Premessa: E’
stato molto importante scrivere questo capitolo e vi
spiegherò alla fine il perché, anche se credo che
lo capirete mano a mano che leggerete il capitolo.
Ci vediamo giù…
Ma ieri… poi,
domani…
Se non
avesse avuto costole, polmoni e quant’altro, probabilmente
sarebbe caduta al suolo come un vecchio straccio e sarebbe rimasta
lì. Ma le costole, i polmoni e quant’altro
riuscirono a farla stare piegata su se stessa, a crogiolarsi nel suo
dolore.
Era una bella giornata di sole e qualche raggio riusciva anche a
scaldare gli studenti che, dato il freddo, si esponevano al caldo
tenue, ma lei non riusciva a trarre un minimo di calore. Niente.
Le uniche cose che ancora riusciva a sentire vive erano il dolore e le
sue parole.
-Ieri ti ho
mentito.
Come aveva
potuto dire di aver mentire, se nei suoi occhi lei aveva visto qualcosa
di buono? Come aveva potuto dire di aver mentito se era stato lui a
cominciare tutto e a finire tutto?
Non riusciva a crederci. Non ci credeva perché lei ricordava
ancora il sapore dei loro baci, i suoi abbracci spontanei e i suoi
sorrisi, quelli che riservava solo alle persone a cui voleva bene,
quello che una volta aveva condiviso anche con lei.
Non aveva mentito, Hermione sentiva questa certezza nascere dal cuore.
-Sono bravo
a farlo.
O forse
sì. Forse era stato talmente bravo a mentire che, a un certo
punto, anche lui aveva cominciato a credere che quelle bugie potessero
essere verità. Poi, aveva capito che lo erano: erano solo
bugie e tali sarebbero rimaste.
In fondo, però, parte di lei, credeva pienamente a quello
che aveva sentito: aveva dimenticato gli unicorni.
Come aveva potuto dimenticare gli unicorni?
Sentì una mano posarsi sulla spalla e sussultò,
ma quando si accorse che quella mano era calda e non gelida come quella
di Draco, quella briciola di speranza che ancora custodiva caramente
scomparve.
O forse, era lei ad essere talmente fredda che anche il freddo di una
mano le dava calore.
Non alzò la testa per capire di chi si trattasse.
Restò piegata su se stessa, mentre le lacrime le rigavano il
viso.
-Come stai?- la voce accorata di Harry fu come uno schiaffo in pieno
viso.
-Fa male. Fa maledettamente male.
-Ne sei innamorata?
Rimase per un po’ in silenzio. –Ne
sei innamorata? –Sì.
-Da quanto tempo?
-Non lo so.
-Io so cos’è successo. E ne dobbiamo parlare.
-Non c’è niente di cui parlare, Harry. Ha
dimenticato tutto e per lui non era importante.
-Che vuol dire ha dimenticato tutto?
-Ci sono stati dei momenti tra noi e lui li ha dimenticati. Ha
dimenticato anche gli unicorni.
-Gli unicorni?- Harry aveva il viso di chi non capiva di cosa si
parlava e quando Hermione si voltò a guardarlo, sorrise per
un attimo.
-Sì, gli unicorni.
Erano i loro, tutti quei ricordi appartenevano a loro. Non erano di
nessun altro e lei non li avrebbe raccontati a nessuno.
-Non è come credi.
-E com’è, Harry?
-Sai che io non lo sopporto, ma credo che ti ami anche lui…
altrimenti perché ti ha baciata fuori al quadro del nostro
dormitorio?
Hermione arrossì a quel ricordo. Le faceva male.
–Sì, ma ieri…
-Ieri non ha importanza, Herm. Ieri era un altro giorno e oggi ne
è un altro. Poi, domani sarà un altro giorno
ancora.
-Sì, bella teoria. Ma non cambia che le cose stanno come
stanno.
-Non è come credi, te lo ripeto.
-Sì, certo.
