~Un
Particolare In Più~
Capitolo
XLIII
L’ultimo addio
-
Avanti, Alex… svegliati, ti prego…-
Luis
Cabrisk se ne stava seduto su di uno sgabello, accanto ad uno dei
lettini
dell’infermeria dove, adesso, era stata adagiata colei che
era da tutti
conosciuta con il nome di Alexandra Black; le stava tenendo una mano
tra le
sue, congiunte quasi nel tipico gesto della preghiera, e le stava
mormorando
quelle parole sulle dita da almeno un’ora.
Dopo
averla lasciata in malo modo sulle rive del Lago Nero, quella mattina,
non
aveva fatto altro che pensare a lei e alla loro assurda litigata: che
cosa gli
era preso, per comportarsi in quel modo? Da quando era tornato ad
Hogwarts, non
era più lo stesso: gli sembrava di essere tornato il giovane
scapestrato di un
tempo, con la differenza che, adesso, riusciva a vedere chiaramente
cosa era
giusto e cosa era sbagliato.
E i suoi comportamenti
erano decisamente sbagliati.
Era come se conoscesse
la differenza tra giusto e sbagliato…solo che preferiva
sbagliare.
Lo
sentiva, ogni volta che parlava, ogni volta che agiva in un determinato
modo;
dentro di sé, lo sapeva, eppure c’era qualcosa di
incontrollabile, nella sua
mente, che lo spingeva ad procedere in quel modo sconsiderato.
Le cose avevano
cominciato a peggiorare sin dal suo arrivo ad Hogwarts.
Sin da quando aveva
cominciato a prendere la Pozione Dell’Età che
Piton gli rifilava almeno una
volta alla settimana…
Già, la Pozione
Dell’Età…
Era stato come un
campanello d’allarme nella sua testa, quella rivelazione
improvvisa…
Come aveva fatto a non
pensarci prima?
Sirius
aveva passato tutta la giornata in biblioteca, alla ricerca di
informazioni
sulla bevanda che Mocciosus gli
stava
propinando e, solo a pomeriggio inoltrato, aveva scoperto quella cruda
e
maledetta verità…
“La Pozione Dell’Età
ha
effetti solamente sull’aspetto fisico della persona che
l’assume e
ringiovanisce il corpo solo per una durata di ventiquattro ore. Basta
un solo
sorso per ritornare più giovane di almeno dieci anni. Se si
desidera
ringiovanire anche la mente, allora un solo ingrediente va aggiunto
alla
miscela: una spruzzata di polvere di ali di farfalla…Ha un
sapore estremamente
dolce, ma bisogna stare attenti alla
quantità…”
Era
questo che recitava il decimo libro di Pozioni al quale aveva fatto
riferimento
e, in quel momento, tutto gli era stato dannatamente più
chiaro.
Piton stava aggiungendo
quell’ingrediente segreto per vendicarsi di lui.
Maledetto, viscido,
schifoso di un Mocciosus!
Oh, lo avrebbe detto a
Silente, questo era chiaro.
Ma prima lo avrebbe
fatto a pezzi con le sue stesse mani, su questo poteva starne certo!
Prima
di tutto, però, aveva voluto trovare Alexis e spiegarle la
faccenda: non poteva
permettere che le cose tra di loro rimassero così! Lui le
doveva una
spiegazione ed ora che ne aveva una plausibile, era quasi contento di
potersi
andare a scusare con lei.
Non vedeva l’ora di
stringerla di nuovo tra le braccia ed essere il conforto che le serviva
sempre
e costantemente.
Il
suo istinto canino lo aveva guidato immediatamente sulle rive del Lago
Nero, dove
era certo che l’avrebbe trovata; ma quando era giunto accanto
alla grande
quercia, gli si era fermato il cuore nel petto.
Alexis
era sì lì, ma era sdraiata a pancia in
giù, con alcune foglie che le coprivano
la schiena – segno che era rimasta lì per molto
tempo – e il viso nascosto tra
le braccia. Era corso immediatamente da lei, allarmato, e
l’aveva girata,
facendole poggiare la testa sulle sue gambe. Lei non si era svegliata e
il suo
viso, contratto da una strana e dolorosa sofferenza, si era limitato a
ciondolare su di un lato, inerme; aveva provato a chiamarla, a
schiaffeggiarla,
ma non c’era stato nulla da fare: sua figlia
non aveva mai aperto gli occhi.
Era
così che, disperato, l’aveva presa in braccio e,
correndo nel modo più veloce
che le sue gambe gli avevano consentito, l’aveva portata in
infermeria.
Madama
Chips, dopo aver fatto tutti i controlli necessari, aveva dichiarato
che la
Black aveva avuto solo un crollo psicologico e che, fisicamente, le sue
condizioni erano stabili. Comunque, se non si fosse svegliata entro
l’indomani
mattina, l’avrebbero trasferita al San Mungo, per fare tutti
gli accertamenti
medici.
Era
per questo che, adesso, Luis Cabrisk se ne stava accanto a lei con aria
torturata, aspettando – o sarebbe meglio dire sperando
– che Alexis decidesse
di riaprire gli occhi e tornare da lui.
Dopo
quelli che, per Sirius Black, furono i minuti più lunghi ed
interminabili della
sua vita, Alexis Potter mugolò nel sonno e poi, lentamente,
riaprì gli occhi.
Senza
dire una parola, il padrino si limitò a guardarla con
apprensione, mentre le
stringeva appena di più la mano tra le sue. La ragazza
sbatté le ciglia più
volte, disorientata, poi, finalmente, voltò il capo ed
incontrò gli occhi
rassicuranti di Sirius Black.
-
Sirius…-
mormorò piano, guardandolo
con aria adesso confusa.
-
Sono qui, piccola mia, sono qui. – sussurrò lui,
baciandole delicatamente le
dita e andando poi a sfiorarle la guancia con una carezza. –
E’ bello sentire
di nuovo la tua voce…per un momento, ho temuto che non ti
saresti più
svegliata…-
-
Che…che cosa? –
Alexis
corrugò la fronte e si guardò intorno,
cominciando a comprendere qualcosa solo
in quel momento: scrutò l’infermeria –
ormai fin troppo conosciuta – con
sguardo assente, mentre prendeva lentamente consapevolezza del fatto
che, di
nuovo, era finita all’ospedale scolastico.
-
Che cosa mi è successo, Sir…Luis? – si
corresse all’ultimo, ritornando
completamente alla realtà.
Si sentiva debole e
spossata, come se avesse percorso migliaia di chilometri, in una corsa
folle e
sfrenata.
