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Autore: taemotional    22/03/2012    2 recensioni
[Seguito di "Il tramonto della luna"] [Akame]
"Perché se accendo la televisione vedo il tuo viso?
Tolgo il volume col telecomando e mi accendo una sigaretta. Si sono appena congratulati per il tuo matrimonio e tu hai risposto cortesemente. Ma non posso sentire altro."
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Jin, Kazuya, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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“Ridere, adesso manca il nostro ridere.
Semplice, sembrava tutto così semplice per chi credeva nelle favole, come noi... cercando un’altra verità.
Tu dimmi se ci credi a quello che non vedi... eppure...
Resta che una parte del cuore sarà sempre sospesa, senza fare rumore,
Come fosse in attesa di quel raggio di sole che eravamo io e te.
La notte è troppo silenziosa e adesso... l’amore è un’altra cosa.”

 
Perché se accendo la televisione vedo il tuo viso?
Tolgo il volume col telecomando e mi accendo una sigaretta. Si sono appena congratulati per il tuo matrimonio e tu hai risposto cortesemente. Ma non posso sentire altro.
Mi stiro un po’. Ho dormito piuttosto bene questa notte, l’ultima notte ad Ōsaka prima del ritorno a casa.
Torno a buttare un occhio al televisore. Il servizio manda alcuni spezzoni dei tuoi video da solista. Mi concentro sulle tue labbra che si muovono senza emettere alcun suono. Potrebbe pure sembrare che tu stia cantando in giapponese. Ma poi quelle ragazze dai tratti occidentali mi ricordano che questo non è più possibile.
Guardo l’orologio al polso: è ora di andare a fare colazione. Oggi mi va proprio una cappuccino e una brioche. So che è la tua colazione ideale, e potrei pure invitarti a mangiare con me, ma non sei qui, spiacente.
Piuttosto, sei già tornato in Giappone? Come fai a spostarti come niente fosse tra due culture così differenti? Credevo proprio che il Sole non potesse muoversi.
Mi metto a ridere e mi pizzico una guancia. Kamenashi, smettila con questo voler rendere speciale la sua figura. E io pure, non sono più la Luna. Punto.
Sento Yuichi che si muove al mio fianco. Mi ero dimenticato che anche la scorsa sera fosse rimasto a dormire nella mia camera. Ultimamente succede proprio spesso, chissà perché.
Mormora qualcosa di incomprensibile e io inizio a punzecchiarlo.
“Mhn... ancora 5 minuti.”
“Nakamaru!” grido quasi, “Svegliaaaa!” e prendo a saltellare da seduto sul letto.
“Kame...” si lamenta, “Ma che ore sono, ho sonno.” Questo lato un po’ infantile che condividiamo nei momenti privati mi fa sorridere.
Mi alzo in fretta e scopro pure il suo corpo che si raggomitola di colpo. Avanti, non è più così freddo. Vado alla finestra e spalanco tenda e persiane.
Ah, e io che speravo in un po’ di sole.
“E’ nuvoloso...” commento voltandomi verso l’interno della camera.
“Il meteo ha messo pioggia oggi e domani, sia a Ōsaka che a Tōkyō,” mi risponde Yuichi, la voce deformata dalla bocca premuta sul cuscino.
“Eeeh... quando arriva la primavera?”
Yuichi decide di tirarsi su e apre svogliatamente le palpebre. Mi guarda e mi fa quasi ridere. Sembra un reduce di guerra con quei capelli scomposti e le occhiaie.
Da quando trovo così attraenti le occhiaie?
“Guardavi la tv?” mi domanda alzando leggermente il volume.
“Per passare il tempo.”
“Che dicono?”
“Niente di che.”
“Hai fumato?”
“Sì.”
Mi guarda di traverso. Sa bene che io la mattina fumo solo quando sono davvero ansioso, e non succedeva più da un po’. E posso immaginare il suo cervello cercare di capire il perché. Avanti, Yuichi, le tappe qui nel Kansai sono finite, stiamo per tornare a  Tōkyō, per cosa potrei mai essere nervoso?
Gli leggo la risposta nelle sopracciglia che si aggrottano di colpo.
“Non è che...”
Recupero il cellulare dal comodino ed apro la cartella dei messaggi ricevuti. Poi gli lancio il telefono e lui lo prende.
“Non si faceva sentire da un mese, e ora perché mi manda messaggi dicendo che torna in Giappone? Cosa me ne dovrebbe fregare a me?”
Le mani di Yuichi tremano. Cos’ha ora?
“Comunque, non so con che faccia si sia messo in contatto con me, dopo essersi pure dimenticato del mio compleanno. Oppure ci ha fatto apposta? Magari quella sera se ne stava a letto a stringere la futura mogliettina tra le braccia dicendole: Mia cara Meisa, vuoi sposarmi?” mi esce una risata isterica e solo in quel momento mi accorgo che le mie mani erano serrate a pugno al punto da farmi male. Le rilasso un po’.
“Ma certo! Cosa me ne frega... che si prenda pure i miei scarti. Tanto quella là ci ha provato con tutti, ho fatto bene a rifiutarla al tempo. E ora le è capitata la fortuna di avere tra le grinfie un totale imbecille. Quale fortuna!”
“Kame,” mormora Nakamaru con voce seria, “Ora smettila.”
“Cosa c’è?” domando io incredulo. Non crederà davvero che quei due si amano sul serio?
“Non parlare così di una futura madre.”
“Ah! Giusto! Anche quello è stato un incidente!” esclamo sedendomi sul letto. “Mi immagino la faccia che ha fatto quell’idiota nello scoprire il preservativo rotto!” e mi metto a ridere.
Yuichi resta in silenzio, ma sento il suo sguardo pesare sulla mia pelle.
“Con me...” dico poi col sorriso ancora sulle labbra, “...non aveva bisogno di usare anticoncezionali. Io lo avrei accettato comunque. Lo avrei accettato comunque anche se fossi stato una donna. E mi sarei preso le mie responsabilità.”
In effetti, chi mi dice che non sia stato così anche per loro? Dopotutto, quante volte mi hai detto di volere un figlio?
Nella camera scende il silenzio e quel mio finto sorriso sfuma lentamente.
“Nakamaru...” dico con la voce che improvvisamente trema, “Spiegami, perché mi ha mandato quel messaggio? Cosa vuole da me...”
“Non lo so...”
“Aiutami.”
“Non posso fare nulla...”
Mi volto e lo trovo che mi guarda con uno sguardo preoccupato. Perché, Yuichi? Non c’è niente che non vada, non fare quella faccia.
Mi stampo un altro sorriso in faccia. “Andiamo a fare colazione?” chiedo dandogli una pacca su una spalla e mi volto per vestirmi. Basta lacrime, me lo ripeto per l’ennesima volta.
Il cuore mi implora di evitare altri dolori. Facciamo finta che vada tutto bene.
 