-Dobbiamo parlarne, Herm. Ma non qui. Ti mando un gufo.
Harry se ne andò e lei rimase di nuovo sola. Di nuovo il
dolore lancinante che non accennava a lasciarla.
Voleva starsene da sola, senza nessuno, senza dolore.
Non voleva neanche sentire la voce dei suoi pensieri, la voce dei suoi
ricordi. Niente.
-Dovremmo
far in modo di farli trovare qui, da soli. Almeno all’inizio.
-E’ una buona causa, Harry.- rispose Silente, guardando il
ragazzo dagli occhiali rotondi. Era fiero di quel giovani che aveva
dedicato la sua vita al giusto e sapeva che avrebbe dovuto aiutarlo,
entrare nella mente di Draco Malfoy e spingerlo a decidere.
-Sì, lo so.
Harry aveva pianificato tutto nei
minimi dettagli e non doveva succedere per niente al mondo che qualcosa
andasse storto.
Aveva chiesto al Preside di dargli qualcosa che appartenesse a Draco,
in modo che anche lui avrebbe bevuto
-A dopo, Harry.- Silente lo congedò e si accomodò
nella sedia. Guardò gli scaffali pieni di libri, poi
guardò fuori dall’enorme vetrata e vide la sua
Hogwarts.
Era sua,
era cresciuto tra quelle mura e le aveva viste deboli, sul punto di
crollare e riprendersi e lottare per restare in piedi. Hogwarts era sua.
Se ne stava
steso sul letto. Innamorato quando tutto era finito.
Per la prima volta, forse, capì qual era il sapore della
sconfitta e della perdita.
Non sapeva spiegarsi cosa stesse succedendo a lei, a lui, intorno a
loro… sapeva solo che lei se n’era andata.
Lo aveva lasciato solo anche nella Stanza delle Necessità:
non era rimasta per chiedergli se l’amava, per dirgli che
anche lei lo amava.
Non era rimasta perché non le importava dare una risposta a
quella domanda, non era rimasta perché lei non lo amava.
Draco non era mai stato debole tanto da non riuscire a reagire, ma non
aveva la forza per muoversi e questo gli dava tanto da pensare:
l’amore faceva così male?
Non lo credeva possibile, eppure l’unica certezza che aveva
era proprio quella: l’amore faceva male.
E non riusciva a capire come aveva fatto ad innamorarsi di lei,
l’ultima persona al mondo che avrebbe voluto amare. Forse era
una maledizione che prima o poi si sarebbe allontanata da lui, ma se
non fosse successo?
Draco Malfoy sapeva solo odiare, come si era ritrovato ad amare?
Troppe domande, poche risposte, zero certezze su quello che provava lei
per lui, mille certezze su quello che lui provava per lei. E paura.
Lui aveva paura di quei sentimenti, perché non li aveva mai
provati, non li conosceva, non sapeva a cosa lo avrebbero spinto. Non
sapeva niente.
–Noi
non abbiamo un solito posto, Malfoy. Noi non abbiamo niente.
A
volte, ritornava con la mente ai giorni trascorsi in quel dormitorio. A
volte, sempre.
Il viso di lei era la prima immagine che gli copriva gli occhi la
mattina, l’ultima che lo lasciava la sera, quella che
compariva all’improvviso e faceva male nelle ore in cui non
voleva pensare a lei.
Il punto era che Draco non voleva pensarla: era lei che entrava nella
sua mente.
Dopo tutto quello che c’era stato tra loro, dopo tutto quello
che lei gli aveva rubato, si permetteva anche di privarlo del controllo
della sua mente.
-E
cosa c’è stato?
-Parli sul serio?
-Certo, Draco.
Come poteva? Come riusciva a farlo?
Sarebbe voluto entrare nei suoi pensieri come faceva lei, ma forse a
lui non era concesso essere tanto importante per qualcuno.
In quel momento prese la decisione migliore per sé: non
voleva che lei lo amasse per forza, ma almeno che tenesse in conto la
verità su di lui.
