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Autore: Fusterya    22/03/2012    2 recensioni
*POSSIBILE SPOILER* per chi non abbia ancora visto la serie LUTHER e abbia intenzione di farlo.
Allora, questa pazzia è stata ispirata da una bellissima foto che ritrae insieme Benedict Cumberbatch, Hugh Laurie e Idris Elba. L’ho scritta di getto, divertendomi un sacco, e non mi sembra poi un crossover tanto inverosimile: Sherlock che si scontra professionalmente con House, sotto l’occhio vigile di Luther… e John che fa delle considerazioni su tutto questo. E’ una storia di amicizie sottaciute o appena nate… ma non per questo meno sincere. Enjoy!
*DISCLAIMER=nulla mi appartiene, obviously!*
Genere: Mistero, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, John Watson , Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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L’aria nello stanzone largo e spoglio è livida, glaciale.
I neon gettano ombre oscure sui volti, sull’atmosfera che respiriamo.
Due paia di occhi limpidi si guardano in cagnesco da posizioni opposte, si vogliono ammazzare a vicenda.
Ma non adesso.
Sul tavolo da obitorio che li separa c’è il cadavere di un uomo: un brutto cadavere per un uomo così importante.
Il suo aspetto è atroce, non vorrei essere qui, anche se ormai dovrei esserci abituato.
“Allora, ragazzino, vediamo: per te non è un virus?”
L’uomo più magro e più anziano, quello con lo sguardo più sprezzante, prende a passeggiare attorno al tavolo appoggiandosi al bastone con tutto il suo peso.
“Se lo è, non è SOLO quello” ringhia l’altro.
 Sherlock.
Ragazzino???
“Le punte delle dita sono nere, i nervi delle braccia sono  spastici”
L’uomo col bastone ridacchia.
 “Pensi sia veleno? Vedi solo quello che vuoi? ”
“Non è veleno” romba- sì, letteralmente romba – un vocione dietro di loro.
L’ispettore capo John Luther è seduto mollemente poco più in là in una poltroncina troppo piccola e giocherella col telefono “ Il tossicologico è negativo”
“Ci sono veleni che non risultano al tossicologico!” ribatte Sherlock senza mai distogliere lo sguardo dal suo antagonista, che sorride beato.
“Non in questo caso” risponde Luther alzandosi lentamente e andando verso di loro.
Li sovrasta entrambi di almeno 15 centimetri, potrebbe tranquillamente prenderli per le rispettive nuche, far scontrare le loro fronti e ucciderli sul colpo senza nemmeno sgualcirsi la cravatta: “dalle prove risulta che il ministro sia rimasto segregato in quella stanza di cemento senza alcun tipo di contatto con alcuno, o alcuna sostanza attualmente conosciuta, per almeno 36 ore, poi è morto. ”
“Abbiamo i risultati delle analisi dei suoi fluidi corporei, l’unica altra cosa trovata nel bunker “ lo interrompe malamente lo zoppo alzando una mano per zittirlo “lo sappiamo”
“Ci sono mille modi per far assumere qualcosa a qualcuno, Gregory!” insiste Sherlock “mi meraviglio di te.”
“Ma non in questo caso” sibila l’altro.
“Come fai a dirlo?” Sherlock socchiude gli occhi in due fessure rancorose.
“Perché tu non sai nemmeno dove cominciare a cercare, e questo mi fa pensare: non è un veleno”
“Nemmeno tu sai cosa stai guardando”
“Ma lo saprò presto” l’altro rotea in aria il suo bastone come Charlie Chaplin “John, cosa hanno dichiarato quei testimoni di cui ci parlavi?”
Per lui John è solo Luther, non io.
Io non esisto.
Non mi ha neanche guardato in faccia quando ci hanno presentati, stamattina… e non mi dispiace. Avere a che fare ogni giorno con uno squilibrato è già abbastanza per le mie forze.
“i signori Folsom: hanno solo visto da casa loro un elicottero volare basso sull’autostrada varie volte nei giorni precedenti, niente altro. Non ci sono altre tracce, avvistamenti, nulla. Quell’auto è stata inghiottita nel nulla.”
Sherlock sorride maligno.
“Il nulla non esiste” prende una pausa “… e tutti mentono” sussurra.  
“Questo te l’ho insegnato io, Sherlock.” ribolle l’altro.
“Sì, ma sembra che tu lo abbia dimenticato.”
Si fissano in silenzio.
 Luther li aggira e viene verso di me.
“Dottor Watson, che ne dice di andarci a prendere un caffè prima che qualche fulmine accidentale ci colpisca?”
Devo alzare di parecchiola testa per poter guardare il suo volto nero e lucido e i suoi occhi limpidi.
“Ottima idea, ispettore.”
Ci avviamo insieme e penso a quanto io debba sembrare ridicolo al fianco di questo gigante nero.