Sirius
le sorrise appena, mesto, continuando ad accarezzarle i capelli.
-
Io…non lo so, Alex. – ammise, con un sospiro.
– Ero venuto a cercarti, per
parlarti e per scusarmi del mio comportamento e, quando ti ho trovata,
eri
stesa a terra, sulle rive del Lago Nero, ed eri priva di conoscenza. Tu
non
ricordi niente? –
Alexis
scosse la testa, abbassando lo sguardo e mordendosi il labbro
inferiore,
nervosa.
-
No, mi dispiace…Non mi sono resa conto di nulla. Non so cosa
sia successo.
Madama Chips che dice? – si informò, tornando a
guardarlo.
Sirius
si strinse nelle spalle.
-
Dice che, almeno fisicamente, è tutto a posto. Ha ipotizzato
che potresti aver
avuto un crollo psicologico e, in effetti, capisco che questo potrebbe
essere
colpa mia e…- fece una pausa e, questa volta, fu lui ad
abbassare lo sguardo. –
E mi dispiace, Alex. Lo sai che io non vorrei mai farti del male.-
Piano,
Alexis si mise a sedere e gli prese una mano tra le sue, un sorrisino
gentile
adesso le piegava le labbra.
-
Sì, lo so. – annuì, con fare
rassicurante, accarezzandogli il dorso con gesti
lenti e premurosi.
Lo sapeva che Sirius non
le avrebbe mai fatto del male.
Come sapeva che lui non
era un assassino.
Ed era questo il motivo
per cui aveva litigato con Malfoy.
Già, Draco…Se avesse
dovuto incolpare qualcuno, per il suo crollo psicologico, avrebbe
potuto
incolpare il suo ormai ex-fidanzato, e non di certo il suo padrino.
Anche se, in cuor
suo, sapeva che la colpa di tutta quella situazione era solo di se
stessa e di
nessun altro.
Alexis
sospirò e chinò il capo.
-
Lo so che tu non mi faresti mai del male e…nemmeno io te ne
farei mai. Ma
stamattina ero seria. – proferì, rialzando lo
sguardo e fissando il padrino
dritto negli occhi. – Devi andartene da Hogwarts. Questo
posto non è più sicuro
per te. Ti prego, ti prego: dammi ascolto, per questa volta!
– lo implorò
quasi, sporgendosi dal letto per prendergli il viso tra le mani e
fissarlo da
pochi centimetri di distanza.
Quegli occhi verdi,
quelle splendidi iridi di smeraldo, avevano sempre avuto la splendida
capacità
di parlare; e gli stavano parlando anche in quel momento, pregandolo di
andare
via, per il suo bene.
Per il loro bene.
Sirius
la fissò per qualche altro secondo, in silenzio; poi,
lentamente, la prese per
i polsi e la costrinse ad allontanare le mani dalle sue guance.
Intrecciò le
loro dita e le fissò con sguardo assorto; infine,
inaspettatamente, annuì.
-
Lo so. Hai ragione, Alex. Tu hai sempre ragione. – ammise,
tornando a guardarla
con un sorrisino dimesso. – Hogwarts non è
più un posto sicuro, per me. Ci sono
troppe persone di cui non posso e non
voglio più fidarmi. –
Il
riferimento a Mocciosus era chiaro
ma, non sapeva spiegarsi perché, non ebbe voglia di
confessarglielo. Se lo
sarebbe tenuto dentro, fin quando, un giorno, non avrebbe potuto
assaporare la
sua dolce vendetta.
-
Partirò domani notte, questa è una promessa.
Almeno per oggi, permettimi di
restare accanto a te. – le mormorò, avvicinandosi
al suo viso e lasciandole un
bacio sulla fronte.
Alexis
sorrise, sollevata, e gli circondò le spalle con le braccia,
stringendolo forte
a sé.
-
Ma certo. Grazie mille. Ti voglio bene, Sirius…- gli
mormorò, la bocca premuta
su di una spalla.
Sirius
la strinse forte a sé, coccolandola appena, e le
depositò un bacio su di una
tempia.
-
Anch’io, piccola mia, anch’io. E ricorda, non
importa cosa accadrà in futuro…io
sarò sempre qui. –
Sollevò
piano una mano e le posò l’indice sul petto.
All’altezza del cuore.
-
Sei sicura di stare bene? Magari dovresti restare in infermeria per
tutta la
notte, sai, per sicurezza. –
-
Sto bene, Felpato, non
preoccuparti.
–
Alexis
sorrise in direzione del padrino mentre, seduta sulla sponda del letto,
si
rinfilava le scarpe.
Sirius
la guardò dall’alto, le braccia conserte e le
spalle poggiate contro la parete.
La
ragazza si alzò e si sistemò il maglione e la
gonna della divisa, per poi
voltarsi verso Luis Cabrisk e tendergli una mano, che lui corse a
stringere con
delicatezza.
-
Non preoccuparti, starò bene. – lo
rassicurò, portandosi la mano ad una guancia
e premendosela contro di essa. – E poi…-
-
Sì, lo so. Devo proprio andare. – concluse Sirius
per lei, passandosi una mano
tra i lunghi capelli.
Alexis
sorrise ancora ed annuì, lasciandogli andare la mano solo
per potergli
circondare la vita con le braccia e poggiargli una guancia contro il
petto
ampio ed accogliente. Anche lui la strinse a sé, con
dolcezza, posando il mento
sopra la sua testa e cullandola appena.
-
Sarai al sicuro, vero? – gli domandò,
artigliandogli il maglioncino della
divisa.
Sirius
si chinò appena per poterle sfiorare una tempia con un bacio.
-
Ma sì, certo. –
-
E mi scriverai una lettera, appena sarai fuori pericolo? –
-
Ovviamente, piccola mia. –
Alexis
annuì ancora e rimase abbracciata al padrino per qualche
altro minuto, in
silenzio, semplicemente ad assorbire il suo calore e l’amore
che solo lui
sapeva trasmetterle.
Nemmeno
Sirius osò interrompere la quiete che era calata ad
avvolgerli, piacevole e
rilassante.
-
Sai…- disse però dopo qualche minuto, senza
smettere di cullarla. – Io non sono
come mi hai visto in questi giorni; non sono prepotente, irresponsabile
ed
attaccabrighe. Io…-
-
Lo so, Felpato, lo so. Non
c’è
bisogno che ti giustifichi, dico davvero. A me sta bene
così. Ti voglio bene
per quello che sei, non importa quanti aspetti della tua
personalità ancora non
conosco: tu sei tu, ed io ti accetterò sempre. –
lo interruppe Alexis,
sollevando il capo per poterlo osservare in viso.
