Le braccia conserte, poggiate sul freddo davanzale in marmo della finestra della cucina mentre le tenebre mi cullavano. Se qualcuno mi avesse chiesto quale fosse la cosa che mi rilassava di più, avrei sicuramente risposto che non vi era nulla di più rilassante di quel lampione solitario che si ergeva davanti alla mia dimora. Era un vecchio lampione in ferro battuto la cui fioca luce illuminava il fogliame degli alberi vicini che stagione dopo stagione, sembravano volerlo inglobare tra le loro folte chiome come per poter usufruire solo loro di quel piccolo miracolo notturno. Così nel cuore della notte, quando l’unico rumore percepibile era quello del proprio respiro, mi fermavo a guardare rapita quel lampione come un insetto attratto da una fonte luminosa.
Vivevo in una graziosa villetta dall’intonaco azzurro che un tempo era stata la casa in cui vivevo con i miei nonni. Giunta la vecchiaia avevano deciso di trasferirsi sulla costa e mi avevano lasciato quella casa troppo grande per una sola persona e allora avevo deciso di dividerla con quella che da sempre era stata la mia migliore amica. Hannah era una ragazza alta e snella, dai corti capelli castani, vispi occhi verdi , una spruzzata di lentiggini sul naso e un carattere peperino. La casa dei suoi genitori si ergeva proprio di fronte alla mia, al di la della stradina sterrata che separava in due quell’agglomerato di una decina di case nella zona nord del paese. Finito il liceo, Hannah si era trasferita da me alla ricerca dell’indipendenza ma la vicinanza della dimora paterna rendeva impossibile quel taglio del cordone ombelicale che la legava ai suoi genitori. Era ormai consuetudine infatti che sua madre venisse a trovarci per controllare che non vivessimo nel caos più completo e ci comportassimo come delle signorine per bene.
Avevo quasi finito di bere il contenuto del mio bicchiere quando il silenzio irreale che aveva regnato da sempre in quelle notti tranquille, venne spezzato dalla fastidiosa radio di un’automobile che andò a fermarsi proprio nella casa a destra della mia. In quel momento sentii la porta della veranda aprirsi e vidi Hannah uscirne mentre distrattamente cercava di legare la cintura della vestaglia in vita.
«Che diavolo succede?» mi chiese stropicciandosi gli occhi mentre si sporgeva per vedere meglio il veicolo sconosciuto.
«Non ne ho la più pallida idea» risposi affiancandomi a lei per vedere meglio i passeggeri della vettura «è sbucata dal nulla con la musica a palla. Non mi pare di aver mai visto quell’automobile prima d’ora».
In effetti era
un’auto sportiva rossa fiammante, di quelle
d’ultima
generazione che sembravano essere uscite da una pubblicità o
da una rivista
patinata e auto del genere in paese non ve ne erano in quanto tutti
bene o male
possedevano un fuoristrada o un furgoncino. Dalla vettura uscirono tre
persone
e, a giudicare dall’illuminazione all’interno
dell’abitacolo, sembravano di
giovane età e di sesso maschile. Il guidatore si
avviò verso la porta dei
signori Hewitt e iniziò a suonare al campanello con scarsi
risultati infatti
questi erano partiti una settimana prima per andare a trovare qualche
parente
lontano. Mentre il guidatore era troppo preso ad imprecare, il ragazzo
che era
sceso dalla porta posteriore sembrava essersi accorto di noi e aveva
fatto un
cenno al terzo di guardare nella nostra direzione.
«Forse sarebbe meglio rientrare in casa» sussurrai
ad Hannah
che però sembrava non volersi muovere da li come rapita da
quei tre
sconosciuti.
«Magari hanno bisogno d’aiuto» suggerii
lei mentre i tre si
dirigevano nella nostra direzione.
Il primo a parlare fu il
ragazzo che si era accorto di noi.
Ci spiegò che erano giunti fin li per passare
l’estate a casa dei signori
Hewitt che, stando a quanto ci disse, erano gli zii del guidatore dal
linguaggio colorito. Appena spiegammo loro che erano partiti e non
sapevamo
quando sarebbero tornati si guardarono perplessi tra di loro come chi
non ha la
minima idea sul da farsi.
«Potreste stare qui da noi finché non tornano,
tanto abbiamo
qualche camera libera in cui potreste sistemarvi» suggerii
improvvisamente
Hannah rompendo il silenzio e stupendo tutti, me compresa. Prima ancora
che
riuscissi ad obiettare mi bisbigliò che sembravano essere
dei tipi apposto e
accese la luce della veranda. Avrei voluto strangolarla. In fondo non
sapevamo
nemmeno i loro nomi.
«Perfetto!» esclamò il guidatore, un
tipo piuttosto atletico
dai mossi capelli castani e occhi di un azzurro penetrante. Gli altri
due erano
nella norma: il primo dai capelli neri, una carnagione piuttosto
pallida e l’unico
a portare gli occhiali da vista, il secondo invece aveva
l’aria del classico
ragazzo della porta accanto dal sorriso contagioso, occhi verdi e
capelli di un
biondo ramato.
«Davvero volete accettare l’invito di due perfette
sconosciute? » chiesi stupefatta «Per quanto ne
sapete, potremmo essere due
psicopatiche che attraggono giovani vittime in difficoltà
per poi strangolarle
nel sonno e farle a
pezzettini in
cantina»
«Se mi assicurate che sotto quella maglia e quella vestaglia
non indossate nulla, potete venire a trovarmi mentre dormo e fare di me
quello
che volete» rispose il guidatore con un sorrisetto stampato
in volto e provocò
l’ilarità dei suoi compagni.
Fantastico, avrei ospitato tre sconosciuti e uno di loro era pure un simpaticone…