Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: bacinaru    22/03/2012    4 recensioni
"Alla verità non si può fuggire in eterno e Gregory la trovò a casa, ad aspettarlo tra le lenzuola del letto disfatto. Non fu tanto la vista di sua moglie che si scopava allegramente il vicino di casa – neanche si erano accorti della sua presenza sulla porta, tanto erano forti (e volgari!) i loro gemiti di piacere – ma piuttosto la triste consapevolezza di aver sempre saputo e non aver mai fatto nulla a riguardo, che lo fece voltare ed uscire fuori dall'appartamento di corsa, senza una parola."
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lestrade , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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III Capitolo

A wasted day off







Lestrade mugugnò infastidito, il viso premuto per metà nel cuscino e una striscia di bava che colava in modo indecente dalle labbra. Il rivestimento del divano in pelle premeva duro tra le scapole, ma ci aveva ormai fatto l'abitudine. Non era quello a recargli fastidio, piuttosto il suono indistinto che turbò all'improvviso la calda quiete del mattino.
L'ispettore cercò di ignorarlo, forse così lo avrebbe lasciato riposare in pace.
Tuttavia il battito - adesso riusciva a distinguerlo bene – continuò a lungo, tanto che alla fine Lestrade immaginò di avercelo in testa. Qualcosa che gli martellava le tempie fino a fargli esplodere il cervello.
Con un ultimo grugnito infastidito, aprì gli occhi ancora appannati dal sonno e si mise a sedere con  fatica.
Sua moglie era in viaggio con amiche, quindi lei non poteva essere.
- Chiunque sia, giuro che lo ammazzo.
Borbottò, mentre metteva i piedi fuori da letto e si alzava di malavoglia, incurante delle coperte che cadevano sul pavimento sporco.
Ricordandosi all’ultimo di mettere almeno la vestaglia, lanciò uno sguardo alla sveglia sul tavolino lì davanti: otto e mezza.
- Ce ne ha messo di tempo, Lestrade.
Avrebbe dovuto immaginarlo.
Una volta aperta la porta, Sherlock Holmes si precipitò all'interno, come scottato dalla calda luce di maggio. Lestrade non si aspettò un “buongiorno” né uno “scusi se la disturbo, posso entrare?”. In realtà non si aspettava neanche di vederlo lì, in casa sua, proprio nel suo giorno libero.
Dopo lo shock iniziale, che tentò di smaltire stando a fissare per un minuto e tre secondi il viale fuori casa ancora deserto, chiuse la porta e raggiunse Sherlock in soggiorno.
- Cosa diavolo ci fai qui a quest'ora?
A differenza dell'altro, aveva smesso di dargli del “lei” da tempo ormai.
Lestrade era l'emblema dell’uomo appena gettato giù dal letto. La vestaglia aperta mostrava i pantaloni scuri, così larghi che erano lì lì per cadere. Sopra ad essi, una canottiera bianca (più sul grigio, in effetti), era un po' arricciata sul fianco destro. I capelli erano un disastro e  sulla guancia destra era rimasto ancora il segno del guanciale. Inoltre, la sua irritazione era evidente e l'ispettore non fece nulla per nasconderla.
Sherlock non se ne accorse, o – molto più probabile – fece finta di non notare.
- Non capisco quale sia il problema.
Si aggirava tra soggiorno e cucina in preda ad un'eccitazione esagerata, abbracciando tutto con lo sguardo.
Solo guardarlo gli faceva girare la testa.
- Sherlock, datti una calmata. Cosa accidenti vuoi?
Lestrade si diresse di nuovo al divano, con l'intenzione di sedersi e magari riaddormentarsi senza aver cura di nulla. Al diavolo l'educazione!
Sherlock, ovviamente, aveva altre idee.
- Non si preoccupi di mettersi seduto, ispettore. Abbiamo da fare!
Il ragazzo lo prese per le braccia e iniziò a spingerlo nel corridoio con energia disarmante.
- Si vesta in fretta!
Lestrade tentò di frenare con i piedi – per poco non inciampò, e Sherlock con lui.
- Di cosa diavolo parli?!
Il più giovane alzò gli occhi al cielo.
- Un caso, Lestrade! Cos'altro?
- Ma è il mio giorno libero!
