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Autore: Leo    28/10/2012    4 recensioni
Silent Hill - 1997
Dio è morto. Sembra un trattato di filosofia, ma qui è successo per davvero. Dio è morto, l'ha ucciso lei. Lei, che ora non dovrà più nascondersi. Lei, che ora dovrà tornare a casa. Lei, che ora non ha più nessuno. Sembrava solo uno stupido gioco, fin'ora; ma tutto cambia quando torni a casa e ti accorgi che non era un sogno, che è davvero finita, la tua vita è finita. Già, Cheryl, come potrai vivere ora senza tuo padre che ti protegge?
Genere: Avventura, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cybil Bennet, Douglas Cartland, Harry Mason, Heather Mason
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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L’uomo camminava silenzioso, sfogliando dei documenti. Le persone gli passavano accanto veloci, dirette verso i loro impegni, esattamente come lui. Indossava solo i pantaloni della divisa, mentre la parte superiore era vestita solo con una semplice camicia bianca con le maniche arrotolate, tenute su per il troppo caldo. La barba incolta, folta di pigrizia e di mancanza di tempo, mostrava le prime chiazze grigiastre sul mento e sulle gote. Girò l’angolo frettolosamente, passando per un corridoio in cui non era presente nessuno, ma era ancora ben udibile il rumore prodotto da telefoni, voci, passi, e tutti quei suoni tipici degli uffici. Passò davanti ad alcune porte d’ufficio, con i vetri sulla parte superiore, fermandosi di scatto, tutt’a un tratto, attirato dalla scena che gli si presentò dietro una di quelle.

La stanza era praticamente vuota, fatta eccezione per un tavolo in metallo e due sedie ai lati opposti. Su una sedeva un uomo robusto, con pochi capelli, che, a dispetto della temperatura, indossava giacca e cravatta, e stava con i gomiti appoggiati al tavolo e le mani giunte davanti al volto sudato. Parlava, diceva qualcosa che non avrebbe potuto sentire in mezzo a tutto quel chiasso e con la porta chiusa. Ma sembrava quasi un interrogatorio. Sull’altra sedia infatti una ragazza in divisa sedeva compostamente e aveva lo sguardo triste e stanco. Rispondeva poco, e il più delle volte si limitava a fare dei cenni con il capo. Qualche volta annuiva, qualche volta negava, e per il resto del tempo a parlare era quell’altro…

L’uomo, accarezzandosi la barba, guardava la scena passando lo sguardo da una figura all’altra, e il suo sguardo si incupiva ogni volta che la ragazza muoveva la testa con stanchezza.

A un tratto l’uomo all’interno della stanza si alzò e fece per uscire dalla stanza. Nel corridoio i due incrociarono gli sguardi, composti e severi, senza parlare per un po’.

“Come va?”

L’uomo in giacca e cravatta guardò di nuovo l’interno della stanza, dove la poliziotta restava con lo sguardo basso, seduta e stringeva i pantaloni in pelle neri con le mani. I suoi guanti erano appoggiati sul tavolo.

“Non bene. Certo nessun test ha dato conferma, ma continua a dire che tutta quella storia è vera. Non lo so…gli esami del sangue hanno evidenziato quella strana sostanza, ma non sembra un allucinogeno o un oppiaceo. Al laboratorio mi hanno detto che è organico, e potrebbe essere un buon profumo, ma non ha senso trovarlo lì.”

Sospirò profondamente.

“Quella storia è assurda, sembra uno di quei fumetti che legge mio figlio…”

“Aveva delle ferite quando è tornata?”

“Le faceva male una caviglia, che dice di essersi slogata, e sulla spalla sinistra mostrava alcune escoriazioni lievi, ma non c’è traccia di un eventuale trauma cranico. Certo, l’incidente in moto deve averla scossa, ma non posso credere che sia impazzita per quello…”

I due guardarono nuovamente all’interno della stanza. La ragazza aveva incrociato le braccia e teneva la testa sul petto, con gli occhi chiusi, come se cercasse quasi di dormire, in qualche modo. Certo la posizione non era delle più comode.

“Avete trovato quella donna?”