***

 
Ma come può un corpo così piccino e pieno di buchi farsi strada verso altre galassie? Come può cercare altre stelle? Ormai, ruotare attorno alla sola Terra non gli basta più. Vuole davvero ritrovare il suo Sole, per poter brillare e illuminare così le sere buie degli abitanti della Terra. I KAT-TUN hanno bisogno della sua luce per andare avanti. Anzi, è lui stesso a volerli illuminare per rendere meno faticose quelle giornate stressanti.
E invece no.
Tornano a Tōkyō, e Kazuya si rinchiude nel suo piccolo appartamento ad Edogawa.
Chiude serrande e tende e si infila sotto le coperte del letto. L’odore della propria casa è davvero un’altra cosa. Erano quei momenti a farlo riflettere sulla scelta di aver voluto seguire la via dell’idol. Ma dopotutto aveva avuto altre possibilità? Forse, ma ormai era troppo tardi per tornare indietro. E non aveva nemmeno intenzione di abbandonare la sua carriera in quel momento. Gli occorreva solo un po’ di tempo per mettere a posto i cassettini scomposti nel cuore e tutto sarebbe tornato come prima.
Sbuffa e si gira dall’altra parte.
Come prima? Come prima quando? Non aveva forse amato Jin dal principio? Esisteva un prima? Poteva dire di aver vissuto prima di averlo incontrato?
No, lo sapeva bene. Ma non era certo stato Kazuya a rinnegare quello che era successo. Era stato Jin.
E’ stato Jin, si ripete in testa. Ma davvero tutta la colpa è solo di uno dei due? Questa domanda sfuma nella dimenticanza non appena Kazuya la formula nella testa.
Gli occhi aperti, mette a fuoco il proprio comodino su cui giaceva silenzioso il cellulare. Che buffo come quell’oggetto piccolo e freddo fosse rimasto l’unico labile legame che ancora li univa. Lo prende e pigia un pulsante a caso sulla tastiera. Lo schermo si illumina. Se si fosse spostato oltre queste stelle, verso un’altra galassia, quell’aggeggio avrebbe funzionato ancora?
Preme un altro pulsante ed entra nella cartella dei messaggi.
Torna a quel messaggio.
Lo rilegge per la centesima volta come se si fosse dimenticato di quelle lettere scolpite nero su bianco nel suo cellulare. E invece lo ritrova così come lo ricordava. E Kazuya continua a non capire. Cerca di leggere tra quelle righe qualcosa che gli è sfuggito. Una motivazione, un accenno di disperazione, o di felicità. Perché, perché, perché?
Ma il cellulare continua ad essere gelido e non dà risposta a quelle domande. Lo infila sotto maglia e lo stringe forte al cuore. Quel freddo iniziale pian piano svanisce. Era quel piccolo macchinario ad essersi scaldato, o era stata la pelle ad essersi abituata al gelo?
Spera di potersi abituare anche a quel vuoto nel petto che non lo fa dormire.
 