Questa
volta fu Sirius a sorridere e sollevò una mano per poterle
accarezzare il
profilo del viso.
-
Quanto tempo nessuno mi chiamava con questo nome. –
mormorò, gli occhi blu
fissi in quelli della figlioccia persi in ricordi lontani.
-
E’ ora. – rispose semplicemente la ragazza,
sciogliendo piano l’abbraccio e
tornando a stringergli la mano.
Il
giovane Luis Cabrisk annuì e sospirò piano.
-
Appena tutta questa faccenda sarà risolta…Appena
saprò che sei di nuovo al
sicuro…- proferì Alexis, alzando il viso per
poterlo guardare direttamente
negli occhi. – Dirò ad Harry la verità.
Ho aspettato troppo tempo e le cose
sono diventate sempre più difficile e
complicate…Ma è giunto il momento di
rivelarmi per ciò che sono; lui merita di avere una famiglia
vera, qualcuno che
si prenda cura di lui esattamente come tu ti prendi cura di me.-
Sirius
sorrise, orgoglioso.
-
Cercherò di mettermi al riparo quanto prima, allora.
– disse semplicemente.
-
Saggia decisione. – lo schernì appena,
ridacchiando. – Allora, si va? –
Sirius
le prese la mano e le sfiorò le nocche con una serie di
piccoli baci.
-
Si va. –
Quando
uscirono dall’infermeria, l’atmosfera nei corridoi
bui di Hogwarts era
decisamente calma.
Forse anche troppo
calma.
Gli
androni, illuminati solo dalle debole fiammelle delle torce, erano
completamente silenziosi, come se qualcuno avesse applicato un
incantesimo Muffliato sull’intero
castello.
Alexandra
Black e Luis Cabrisk si muovevano furtivi, cercando di nascondersi tra
le ombre
ed evitare improbabili incontri scomodi.
Ma,
per tutto il secondo piano, non incontrarono proprio nessuno e la cosa
era
alquanto sospetta.
-
Non c’è nessuno in giro…-
osservò infatti Alexis, dopo aver attraversato
l’ennesimo corridoio vuoto. – Che ore saranno?
–
Sirius,
poggiato contro una parete, scosse la testa e sollevò appena
le spalle.
-
Non so…Ad occhio e croce direi che saranno le dieci o
giù di lì. – rispose,
lanciando un’occhiata fugace ad una delle finestre, oltre la
quale si
intravedeva una notte grigia, che prometteva nera tempesta.
Avanzarono
ancora lungo i corridoi, circospetti, fin quando non arrivarono sul
pianerottolo delle scale che conducevano al piano inferiore.
-
Strano…che siano già tutti nei dormitori? Sai,
con il coprif…- cominciò Alexis,
ma la sua considerazione venne interrotta da un brusio di sottofondo,
che
proveniva dall’altro lato del corridoio.
Sirius
la prese per un braccio e la trascinò nell’ombra,
mentre le faceva segno di
tacere. Poi, si guardò intorno e, silenzioso, raggiunse
l’angolo, oltre il
quale si sporse: sembrava che la maggior parte degli studenti rimasti
ad
Hogwarts – e non erano molti, visto che quasi tutte le
famiglie, dopo le
vacanze di Natale, avevano deciso di non mandare i figli a scuola,
visto il
pericolo incombente delle pietrificazioni – fossero
lì riuniti.
Tutti, notò Sirius con
una certa curiosità, stringevano
tra le mani le copie di quello
che sembrava un giornalino di Gossip.
Alexis
si sporse oltre l’angolo, facendosi largo tra il muro e il
braccio del ragazzo.
Osservò la scena, corrugando le sopracciglia fini con fare
perplesso.
-
Ma che sta succ…- ma non fece in tempo a concludere la frase.
-
ECCOLI! LI ABBIAMO TROVATI! – urlò qualcuno alle
loro spalle.
Luis
Cabrisk e Alexandra Black sobbalzarono spaventati, mentre si voltavano
di
scatto: c’era un gruppo di ragazzi di Serpeverde, dietro di
loro, che
sembravano voler impedire che fuggissero.
Alexis
e Sirius osservarono la scena sempre più interdetti mentre,
istintivamente, lui
le si metteva di fronte, a modi protezione, e la spingeva appena
indietro.
Peccato che, adesso,
fossero circondati.
-
Che diavolo sta succedendo? – si informò Cabrisk,
con tono aspro, squadrando
gli studenti con un’occhiata minacciosa.
-
Il tuo sguardo fa proprio paura…- se ne uscì una
vocina sprezzante.
Alexis
non ci mise molto ad individuarne la proprietaria: era Pansy Parkinson
che, in
mezzo alle Untouchable Ravens,
aveva
sulle labbra un sorriso di oscuro trionfo; gli occhi scuri avevano una
nota
quasi malsana, mentre rifilava un’occhiata soddisfatta in
direzione della
Potter.
-…è
proprio quello di un assassino. –
concluse, sghignazzando freddamente.
Luis
Cabrisk si voltò a guardarla con espressione sorpresa e, dal
momento che quella
frecciata era arrivata in modo del tutto inaspettato, non
riuscì a dire nulla.
Alexis
spalancò gli occhi e la bocca, indignata.
-
Ma di che stai parlando?!? – sbottò, sporgendosi
da dietro le spalle di Sirius,
agitando un pugno nell’aria.
Il
ragazzo allungò un braccio e la bloccò,
premendole una mano all’altezza dello
stomaco e costringendola ad indietreggiare di nuovo.
Il suo cuore aveva
cominciato a battere frenetico contro le costole, mentre la
consapevolezza di
quello che stava succedendo lo colpiva con la devastante potenza di
Avada
Kedavra.
Sirius
deglutì, mentre serrava le mascelle e fissava lo sguardo in
quello derisorio di
Pansy Parkinson. Nessuno aggiunse nient’altro, fino a che
Charlie Liplose,
accanto alla Serpeverde, non lanciò una delle copie del
giornalino ai piedi
della coppia.
Alexis
la fissò interdetta poi, dopo aver rifilato
un’occhiata di sottecchi a Luis, si
chinò lentamente a raccoglierla: era una copia di Vanity Witch.
Si
rialzò, quasi al rallentatore, mentre girava il giornalino e
fissava la
copertina.
L’istante
successivo, i suoi occhi divennero enormi sul visino improvvisamente
pallido;
le spalle presero a tremare quasi convulsivamente e dalle labbra
uscì un sibilo
fioco, qualcosa che sembrava molto un “Oddio”,
ma nessuno avrebbe saputo dirlo con certezza.