“Le comunicazioni sono ancora interrotte. Abbiamo mandato altri uomini, con una consulenza scientifica al seguito. Sembra che ci siano strane interferenze elettromagnetiche, e per questo la città è isolata. Sembra sia dovuto a qualche campo indotto, ma non riescono a trovarne la causa. E per quanto riguarda questa Dahlia…nulla…la gente di quel posto pare saperne meno di noi. In più sembra che ci sia un caso di omicidio molto strano, un’infermiera, e il direttore dell’ospedale in cui lavorava e in cui è stato trovato il corpo non è rintracciabile per il momento. E, ciliegina sulla torta, quel caso di droga non è stato ancora archiviato. Per cui sono piuttosto incasinati…”

“In pratica non ci aiuteranno…”

“Era prevedibile in fondo: è una cittadina piccola e la polizia tende a risolvere a stento le questioni interne e a lamentarsi dell’FBI e della loro prepotenza.”

L’uomo con la camicia appoggiò un braccio sullo stipite della porta, e socchiuse gli occhi, sospirando.

“Cosa pensi che debba fare?”

“Marv, ha 28 anni! Se a quest’età comincia a dare i numeri, cosa farà poi?! Questo ambiente non permette cose del genere. Anche un veterano verrebbe preso per pazzo e liquidato con tutti gli onori e un calcio nel culo se raccontasse una storia del genere! Ma dai! Strade crepate senza fondo, nebbia e neve in piena estate, i mostri, la bambina! Quale mente deviata può inventare una storia del genere?”

L’altro non rispose. Si limitò a girare il pomello della porta e a entrare nella stanza.

 

Dentro sembrava quasi che l’aria fosse più pesante, difficile da respirare. La donna rialzò lo sguardo spento. Guardò l’uomo dritto negli occhi, provocando il suo stupore. Aveva sempre pensato fosse una persona tutto sommato timida e riservata, e il contatto visivo per lei sembrava quasi difficile, anche se la determinazione era parte di lei già da prima. Le prime volte che aveva parlato con lei il suo sguardo era rivolto in alto, e manteneva sempre una certa distanza. Ora invece i suoi occhi azzurri erano puntati dritti verso di lui, e fu costretto a distogliere lo sguardo, quasi imbarazzato.

Si portò dietro la scrivania, ma non si sedette. Si limitò ad appoggiare una mano sulla superficie liscia e fredda e a lasciar andare i fogli che ancora portava con sé.

Stettero senza parlare per un po’. Fu proprio lei a rompere il silenzio.

“Quanti altri test volete ancora farmi prima di credermi?”

La voce era spenta, stanca almeno quanto le sue ossa e i suoi occhi. Deglutì dopo quella frase, cercando inutilmente di eliminare un brutto groppo alla gola.

“Cybil…che cos’è quella sostanza che avevi nel sangue?”

“Non lo so. Ti assicuro che non ho bevuto o mangiato niente dall’incidente in moto fino a quando non mi avete presa per matta.”

“Mi stai dicendo che per quasi trentadue ore tu non hai bevuto nemmeno un goccio d’acqua?”

Cybil ci pensò su. In effetti lei non sapeva assolutamente quanto tempo era passato, e quando finalmente era riuscita a mangiare si rese realmente conto di quanto il suo corpo ne avesse bisogno, anche se la sua mente aveva soppresso ogni suo bisogno fisico.

“Ti rendi conto di cosa dovrei credere? Dovrei credere che una donna che ha avuto un incidente in moto, ha passato le ultime trenta ore senza mangiare bere o dormire a cercare una bambina scomparsa nel nulla e si è ritrovata in mezzo a un complotto di droga e religione! E in più sei stata attaccata da mostri e fantasmi e alla fine una bambina ha partorito un…dio, o un demone, non ho capito ancora?! Ti è mai venuto in mente che possa essere stato tutto un sogno?”

Cybil chiuse gli occhi stanca. La tenevano in quel posto da cinque giorni ormai, facendole test, chiedendole tutto della sua vita, prelevandole continuamente il sangue, e facendole raccontare ogni volta quella storia. La prima volta avevano riso tutti, facendole i complimenti per la bella storia inventata. Adesso a ridere rimanevano solo gli agenti che sparlavano nei corridoi. Lei invece non sorrideva da cinque giorni.