Si erano odiati, si erano feriti, si erano studiati e lui si era
innamorato pensando che poi, domani, tutto sarebbe tornato uguale. Ma
niente era più lo stesso.
Blaise entrò e si stese sul letto accanto a lui, imitandolo
mentre fissava il soffitto.
Quella presenza gli dava fastidio, perché era cominciato
tutto grazie a lui. Per colpa sua.
Draco era andato avanti per anni con la sua vita, senza che nessuno la
intaccasse- nemmeno le scelte di suo padre, visto che alla fine si era
voltato dalla parte dei buoni e si era salvato-, ma Blaise aveva
sconvolto tutto.
-Come va, Drà?
Non rispose, perché non sapeva cosa dire: andava bene. Si, e
perché?
Allora andava male. Perché?
Non sapeva neanche lui come si sentiva, come andava. Sapeva solo che
era colpa di Blaise.
-Mh.- la risposta che più somigliava al suo stato
d’animo.
-Le ripetizioni?
-Mh.
-Con
-Mh.
-Perché non rispondi?
-Mh.
In realtà non lo stava ascoltando e Blaise se
n’era accorto.
Blaise lo capiva, perché spesso e volentieri anche lui era
stato perso nei suoi pensieri e nei ricordi tanto da non ascoltare chi
gli era accanto e parlava. Blaise sapeva che mh era la
risposta di chi non sapeva cosa rispondere.
Blaise sapeva che, in parte, quel Draco era figlio di una sua idea. Ma
ieri aveva creduto che quella era la cosa giusta da fare, poi, domani,
aveva capito che non aveva senso forzare e modellare i sentimenti
altrui.
Si alzò e lasciò il biondo da solo. Capiva che il
silenzio spesso aiutava più delle parole e conosceva
abbastanza Draco da capire che quello era il momento di lasciarlo solo.
Prima di conoscere lei, prima di conoscere se stesso non aveva mai
saputo amare e forse non era mai stato amato davvero… Poi
erano stati rinchiusi in quel dormitorio e ne erano usciti e, a volte,
i comportamenti di Hermione gli sembrava che dicessero
“Lasciati amare, poi scordati in fretta di me.”
Aveva deciso e non perché volesse capire cosa provava-
quello lo sapeva già-, ma perché voleva rivivere
quei momenti, rivivere anche il particolare più banale.
Voleva rivivere lei.
Non si rese conto di aver percorso tanti metri fino a che non si era
trovato di fronte alla porta dell’ufficio del Preside.
Bussò e, come se lo stesse già aspettando,
Silente gli disse di entrare e accomodarsi.
-Draco Malfoy. Cosa ti porta qui?
-I-io… voglio vedere i miei ricordi.
-Non ci riesci da solo?
-No.- il tono cedevole di chi mente, ma sa che quella bugia sa
più di verità. –A volte, il resto
è sbiadito.
-Cos’è che non lo è?
Sentì un calore alla bocca dello stomaco e guardò
il vecchio Preside negli occhi. Come faceva a sapere che
c’era qualcosa che non fosse offuscato? –Hermione
Granger.
Silente non sembrò sorpreso: lo sapeva. Lo aveva sempre
saputo.
-Bene. Vieni qui.- e Draco gli andò incontro.
–Prima, però, devi darmi qualche oggetto a cui
tieni particolarmente. L’anello, per esempio.
-Perché?
-Potrebbe essere pericoloso.
-Non lo è stato con i miei ricordi di Mangiamorte,
perché dovrebbe esserlo adesso?
-Provavi paura, Draco, in quei ricordi?
-Sì.
-La stessa paura che provi quando cerchi di ricordare questi ricordi?
Draco tacque. No, non si trattava della stessa paura: nel primo caso
aveva paura di poter morire; nel secondo, invece, aveva paura di dover
vivere con la consapevolezza di amarla e non poterglielo dire o
dimostrare. –No.