Un
secondo dopo, come se la rivista fosse diventata improvvisamente
incandescente,
la lasciò andare di botto e quella cadde in terra, rimanendo
lì, ai suoi piedi,
a fissarla.
Come l’emblema di tutte
le bugie dette fino a quel momento.
Il
titolo della copertina recitava:
“ALEXANDRA BLACK
E LUIS CABRISK NON
ESISTONO.
LORO SONO ALEXIS POTTER E SIRIUS
BLACK.”
Il
mondo prese a vorticarle intorno, mentre l’alba della
comprensione sorgeva
all’interno del suo petto, lenta e dolorosa, come un pugnale
incantato che, con
precisione, era andato a conficcarsi al centro esatto del suo cuore e,
adesso,
la sua ferita profonda stava lasciando la possibilità ad una
macchia di caldo
sangue di allargarlesi su tutto il petto.
Confusione.
Dolore.
Perdita.
Distruzione.
Ansia.
Pericolo.
Si
trovavano in una situazione di stallo e, sinceramente, non avrebbe
proprio
saputo come poterne uscire; nessuno dei due lo sapeva, troppo occupati
ad
assorbire la gravità di quel momento.
Li avevano scoperti e,
ormai, cercare un fioco tentativo di negare era del tutto inutile.
Lo sapevano bene.
Lo vedeva dalle
espressioni schifate, arrabbiate e decise di tutti i compagni di scuola
che,
adesso, radunati in cerchio accanto a loro, li stavano fissando con
un’intensità tale da sembrare volerli squagliare.
Alexis
si guardò intorno, in preda al panico, girando su se stessa
quasi
freneticamente: le sembrava che tutti si stessero avvicinando, la
stessero
stringendo in una morsa soffocante.
Non respirava bene.
I
suoi occhi ansiosi incontrarono la figura di Diamond Anne Cherin, che
la
fissava con un’espressione che definire semplicemente stupita
era il più grande
degli eufemismi; lo sguardo scuro era spalancato, così come
le labbra macchiate
di rossetto; continuava a passarsi una mano tra i capelli, rendendoli
sempre
più caotici, mentre l’altra stringeva la manica
del maglione di Theodore Nott
che, accanto a lei, la stringeva a sé con un braccio e
scuoteva la testa,
disgustato.
Confusione.
Alexis
si girò alla sua destra e, immediatamente,
incontrò le figure delle cinque Untouchable
Ravens: avevano espressioni
soddisfatte sui bei visi truccati; Coleen Careye, che era sempre stata
una
sorta di capo squadra, la guardava con un sopracciglio sollevato,
mentre si
stringeva nelle spalle, con un gesto che sembrava voler dire “Mi dispiace, ma ve la siete
cercata.”
Distruzione.
La
Potter deglutì e strinse gli occhi, scuotendo appena il capo
e, quando li
riaprì, questi si posarono sulla figura elegante di Blaise
Zabini e, quello che
vide le fece singhiozzare dolorosamente il cuore. Dapprima, il moro
Serpeverde
aveva fissato il giovane Sirius, con disprezzo e una certa
soddisfazione:
finalmente, il suo segretuccio era venuto a galla e adesso tutti
sapevano chi
era veramente.
Dolce vendetta.
Poi,
i suoi occhi di zaffiro erano scesi ad osservare la figura spaventata
della
ragazza che era al suo fianco e che, adesso, lo guardava con una sorta
di
smarrita impotenza. La fissò per qualche istante soltanto,
impassibile;
sembrava quasi che lei avesse il bisogno di dirgli qualcosa, di
spiegarsi, ma
lui non glielo lasciò fare.
Non si sarebbe più
lasciato ingannare da quel visino.
Alexandra Black, la
ragazza alla quale aveva imparato a voler bene come ad una sorella, non
esisteva più.
Non era mai esistita.
Era sempre e solo stata
l’ombra nella quale una bugiarda si era nascosta e
lui…lui non l’avrebbe
perdonata.
Blaise
distolse lo sguardo e tornò a posarlo su colui che si era
spacciato per un
nuovo studente di Grifondoro; incrociò le braccia al petto e
mise su un
sorrisino storto.
-
Alla fine la feccia viene sempre a galla.
– si limitò a considerare.
Dolore.
Gli
occhi blu di Sirius scintillarono nel buio del corridoio, mentre si
girava
lentamente a considerare Zabini, con uno sguardo che definire omicida,
questa
volta, sarebbe stato decisamente appropriato. Ma era ancora troppo
scosso per
riuscire ad avere una reazione completa, quindi si limitò a
fissarlo, mentre
teneva ancora Alexis al sicuro, dietro di sé.
Lei,
dal canto suo, continuava ad osservare la scena con frenesia: sembrava
quasi
impazzita. I suoi occhi non ci misero troppo a trovare la figura di
Draco
Malfoy e, in quel preciso istante, tutto il resto sembrò
svanire: la folla
attorno a lui divenne solo uno sfondo oscuro, nel quale lui, bianco dai
capelli, alla pelle, alla camicia, spiccava inesorabilmente.
Il
tempo sembrò fermarsi a quel momento: lo fissò,
le lacrime che ormai riempivano
quei pozzi di smeraldo; Draco non si mosse e si limitò a
guardarla con una
certa impotenza negli occhi grigi, carichi di tempesta. Sembrava
sconvolto,
proprio come lei; aveva i capelli biondi scombinati, le guance
chiazzate di
rosso e il fiato corto: sembrava quasi
che avesse corso per raggiungerli ma…fosse
arrivato troppo tardi.
Alexis
storse il viso in un’espressione insieme disperata e
dispiaciuta: aveva stretto
appena gli occhi, arricciato il naso e formato una specie di arco
deformato con
le labbra; piegò la testa su di un lato, scuotendola appena,
mentre le prime
lacrime, ad un suo battere di ciglia, cadevano sulle guance smorte.
Draco
spalancò gli occhi e strinse una mano in un pugno,
stropicciando la copia di Vanity Witch
che teneva tra le dita.
Si sentiva male
all’improvviso.
Non l’aveva mai vista
così…arrendevole.
Alexis Potter, la sua
Alexis Potter, si era sempre dimostrata una ragazza forte.
Niente e nessuno
sembrava poterla spezzare, nemmeno il peso di tutti i segreti che era
costretta
a portare sulle spalle.
E allora, adesso,
all’improvviso, cos’era cambiato?
Cosa la stava facendo
crollare?
E perché lui, non era
lì, ad impedirle di cadere e di farsi del male?