“L’ho sperato per molto tempo…”

La voce era un sussurro quasi impercettibile. L’uomo riuscì ad intendere a stento le parole, ma il suo sguardo restò cupo e pensoso.

“Non abbiamo trovato nessuna Dahlia Gillespie, le strade sono intatte. L’Indian Runner è pulito, non è stata trovata droga dagli agenti locali, e quel Michael Kaufmann non si vede da più di un mese, molto prima del tuo arrivo in città. La polizia sul posto ha detto di non averti mai visto girare per la città. Nessuno ti ha visto in quel posto. Mi dici come faccio a crederti Cybil?”

Ma Cybil non rispondeva. Non sarebbe riuscita più a rispondere. Così l’uomo, si mise eretto, assumendo un’espressione truce.

“I miei agenti devono essere nelle migliori condizioni fisiche e mentali.” Disse con tono grave. Poi abbassò lo sguardo sulle carte che aveva poggiato sul tavolo. “Consegnami la pistola e il distintivo. Voglio le tue dimissioni entro lunedì.”

Cybil si alzò in piedi lentamente. Con gesti calmi, pacati, sfoderò la pistola e afferrò il distintivo sul suo petto, per poi poggiare entrambi sul tavolo. Recuperò i guanti e senza dire una parola si incamminò verso la porta poco distante. L’uomo la guardò di sottecchi. Era abituato a suppliche o a scene di rabbia molesta, a discorsi strampalati e a piagnistei in quelle occasioni. Invece non sentì mai più una parola da Cybil Bennet. Lei a quel punto era quasi contenta di non dover più tornare lì a farsi deridere.

Nell’uscire dalla stanza urtò con la spalla un ragazzo, forse aveva la sua stessa età. Lui si voltò a chiedere scusa, ma lei continuò a camminare senza dire una parola. L’uomo in giacca e cravatta si avvicinò al ragazzo, che era rimasto a guardarla confuso.

“Ne passeranno sempre troppo poche di belle ragazze come quella qua dentro. E a quanto pare perdono facilmente le rotelle!”

Sghignazzò alla sua stessa battuta, poi cominciò ad allontanarsi.

Il ragazzo si voltò verso la porta rimasta aperta, e, riconosciuto l’uomo all’interno, entrò con passo svelto.

“Commissario, l’agente Stinson le manda questo rapporto.”

L’uomo non disse niente, e non guardò neppure le carte che il ragazzo poggiò timidamente sulla scrivania. Fissò, invece, per una manciata di secondi il ragazzo. Era di bell’aspetto, con il viso ben rasato dai lineamenti delicati. Gli occhi verdi erano ben spalancati, e anche se timidi e inesperti, trasmettevano un gran vigore. La divisa era ordinata, e il cappello nascondeva i capelli castani corti.

Spostò gli occhi ambrati verso le carte che aveva davanti, scorrendole velocemente. Ma nella sua testa vorticavano mille pensieri. Voleva vederci chiaro.

“Quella donna che è uscita da qui…”

“Cybil Bennet?!”

“…ti conosce?”

L’agente fu quasi sorpreso da quella domanda.

“No signore. Sa, sono nuovo, sono qui da poche settimane, e…”

“Seguila”

“Come?!”

 “Voglio che scopri tutto quello che puoi, voglio sapere tutti i suoi spostamenti per le prossime due settimane. Tutto! Cosa fa, con chi va, quante volte al giorno si gratta e perché! Intesi?!”

“Ma signore, è sicuro…”

“Non andare in giro con quella divisa, e non dirlo a nessuno, nemmeno a quel ciccione di Dombrowski. Hai una famiglia?”

“No, signore.”

“Meglio così…ora va!”

“Ma signore…”

“Un’altra parola e ti ritrovi a dirigere il traffico per i prossimi tre mesi! Fuori di qui!”