-Allora dammi l’anello.
Draco lo sfilò dal dito e lo consegnò al Preside
che, subito dopo aver riposto l’oggetto sulla sua scrivania,
gli puntò la bacchetta alla tempia e ne prese i ricordi.
Li chiuse in una boccetta e li versò nel Pensatoio. Draco
immerse il viso in quell’acqua di memorie che non voleva
perdere.
Nel frattempo, Silente consegnò l’anello a Harry
che bevve d’un sorso
Daphne non
era in sé dalla felicità e sperava che quella
sensazione di leggerezza avrebbe continuato a tenerle compagnia.
Sperava che le cose tra lei e Theo sarebbero andate incontro solo alla
miglioria e lei si sarebbe impegnata affinché questo
succedesse.
Alla fine di tutto, dopo infinite delusioni amorose, aveva capito che
l’amore vero era lì ad un passo da lei. Non se
n’era accorta semplicemente perché non aveva
guardato Theo con gli occhi con cui avrebbe dovuto guardarlo: era un
amico, quello che capiva i suoi silenzi, ma che non aveva capito quanto
l’amore di Daphne per lui fosse vero e sincero.
Theo era sempre stato presente nei suoi anni a Hogwarts, soprattutto
nei momenti difficili e forse era per questo che Daphne lo amava. Lo
amava perché sapeva che lui non l’avrebbe mai
abbandonata, come lei.
Guardò fuori, mentre camminava tra i corridoi della scuola e
ripensava ai momenti più bui: le sembrava che si
avvolgessero su loro stessi, come intorno ad un gomitolo,
rotolassero lontano da lei. Si sentì bene.
Per la prima volta, sentì che niente avrebbe potuto
intaccare la sua felicità, sentì che le cose
andavano nel verso giusto e che la strada che aveva cominciato a
percorrere era quella che l’avrebbe condotta alla vita che
aveva sempre desiderato. Tra l’altro, non avrebbe neanche
deluso i suoi genitori e la sua dinastia Purosangue. Ma quello era
davvero l’ultimo dei buoni motivi per stare con Theo.
Il primo, il più importante era che lo amava. Lo amava
davvero.
Lisa Turpin
era stesa in un letto che conosceva bene, ma che non le sembrava il
suo, perché tra le lenzuola, per la prima volta,
c’era qualcuno a cui lei era davvero interessata.
Quel qualcuno aveva i capelli rossi, gli occhi azzurri e un sorriso che
le regalava allegria.
Ron, invece, se ne stava disteso accanto alla ragazza e guardava fuori
dalla finestra. Fumò in fretta, come se il tempo che gli
toglieva il fumo fosse prezioso, e si vestì.
Lisa lo guardò senza chiedergli cosa stesse facendo,
né il perché, né gli chiese dove
sarebbe andato. Ron era stato chiaro con lei: “Non
è una storia d’amore, la nostra… ma non
ti nascondo che potrei innamorarmi di te.” le aveva detto
quando si erano incontrati.
Le aveva chiesto di vedersi in un corridoio del secondo piano e si era
presentato. Era cominciato tutto da lì.
Ron Weasley si sentiva cambiato nel profondo dell’animo e non
perdeva di vista neanche per un attimo il motivo del suo cambiamento:
in fondo al cuore sapeva che quello che provava per Hermione si era
spento, o almeno non era più forte come lui credeva.
Quello che lo spingeva a continuare e a tenere in piedi il suo piano
era la voglia di vendetta: voleva far male a lei e a Draco Malfoy.
Diede un leggero bacio a Lisa, poi si avviò veloce per i
corridoi che lo avrebbero portato al suo dormitorio. Era il momento di
avere i capelli ricci e gli occhi nocciola.