No, non aveva la minima intenzione di lavorare.
- Non più. L'ispettore Hount è stato davvero contento di cederle l’indagine.
Lo disse con tanta innocenza da apparire spudoratamente falso.
Lestrade era sul punto di protestare ancora, ma convenne che parlare non avrebbe giovato al suo mal di testa, ormai compagno di vita.
- Ti odio, sai.
Borbottò, entrando in camera e sbattendo la porta, con il sorrisetto di Sherlock che gli pizzicava dietro la nuca.
- Non dica bugie, ispettore.



Lestrade tentò in malo modo di nascondere l'indecente sbadiglio che gli si formò sulle labbra, mentre quasi correva per tenere il passo veloce di Sherlock.
Il giovane gli aveva snocciolato tutte le informazioni sul caso, mentre lo aveva costretto a guidare in auto fino al St. Bartholomew's Hospital.
Lestrade appuntò mentalmente di leggere di persona il fascicolo, una volta tornato in ufficio.
Guidare e seguire contemporaneamente la parlantina di Sherlock era stato umanamente impossibile, soprattutto alle nove di mattina, nel tuo giorno libero e senza neanche aver fatto colazione.
Arrivati a destinazione, Sherlock spalancò le porte dell'ospedale con impazienza, pur mantenendo la sua caratteristica eleganza. Quell'uomo era un caleidoscopio di certezze e misteri: sembrava avere la risposta a tutto, ma la sua persona era un'incognita impossibile da risolvere.
L'ospedale era un via vai continuo di personale e pazienti, che attraversavano l'atrio circolare per dirigersi chi in un reparto, chi in un altro.
Sherlock non se ne curò e tirò dritto, diretto all'obitorio.
Lestrade lo seguì con l'ennesimo sospiro della giornata, chiedendosi quale divinità avesse fatto infuriare per non poter godere del suo meritato riposo.
Man mano che si avvicinavano alla meta, scala dopo scala, il brusio della gente iniziò a diminuire e ben presto si poterono udire soltanto i loro passi.
Sarebbe stato preoccupante vedere molta gente nei pressi dell'obitorio, ma quel silenzio gli lasciava sempre un senso di inquietudine, monito perpetuo di ciò che celavano quelle mura.
Ad accoglierli nella stanza fredda e bianca fu una ragazza che Lestrade non aveva mai visto.
Era impegnata a compilare alcune carte, tanto da non accorgersi della loro presenza – almeno fino a quando Sherlock non aprì bocca.
- Dov'è Alison?
La giovane donna sobbalzò per la sorpresa, voltandosi finalmente a guardarli.
Aveva un'area un po' spaesata e le guance le si tinsero subito di rosso, in netto contrasto con gli occhi scuri e i capelli castani, raccolti in una maldestra coda di cavallo.
- Oh... ehm... non è... non è qui.
Squittì in imbarazzo, spostando in continuazione lo sguardo da Sherlock all'ispettore.
- Ovviamente.
Le rispose Sherlock, infastidito dalla banalità di quella risposta.
Lestrade intervenne prima che l'altro potesse incombere su quella povera creatura.
- Sono l'ispettore Lestrade, di Scotland Yard. Lei è....
Le disse con un sorriso rassicurante, mentre le porgeva una mano.
La ragazza gliela strinse, sorridendo con gli occhi un po' bassi.
- Molly Hooper. Sono...
-Il nuovo patologo, ovviamente. Questo è il suo primo giorno di lavoro.
Intervenne Sherlock, con lo sguardo che già spaziava nella stanza alla ricerca del giusto sacco nero.
- Come...-
-Avremmo una certa fretta, Molly. Le avranno già detto perché siamo qui.
Lestrade guardò Sherlock sorridere, con suo grande stupore.
Da quando avevano iniziato a lavorare insieme – circa sette mesi, ma parevano molti di più -  Sherlock non aveva mai sorriso in quel modo. Sembrava quasi volesse affascinare la ragazza, per scopi che l'ispettore era sicuro non fossero quelli giusti.
Comunque fosse, Molly ne rimase estasiata e si mise subito al lavoro.
Greg si era sbagliato: lui il diavolo ce lo aveva accanto.
Molly controllò su una tabella quale fosse il sacco giusto da mostrare loro.