“Dottor Watson!” esclama una voce alle mie spalle prima che io oltrepassi la porta.
Mi giro e il pazzo col bastone lo sta puntando verso di me “controlli la sua glicemia più spesso.”
Adesso basta.
“La mia glicemia non ha problemi, sono un medico anch’io”
Quello si mette a ridere.
“John, è meglio se vai” mi esorta Sherlock sempre senza MAI smettere di seguire con lo sguardo il dottor Gregory House.
Lo penso anche io, ma ciò non mi impedisce di mormorare un “vaffanculo” mentre esco dalla stanza.
Con immenso sollievo.
Sono fuori con Luther, finalmente respiriamo aria fresca: è una bella giornata, c’è un sole intenso che ci fa stringere gli occhi per il riverbero.
Lui sta fumando lentamente, con soddisfazione.
“Che atmosfera, lì dentro” esordisco io.
Luther sorride.
E’ un brav’uomo. Uno dei migliori. Non è la prima volta che ci incrociamo durante le indagini: lui fa parte della SCU (Serious Crime Unit), un’altra divisone, ma certe indagini complesse si incrociano sempre più spesso, ultimamente, soprattutto se in giro ci sono certi pazzi.
A Sherlock piace, Luther.
Non gli fa mai battutacce, non lo zittisce, non gli chiede di smettere di pensare.
Non lo ammetterà mai a parole, ma gli piace. E anche a me.
“Due geni al lavoro in 5 metri quadri, non mi stupirei se esplodesse il palazzo” dice divertito.
Ridiamo insieme.
Il caso è così grave e delicato che il famoso dottore è stato prelevato da Seattle.
E quando dico prelevato, intendo prelevato… letteralmente. Dall’ispettore capo, ovviamente. Ieri notte, in accordo col governo americano. Con un volo speciale.
“Difficoltà di trasporto?” gli chiedo infatti.
“Uh… infinite. Ho dovuto minacciarlo con la pistola per farlo tacere durante il volo.”
“E ci è riuscito?”
“No”
Ridiamo ancora. Io seguo con gli occhi un autobus a due piani che si allontana veloce nel traffico.
“Non le racconto la reazione di Sherlock stamattina, quando ha scoperto che il suo regno criminale d’Inghilterra era in pericolo”- mi vengono i nervi solo a ripensarci.
“Posso immaginarlo: anzi, lo so. E’ stata l’unica cosa che ha zittito l’esimio dottore quando gli ho comunicato che qui avrebbe trovato un nostro… esperto speciale. Non mi ha nemmeno chiesto chi fosse, lo sapeva già.”
“Si conoscono da molto tempo, è evidente” affermo io. La frase dello zoppo: “questo te l’ho insegnato io”.
Il loro modo di guardarsi, di affrontarsi. Quei “Gregory” e quegli “Sherlock” pronunciati con un astio non giustificato tra estranei o lontanissimi conoscenti.
Nemmeno tra estranei o lontanissimi conoscenti geniali e sociopatici il cui scopo di vita è essere primedonne 24/24 h.
“E’ evidente” mi fa eco Luther, sovrappensiero.
Poi spegne la sigaretta nel posacenere pubblico affisso alla parete dietro di noi e si infila le mani nelle tasche del trench,  girandosi a guardarmi.
“Come sta Sherlock?”
Io lo guardo con aria interrogativa.
“Dopo quella storia della finta morte” specifica “so che è stata dura per lui. Tutto quel fango addosso… la riabilitazione deve essere stata un incubo. Per non parlare del ritorno a una vita normale”
So che l’argomento deve toccarlo particolarmente, visto il passato di Alice.
“Sherlock Holmes non ha mai avuto una vita normale, non credo sia quello il problema. Né gli importa cosa pensa la gente di lui”
“Ma per il suo lavoro è importante cosa pensa la gente di lui, e lui lo sa” mi corregge “per fortuna alla SCU* sappiamo chi è.”
“Comunque sì, sta abbastanza bene” gli rispondo finalmente, e mi sento triste per me stesso.
Io non sto bene.
 Se solo sapesse, ispettore capo, cosa ha significato PER ME tutto ciò.
Che incubo sia stato per me.
 Quanto io fatichi tuttora a chiudere gli occhi, di notte, perché lo vedo ancora lanciarsi da quel tetto.
 O quanto io debba combattere per soffocare la rabbia che provo per il suo inganno, nonostante la felicità per il suo ritorno.
Una rabbia che solo l’amore più profondo riesce a tenere a bada.
“E’ un bravo ragazzo” mi dice guardando lontano ”Lo tenga sempre d’occhio, dottore. E’ diventato un uomo migliore da quando c’è lei.”
Io annuisco. Il complimento intrinseco mi lusinga, soprattutto se proviene da un uomo come lui.