Aveva bisogno di rilassarsi, perciò decise di fumare una
sigaretta e si appoggiò con la schiena ad una colonna di
vetro che reggeva un arco. Il sapore acre del fumo gli dava ancora
fastidio e gli lasciava una sorta di bruciore giù alla gola,
ma non voleva smettere: le ragazze amavano quei ragazzi che non avevano
rispetto né per gli altri né per loro stessi e
Ron sarebbe diventato uno di quelli. Era sulla buona strada.
Quello che però non sapeva era che quella strada non era
quella giusta e sì, avrebbe incontrato altra gente, ma alla
fine del cammino si sarebbe ritrovato solo: lo avrebbero abbandonato
tutti. Probabilmente, si sarebbe abbandonato anche lui e avrebbe
rimasto quella specie di marionetta che stava costruendo accasciata sul
ciglio della strada.
A volte si sentiva davvero come se fosse mosso da fili invisibili che
gli controllavano anche i pensieri e lo facevano parlare a sproposito,
ma non era una brutta sensazione, perché i suoi spropositi
facevano male ed era quello il suo intento.
Ripensò agli occhi verdi di Lisa e avvertì una
fitta allo stomaco, ma non ci badò: non sapeva se fosse
normale o meno, ma non voleva ancora innamorarsi di
qualcun’altra. Avrebbe compiuto la sua vendetta e si sarebbe
concesso di innamorarsi solo dopo che Hermione sarebbe tornata
strisciando da lui… e lui l’avrebbe rifiutata.
-Vedi?
Hai occhi solo per lui!
Era per soddisfazione, per semplice e puro egocentrismo e
nient’altro.
Hermione
ricevette un gufo da parte di Harry e nel biglietto c’era
scritto che doveva vedersi nell’ufficio del Preside. Le
sembrò, ma non se ne preoccupò: in fondo, Harry
conosceva bene Silente e lo aveva anche aiutato nella ricerca degli
Horcrux.
Si tirò su e si avviò verso l’ufficio
del Preside, camminando a passo veloce. Voleva sapere la
verità, dare una spiegazione logica a quello che stava
succedendo a lei e a Draco che c’era, ma poi spariva, poi
tornava ed era lontano…
Erano stati distanti per tanti anni, poi si erano presi per mano, poi
si erano allontanati di nuovo.
Era stato un continuo tira e molla muto e inconsapevole, ma entrambi ne
soffrivano ed entrambi non lo sapevano: convinti di essere
l’unico o l’unica tra i due a star male.
Si incontravano nei corridoi, senza neanche guardarsi, ma
l’uno seguiva il ritmo dei passi dell’altra e
viceversa.
Le loro mani non si toccavano più da troppo tempo e da
troppo tempo le labbra di Draco chiedevano quelle di Hermione.
I loro sguardi non si incrociavano più e il cuore di
Hermione chiedeva ancora di battere freneticamente alle carezze di
Draco.
Quando Hermione entrò nell’ufficio del Preside si
trovò di fronte un Draco Malfoy con l’affanno e
sulla fronte i capelli , dalle cui ciocche scendeva qualche goccia.
-Che ci fai qui?
-Tu che
ci fai qui?
-Harry mi ha dato appuntamento qui.
-Per cosa?
-Deve parlarmi: ha detto che lui sa cosa sta succedendo. Cosa ci sta
succedendo. A me e te.
-Non c’è niente da sapere: è una cosa
che non vuoi e va bene così.
-Io non voglio? Tu non vuoi! Sei tu quello che non ricorda niente.
-Io? Ricordo tutto e l’ho appena visto nei miei ricordi. Ho
anche visto come mi hai trattato quando c’era anche Potter.
-Non ci siamo mai parlati quando c’era Harry.
-Invece sì: mi hai detto che non c’era stato
niente tra noi, che non avevamo un nostro posto…
-No.
-Sì.
-No.
-Se non ci credi, guarda qui.- E Hermione immerse il viso nel pensatoio.
Intanto, in un corridoio della scuola di magia, un Draco Malfoy con il
fiato corto strinse il polso di una Hermione troppo sicura di
sé. –Granger?