Poi di colpo riapre gli occhi. La serranda chiusa e le tende tirate hanno conservato la stanza nel buio. Ma Kazuya era sicuro di essere riuscito ad addormentarsi e probabilmente il sole era già alto nel cielo.
Si passa una mano tra i capelli arruffati e fatica a richiudere gli occhi. C’era qualcosa nella sua testa che squillava come un avviso. Era successo qualcosa, per questo si era svegliato. Ma cosa?
Il campanello nella mente continuava a trillare fastidioso. E forse qualcosa aveva squillato sul serio?
Inizia a toccarsi frenetico il petto finché non sente la bozza del cellulare sotto la maglia. Lo tira fuori veloce e apre lo schermo.
< Un nuovo messaggio. >
Il cuore gli batte frenetico e quel suono rimbomba nel silenzio della stanza.
Lo apre, legge veloce, richiude il cellulare e lo rinfila nella maglia. Si raggomitola nel letto.
 

***

Yuichi mi guarda con sospetto mentre addento quell’enorme brioche ripiena di cioccolato.
“Kame...”
“Eh?” borbotto con la bocca piena e cerco di recuperare con un dito la crema che mi cola dalle labbra.
“E’ la seconda volta in meno di una settimana che mi inviti a fare colazione con te in un bar.”
Annuisco e finisco in un sol boccone il resto della brioche. Poi alzo una mano e faccio cenno al tizio dietro al bancone che ne voglio un’altra.
“Non hai fame?” chiedo poi a Yuichi. Lui abbassa un secondo gli occhi sulla sua fetta di torta ai mirtilli. Poi torna a guardarmi.
“Mangio, mangio...” e prende quel dolce con le dita. Hai sempre uno sguardo così preoccupato.
“Smettila,” dico trangugiando il succo alla pesca dal bicchiere.
“Eh?”
“Smettila di preoccuparti per me.”
Yuichi aggrotta le sopracciglia in un tic.
“Ecco, proprio quello sguardo. E’ lo stesso che hai ogni volta che facciamo sesso.”
La torta gli scivola dalle mani ma lui la riacchiappa prima che gli possa cadere sulla camicia appena lavata e stirata. Ha la bocca spalancata e mi guarda come fossi pazzo.
“Non ci sente nessuno,” commento io, e in quel momento arriva il cameriere con la mia brioche.
“Ascolta,” borbotta Yuichi risistemando la torta intatta nel piattino, “Mi dici che hai oggi? Sei troppo su di giri. Non hai dormito?”
“No, ho dormito, è questo il problema.”
Yuichi soffia con l’aria di uno che sta per perdere la pazienza.
“Che hai?”
“Akanishi mi ha mandato un altro messaggio.”
I suoi occhi si perdono nel vuoto. Mi guarda ma in realtà mi trapassa con lo sguardo.
“Ha detto ancora che vuole vederti?” chiede con tono neutro. Se non lo conoscessi così bene crederei che la questione non gli interessi particolarmente.
“No,” dico tranquillamente, e spezzo con le dita un’estremità della brioche. La metto in bocca e la mastico lentamente. Vedo la tranquillità forzata del suo atteggiamento rimpiccolirsi vertiginosamente ogni secondo che passa. Afferra anche lui la torta e inizia a ficcarsela in bocca malamente.
Finisco di ingoiare e riprendo:
“Mi ha semplicemente scritto l’indirizzo del suo secondo appartamento a Tōkyō. Nient’altro.”
Yuichi riemerge dalla torta con sguardo interrogativo. Ha talmente tanti mirtilli appiccicati sulla faccia che non posso fare a meno di scoppiare a ridere.
“Na-ka-maru...” lo apostrofo beffeggiandolo, “...sei così carino con la faccia mirtillosa!”
Sgrana gli occhi e si passa veloce un tovagliolo sulla bocca.