Ad un'osservazione più attenta anche Lestrade poteva capire che quella ragazza non aveva una grande esperienza. A prescindere dall'età e dalla timidezza, i suoi gesti erano impacciati e gli appunti e le annotazioni che stava leggendo non erano certo opera sua.
Era capitato anche a lui e sapeva per esperienza che gli appunti di altri non sono facili da interpretare. Per questo preferiva prendere sempre nota da sé, per avere tutti i concetti ben fissi nella mente e studiarli con attenzione in ogni particolare.
Lestrade sentì Sherlock sbuffare impaziente e gli rivolse uno sguardo di rimprovero, che l'altro ignorò come sempre. Sperava solo che non iniziasse a tormentare la poveretta, rinfacciandole uno dei suoi segreti più intimi, magari.
In quel caso, sarebbe stata la volta buona che lo arrestava per molestie.
-Ecco! E' lei!-
Molly sembrava aver trovato il suo cadavere.
Macabra constatazione, ma almeno Sherlock ne sembrava contento.
I due uomini si avvicinarono al sacco nero, mentre questo veniva aperto in due per mostrare il corpo di una ragazza. Doveva avere circa vent'anni.
Era bella, nonostante tutto, con i riccioli scuri che le circondavano il volto cereo e il corpo magro, ma non troppo. I vestiti le erano già stati tolti e sul petto pallido spiccava il buco profondo che, con ogni probabilità, le aveva tolto la vita. La ferita aveva una forma strana: non era stata provocata da un'arma da fuoco, ma nemmeno da un coltello; era più piccola e di forma quadrata.
-Allora, l'arma del delitto è...
Lestrade iniziò con tono pacato, mentre osservava attento le mosse di Sherlock. Il giovane,  dopo aver allontanato Molly con un altro di quei suoi stranissimi sorrisi – stava tramando qualcosa, ne era certo – aveva iniziato a girare attorno al corpo, osservandolo con una piccola lente di ingrandimento tascabile.
- Ne abbiamo già parlato in macchina.
- Stavo solo riepilogando. A noi comuni mortali torna utile qualche volta.
Rispose sarcastico, ma Sherlock lo ignorò ancora una volta.
Si piegò sul petto della donna, osservando attentamente la ferita attraverso la lente.
- Un crocifisso.
- Un crocifisso, giusto.
- Era davvero necessario ripeterlo?
Sherlock terminò il suo esame, sfilando i guanti in lattice dalle dita affusolate.
Lestrade continuò a guardare il corpo e quella ferita dalla forma singolare. Se l'arma del delitto era un crocifisso, le cose non si mettevano affatto bene. Avrebbe potuto essere una sorta di rituale di qualche setta e se fosse stato così, la probabilità che presto se ne sarebbe verificato un altro era alta.
-Non è un rituale, ispettore.
Lestrade alzò la testa di scatto, distolto dai suoi pensieri.
Sherlock lo fissava con il solito sorrisetto arrogante e per un attimo Gregory si chiese se fosse anche in grado di leggere la mente.
- Come...?
- L'interno della ferita. E' troppo irregolare: il crocifisso era scheggiato e le tracce di legno provengono da materiale poco costoso. Se fosse stato un rituale, a compierlo sarebbe stato un credente, ovviamente, e un vero credente non avrebbe utilizzato qualcosa di così poco raffinato. Avrebbe utilizzato un crocifisso consacrato, tenuto in buono stato. Quindi non è stato un rituale, ma è stato fatto in modo che sembrasse tale.
Lestrade assorbì bene le informazioni.
- Quindi hanno cercato di depistarci.
- Ottimo, ispettore.
Si congratulò l'altro, ma di certo Lestrade non lo prese come un complimento.
Sherlock non faceva mai complimenti, al massimo poteva trattarsi di un piccolo riconoscimento.
Come a dire che per una volta il suo cervello aveva deciso di mettere a frutto qualcosa di vagamente intelligente e quindi si alzava di appena un gradino al di sopra degli altri, restando comunque mille miglia lontano dalla cima. Gregory immaginava ci fosse Sherlock sull'ultimo gradino: una figura scura stagliata lontano, alta e imponente e irraggiungibile.
- Ho bisogno di vedere la scena del crimine.
