A/N Chiedo scusa per il ritardo! Giornate impegnate ahimé! Rubo questo spazio per ringraziare chiunque mi stia leggendo e per lasciarvi due parole. Se avete letto il resto ed ora leggete questo capitolo, forse qualcosa potrebbe non quadrarvi.. Ecco, prometto che tutto avrà senso alla fine!
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“Eccoci qui fratello! Come
vedi, contrariamente alle tue supposizioni, sono perfettamente capace di
portare a termine un compito.”
Elia non mosse gli occhi dal
bersaglio mentre il più giovane dei suoi fratelli prendeva posto
sull’elicottero. Le sue labbra pronunciarono una risposta, ma il resto del suo
viso non si mosse nemmeno.
“Trovi sempre il modo di
stupirmi Nathaniel.”
Rimase immobile con le
braccia incrociate sul petto, seguendo i movimenti degli altri due passeggeri. Joseph
stava strascinando la ragazza, una completa sconosciuta. Per quanto fosse
sollevato alla vista del fratello, la presenza del quarto incomodo rischiava di
scalfire la sua perenne aplomb.
Joseph stava ricambiando i
suoi occhi, anche lui serio, ma coscienti entrambi che dietro quelle maschere
stavano sorridendo. Avrebbe volentieri abbracciato Elia, se non avesse avuto la
precedente urgenza di trovare una scusa per il suo “bagaglio a mano”.
“Devo essermi perso qualcosa
Joseph.”
Esordì il maggiore,
lasciando le braccia distese lungo i fianchi, lo sguardo rivolto alla ragazza. Cara
sollevò la vista da terra solo per qualche istante, giusto il tempo di capire
che aspetto avesse il terzo fratello, l’ennesimo membro della famiglia che
avrebbe votato per la sua esecuzione immediata.
Aveva chiaramente qualche
anno in più, o almeno così suggeriva il suo viso, la pelle chiara ed i capelli
scuri, esattamente come il minore. Era però più alto, composto, totalmente a
suo agio nell’elegante completo blu che indossava. Non sembrava affatto un
criminale, pensò Cara, aveva più l’aspetto di uno scaltro uomo d’affari, di
quelli che incontreresti solamente a Wall Street.
Joseph sollevò gli angoli
della bocca
“Grazie per il trucco
dell’aereo fratello.”
Elia rimase impassibile
“Hai detto Volo con
l’Aquila, il che indicava gli Stati Uniti. E non è stato difficile cogliere il
tuo sottile riferimento alla libertà, vedi statua della libertà, vedi New York.
Da lì in poi non ho dovuto fare altro che un paio di telefonate…”
Prese fiato
“… E adesso…”
Inclinò lentamente la testa
a sinistra
“…Potresti gentilmente
spiegarmi l’inaspettata presenza di quest’esausta, senza dubbio incantevole, ma
sconosciuta giovane donna?”
Cara lo guardò di nuovo,
momentaneamente distratta dall’utilizzo di tante parole per chiedere semplicemente
chi lei fosse. Il suo tono suonava così diverso da quello di Joseph e di suo
fratello, riusciva quasi a farle credere che non ci fosse nulla da temere.
Joseph le lanciò un’occhiata
veloce
“Era sull’aereo.”
Esordì. Elia sollevò un
sopracciglio
“E tu l’hai presa?”
“Io non l’avevo mai vista
prima, ma lei sapeva chi sono. Sospetto sia una spia.”
L’altro tornò a guardare la
ragazza
“Spia?”
Joseph sospirò
“Esatto. Ho sentito che il tuo
amato suocero era a Johannesburg e quindi ho fatto due più due.”
Elia inspirò profondamente,
non lasciando trasparire alcuno dei suoi pensieri
“Una spia di Vladimijr
quindi.”
Stavolta si mise ad
osservare la sconosciuta con più attenzione, tracciando due lenti passi verso
di lei. Cara cercò di guardare altrove, ormai stanca di essere il continuo
centro dell’attenzione, troppo stanca perfino per preoccuparsi ancora della sua
stessa vita. Elia curvò la schiena verso di lei, avvicinando il viso alla sua
persona, quasi volesse sentirne l’odore, quasi potesse riconoscere la Russia
dal suo profumo. Alzò la mano destra, afferrando delicatamente il mento di Cara
tra pollice ed indice, sollevando il suo sguardo senza alcuna fretta
“E dimmi…”
Iniziò, gettando i suoi
occhi scuri in quelli di Cara
“…Questa dolce creatura ha
anche una voce?”
In quel momento lei capì,
nell’istante in cui scoprì, pur volendo con tutte le sue forze, di non poter
distogliere la vista dal suo interlocutore. Poteva facilmente sembrare il più
gentile ed educato, ma era di gran lunga il più crudele di tutti.