“Sei davvero fuori,” dice, e un altro tic gli scuote un occhio.
Mi dispiace, saresti davvero il ragazzo perfetto per me però... credo di aver capito che quella cosa che condividiamo sia solo un modo per sfruttarci l’un l’altro. E nient’altro. Forse è stata questa la tua risposta quella sera? Quella del giorno del mio compleanno. E vorrei chiedertelo di nuovo. Cosa siamo io e te? Ma poi temerei la tua risposta. Cosa potrei fare se tu mi amassi sul serio? Mi dispiace, non sono ancora pronto per affrontarti.
“Vacci.”
“Eh...?” mi esce come un soffio dalla bocca. Cerco di riprendermi ma i pensieri mi sfuggono scivolosi come l’acqua.
“Ti ha detto il suo indirizzo, no? E tu vuoi andarci.”
Mi congelo, e con esso anche i miei pensieri. Riesco ad afferrarli e sono bollenti come il ghiaccio.
“Lo conoscevo già il suo indirizzo...”
“Non è questo il punto,” esclama Yuichi con uno sguardo fermo. Anche quello sembra aver trovato una forma solida. Come il tempo e l’aria che fatica ad entrare nei polmoni.
E’ così facile. Ha ragione. Così facile che fa paura.
“Il punto è...” continua Yuichi tenendo sempre lo sguardo fisso su di me, “... è che anche lui vuole che tu vada.”
Sento improvvisamente caldo. Da un punto indefinito del petto. Il respiro si scioglie. Ma dura poco.
“E tu cosa vuoi?” mi esce senza che io lo volessi.
“Io...?”
“Esatto.”
Dimostro una sicurezza che non possiedo. Ma sono sempre stato così dopotutto. Posso ancora continuare a fingere per un altro po’. Mi infilo un altro pezzo di brioche in bocca.
“Io... vorrei solo che tu possa smettere di soffrire per colpa sua.”
Ingoio forzatamente quel boccone.
“Ma quello che voglio io non conta. Non fraintendermi, Kame, te l’ho detto anche quella sera, io e te ci stiamo solo usando per addolcire un po’ la nostra vita. Come un antidolorifico momentaneo.”
I suoi occhi vibrarono un secondo.
Sei serio? Mi esce un sorriso.
“Sei stato un buon antidolorifico, Yuichi.”
“Grazie,” e si mette a ridere.
“Ma dimmi,” continuo io, “Io avrei affievolito quali tue sofferenze, nello specifico?”
Lui stacca di colpo gli occhi dal mio viso e guarda altrove.
“Ho capito,” dico alzandomi, “Ne parliamo un’altra volta?”
Non attendo una risposta.
“Per oggi offro io,” commento avvicinandomi alla cassa e, con la coda dell’occhio, lo vedo sorridere. Sorrido pure io e, dentro di me, lo ringrazio.
 

***

Il suo appartamento era proprio davanti alla baia di Tōkyō. Proprio davanti al loro oceano.
Kazuya guarda quel grattacielo e conta i piani. Quinto piano, la luce è apparentemente spenta.
Mi hai chiamato per umiliarmi? Suona il citofono. Le dita gli tremano così tanto che per poco non sbaglia tasto. Sebbene nel messaggio non c’era scritto il numero del suo appartamento Kazuya lo sapeva a memoria. E, per quanto avesse cercato di dimenticarlo, era rimasto nella sua testa, impresso come una ninnananna.
Quell’appartamento era in affitto. Akanishi non abitava lì. E, ne era certo, nessuno lo conosceva a parte lui. Era stato uno dei tanti piccoli segreti che avevano condiviso in quegli anni. Almeno fino a quel momento. Ormai, c’è un’altra persona che conosce ogni minimo dettaglio della sua vita.
“Kazuya?”
Il flusso dei pensieri si blocca. Silenzio.
“Kazuya...?”
Apre la bocca ma non esce niente. La serratura scatta e la porta d’ingresso si apre. Kazuya entra.
 