Non voleva vederla
piangere…Mai.
Draco
Malfoy deglutì, spaventato dalle sue stesse emozioni, e fece
un passo in
avanti, come se volesse raggiungerla.
Voleva davvero
raggiungerla e stringerla forte tra le braccia.
Voleva…
Perdita.
-
Giustizia. – un semplice sibilo bastò a
distogliere l’attenzione di Alexis da
Draco e a far arrestare quest’ultimo.
La
ragazza si voltò verso l’origine odiosa di quella
voce: Pansy Parkinson.
Aveva finalmente
ottenuto ciò che voleva.
Se
ne stava lì, di fronte a loro, con espressione altezzosa e
il sorriso
soddisfatto sulle labbra macchiate di rossetto.
Finalmente, era riuscita
ad annientare Alexandra Black.
Ops: forse sarebbe stato
meglio chiamarla col suo vero nome, Alexis Potter.
Pansy
Parkinson non era mai stata più soddisfatta in tutta la sua
vita: quella
mocciosetta da quattro soldi aveva osato portarle via la cosa
più importante,
il centro del suo mondo.
E lei, adesso, le aveva
portato via tutto il suo mondo.
Era uno scambio equo, in
fondo, no?
E adesso che tutti
sapevano la vera identità della Potter, era sicura che Draco
non si sarebbe più
fatto vedere in giro con lei; e sarebbe tornato, presto o tardi, tra le
sue
braccia Purosangue.
Alexis
la fissò, l’odio nello sguardo inondato dalle
lacrime, e, all’improvviso, capì.
La sera precedente,
dietro la porta della camera di Draco, c’era davvero qualcuno
che li spiava;
qualcuno che aveva sentito la sua dichiarazione disperata.
E quel qualcuno era
proprio Pansy Parkinson.
Alexis
avrebbe voluto replicare qualcosa, qualsiasi cosa, ma non ne ebbe la
forza.
Nella
sua testa c’era una confusione tale da renderle impossibile
qualsiasi
ragionamento.
Solo
una nozione girava vorticosamente nella sua mente: Sirius
era in pericolo.
-
Allora, perché non piangi con il tuo padrino,
adesso…- la schernì la Parkinson,
attirandosi gli sguardi di entrambi gli scoperti. – Prima che
lo portino ad
Azkaban per gli omicidi commessi! – e poi rise, sprezzante,
accompagnata da
qualche ochetta del suo gruppo e da alcuni ragazzi tonti di Serpeverde.
Solo allora, qualcosa
scattò in Alexis.
Si
protese oltre Sirius, la bacchetta spianata puntata contro Pansy.
Nei suoi occhi smeraldo,
ancora inondati dalla tempesta di lacrime, infuriava adesso un fuoco
minaccioso
d’odio.
-
Oooooh…- la prese ancora in giro la Parkison, incrociando le
braccia al petto e
facendosi forte di tutte le presenze al suo fianco. – Anche
tu hai manie
omicide, Potter? –
- SIRIUS NON
E’ UN ASSASSINO! – sbottò, allo
stremo della sopportazione, e la punta della sua bacchetta
scintillò
pericolosamente, riuscendo a togliere dal viso della Serpeverde
quell’espressione di superiorità.
-
Basta così, Alex…- la voce tranquilla di Sirius,
alle sue spalle, la fece quasi
sobbalzare.
Si
voltò a fissarlo, interdetta da tanta calma.
-
Ricordi: dobbiamo andare. Ora. – disse semplicemente, come se
fossero soli in
quel corridoio.
-
Che…? – mormorò lei, disorientata.
Sirius
la prese per mano e, senza lasciarla concludere, se la
riavvicinò.
-
Fidati di me. – sussurrò piano e poi si
girò, lanciando un’occhiataccia
velenosa al gruppo alla sua destra che, spaventato, si aprì
lentamente,
lasciando libero il passaggio.
Alexis
lo fissò completamente disorientata ma, l’attimo
dopo, il suo sguardo fu
catturato da una figura che, fino a quel momento, non aveva notato.
Harry Potter era lì, in
mezzo alla folla, e la stava fissando con espressione sconvolta.
Era deluso, amareggiato,
quasi troppo frustrato da quella scoperta improvvisa per essere davvero
arrabbiato.
Alexis sentiva le sue
emozioni – le emozioni di suo fratello
– attraversarle il petto come
dolorose scariche elettriche e gliele leggeva così
perfettamente in quegli
occhi di smeraldo.
Occhi che, esattamente
come i suoi, sapevano sempre parlare.
La…odiava…?
Sì, c’era un punto
interrogativo alla fine della affermazione, seppur debole.
Era come se, anche lui,
dovesse ancora prendere piena coscienza di quello che era successo.
Alexis
lo guardò, gli occhi nuovamente gonfi di lacrime.
-
Harry…- soffiò dolorosamente, guadagnando un
passo verso di lui.
Adesso, sembrava
completamente persa.
Sirius
osservò la scena per un solo istante poi, più
lucido di quanto non si sarebbe
mai ritenuto, diede un piccolo strattone alla mano di Alexis e la
costrinse a
prestargli nuovamente attenzione.
-
Non ora, Alex. E’ tardi. Noi dobbiamo…- e senza
concludere la frase, la
trascinò via, sotto lo sguardo incredulo, schifato e
accusatorio degli studenti
rimasti ad Hogwarts.
-
SCAPPATE PURE, MA NON POTRETE NASCONDERVI A LUNGO: GLI AUROR STANNO
ARRIVANDO E
CON LORO I DISSENNATORI! E VENGONO PER TE, SIRIUS BLACK
L’ASSASSINO! –
L’urlo
di Pansy Parkinson si disperse nel silenzio del corridoio,
accompagnando quella
che, ora, era diventata la loro fuga.
Una fuga disperata.
Correvano
da parecchi minuti ormai e Alexis non aveva la più pallida
idea di dove fossero
diretti; la sua mano era ancora stretta tra le dita di Sirius, che la
guidava
in passaggi oscuri e segreti del castello che a lei non era mai
sembrato di
percorrere.
Ma, in quel momento, non
erano certo i meandri più nascosti di Hogwarts a
preoccuparla.
Aveva
tanti di quei pensieri nella mente, che le sembrava quasi di svenire; e
si
sarebbe volentieri lasciata cadere in un oblio ben più
piacevole di quella realtà, ma non poteva proprio farlo:
doveva continuare a correre e doveva farlo
per Sirius Black.
