuni momenti, avrebbe continuato a farlo.                                                             
 
 
  
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