I gradini fino al quinto piano sembrano non finire mai. Aveva deciso quasi razionalmente di non prendere l’ascensore in modo da tenersi fino all’ultimo la possibilità di fermarsi. E tornare indietro.
Ma era entrato nel campo gravitazionale del Sole ormai. Come un buco nero che riesce a risucchiare persino la luce, la ragnatela invisibile di un aracnide.
Fa gli ultimi gradini col fiatone e arriva sul pianerottolo giusto. Gira il capo e guarda verso quel corridoio fin troppo familiare. Si avvia. Il battito del cuore rimbalza sulle pareti e lo assorda.
Lo aveva visto dalla telecamera del citofono, non c’erano dubbi. Lo aveva rivisto e chissà cosa aveva pensato. E che cosa penserò io ora nel momento in cui mi si presenterà davanti?
Si blocca davanti la sua porta. Invece in quel momento non pensa più a niente. E nemmeno quando Jin apre l’uscio i pensieri sono intenzionati a riprendere a scorrere.
Restano lì, uno di fronte all’altro, immobili. Niente si muove, sembra che nemmeno i loro polmoni stiano funzionando.
Poi, di colpo, Jin fa un profondo respiro e scuote l’aria stagnante.
“Sei venuto...”
“Non avrei dovuto?” ribatte Kazuya meccanicamente.
Jin sbuffa sorridendo e l’altro finge di essere offeso. Ma le labbra ricurve tradiscono quell’atteggiamento.
Per un secondo sembra essere tornato tutto come prima, ma niente è più come prima. Se ne rendono conto e il silenzio torna così come se n’era andato. I sorrisi di entrambi sfumano in una smorfia. Non si può colmare una frattura lunga due anni solo con un sorriso.
“Entri?”
Kazuya non risponde ma muove un passo in avanti, Jin si fa da parte e lo lascia passare.
Una volta richiusa la porta d’ingresso Kazuya è attraversato da un brivido gelido lungo la schiena. Quel posto non è cambiato di una virgola.
C’è ancora quel grande letto di ferro poggiato contro la parete opposta all’entrata. Il comodino di legno scuro se ne sta sempre nello stesso punto, con sopra la lampada e le forbici tagliasigari rigorosamente al loro posto. Le tende, tirate anche d’estate, mostrano ancora quei disegni tribali di poco gusto. Doveva ricordarselo, ecco perché da fuori le luci sembravano spente. Continua ad osservare. La solita chitarra acustica se ne sta poggiata al muro accanto al letto, pronta per essere afferrata nei momenti improvvisi d’ispirazione. Quei momenti in cui Jin diventava intrattabile, e dovevi lasciarlo con la sua musica. Per terra, il caos più totale di spartiti, matite e riviste di ogni genere.
Tutto risulta come Kazuya se l’era stampato nella mente. I colori, gli odori sono rimasti immutati. Solo le sensazioni non sono le stesse.
Rendersi conto in maniera così palpabile di questo mutamento interiore mette Kazuya di colpo a disagio. Si volta indietro e trova Jin appoggiato alla parete che lo osserva.
Solo in quel momento, quando gli occhi acquosi dell’altro lo scrutano così a fondo, Kazuya si rende effettivamente conto del posto in cui si trova. Rivederlo così, in quel modo davvero fin troppo banale, lo irrita all’inverosimile. Realizzare di essere di nuovo a contatto con quella pacatezza che sfiora l’indifferenza gli provoca un secondo brivido congelato. Voglio andarmene. Devo andarmene.
Interrompe velocemente quel contatto visivo e, a testa china, fa per andarsene. Ma non è così facile staccarsi da quella ragnatela fatta ricordi nostalgici e sensazioni dolorose, Kazuya lo sa bene.
Per questo, quando Jin lo ferma afferrandolo per un braccio e lo blocca al muro, lui non si oppone. Nemmeno una smorfia tradisce il fatto che quella presa decisa gli sta stritolando il braccio.
Evita di guardarlo, tiene il capo voltato di lato e aspetta. Non sa nemmeno lui cosa, ma aspetta. Forse continua a sperare in un riscatto, in un qualcosa che, come un colpo di forbici, tagli via tutti i ricordi. Perché, in quel momento, preferirebbe il vuoto.
“Cosa sei venuto a fare?” chiede Jin.
Bella domanda.
“Sei venuto solo perché volevi dare un’occhiata in giro? Per assicurarti che io sia ancora io? Che stessi bene, o, invece, che fossi disperato?”
Kazuya non può fare a meno di guardarlo, lentamente. Jin, cosa vuoi che risponda?
“Sono venuto perché anche tu lo volevi.”
“Ed è così. Perché non rispondi ai messaggi?”
Kazuya trattiene una risata.
“Sei sempre tu...” continua Jin, “...sempre con quest’aria da viziato.”
“Come scusa?”
“Ti ho servito bene in quegli anni, eh? Ho sempre fatto tutto quello che volevi. Sono sempre stato io a cercarti. Ti sentivi bene, principessa?”
Kazuya strattona il braccio e Jin molla la presa, ma continua a tenerlo bloccato al muro.
“Mi hai fatto venire per dire questo?”