Dopo
quelli che sembrarono secoli passati a correre, Luis Cabrisk si
fermò di botto
alla fine di un corridoio e lei, colta di sorpresa, gli si
scontrò sulla
schiena, senza riuscire a frenarsi. Lui non sembrò
accorgersene, comunque,
mentre studiava la situazione con sguardo acuto.
-
Sir…Che succ…?- cominciò a domandare,
disorientata.
-
Ssssssh…Deve essere qui…- mormorò lui
tra sé e sé.
Alexis
lo fissò sempre più confusa ed allarmata, mentre
si lanciava occhiate
circospette tutto intorno, aspettandosi di veder comparire Auror ed
insegnanti
all’improvviso.
Come avrebbe fatto se avessero
davvero catturato Sirius e lo avessero portato via, ad Azkaban?
No, non voleva nemmeno
pensarci.
Senza
mai lasciarle andare la mano, Sirius cominciò ad
attraversare quell’ultimo
corridoio, ma questa volta lo fece con passo lento e per nulla
sbrigativo.
Silenziosa, Alexis lo seguì, docile come un Thestral, e non
fece domande
neanche quando lui, arrivato al limitare del passaggio, fece
dietro-front e
ripercorse l’intero corridoio. E ancora non disse nulla
neanche quando ripetè
l’intera operazione per ben tre volte.
Alla
fine, non ci fu più bisogno di domande: al terzo passaggio,
una maestosa porta
apparve dal nulla, intagliandosi all’interno delle pietre del
muro alla loro
destra.
Alexis
rimase a fissarla con occhi spalancati e Sirius si limitò a
tirare un piccolo
sospiro di sollievo.
-
Eccola…- sussurrò.
-
Sirius…Ma che…? –
-
Non fare domande…Entriamo, svelta. – fu
l’unica cosa che le disse, mentre la
sospingeva verso la porta.
L’uscio
si aprì automaticamente e loro si infilarono
all’interno di quella stanza
segreta. Non appena le ante della magica porta si chiusero alle loro
spalle,
l’ingresso scomparve totalmente, lasciando il corridoio del
settimo piano di
nuovo vuoto.
Nessuno sarebbe stato in
grado di trovarli.
C’era
solo una luce fioca che illuminava la grande sala nella quale si
trovavano. Milioni
di scaffali ripieni
di cianfrusaglie e polvere: questo era il contenuto della stanza.
Alexis
si guardò intorno, disorientata. Era troppo sconvolta dagli
ultimi avvenimenti
per poter formulare un qualsiasi tipo di pensiero concreto.
-
Qui saremo al sicuro per un po’…- disse Sirius,
avanzando lentamente e
scrutandosi intorno con occhio vigile.
Alexis
non lo sentì neanche. Da quando erano entrati, non si era
mossa di un solo
millimetro. Se ne stava là, in piedi, dando le spalle alla
parete dalla quale
si erano addentrati nella stanza, con lo sguardo fisso nel vuoto.
Erano nei guai.
Oh, eccome se erano nei
guai.
Non aveva idea di dove
fossero finiti e di quanto quella stanza vecchia e polverosa avrebbe
potuto
proteggerli, ma prima o poi sarebbero dovuti uscire da lì e
allora…avrebbero
dovuto affrontarne le conseguenze.
Tremò
al solo pensiero, socchiudendo gli occhi e prendendo un respiro
talmente
profondo che fu costretta a buttare fuori l’aria
l’istante successivo.
Sirius,
che aveva cominciato a camminare avanti ed indietro, non esente lui
stesso da
quei pensieri che turbavano la mente della sua giovane figlioccia, si
girò a
guardarla: Alexis era scossa da minuscoli brividi e il suo sguardo,
arrossato
dal pianto e ancora inondando da qualche lacrima ostinata, era fissato
su di un
orizzonte lontano e doloroso. Non fece in tempo a dirle assolutamente
nulla,
perché all’improvviso, lei cadde in ginocchio,
come se un peso enorme le si
fosse poggiato sulle spalle e lei, che era sempre così
piccola e fragile ai
suoi occhi, non era riuscita a sostenerlo.
E, in effetti, era
davvero così.
Quale peso più grande
esiste al mondo di quello di bugie e verità celate?
-
Alexis?! – Sirius corse immediatamente da lei e le si
inginocchiò accanto,
circondandole le spalle con un braccio. – Che
cos’hai? Ti senti male? –
Alexis
socchiuse gli occhi e chinò il capo; entrambe le mani
corsero a coprire gli
occhi, dai quali ancora altre lacrime fuoriuscivano ora copiose. Scosse
la
testa, infilandosi le dita nei capelli ormai scompigliati e privi di
qualsiasi
forma.
-
Abbiamo sbagliato tutto…Ho sbagliato tutto…-
mormorò tra i singhiozzi. – Me lo
merito…Tutto quanto…Sono una persona
orribile…-
Sirius
la fissò a pochi centimetri di distanza, senza sapere cosa
fare o cosa dire.
Era paralizzato da una serie di emozioni contrastanti tra di loro, che
gli
facevano desiderare quasi di morire.
Se lui fosse morto,
forse Alexis avrebbe avuto una vita diversa.
Magari non migliore, ma
non sarebbe stato costretto a vederla soffrire in quel modo di continuo.
Si era sempre illuso di
averle reso la vita più semplice, sottraendola al suo
destino, separandola da
suo fratello, dal suo mondo e da quella dura realtà.
Ma forse, la campana di
cristallo dentro la quale l’aveva nascosta per tanto tempo,
illudendosi di
regalarle una vita più semplice, adesso era semplicemente
andata in frantumi e
lei, che era stata rinchiusa lì dentro senza alcuna
possibilità di scappare,
adesso era l’unica a venire davvero ferita dalla miriade di
piccoli frammenti
di vetro, che le si riversavano addosso in una pioggia di bugie,
falsità e
terribili pene.
La
abbracciò, stringendola forte a sé,
perché era l’unica cosa che, in quel
momento, Sirius sentiva di poter fare.
L’unica cosa giusta da
fare.
-
Sta’ tranquilla, Alexis…Vedrai che le cose si
sistemeranno…- le sussurrò
all’orecchio, cercando di tranquillizzarla.
Non
sembrò funzionare, perché Alexis gli
artigliò la camicia tra le dita sottili e
scosse energicamente la testa, strusciando la fronte contro il petto
che la
stava dolcemente accogliendo.
-
No, Sirius, non è vero! Niente andrà bene!
