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Autore: TommieJ    22/03/2012    1 recensioni
Avril è tremendamente innamorata di Tom, ma lui riuscirà a capirlo?
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il mio silenzio non era mai scomodo. Né invadente. Né rumoroso. Quando non mi andava di parlare dalla mia gola non usciva alcun suono. Come spremere acqua da una pietra. Non usciva neppure una parola. Le parole dovrebbero essere fatte della stessa sostanza delle cose, e nominarle dovrebbe bastare a farle comparire, le cose. La parola pioggia dovrebbe bagnare, pensavo. La parola fumo dovrebbe aleggiare. Invece le parole sono fatte di niente, non puoi vederle, non puoi toccarle, non puoi tenerle tra le mani. Di solito con le parole puoi solo farti male. E io questo lo sapevo benissimo. Parliamo di me. Io ho i capelli neri e gli occhi grigi come mia madre e sono di una bellezza molto misteriosa, mi hanno detto. Sono alta e magra, ho la pelle candida e luminosa quanto sono felice e la pelle bianca come quello di un cadavere quando sono giù di morale. Il più delle volte la mia pelle è cadaverica. Non mi so spiegare il perchè ma non ho avuto uno straccio di amico fino a quando i gemelli diventarono famosi e i miei fratellastri non mi considerano molto, però parliamo, poco, ma parliamo. Prima del 2005 non avevo neanche un amico e poi così come per magia mi sono ritrovata inseguita dalla maggior parte delle ragazze della scuola solo perchè sono la sorellastra dei gemellini più ascoltati del momento. E' incredibile quanto la gente possa essere finta. Sono passati dodici anni da quando mi sono trasferita a Lipsia e adesso ho sedici anni mentre Bill e Tom diciasette. Da quando i Tokio Hotel erano entrati nel mondo della musica, tutta l'attenzione si posò sui gemelli e io ero come se non esistessi. Quando venivano dei parenti si sapeva che erano qui solo per Bill e Tom e quindi io mi ritiravo nella mia stanza. La mia stanza era vuota e bianca: le pareti erano spoglie e verniciate di bianco, il mio letto a baldacchino era bianco, i mobili erano bianchi, le lenzuola erano bianche, la sedia e la scrivania erano bianchi, il pavimento era in marmo bianco e il tappeto era bianco, le cose elettroniche erano biache, il materiale scolastico era bianco, i miei vestiti erano bianchi, le foto erano scattate in bianco e nero, il balcone era bianco, io ero bianca. La mia camera sembrava immersa nel latte. L'unica cosa colorata era la foto che ritraeva me in braccio a mia madre scattata quando avevo più o meno un anno. Stavo salendo le scale per andare in camera mia quando qualcuno mi chiamò da dietro, Tom. Mi voltai guardandolo. -Avril è arrivato questo per te- mi disse mostrandomi una lettera. -Che cos'è?- chiesi prendendoglielo di mano. -Non lo so- mi rispose guardando distrattamente le altre lettere che erano arrivate quella mattina. Bollette, bollette e nient'altro che bollette. Lo ringraziai e andai di corsa in camera mia per leggere la lettera che mi era arrivata quella mattina. La stavo per aprire quando mi cadde dietro al comodino. Spostai il comodino e presi la lettera, ma proprio su quel pezzo di muro c'era inciso sopra una "T" dentro a un cuore. Me ne ero quasi dimenticata, era passato così tanto tempo da quando l'avevo fatto. Mi era sempre piaciuto Tom, sin dalle elementari, anche se mi parlava raramente. E anche adesso quando mi parlava mi sentivo battere il cuore anche se sembravo calmissima, avevo imparato a gestire l'emozione. Misi a posto il comodino e finalmente iniziai a leggere la lettera che faceva così: "Cara ingenua Avril, ci credo che non hai amici e mai li avrai! Tu sei patetica e scema, non parli con nessuno e nessuno vorebbe parlare con te. Le poche persone che ti rivolgono la parola sono interessate a te solo perchè abiti con i Kaulitz. Non montarti la testa e ricorda che sei insignificante. Non avrai mai un' amica. P.S. Sei una s*****a rubaragazzi." Sentii un groppo in gola, quanto era vero tutto quello? Ero davvero insignificante e patetica? La risposta era: SI'. Ma non ero una rubaragazzi. Per sfogarmi presi la mia chitarra nera e iniziai a cantare una canzone che avevo scritto da poco tempo, si chiamava "How does feel" ("How does feel" - Avril Lavigne. NdA). Iniziai a cantare ma poco tempo dopo mi accorsi che stavo piangendo. Cantai per un po' ma poi dati i singhiozzi non ci riuscii più. I singhiozzi dovevano essere così forti perchè Bill bussò alla mia porta e mi chiese se poteva entrare. Io mi asciugai in fretta le lacrime e provai a fare una voce normale. -Sì, Bill, entra pure- risposi io posando la chitarra a terra. La porta si aprì e comparve la chioma leonina di Bill. -Tutto bene?