“No,” dice Jin deciso, “Ti ho fatto venire perché speravo che tu fossi cambiato. Invece sei rimasto identico a prima. Sempre così spaventato dai cambiamenti al punto da fossilizzarti in questo modo. Io sono cambiato, anche se da questo appartamento non lo puoi notare, e ti dirò anche il perché...”
“Sono cambiato pure io!” esclama Kazuya con una rabbia improvvisa. “Che diavolo stai blaterando... sei un idiota o cosa?”
“E sentiamo, in cosa saresti cambiato?”
“Per esempio, ora non mi innamorerei mai di un idiota come te.”
Jin ride amaramente.
“Ti sei mai innamorato di me?”
Kazuya sbuffa. Come... come puoi chiedermi una cosa del genere. Poi sospira rassegnato:
“Ti ho donato il mio cuore quel giorno davanti all’oceano.”
“Mi hai dato il tuo cuore, ma dov’era l’amore?”
Kazuya non capisce.
“Ti domandi perché non mi sono mai lasciato andare con te? Il mio cuore è sempre stato in uno stato di... attesa. E sospeso. Attendeva il momento in cui tu ti fossi aperto con me.”
Le sopracciglia di Kazuya continuavano ad essere aggrottate.
“Ah!” sbottò Jin facendo fuoriuscire l’aria di colpo, “Ma come posso spiegarti una cosa di cui non ti sei mai accorto? Quel tuo tira e molla... non sei mai stato diretto, hai sempre avuto paura di andare fino in fondo con me e alla fine sono arrivato ad un punto di rottura, capisci? Non biasimarmi se ho voluto cercare la certezza di una stabilità sentimentale e fisica con una donna. Non sei forse stato tu quello che si è messo a ridere quando ti ho detto di voler annunciare pubblicamente il nostro fidanzamento?” Jin ride, di una risata che fa congelare l’altro, “Sai quanto è stato difficile per me non rivolgerti mai la parola in pubblico dopo il debutto perché tu volevi evitare ogni fraintendimento? Hai usato proprio questa parola. E hai sempre voluto nascondere la nostra relazione dietro una parola falsa come segreto. E’ il nostro segreto, dicevi. Alla fine non sono mai riuscito a capire cosa provassi davvero per me. Mi hai donato il tuo cuore, dici? Può essere. Ma era gelido come il ghiaccio.”
Kazuya ha sbarrato gli occhi, quello non era affatto il suo Jin.Ma ancora non dice nulla. Jin torna a ridere.
“Non biasimarmi. Non biasimarmi se per fuggire dalla Luna sono scappato su Marte con un’altra persona.”
“Tu...” Stai usando le mie parole, le mie immagini...
“Non sai, Kazuya, non immagini nemmeno lontanamente quanto io abbia sperato fino all’ultimo che tu ti facessi vivo. Che mi fermassi, mi implorassi di non lasciarti, di non andare. E io ho continuato ad andare avanti, sempre più in profondità lungo la mia strada lontano da te e dal Giappone. Mi bastava una tua chiamata, un segno. E io avrei letto tra le righe quel tuo accenno di disperazione, o di felicità. Ma sarei tornato in entrambi i casi. Per renderti di nuovo felice, o per farti capire che senza di me quella felicità che credevi di possedere era solo illusoria.”
Kazuya inizia a boccheggiare. Quelle parole gli cozzano l’un l’altra nella testa fino a frantumare in mille pezzi la percezione di se stesso che aveva avuto fino a quel momento. Stai... quello che stai descrivendo... sono io? Io volevo solo...
“Sono felice ora...” mormora poi con gli occhi che non trovano più un appiglio in quel viso che credeva così familiare. Chi sei? Cosa eravamo noi? Chi sono io? Le ginocchia tremano.
“Sei felice...?”
Kazuya annuisce, ma il sale scende dagli occhi. Il Sole adesso dov’è?
“O-ora...” dice con voce spezzata, “Vado a letto con Nakamaru.”
L’espressione decisa di Jin si frantuma di colpo. Le sopracciglia si raggrinzano e il petto si gonfia.
Lo afferra per le spalle e lo butta sul letto, la schiena rivolta verso l’alto. La bocca di Kazuya viene improvvisamente premuta contro la stoffa del lenzuolo. Cerca di voltare il capo per respirare. Lo vede allungare la mano sul comodino e afferrare le forbici tagliasigari.
Jin si siede cavalcioni su di lui e inizia a sfilargli la maglia con rabbia. Kazuya non vede più niente, non pensa niente finché la sensazione di qualcosa di freddo sulla scapola non lo risveglia.
“Che cos...”
“Perché anche tu non hai fatto così?” sibila Jin, poi la pressione sulla spalla aumenta e Kazuya si lascia sfuggire un gemito. Il ferro inizia ad incidergli la pelle.
“Jin...” geme Kazuya stringendo le lenzuola con le dita. Ma l’altro continua la sua opera.
“Perché anche tu non mi hai marchiato in questo modo? Lo senti, Kazuya? Capisci cosa sto facendo?”
Un ultimo movimento e Jin stacca le forbici dalla pelle. Kazuya respira forte.
“Mi... stai soffocando...”
“Cosa ho scritto?” domanda ancora Jin tenendolo premuto contro il letto.
“Il tuo... nome.”
Jin getta le forbici sul comodino e si alza leggermente, giusto quel che basta per far voltare Kazuya. Poi si risiede sul suo corpo. Prende il viso di Kazuya tra le dita e si china a baciargli le labbra.
 