– sbottò, allo stremo delle forze;
alzò il viso per poter guardare il padrino dritto negli
occhi: quello che lui
vide fu la disperazione concreta di quelle convinzioni che, ora
più che mai,
coloravano quelle tempestose iridi di smeraldo. –
E’ finita. Abbiamo mentito
per tanto tempo e adesso non è rimasto più nulla
da salvare! Ammesso che tu
riesca miracolosamente a scappare, niente sarà
più come prima! Forse, non
potremo neanche più vederci, perché ora che
sanno…gli Auror verranno a cercarti
più numerosi ed ostinati che mai! Ed utilizzeranno ogni
mezzo per
scovarti…utilizzeranno me! –
Sirius
la fissò, sentendosi impotente contro quel fiume di parole
che, per quanto
assurdamente male facessero, purtroppo per loro raccontavano solo il
vero.
Avrebbe
voluto stringerla di nuovo a sé, cullarla dolcemente tra le
braccia e
sussurrarle all’infinito che tutto si sarebbe risolto, che
tutto sarebbe andato
per il meglio.
Ma non poteva: era ora
di smetterla con le bugie.
E quelle parole di
conforto che avrebbe voluto rivolgerle, altro non erano che patetici
tentativi
di nascondere quella che era, ormai palesemente, la cruda
realtà.
Probabilmente, niente
sarebbe andato per il meglio, da quel momento in poi.
Niente.
Anche se, a volte,
solo toccando veramente il fondo del baratro si può tentare
una quanto mai
miracolosa e coraggiosa risalita verso l’aria.
Alexis,
senza sapere più cosa aggiungere, si accasciò
semplicemente contro il petto di
Sirius e continuò silenziosamente a piangere. Sirius riprese
a coccolarla con
quell’affetto paterno che sempre le rivolgeva, in ogni tipo
di situazione.
Quell’affetto paterno
che a lei era mancato come l’aria da quando era arrivata ad
Hogwarts, mesi
prima.
Quell’affetto paterno
che aveva ritrovato da poco, ma del quale avrebbe mille e mille altre
volte
preferito sentire ancora la mancanza, perché questo avrebbe
significato che
Sirius sarebbe stato lontano da lì, al sicuro.
Ma questa, purtroppo,
non era la realtà.
Nella realtà, in quel
presente che Alexis stava tanto odiando, tutto era andato a rotoli.
Tutto.
Aveva distrutto ogni
cosa.
Con
Harry…Oh, non avrebbe mai dimenticato l’occhiata
di puro sgomento che le aveva
lanciato nel corridoio: aveva la chiara espressione di chi si sentiva
tradito e
umiliato dal suo migliore amico.
Da sua sorella.
E
non poteva di certo biasimarlo se adesso lui la odiava.
Alexis
stessa si odiava da sola per quel che aveva fatto e lo sapeva benissimo
di non
poter più sperare nel perdono di nessuno.
Non
in quello di Harry, fratello che aveva tenuto ostinatamente
all’oscuro della
sua vera identità, nonostante conoscesse perfettamente il
suo bisogno viscerale
di avere qualcuno da poter chiamare famiglia.
Non
in quello di Blaise Zabini, che con il suo sguardo vuoto e privo di
compassione
era stato in grado di trasmetterle tutto il disprezzo che adesso
provava nei
suoi confronti.
Non
in quello di Diamond Cherin, fidata amica che l’aveva sempre
protetta e che si
era sempre preoccupata per lei, ricevendo in cambio solo tante bugie e
poca
considerazione.
E
di certo non poteva sperare nel perdono di Draco Malfoy, lui che aveva
saputo
accettarla, nonostante tutte le sue bugie e i suoi segreti, quegli
stessi
segreti che, inevitabilmente, lo avevano allontanato e che mai
più lo avrebbero
ricondotto da lei.
Forse, a quel disastroso
punto, la soluzione migliore sarebbe stata…
-
Alexis, dovresti venire via con me…-
Improvvisa,
come un fulmine a ciel sereno, quella proposta che aveva solo vagamente
sfiorato la sua mente, era stata pronunciata proprio dal suo padrino.
Alexis
alzò il viso di scatto, gli occhi ancora velati dalle
lacrime erano ora
spalancati sul visino arrossato. Lo fissò, come se
all’improvviso avesse visto una seconda testa di Troll
spuntargli da una spalla.
-
Che cosa…? –
Il
sussurro fioco della sua domanda si disperse nel vuoto, aleggiando tra
di loro
come una nebbiolina densa e fastidiosa.
Sirius
la fissò e all’improvviso non c’era
più alcuna traccia di dubbio nei suoi occhi
scuri.
-
Vieni via con me. – ripetè, con una
tranquillità che Alexis, in quel preciso
istante, trovava del tutto fuori luogo.
Andare via…con Sirius?
-
Ma come…? – mormorò ancora lei, come se
non fosse più in grado di formulare una
frase completa e di senso compiuto.
La
testa le stava vorticando pericolosamente e tutti quegli assurdi
pensieri che
ora l’affollavano sembrava star cercando di spingere contro
le pareti del suo
cranio, come se volessero definitivamente sfondarlo.
Alexis
ringraziò di essere già in ginocchio, altrimenti
sarebbe rovinosamente
scivolata al tappeto, come una triste marionetta privata dei suoi
preziosi fili.
Sirius
la osservò in silenzio per qualche minuto, come se avesse
capito di doverle
lasciare il tempo di assorbire quella proposta che, lui per primo
doveva
ammetterlo, appariva decisamente assurda.
Eppure, completamente
plausibile.
Sollevò
una mano e le sfiorò i capelli, spostandole le ciocche
disordinate da davanti
agli occhi.
-
Pensaci, Alex…Non dovresti più pensare a nulla.
Non dico che sarebbe una vita
facile, non potrebbe mai esserlo. Saremo costretti a scappare e a
nasconderci e
non avremo mai certamente un attimo di pace. Dovremo vivere alla
giornata,
però…staremo insieme. Tutto tornerà ad
essere come prima che arrivassi ad
Hogwarts…solo tu ed io e nessun altro. Non posso prometterti
una vita felice,
né mi arrogo il diritto di assicurarti che starai meglio con
me che qui o con
tuo fratello, però ti prometto di darti il meglio delle mie
possibilità; non ti
farò mai
mancare nulla e sarò per te
tutto ciò di cui avrai più bisogno, in ogni
momento della tua vita. –
Alexis
continuò a fissarlo con sguardo allucinato, come se non
riuscisse a capire una
sola parola di quel che Sirius le stava dicendo.
Le stava davvero
chiedendo di lasciare tutto quanto…?
Poteva lasciare tutto e
tutti?
Doveva…?
-
Alexis, vieni via con me. –
La
notte era nera come l’oscurità più
densa e le nuvole minacciose si avvicinavano
velocemente, annunciandosi cariche di pioggia.