-Malfoy, lasciami immediatamente.
-Devo parlarti, vieni con me.
Non le diede il tempo di rispondere e la trascinò nel luogo
in cui sapeva si sarebbe svelata la verità.
Harry Potter sorrise, ma il suo sorriso apparve sul viso sottoforma di
un ghigno.
Minerva McGranitt e Severus Piton lo guardavano come se fosse
impazzito: Silente aveva un sorriso tranquillo e rilassato, come se non
si fosse accorto delle urla e delle accuse che fino a poco prima
venivano dal suo ufficio.
-Si saranno schiantati?- chiese la professoressa.
-Magari hanno solo fatto l’incantesimo del
silenzio… è così snervante sentire due
persone che urlano.- Severus era stanco di star chiuso in quella stanza
attigua all’ufficio di Silente e non sopportava quel sorriso
compiaciuto sul suo viso.
Era contento che Draco Malfoy avesse capito quali fossero i suoi
sentimenti per Hermione Granger, ma era stupido e inutile sorridere
tanto.
Silente si compiaceva e li fissava, si aspettava che anche loro fossero
tanto entusiasti di quella specie di trionfo amoroso e non capiva
perché non lo fossero. –C’è
qualcosa che non va?
-No.- risposero i due professori all’unisono, ma continuavano
a fissarlo con aria smarrita.
-Siete come questa giornata di Dicembre: avete la neve sul cuore, ma
basta scuotersi un po’ e il cuore torna a battere.
I due credettero che Albus Silente fosse davvero impazzito.
Harry, nei
panni di Draco Malfoy, spalancò la porta
dell’ufficio del Preside e tirò con sé
Ron, nei panni di Hermione Granger.
Di fronte ai loro occhi c’era la versione reale dei
personaggi che stavano recitando.
-Cosa significa tutto questo?
-Chi è questo?- chiese Draco, indignato del fatto che ci
fosse un altro lui.
-Aspettate qualche minuto e capirete.
-Hai anche la mia stessa voce!- gli occhi grandi per la sorpresa.
-Purtroppo sì.
Ridusse gli occhi a due fessure e lo squadrò da capo a
piedi, ma quando il se stesso che aveva di fronte si tramutò
in Harry Potter, Draco sentì una morsa allo stomaco.
Capì.
Capì che Hermione non gli aveva mai detto quello cose, che
non gli aveva mai detto che tra loro non c’era stato niente.
Capì che Hermione gli aveva detto la verità.
Non era una domanda, ma un’accusa che gli aveva riempito il
cuore, il sangue e la gola di rabbia.
Ron abbassò lo sguardo. Era andato tutto a rotoli: il suo
piano si era sgretolato man mano che le metteva a punto e Hermione non
sarebbe tornata da lui. Mai più. –Sì.
-Io ti ho detto che mi mancavi e mi hai rispos…
Draco la guardò.-Ti mancava?
-Eri tu, cioè, lui in quel momento era te. Comunque, mi hai
detto… ecco perché spalancavi gli occhi.
Perché?
-Non lo so, va bene? Non lo so. Prima credevo di essere innamorato di
te e non lo sono più… e non sono riuscito a
fermarmi, voglio farti ancora male…
-Sei uno stupido, Ron.
-E tu cosa sei?
-Non lo so, ma sono felice di non essere come te. Sei un maschio
viziato ed egoista.
-Maschio?- le orecchie rosse dalla rabbia. –Io sono un uomo.
-No, non lo sei.- Hermione aveva dimenticato Harry e anche Draco: in
quel momento esistevano la sua rabbia, la sua delusione e Ronald
Weasley.
-Non sai neanche qual è la differenza tra un uomo e un
maschio.- Ron non si rendeva conto del fatto che di fronte non aveva
più la sua amica, quella che gli perdonava tutto. Era
diventato cieco, uno di quei ciechi che vedevano ma si rifiutavano di
guardare.