***

Sento solo il bruciore sulla schiena che, strisciando contro le lenzuola, fa ancora più male.
Vedo solo i tuoi occhi aperti, mentre mi baci violandomi la bocca.
Resto inerme, in balia del tuo controllo. Impotente. Incapace di respingerti, né di assecondarti. Ho completamente perso la percezione del mondo esterno. Non capisco, c’è confusione, mi hai drogato?
Anche quando inizi a toccarmi l’erezione non me rendo conto subito. Ma il mio corpo risponde a questi stimoli.
“Il sangue...” mormoro con la mente bloccata a quel momento, “...macchia...”
“Non ti preoccupare,” dici con il fiatone, e per qualche secondo mi costringo a restare cosciente. “Tanto queste lenzuola le butto.”
Prendi a masturbarmi con un espressione indifferente sul viso. Ti guardo cercando di capire perché lo stai facendo. Dimmi, che espressione ho io invece? Ti sembra che mi piaccia?
Mi costringo ad allungare le braccia. Ti prendo il viso tra le dita e tu ti blocchi di colpo. Per la prima volta mi guardi davvero. Quella apatia violenta crolla come un castello di sabbia in riva all’oceano. Le onde hanno di colpo ripreso a sbattere contro la riva e io ritorno a respirare.
“Jin...”
Mi rendo conto di aver continuato a piangere per tutto il tempo, senza sosta. I singulti ovattati ora risultano assordanti alle mie orecchie.
“Smettila Kazuya,” mormori prendendo le mie mani, “Smettila.”
“Cosa...?”
“Di piangere, di guardarmi così... smettila di pensare a me.”
“Perché ora dici così...”
Mi afferri saldamente per un polso e mi tiri a te. Seduti sul letto, ci abbracciamo e io continuo a non afferrare il senso delle tue parole.
“Non capisci... questa è la nostra ultima notte. E’ la fine di tutto,” mi soffi su un orecchio, “Ho custodito questo appartamento immutato aspettando il tuo ritorno. Ma da domani, non esisterà più. Non pagherò più l’affitto, non ci tornerò mai più. E anche il tuo odore, l’ultima cosa che ancora avevo di te, sparirà con esso.”
Poggi il palmo della mano nel punto della mia schiena su cui hai inciso il tuo nome. Trattengo il respiro.
“Scusami... riuscirai mai a perdonarmi...”
“Ti macchierai anche tu.”
Mi lasci e ti guardi le dita. Alla luce debole della lampada da soffitto il mio sangue sembra ancora più scuro e denso.
Mi gira un po’ la testa ma resisto.
“Smettila di essere così debole,” continui a dirmi. Cerco di non chiudere gli occhi ma le palpebre sono pesanti. “Puoi promettermi che riprenderai a vivere senza di me?”
Mi esce un mezzo sorriso, “Cosa mi dici di te, invece?”
“Kazuya...?” eh?
“Kazuya!”
Mi afferri un braccio con forza per evitare di farmi cadere.
“Sto... bene...”
“No, non stai bene!”
Mi distendi sul letto e fuggi lontano dalla mia vista. Torni con una garza e del disinfettante.
Tranquillo, sto bene, è solo il rilascio della tensione.
 