 

 

Restava seduto sul letto, con la faccia nelle mani. Guardava fisso davanti a sé, senza muoversi, senza dire una parola. Il suo respiro regolare era uno dei pochi suoni che rompevano il silenzio nella stanza in cui era; la porta era spalancata, mentre la finestra era completamente sbarrata, chiusa sia con i vetri che con le imposte, e per questo motivo c’era poca luce, e il suo viso era sporcato dalle ombre così come tutto il resto. Il ticchettio di un orologio lo teneva stretto alla realtà. Ogni tanto voltava il suo sguardo, interrompendo i suoi pensieri, e fissando la creaturina che, sdraiata sul letto, dormiva profondamente. Inclinava la testa nel guardarla, e serrava gli occhi. Poi tornava a fissare di nuovo il vuoto. Finché non sentì lo scatto della serratura…

Si alzò dal letto, e senza uscire dalla stanza, puntò lo sguardo oltre la porta. Cybil si abbandonò su una poltrona distrutta.

“Cybil…è tutto a posto?”

Era chiaro che non era tutto a posto. Ma quando sei in una situazione del genere le parole non aiutano mai, tendono sempre a non essere abbastanza, a essere scontate, o forse inutili.

“…mi hanno licenziata…”

La notizia non era del tutto inaspettata, ma lo colse ugualmente di sorpresa. Abbassò lo sguardo, visibilmente addolorato.

“Mi dispiace…”

“A me no!”

La ragazza si alzò di scatto e sbottonò il primo bottone della camicetta azzurra. “Adesso sono libera di agire. E voglio vederci chiaro in questa storia! Voglio saperne di più!”

“Cybil, aspetta. Non essere avventata…”

“Harry!”

I loro occhi si incrociarono. Gli occhi azzurri di lei trasmettevano determinazione mista a una rabbia troppo a lungo repressa, ed erano in profondo contrasto con quelli marroni dell’uomo, sofferenti e stupiti dalla fermezza della donna.

Cybil sospirò. Poi continuò a sbottonarsi la camicia, avviandosi velocemente verso la sua stanza, quella che ospitava ora la piccola sopita. Harry arrossì leggermente alla vista del reggiseno della ragazza, e distolse lo sguardo, facendole spazio per farla passare. Lei lo superò senza troppi complimenti, dirigendosi verso l’armadio.

“Lo sai perché sono diventata una poliziotta, Harry?!”

Harry teneva lo sguardo basso.

“Quando avevo cinque anni alcune persone entrarono in casa mia. Erano armati, e cercavano cose preziose da rubare, gioielli, soldi…”

Buttò a terra con forza un’altra delle sue camicie della divisa.

“Mia madre mi nascose in un armadio. Ma da lì potevo vedere tutto. Li ammazzarono davanti ai miei occhi! E ancora adesso non posso credere che rimasi in silenzio, dietro le ante di quell’armadio…”

“Cybil…” Harry la osservò mentre si infilava finalmente una maglietta rossa. Finalmente qualcosa che non somigliasse a una divisa.

Cybil si voltò verso di lui. “Ecco perché sono diventata una poliziotta. Perché non voglio restare più in quell’armadio. Voglio poter uscire e proteggere le persone che ho intorno!”

Si avvicinò. Ora Harry poteva sentire il suo odore, e il suo sguardo sembrava voler guardare direttamente nella sua anima.

“Harry, sai meglio di me che qualcosa non va in quella città! Che la droga è solo una parte del mistero che aleggia in quella zona! E sai quanto sono pericolosi! Probabilmente adesso sono in un momento di confusione, e sarà più facile trovarli!”

Si avviò con decisione, superando l’uomo. Ma il suo braccio fu bloccato, e fu costretta a fermarsi. Quando si voltò Harry non la guardava, ma la sua mano era stretta con decisione intorno al suo polso, e le sue dita erano talmente serrate da cominciare a farle del male.

“Harry!”

“Vuoi tornare in quell’inferno? Vuoi cercare di nuovo quei pazzi? Per me va bene!”

La voce dell’uomo raramente aveva quell’intonazione, e per lui era davvero difficile parlare in quel modo, tanto che teneva la mascella serrata e a volte uscivano degli schizzi di saliva. Erano quasi invisibili, ma facevano ben capire l’umore di quella persona normalmente così calma e pacata…

“Ma io non tornerò con te! Non ho intenzione di farlo!”

Cybil aggrottò le sopracciglia.

“Non te lo sto certo chiedendo!”