- mi chiese chiudendo la porta bianca alle sue spalle. -Sì,sì. Come pensi che stia?- dissi distrattamente abbassando testa guardandomi le unghie perfettamente smaltate di nero e con la french bianca. -Non lo so. Ho sentito dei singhiozzi, probabilmente mi sono sbagliato- disse Bill alzandosi dal mio letto dove poco prima si era seduto e incamminandosi verso la porta. Non volevo che se ne andasse via, avevo bisogno di parlare con qualcuno. Ma non mi potevo far apparire debole davanti a qualcuno. Soprattutto con lui, non potevo proprio. Contro la mia volontà, lo lasciai andare via. Dopo che la porta della mia camera si chiuse, mi calmai e iniziai a scrivere una nuova canzone. Dopo cena andai in salotto a vedere un documentario sull'Egitto. Era molto interessante, volevo guardarlo fino alla fine ma Simone mi chiese se mi andava di uscire con i gemelli dato che stavo sempre in casa il sabato sera. Non volevo uscire di casa ma non volevo nemmeno dare un dispiacere a Simone, così decisi di andarci comunque. Salii in camera mia e aprii l'armadio. Sempre il solito dilemma: cosa mi metto? Optai per una maglietta bianca con un teschio argentato in mezzo e un paio di jeans bianchi strettissimi. Mi truccavo sempre nello stesso modo: ombretto nero abbondante, eyeliner nero, matita e mascara sempre neri. Mi misi un braccialetto d'argento e mi cambiai il pearcing al labbro. Amavo i pearcing, ne avevo tre lungo un orecchio e cinque sull'altro, uno al labbro inferiore dalla parte destra, uno sulla lingua e l'ultimo sul sopracciglio destro. Mi lasciai i capelli lisci come spaghetti, che mi arrivavano fino al sedere, sciolti sulle spalle. Mi misi una giacca di pelle bianca e delle converse, anch'esse bianche. Mentre mi cambiavo ascoltavo Lafee e i Placebo. Presi il cellulare e me lo misi nella borsa. Spensi lo stereo e la luce e uscì di camera. Aspettai i gemelli per altri venti minuti e poi scese Tom. -Vai da qualche parte?- mi chiese fissandomi da cima a fondo. -Sì, esco con voi. Simone non te l'ha detto?- risposi calmissima io. -In verità no...- disse Tom grattandosi la testa. -Ma se vuoi posso anche rimanere a casa- azzardai io agitata. -No no, vieni pure: non disturbi mica.- disse lui mentre Bill scendeva con tutta la calma del mondo. -Vieni anche tu, Avril?- mi chiese sorridendomi. -Sì- dissi io sorridendogli a mia volta. -Allora che stiamo aspettando, andiamo- disse aprendo la porta e facendomi uscire. Andammo ad Amburgo con la macchina di Georg perchè Bill e Tom non avevano la patente. Arrivammo a una discoteca bellissima, la più cool di Amburgo. Quando entrai vidi migliaia di gente che ballava a ritmo di musica, che si strusciava, che filtrava o che beveva. Andai al bancone e presi un cocktail alla fragola. Ne bevvi solo uno e poi restai a guardare la pista da ballo. Bill, Tom, Georg e Gustav si erano smaterializzati. Mi stancai di stare in quel posto quindi uscii dalla discoteca per prendere una boccata di aria fresca. Davanti al locale c'era una casa che mi pareva familiare. Era una grande casa bianca, con un grande giardino. Mi avvicinai e guardai il cancello: era aperto. Lo spinsi ed entrai dentro il giardino pieno di erbacce, il sentiero che divideva il cancello dalla porta si vedeva a malapena. Inciampai in qualcosa che mi fece perdere per un attimo l'equilibrio ma poi lo ritrovai subito. Mi abbassai per raccoglierlo, era un pezzo di legno ricoperto di foglie. Ma sopra c'era scritto qualcosa, guardai meglio. Con della vernice bianca c'era scritto in corsivo: "Qui abitano Gordon, Anya e Avril Trumper". Adesso ricordavo: quella era la mia vecchia casa. Ma al posto della discoteca c'era un parco giochi dove ci andavo sempre con mio padre. Mi rialzai e avanzai verso la porta che era chiusa. "Adesso cosa faccio? Pensa, Avril, pensa dove può essere nascosta la chiave di una qualunque casa!" pensai nella mia mente. Cercai sotto lo zerbino mezzo rotto e striminzito: niente. Provai sotto a un vaso che stava sulla finestra, ma non c'era niente anche lì. Non pensando a un altro posto dove cercare, provai sotto a un ciottolo bello grosso e lo trovai lì. Presi la grande chiave e la infilai nella serratura. Girai la chiave e guardandomi in torno entrai