***

Kazuya è seduto nel divano del proprio appartamento e sorseggia una tazza di tè.
Sulle gambe, il portatile gli scalda la pelle. Gira per siti svogliatamente, poi, ogni tanto, allunga una mano indietro, verso la schiena e si tocca la fasciatura.
Quando quella sera aveva visto il proprio sangue sulle dita dell’altro si era immaginato chissà quale ferita. Invece non era più grande di... guarda la tazza bollente tra le mani. Sì, non è più grande del diametro di questa tazza.
Ormai, ad una settimana da quella notte, la ferita ha smesso di fare male, e si potrebbe tranquillamente rimuovere la garza.
Eppure non ha voglia di farlo. Chissà, forse teme che possa essere rimasta una cicatrice. Sarebbe proprio esilarante come cosa.
Ah, giusto, il cellulare prima aveva squillato.
Si alza lentamente, poggiando il pc a terra, e raggiunge il tavolo della cucina. Un messaggio. Lo legge assorbendo ogni singola sillaba, poi lo cancella. Scorre la rubrica e cancella anche il suo numero.
Non appena l’appartamento sarebbe stato libero, Jin gli avrebbe mandato un messaggio. Poi, mantenendo fede ad un’ultima promessa, avrebbero rispettivamente cancellato il numero dell’altro.
Solo che Kazuya si era aspettato un messaggio d’addio un po’ più romantico.
“Massì,” mormora tornando al divano, “Che me ne faccio del suo romanticismo.”
Poi gli viene da ridere ricordando quella volta che si erano rincontrati davanti l’oceano. Il suo Sole e lui, la Luna piccola e grigia. E anche in quell’occasione Kazuya aveva pensato di non volere alcun romanticismo da parte dell’altro. Ma d'altronde non c’era da preoccuparsene. Non era nel suo stile, come gli aveva detto una volta.
“Ah!” esclama poi, “ora Maru deve darmi delle spiegazioni...”
Compone il numero di Yuichi a memoria e attende che squilli.
Che inutilità cancellare il tuo numero, pensa in quel momento con un sorriso, tanto rimarrà nella mia memoria per sempre.
“Maaaa-ru!? Insomma, di chi sei innamorato? Non mentirmi!”
 

< E’ l’ultimo messaggio, e non so che scriverti. Forse un addio basta. Spero non ti rimanga la cicatrice.
Ricorda chi è la tua Terra e... sii felice.
p.s. Idiota, Nakamaru è innamorato di Ueda da secoli. Non farlo star male. Salutami tutti. >

 
“Né vincitori né vinti, si esce sconfitti a metà.
La vita può allontanarci, l’amore continuerà.”

 
 
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Postfazione: E... che finale è mai questo?? x°D Diciamo che non so se mi piace come è andata a finire, ma i personaggi volevano questo e io li ho accontentati, come sempre. Che capricciosi xD
Un ringraziamento a Ansy, senza di lei non l’avrei mai ripresa dopo il blocco e ora non sarei qua a scrivere la postfazione ^^ Poi, grazie anche a Koko! Come sempre, spero ti piaccia questa ultima parte! E mi raccomando, insulta Kame per benino che se lo merita!
Che altro dire... non sono nella condizione ancora di commentare la ficci... devo rileggerla e vedere se va bene così ma non credo di fare grandi cambiamenti ormai. Posso dire che è conclusa così xD
Invece, ho rinominato questa trilogia “Il ciclo dei pianeti” ma non ha senso dal momento che il sole è una stella e la luna un satellite x°°D Vabbè... facciamo finta di nulla!
Questa ficci è nata da una foto di kame (modificata) che ho trovato e poi da lì ho costruito intorno la trama. Però, non so perché, alla fine la scena ispirata da questa foto sembrava un po’ forzata... mah... la foto è quella del banner all'inizio ^^
Un grazie a chi ha letto e non mi vuole uccidere per come è finita!!! Ahah xD Scherzo, vi ringrazio anche se vorrete uccidermi xD (Sara, Gioia, siate clementi >__<)
AH! Come dimenticare... congratulazioni ai KAT-TUN per l’anniversario dei 6 anni dal debutto!!! ;O; Potrò non esserci stata dall’inizio, ma rimarrò un hyphen fino alla fine!!! KEEP THE FAITH! <3
Alla prossima! <3 (che sarà JinDa se ce la faccio xD)
 
Mou ichido ne waratte yo, my love, ano hi no you ni.
 

21 Marzo 2012

   
 
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