“Però dovrai ritardare la tua partenza. Non possiamo andarcene adesso! Sta facendo buio…”

Lo stupore si impossessò del volto della ragazza. Perché voleva andare via? Lei non voleva! Cercò di riprendersi, e di mostrare ancora sicurezza.

“Guarda…che non mi date certo fastidio! Potete restare qui se volete, non c’è bisogno che ve ne andiate!”

“Non capisci?!” urlò Harry, voltandosi finalmente verso la ragazza. “Se tu torni a Silent Hill potrebbero cercarti e se trovano te trovano anche noi! Trovano lei! E io non permetterò che me la portino via di nuovo! Non stavolta!”

Il silenzio calò nella stanza. I due si guardavano negli occhi. Lo sguardo di Harry era duro, e Cybil riusciva a sostenerlo a mala pena. Le sopracciglia aggrottate, le labbra tremanti, gli occhi spalancati, e le mascelle serrate, tutto trasmetteva una rabbia non adatta al viso dell’uomo, che di solito era disteso e rilassato.

Gli occhi di Cybil si inumidirono, e alcune venature rosse iniziarono a risaltare nel contrasto con il bianco che contornava le iridi azzurre. Cedette, e abbassò lo sguardo, con l’aria sconfitta. Solo allora Harry distese i suoi muscoli. La guardò con più tenerezza, addolcì il suo viso, e finalmente lasciò andare il suo polso, che cadde ciondolante lungo il corpo. Si avvicinò, e portò una mano sul dorso del suo collo, sentendo il suo calore, la forma della sua spina dorsale. La tirò delicatamente a sé, costringendola dolcemente a poggiare la testa sul suo petto. Prese ad accarezzarle i morbidi capelli biondi.

“Cybil…noi due…siamo soli ora. E tu sei stanca. Noi siamo stanchi. Non possiamo permetterci questo errore, non possiamo lasciare che ci trovino! Abbiamo già fatto delle scelte sbagliate, e le conseguenze le hai pagate solo tu. E questo mi dispiace…”

Tirò un lungo sospiro, che gli gonfiò il torace trasmettendo un’ondata di calore alla bionda, che chiuse gli occhi.

“Ora io vorrei che per te, per me…e per questa bambina…ci possa essere una vita tranquilla. Una vita che ci faccia dimenticare di quell’incubo. Sono le ultime volontà di Cheryl…di Alessa…ed è ciò che ci meritiamo…tutti e tre…”

Cybil ricambiò finalmente l’abbraccio, perdendosi completamente nel calore che sentiva al contatto dei due corpi. Era legata a quell’uomo più di quanto avesse mai immaginato. E in quel momento lo capì, capì che c’era qualcosa di indistruttibile fra i due, che sarebbe morto solo con loro. Perché insieme erano scesi e risaliti da un mondo in cui i limiti umani erano abbattuti e se sensazioni come paura, rabbia, tristezza erano portati all’estremo, venivano ugualmente amplificati i sentimenti di affetto, di affiatamento, di attaccamento reciproco. E così due anime si erano avvicinate e avevano resistito insieme.

“Hai ragione Harry…sono stanca…” Si sollevò passandosi l’indice sotto un occhio. “Andiamo a dormire…”

Harry sorrise. Le accarezzò una guancia dolcemente. Poi fece per andarsene dalla stanza, ma fu fermato dalla mano di Cybil, che si poggiò sulla sua spalla.

“No Harry!”

Arrossì leggermente prima di parlare ancora. “Solo…solo per stanotte…dormi anche tu qui…”

 

 

“Come?!”

Heather rialzò la testa che teneva appoggiata su una mano. Quella parte di storia non poteva appartenerle, e perciò era rimasta in silenzio ad ascoltare. Ma a quelle parole non poté trattenersi.

La sua reazione provocò un risolino divertito di Cybil, che guardandola con fare rassicurante disse: “Calmati. Ricorda che tra me e tuo padre, a dormire beata, e a svegliarci qualche ora dopo c’eri proprio tu!”

L’affermazione non sembrò soddisfare del tutto la ragazza, che prese a osservare un punto indefinito. Cybil invece rimase a guardarla sorridente.

 

  
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