Un uomo in gamba, che ha avuto un sacco di problemi per i suoi metodi non ortodossi, ma dalla morale salda e dal coraggio ineguagliabile.
Uno come Sherlock, dall’intelligenza vorace e sempre in moto.
Uno come me, che ha spesso salvato vite d’istinto, con avventatezza e fin troppa violenza.
Uno che può capire. Su cui si può contare.
Un amico.
Mi scrollo di dosso quella sensazione nello stesso tempo di disagio e di piacere che le parole di quest’uomo mi hanno procurato.
Cerco di cambiare argomento e trovo lo spunto nel bagliore giallo della lucida e nuovissima fede matrimoniale che spicca al suo anulare sinistro.
Una rinascita dopo il periodo buio di Zoe e quel finale assurdo.
“Come sta Alice? Come va la vita matrimoniale?”
“Oh… complicata. Ma bene” sorride lui “non è facile essere sposati con chi hai arrestato e poi hai aiutato a evadere da un ospedale psichiatrico. Ma penso che lei mi capisca bene, dottor Watson.”
Ridiamo insieme. Io forse arrossisco anche un po’.
“Eccetto che io non sono sposato, non ho ancora fatto quell’errore”
“Io sì, e non me ne pento”
La loro storia la conoscono tutti.
Quattro anni fa Alice Morgan è stata la più ricercata criminale d’Inghilterra, braccata quasi quanto Moriarty.
Anche lei possiede una mente eccelsa, pericolosissima.
Ha trovato in Luther un alleato potente, uno che è stato al suo gioco fin da subito, che l’ha compresa fin nella sua più intima essenza.
Lei lo ha aiutato in una situazione davvero estrema, e lui ha accettato quell’aiuto senza farsi problemi.  
Lei lo ha desiderato dal primo giorno. E lui ha cercato di resistere, è passato attraverso l’inferno, ma poi ha dovuto cedere.
 Non ha potuto semplicemente combatterla.
 Io so bene di cosa stiamo parlando.
La sua utilità di scienziata le ha consentito di riabilitarsi, tutte le accuse sono state fatte cadere in cambio di un totale impegno a favore del governo britannico: sempre fiancheggiata, controllata e protetta dal suo uomo, colui che l’ha fatta dichiarare innocente.
Ma Sherlock e io conosciamo la verità.
E lui lo sa.
Perso in questi pensieri, non mi accorgo che sto facendo la domanda più stupida che mi sia mai salita alle labbra: “Figli?”
Mi guarda stupito e io mi vergogno immediatamente di essere stato così idiota.
“Ecco… no. Alice non ha esattamente quello che si può chiamare istinto materno” si raschia un attimo la gola “né io vorrei mai che…”
Non termina la frase, ma la sua fine ovvia è: né io potrei mai accettare il rischio di avere figli da una scheggia impazzita come lei e rovinare la loro vita per sempre.
 “Ma certo. Certo… chiedo scusa”
“Non ti scusare, John. Posso chiamarti John? Dopotutto siamo nella stessa barca” . E’ passato al tu perché c’è questo filo perverso ed indistruttibile che lega entrambi.
Due menti geniali e distorte che hanno preso totale possesso delle nostre vite, lasciandoci impotenti.
Dovremmo uscire a ubriacarci insieme, io e lui.
“Certo che puoi… John. Mi fa piacere.” Mi sento bene in sua compagnia, sento che posso parlare “Quella domanda, quella dei figli… è stata spontanea. Un’idiozia. E’ che a volte è bello illudersi che esistano anche delle vite normali, là fuori. Per un attimo ho desiderato che almeno tu ne avessi una.”
Luther mi guarda sornione. Non è quel cane rabbioso che tutti hanno sempre descritto.
Sorride sempre.
Sorride solo a chi vuole lui.
“Dovremmo andar fuori per una birra insieme qualche volta, John. Abbiamo davvero tante cose in comune”, mi dice.
“Mi farebbe davvero piac…”
Il pesante portone di metallo si spalanca alle nostre spalle con un forte spostamento d’aria.
Sulla soglia c’è Sherlock che ci guarda glaciale. Poi fissa solo me.
“Andiamo. Lo storpio e io abbiamo risolto”.
 Il disprezzo nella sua voce provoca una simultanea risata di gola a me e a Luther.
Sherlock guarda noi con lo stesso disprezzo.
 “Idioti!”
Rientra sdegnato, con un movimento rapido che fa svolazzare il cappotto come il mantello di Batman.
 Noi lo seguiamo ridendo e dandoci pacche sulle spalle (sempre che una manata di John Luther non mi mandi all’ospedale).

Più tardi siamo nel taxi verso casa. Sherlock è ancora di cattivo umore. Braccia conserte e muso arricciato dal dispetto.
Io invece sono ancora molto divertito.