Annunciò Sherlock, all'improvviso.
- Come, non l'hai già vista?
Fu divertente – Lestrade fece uno sforzo enorme per non mettersi a ridere -  vedere la piega quasi invisibile che increspò le labbra del più giovane, creando una buffa smorfia di disappunto.
- Non mi hanno fatto entrare.
A quel punto non ce la fece a trattenersi e una risata leggera gli sgorgò dal fondo della gola.
- Cosa ti aspettavi? Avresti bisogno del distintivo per accedere ad una scena del crimine.
Sherlock lo fulminò con lo sguardo, ma Lestrade aveva imparato dal migliore ad ignorare certe cose.
- Andiamo, te la mostro.
L'ispettore si morse il labbro inferiore per impedirsi di ridere ancora, ma il solo pensiero di qualcuno che osava impedire qualcosa a Sherlock era esilarante.
- Aspetti, devo chiedere una cosa. Molly?
Lestrade guardò dubbioso la ragazza avvicinarsi. Aveva come l'impressione che non avesse mai smesso di fissarli – o meglio, fissare Sherlock –  dall'angolino in cui si era nascosta per tutto il tempo.
Strana creatura.
- Si? Avete bisogno di qualcos'altro?
Chiese timida, gli occhi rivolti quasi con fatica verso l'alto, puntati in quelli di Sherlock.
In confronto alla donna, l'uomo pareva un gigante.
Non che Gregory fosse poi così alto.
Sherlock sorrise - di nuovo?
Una nuova catastrofe stava per abbattersi sulla Terra e lui non ne sapeva niente?
- Sono certo che Alison ti avrà già riferito le mie richieste, Molly-
Il modo in cui aveva pronunciato il nome della ragazza fece salire un brivido spiacevole lungo le scapole dell'ispettore.
- Richieste?
- Non te ne ha parlato? Un vero peccato. Mi aveva promesso alcuni campioni.
- Campioni?
- Dita. Si tratta di un'importantissima ricerca scientifica.
Adesso Lestrade capiva benissimo a cosa servisse quel sorriso.
- Oh... beh... è una strana richiesta, ma se le servono...
Molly spostò incerta gli occhi da lui a Sherlock, ma bastò che le labbra del giovane accentuassero un po' di più il sorriso palesemente falso, che Molly gli sorrise radiosa.
- Certo. Vado a prenderle.
E si dileguò, lasciando uno Sherlock profondamente soddisfatto e un Lestrade a dir poco scioccato.
- Alison non ti ha promesso niente. Anzi, se non sbaglio ti ha vietato categoricamente di rubare pezzi di cadavere dall'ospedale!
C'erano tanti motivi per cui Lestrade avrebbe potuto arrestare Sherlock, ma in qualche modo sapeva sarebbe stato inutile.
Sherlock lo guardò inarcando le sopracciglia, come se fosse davvero confuso.
- Non li sto rubando. E' Molly a darmeli.
Gregory aprì la bocca per ribattere, ma si limitò a scuotere la testa.
Era del tutto inutile.
Sherlock distolse lo sguardo e si guardò attorno in attesa.
Passarono un paio di minuti, durante i quali l'unico gesto da parte del giovane fu quello di toccarsi  inconsciamente il braccio sinistro, prima che interrompesse il silenzio.
- Lei può andare, ispettore. La raggiungerò più tardi.
Lestrade, le mani giunte dietro la schiena, lo guardò con le sopracciglia piegate verso il basso.
- Non è un problema, posso aspe...
- No, non può. Vada.
Sherlock non lo guardava, ma l'ispettore era sicuro che ci fosse qualcos'altro oltre al fastidio di restare in attesa con lui. D'altronde, Sherlock non si sarebbe mai fatto problemi neanche a farlo aspettare ore al gelo sotto la pioggia – come era già capitato, dopotutto.
Prima che potesse chiedere qualsiasi cosa, comunque, l'altro lo anticipò.
- Devo fare una cosa. La raggiungerò più tardi.
Il tono usato aveva messo la parola fine a quella conversazione.
Lestrade sospirò frustrato. Di certo Sherlock non gli avrebbe mai detto quale fosse questo impegno improrogabile di cui doveva occuparsi. Più importante di una scena del crimine?