-T’interessa saperla, Ron?- la calma nella voce
spaventò tutti gli altri.
-Sì.
-E perché?
-Perché sì.
-Pochi maschi sono uomini… e poi, anche gli animali sono maschi.
-Io credo che si veda anche da quello che un maschio ha lì.-
disse, indicandosi i pantaloni all’altezza
dell’inguine.
-Fai pena, Ron.
-E tu sei femmina, Hermione. Femmina, non donna.
-Forse, ma io continuerò a crescere e diventerò
una donna. Tu invece resterai sempre maschio. Maschio, Ron,
nonuomo.
-Sei una stronza.
-Mi hai fatto credere che lui non ricordasse niente e io l’ho
odiato!- si trovò a meravigliarsi di se stessa e ne fu
felice: Draco ricordava tutto.
Ricordava il dormitorio, la nutella, i baci e gli unicorni.
Ron ghignò. –Sei proprio una stupida.
-Smettila di essere quello che non sei, Ron: non sarai mai come Draco.
E smettila anche tu.- disse, rivolgendosi al biondo.
-Io non sto facendo niente.
-Appunto! Ti ho conosciuto, Draco e ora so come sei davvero, quindi
smettila di non fare niente per essere come sei davvero.
-Io non faccio niente?
-No. Non ti difendi da quello che dicono su di te, non reagisci.
Draco non pensò a chi c’era intorno e con passo
deciso di avvicinò a lei, le prese il viso tra le mani e la
baciò.
Non esisteva Harry Potter, né la piccola Weasley che era
entrata nell’ufficio del Preside mentre Hermione urlava,
né Ron. Non esisteva nessuno: c’erano lui e la
bocca di lei; i suoi capelli crespi; il profumo di lei che si mischiava
al suo.
Grano,
nebbia, sole, pioggia, inverno, estate.
-Va bene
così?- le chiese staccando le labbra da lei, ma tenendo il
contatto con le fronti.
-Ho paura…
-Viverla in due la rende meno spaventosa, no?
-Sì.- sorrise.
-Io non sono un bastardo.
-Questo è opinabile.
-Non lo sono con te.
-E’ vero.
-Non abbiamo fatto molta strada, prima…
-Mi chiedo il perché.
-Tempistica.
-Dici?
-Sì… è stato un anno difficile.
-Già…
-Siamo nel 2002.
-Cosa?
-Sì… e ci stiamo incontrando per la prima volta.
Voglio rifare tutto dall’inizio.
Hermione sentì le lacrime bagnarle il viso e sorrise: erano
lacrime di gioia. Draco la baciò ancora.
-Ma ieri…
-Ne parliamo domani. Ora pensiamo a noi.
-Sapevo che c’era un posto anche per te.
-Tu.
-Eh?
-Il mio posto sei tu. Ma ieri non lo sapevo, oggi lo so. Poi, domani ne
sarò ancora più felice.
Angolo Autrice:
Salve
a tutte… sono emozionatissima.
Questo è il mio regalo di Natale per tutte quelle persone
che mi hanno seguita e recensita e che mi hanno aggiunta da qualche
parte nelle loro liste.
Ho amato questo capitolo dalla prima all’ultima parola e
spero che possiate amarlo anche voi.
Siamo arrivati alla fine di questa storia che mi ha dato tante
soddisfazione, ma anche un bel gran da fare.
La dedico a tutte voi, la dedico a chi mi ha ispirato a scriverla, a
chi mi ha lasciata nel momento del bisogno e mi ha dato la forza per
scrivere determinati capitoli in cui si raccontava la distanza.
Insomma, la dedico a chi in un modo o nell’altro ha fatto
parte della mia vita.
Ringrazio tutte le persone che hanno recensito e che sono state in
silenzio.
Un bacio immenso.
Vi saluto
con un nodo in gola, con la speranza di potervi ringraziare
un’ultima volta, almeno per quanto riguarda questa storia.
Buon Natale e Buon Anno Nuovo.