“Allora…” rompo il silenzio forzato con una certa soddisfazione “chi di voi due ci è arrivato prima?”
“Nessuno dei due” bofonchia con lo sguardo fisso oltre il finestrino.
Per oggi non me lo dirà.
“Chi è il dottor Gregory House? Come lo conosci?”
Si gira verso di me stupito dalla mia crassa ignoranza. Poi sbatte le ciglia e sembra ammorbidirsi un po’.
“Giusto, tu non sei del giro, non puoi sapere chi è”
Poi tace.
“E allora?” Incalzo io.
“Dobbiamo proprio parlare di lui?”
“Mi farebbe piacere, sì”
“È uno dei più grandi geni della medicina diagnostica. Il più grande.”
Mi suona strano sentire Sherlock fare dei complimenti disinteressati alle spalle di qualcuno.
In quel campo, poi!
“E perché lo odi?”
“Oh, non lo odio. Mi innervosisce la sua spocchia.”
“Senti chi parla, sembravi tu fra 20 anni.”
Mi guarda sottecchi, deve bere un po’ di amor proprio per dire ciò che sta per dire:
“Ho imparato da lui tutto ciò che so in campo medico, a Seattle. Ci ho passato un lungo periodo qualche anno fa” confessa.
Poi torna a guardare fuori, forse con vaga tristezza.
Sono sorpreso. Che cosa curiosa!
“Doveva essere DAVVERO importante per riuscire  a farti vivere negli Stati Uniti per un po’...”
“Non uscivo mai di casa”
“Non ne dubito”
“Ma ne valeva la pena, era il migliore”
“… E indoviniamo chi è il migliore adesso” sospiro io.
Per un attimo penso alla mia glicemia e deglutisco nervosamente.
Mi guarda intensamente e tace. Se non lo conoscessi come credo, potrei dire che prova nostalgia.
“Credo sia stato la cosa più vicina a un padre che io abbia mai avuto. In senso… didattico, intendo”
“Cioè sei un maleducato disadattato folle misantropo perché lo hai imparato da lui?”
“Oh no, lo sono sempre stato” sorride con un solo angolo della bocca “lui mi ha insegnato ad affinare l’arte dell’osservazione immediata. Il metodo. Il saper focalizzare l’attenzione sulle cose davvero importanti alla prima occhiata”
“Immagino che andaste d’amore e d’accordo”
“Ma certo. Quello che hai visto oggi era un piccolo assaggio”
Io resto un attimo interdetto, qualcosa mi lascia perplesso.
Poi guardo il suo sorrisetto da faina e finalmente intuisco.
“Aspetta… fammi indovinare, lo hai fatto chiamare tu per aiutarti in questo caso... ”
“Oh, certo” si appoggia comodo sul sedile, testa indietro e occhi chiusi “sarò orgoglioso ma non stupido. Gli ho telefonato ieri mattina, ha accettato subito”.
“Ma Luther ha detto che non voleva venire, che… oh…” mi mordo le labbra. Sembrerò SEMPRE così idiota vicino a lui?
“Ti ha retto il gioco per non far capire a nessuno che volevi aiuto?”
Sherlock sorride a labbra chiuse.
Riesce a sorprendermi nei modi più impensati.
Ormai sappiamo benissimo tutti che non è vero che a nessuno, a parte me, importi di lui: Molly, Lestrade, Mrs Hudson, Mycroft, Luther stesso ne sono la prova.
Ma che sia lui a mostrare dei legami con altri… beh… legami forti…  E a raccontarmene soddisfatto...
Questo è notevole, Sherlock.
Notevole quasi quanto ammettere senza troppi giri di parole – anche se soltanto a me-  di aver avuto bisogno di una mano.
“Sono… colpito” ammetto.
“Oh, non pensare che sia venuto gratis!”
“Cosa? Lo hai… pagato?”
“Nel modo che più gli piace, stai tranquillo”.
Sherlock si sistema meglio nel sedile e resta zitto, sempre con quel mezzo sorriso furbo stampato sulle labbra.
Lo stesso sorriso che sta increspando ora le labbra del dottor House dinanzi alla visione di innumerevoli confezioni di Vicodin ben ordinate in una scatola di metallo appoggiata sul tavolo di un ufficio dell’obitorio.
Luther la chiude con uno scatto: il volo è governativo, nessun controllo.
“Andiamo, dottore?”
Quello si appoggia al bastone.
“Che ne pensa di quel Watson, ispettore capo?”
Luther si addrizza nelle spalle e prende un grande respiro.
“Sherlock è in buone mani, penso che meglio di così non gli sarebbe potuta andare.”
Gregory House annuisce, mordicchiandosi l’interno della guancia destra.
“Bene. Sì… bene”
Poi si avvia, precedendo il suo gigantesco accompagnatore.
E questa volta il suo passo è più spedito, più leggero.
 
  
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