- Va bene, ci vediamo lì.
Lasciò la stanza senza guardarsi indietro, ma con addosso la strana sensazione che qualcosa non quadrava. Forse Sherlock era eccezionalmente bravo nel capire le mosse degli assassini o nell'individuare qualsiasi tipo di indizi, ma anche Lestrade era bravo a capire certe cose, cose che Sherlock non era in grado di scorgere.
Ci avrebbe pensato in seguito. Ora aveva un crimine da risolvere.
Infatti, avrebbe dovuto passare in ufficio per prendere il fascicolo relativo al caso e verificare tutte le informazioni importanti.
Stava appunto per lasciare l'ospedale, quando una strana discussione attirò la sua attenzione.
- Sei tu l'unica ad avere le chiavi e un movente! Lo so che sei stata tu!
- Io non ho fatto nulla, lo giuro!
Lestrade si guardò attorno per scovare la fonte del dibattito. La trovò poco distante da lui, in un angolo dell'atrio circolare. C'erano due ragazze – due infermiere, a giudicare dal camice azzurro che indossavano –  che stavano discutendo tra di loro. Il tono si era fatto man mano più alto, tanto che molte persone si erano voltate a guardarle. Loro non sembravano darci peso, troppo impegnate nella loro discussione.
Da buon poliziotto, Lestrade decise di intervenire.
- Qualcosa non va, ragazze?
Chiese il più gentilmente possibile, mostrando il distintivo. La più alta sembrava tanto indemoniata che Gregory ebbe paura potesse saltargli al collo. Per fortuna si limitò a leggere il nome sul distintivo, prima di urlargli nei timpani:
- Agente, questa qui è una ladra!
Aveva un viso affilato, occhi piccoli e scuri e un'alta coda di cavallo che raccoglieva i lunghi capelli corvini. Indossava uno spesso paio di occhiali rotondi che le davano un aspetto buffo e allo stesso tempo terribilmente inquietante.
L'altra, più giovane, era minuta e molto magra. Aveva corti capelli biondi e due grandi occhi verdi, un po' spauriti. Si stava contorcendo le mani in preda all'ansia e al nervosismo, ma a Lestrade non sembrava proprio il tipo da rubare qualcosa.
- Cosa è stato preso?
Cercò di informarsi, più per amor della giovane malcapitata. Non bisognerebbe mai accusare nessuno senza avere delle prove ben concrete.
La donna con gli occhiali fece un passo in avanti, verso di lui, e per un attimo Lestrade pensò davvero che lo avrebbe azzannato.
- Farmaci!
- Che tipo di farmaci?
- Per lo più morfina, ma anche altri tipi di antidolorifici.
Rispose la più giovane, guardandolo intimorita.
Lestrade le sorrise gentile, cercando di rassicurarla.
Fino  a prova contraria restava innocente.
- Avete già parlato con la polizia?
Chiese con la fronte corrugata. Sembrava trattarsi di un semplice furto.
- Lo abbiamo fatto, cinque mesi fa! Non abbiamo più avuto risposta e i farmaci continuano a sparire.
E' stata lei, le dico! Sua nonna è malata e sofferente e le starà sicuramente portando la morfina per aiutarla!
Le due ragazze iniziarono di nuovo a litigare e Lestrade quasi si pentì di aver adempiuto al proprio dovere.
- Calma, calma.
Dopo qualche tentativo riuscì ad ottenere di nuovo la loro attenzione.
- Chi si occupa del caso?
Le due si guardarono un momento, prima che l'accusata lo informasse di non averne memoria.
- Sentite, cercherò di fare qualcosa, va bene? Per adesso nessuno accusa nessuno, ok?
Quella con gli occhiali si morse il labbro inferiore, in dubbio, ma poi annuì.
- Grazie.
Gli disse invece la più giovane, riconoscente.
Lestrade sorrise loro, prima di congedarsi.
Una volta uscito dall'ospedale si passò una mano sugli occhi, sospirando frustrato.
Mentre si avviava verso la sua auto, pensò distrattamente che doveva davvero smetterla di immischiarsi in faccende che non lo riguardavano.
Ogni volta che lo faceva finiva sempre in qualche sorta di guaio.
Sherlock ne era la prova più esemplare.
  
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