in casa. Dalle finestre entravano dei raggi lunari che illuminavano tutte le stanze. Il pavimento dell'ingresso era fatto con delle piastrelle in marmo ricoperte di polvere. C'era un armadio e ,spinta dalla curiosità, lo aprii. Trovai dentro un paio di scarpe col tacco nere e un cappottino color menta piccolissimo, immaginai che le scarpe fossero di mia madre e il cappottino fosse mio. Chiusi l'armadio e andai avanti. Vicino alle scale c'erano un vecchio orologio a cucù e un comodino in ebano con un vaso di vetro blu sopra. Aprii i cassetti, ma non trovai nulla. Girai a destra e mi ritrovai in una cucina verde chiaro tutta impolverata. C'erano cucchiai, cucchiaini, forchette, coltelli, bicchieri colorati, piatti, tazze, pentole, padelle di ogni misura ecc. Era tutto rimasto lì, da quando c'eravamo trasferiti. Uscii dalla cucina ed andai in salotto, dove trovai un divano in pelle marrone e due poltrone altrettanto in pelle marrone, due grosse librerie piene zeppe di libri, un tavolino impolverato (come tutto del resto), delle vecchie tende arancioni e sulle pareti c'erano dei quadri raffiguranti la mia famiglia al completo: mio padre, mia mamma e me. Mi sentii gli occhi pizzicare ma rimandai le lacrime indietro. Andai nella sala da pranzo. Mi si pararono davanti un lungo tavolo in legno e delle sedie con l'imbottitura sullo schienale, due credenze piene di piatti di porcellana e di bicchieri da champagne e da vino. Uscii e salii le scale che portavano al piano di sopra. Vidi una porta con su scritto "Avril" a caratteri cubitali rosa. Abbassai la maniglia di quella porta ed entrai. La stanza era rosa, in mezzo c'era un letto in legno chiaro e vicino un comodino rosa, il lampadario era a forma di fiore e c'era anche un armadio con dei vestiti dentro. Stavo per entrare nella stanza dei miei quando sentii il mio cellulare suonare, era Bill. Cliccai sulla cornetta verde e sentii la voce di Bill. -Avril, dove sei? Dobbiamo andare a casa- disse agitato e preoccupato. -Io sono davanti alla discoteca. E' successo qualcosa?- chiesi iniziando a preoccuparmi anch'io. -Sì, un gran casino. Dei tizi stanno picchiando Tom e io non posso fare niente perchè...- iniziò a dire con la voce tremante ma non finì perchè io lo interrompei. -Ok arrivo subito- dissi chiudendo la chiamata avviandomi verso la discoteca. Quando uscii dalla casa chiusi la porta e presi la chiave con me. Di corsa attraversai la strada e mi ritrovai davanti l'ingresso del locale. Entrai e cercai gli altri. Girovagai per tutta la discoteca ma non gli vedi, così controllai in bagno ma non erano neanche lì. Mandai un messaggio a Bill: "Dove siete?". Dopo un po' mi rispose che erano dietro la discoteca, vicino ai bidoni della spazzatura. Uscii di corsa dal locale ed andai dietro. Finalmente gli vidi e mi avvicinai correndo. Lasciai la borsa a Bill e mi avvicinai a Tom e l'altro tizio. Tom aveva il sangue che gli usciva dal naso e l'altro aveva un occhio nero, probabilmente non gli bastava. Gli staccai e mandai Tom da Bill e iniziai a lavorarmi il tipo. -Allora, bamboccio, hai il coraggio di batterti con una ragazza?- dissi io guardandolo con aria di sfida. -Con una ragazza? Ma certo, ma ho paura di rovinare il tuo bel visino.- mi disse avvicinandosi. -Non ti preoccupare del mio bel visino, preoccupati del tuo.- disse calma avvicinandomi a mia volta. Lui si mise a ridere, ma per poco perchè iniziai a colpirlo con delle mosse di karate. Dopo un po' era disteso a terra che mi implorava di smettere. Io smisi e mi misi a braccia con serte aspettando che si alzasse e corresse via. Fece così: si alzò di scatto e scappò via spaventato. -Scappa, e non farti più vedere, feminuccia!- gli urlai ridendo mentre l'individuo scappava. Mi girai e vidi i gemelli che mi guardavano a bocca aperta. Nel frattempo Tom si era asciugato il naso con un fazzoletto di carta. La mia mano sanguinava, dovevo essermi tagliata con un pezzo di vetro quando feci una ruota all'indietro per allontanarmi dal tizio. Presi la borsa dalla mano di Bill e mi allontanai andando davanti alla discoteca. Mi sedetti su una panchina e presi dei fazzoletti per asciugarmi il sangue che mi usciva dal palmo della mano. Dopo tutto ne era valsa la pena, la prossima volta che qualcuno sfiora Tom lo ridurrò a brandelli. Ti voglio bene Tom. Dopo mi raggiunsero anche i ragazzi e andammo tutti insieme a casa. Che serata ragazzi.
  
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