-
Allora, sei proprio sicura? Pensaci bene, Alex…da qui non si
torna più
indietro.-
Luis
Cabrisk, ormai decisamente invecchiato nel corpo di quello che, ora
tutti lo
sapevano, era Sirius Black, se ne stava cavalcioni di una vecchia scopa
da
corsa che sicuramente aveva visto periodi decisamente migliori.
Già fluttuava a
mezz’aria, lontano mezzo metro dal cornicione della torre di
astronomia.
Alexis
lo guardò dal basso e adesso c’era
l’ombra di un mezzo sorrisino sulle sue
labbra tristi.
-
Sì, sono sicura. – rispose, e dal tono della sua
voce non trapelò alcuna fonte
di incertezza: era ferma e convinta delle sue decisioni –
Io…devo rimanere. Ci
sono persone che ho deluso e alle quali devo delle spiegazioni.
Scappare
potrebbe essere più semplice ed una parte di me lo desidera
con tutto il
cuore…ma sento che non è la cosa giusta da fare.
Non per me, non per Harry.
Devo restare…-
Sirius
la fissò con ammirazione ed ora anche le sue labbra erano
piegate in un morbido
sorriso. Si spostò appena, giusto per poter allungare una
mano e sfiorarle il
viso con una carezza leggera.
-
Sei una ragazza coraggiosa, Alexis Lily Potter…i tuoi
genitori sarebbero
davvero fieri di te. E lo sono anch’io. –
Alexis
sorrise più ampiamente e coprì la mano di Sirius
con la propria, pigiandosela
contro la guancia.
-
Sirius…fa’ attenzione. –
mormorò, gli occhi nuovamente lucidi.
C’era un nodo in fondo
alla sua gola che quasi le impediva di respirare.
Il cuore batteva
frenetico nel petto, assordandola e chiedendo urgentemente ossigeno.
Lasciarlo andare via
ora…era un po’ come morire.
Non aveva la certezza
che lo avrebbe rivisto ancora, un giorno.
Le cose non sarebbero
mai più tornare come erano prima.
-
Anche tu…- le rispose, avvicinandosi ancora e prendendole il
viso con entrambe
le mani; le diede un bacio delicato sulla fronte, sinonimo di un tanto
dolce
quanto sofferto addio.
C’erano mille parole non
dette in quel gesto.
Mille parole che non
avevano bisogno di dirsi.
Loro sapevano già.
-
Ti amo, figlia mia…- (*)
A
quell’affermazione appena sussurrata sulla sua fronte, Alexis
sentì il nodo che
aveva in gola sciogliersi e scoppiò nuovamente in lacrime.
Gli lanciò le
braccia al collo, rischiando persino di farlo cadere dalla scopa, e lo
strinse
forte a sé.
-
Ti amo anch’io, Sirius…mi mancherai…-
Sirius
la strinse a sua volta, ma brevemente. La distanziò quasi
subito, tenendola
ferma per le spalle, e la guardò un’ultima volta.
Poi, senza aggiungere
nient’altro, si mise bene in sella alla scopa, si
girò e sparì nella notte
nera.
Alexis
rimase a fissare il vuoto davanti a sé per lunghissimi
minuti.
Il
panorama nero e desolato che aveva di fronte rappresentava decisamente
in modo
perfetto ciò che sentiva dentro al cuore.
Faceva male.
Faceva così male da non
riuscire più nemmeno a sentire il dolore.
Le
lacrime scorrevano sulle guance, infinite ed inarrestabili, e ormai non
riusciva più nemmeno a distinguere quali fossero gocce di
pianto e quali gocce
di quella pioggia che, già da qualche minuto, aveva preso a
scendere sul
castello in maniera torrenziale.
Alexis
si strinse le braccia al petto e si piegò appena su se
stessa, come se cercasse
di chiudersi a riccio; come se quello l’avrebbe aiutata a
sentire meno dolore.
Singhiozzava silenziosamente e le spalle tremavano in modo quasi
compulsivo,
coperte dalla massa di capelli neri ormai completamente zuppi.
Presa
dal suo dispiacere, non si accorse di un rumore leggero alle sua spalle.
Passi
incerti che calpestavano pozzanghere d’acqua, avvicinandosi
lentamente.
Solo
una voce, improvvisa e del tutto inaspettata, riuscì ad
attirare la sua
attenzione.
-
Alexis…? –
La
ragazza si girò di scatto, il cuore impazzito e gli occhi
spalancati. Occhi
che, immediatamente, andarono a posarsi sulla figura maschile davanti a
lei.
Schiuse la bocca e balbettò qualcosa. Alla fine, un solo,
fioco sussurro lasciò
le sue labbra.
-
Harry.-
(*) Il “Ti amo” che Sirius e Alexis si dicono come ultimo addio va interpretato per quel che è: amore di un padre nei confronti di una figlia; niente di meno, niente di più. Ho voluto chiarire questo concetto per evitare strane congetture su possibili storie d’amore tra questi due: non preoccupatevi, è impossibile e non accadrà mai.
*
E
rieccoci qui, finalmente.
Sono passati mesi lunghissimi dal mio ultimo
aggiornamento, ma la mia vita è stata davvero incasinata e
questa storia,
purtroppo, era l’ultimissimo dei miei pensieri…ora
le cose sembrano essere
tornate alla normalità e con l’estate piena ho
più tempo per me stessa e per i
miei hobby: così sono riuscita a concludere il nuovo
capitolo e spero che,
nonostante sia passato tantissimo tempo, voi siate ancora qui a leggere
e che
quel che avete letto vi sia piaciuto!
Siamo finalmente a -6 capitoli dalla fine di
questa storia apparentemente infinita e pian piano tutti i nodi vengono
al
pettine: siamo alla resa dei conti tra Alexis e Harry, ma ancora tante
cose
sono irrisolte e in questi ultimi capitoli vedremo sciolto ogni dubbio,
per cui
resistete ancora un po’ e vedrete la parola FINE alla
conclusione del
cinquantesimo capitolo! (:
Ci tengo come sempre a ringraziare tutte quante
per le parole che mi lasciate nelle recensioni, su facebook o per
messaggi
privati: non ho il tempo di fare un video per rispondere ai commenti
lasciati
sull’ultimo capitolo, perché è passato
tanto di quel tempo che sarebbe un po’
strano, ma da Settembre tornerò a rispondere ad ogni vostra
recensione tramite
video o, in alternativa, usando l’apposita funzione offerta
da EFP (:
Vi
voglio bene!