“Come ti chiami?”
Cara annaspò nell’aria per
qualche secondo
“Cara.”
Elia mosse piano le dita dal
suo mento alla sua gola, sfiorando dolcemente il punto preciso in cui il sangue
pulsava freneticamente sotto la pelle. La ragazza aveva paura.
“Non credo che sia una spia.”
Si rivolse a Joseph
interrompendo ogni contatto, fisico o visivo, con Cara.
“Sei sicuro? Come faceva a
sapere allora?”
Elia si mosse verso
l’elicottero
“Non lo so. Chiedilo a lei,
dopodiché sbarazzatene.”
Cara chiuse gli occhi,
cercando di restare in piedi per la milionesima volta negli ultimi tre giorni.
Perché continuava a sperare? Perché? Ormai era ovvio che non ne sarebbe uscita
viva, quindi per quale strano motivo nessuno dei tre le aveva ancora sparato un
colpo in fronte? Perché nessuno voleva mettere fine alle sue sofferenze?
“Mi ci vorranno tempo e
mezzi fratello.”
Elia si bloccò sui suoi
passi, voltandosi in un unico, fluido movimento
“Questo implica forse il
fatto che vorresti portarla con noi?”
“Voglio solo arrivare in
fondo alla questione.”
Il maggiore si avvicinò a
Joseph, stavolta rigido e serio
“Stai quindi sottintendendo
che vorresti portare una completa insignificante sconosciuta a casa nostra?”
La sua voce sottolineò le
ultime parole, implicando l’assurdità del solo pensiero. Cara non riuscì a
trattenersi dal lanciargli un’occhiataccia, poteva anche tenere in mano i fili
della sua vita, ma nessuno, nessuno al mondo, doveva prendersi il diritto di
definirla “insignificante”. Non sapevano nulla di lei. Non ancora almeno.
Joseph strinse i pugni
“Me ne occuperò io.”
Elia sollevò le spalle
tornando a voltarsi
“Occupatene ora.”
L’altro gonfiò il petto e
sollevò il viso
“E da quando sei tu che dai
gli ordini fratello?”
Cara si allontanò
impercettibilmente di un passo. Non poteva fuggire, ma senza dubbio non aveva
intenzione di trovarsi nel bel mezzo di quel fuoco incrociato. Gli occhi
dell’assassino si erano tinti di scuro, i suoi muscoli stavano tremando e dopo
la loro piccola discussione sulla barca, sapeva cosa ciò volesse dire.
Elia emise una specie di
sospiro, il suono della sua esasperazione
“Non lo so fratello. Forse
da quando ho dovuto tirarti fuori dai guai per l’ennesima volta? Sono stanco di
ripulire i tuoi casini.”
“I tuoi casini vorrai dire. Se fossi stato in grado di tenerti tua
moglie tutto questo non sarebbe successo.”
Elia piombò sul fratello,
rapido ed incombente, come se volesse sfondargli la faccia a suon di pugni. Non
si mosse più una volta davanti al suo viso, gli occhi stretti in due fessure
come se potesse cavargli l’anima dalle orbite.
Joseph rimase immoto,
improvvisamente stava davvero desiderando di picchiare suo fratello, non sapeva
nemmeno bene perché.
Nathaniel saltò giù
dall’elicottero con agilità e raggiunse gli altri due
“Dateci un taglio…”
Ordinò con nonchalance,
richiamando l’attenzione di Elia
“La ragazza gli piace ok?”
Sorrise divertito “Lasciagliela portare,
tanto sappiamo bene che se ne sarà già stancato tra un paio di giorni.”
Il maggiore guardò di nuovo
Joseph, nessun segno di emozioni sul suo viso
“Molto bene…”
Esordì riprendendo la sua
postura composta
“…Andiamo via da qui.”
Cara si mosse dietro di loro
non appena avvertì la presenza di Joseph al suo fianco, senza bisogno che lui
la spingesse o trascinasse. Non era nemmeno sicura di poter sopportare che lui
la toccasse di nuovo. Le parole degli altri Michaelson avevano cambiato le
corde del suo umore, gran parte della sua angoscia tramutata in fastidio, se
non in pura avversione. Per loro era insignificante, inutile, inesistente, come
se fosse un cucciolo di una qualche specie tropicale, divertente da osservare
per qualche giorno, e poi da buttar via.
Se ne stette stretta in un
angolo per tutto il viaggio, cercando di ignorare il rumore assordante dell’elica
che non le permetteva nemmeno di pensare. Era stanca. Davvero stanca. Si lasciò
trascinare per tutto il tragitto come fosse uno zombie, senza prestare alcuna
attenzione a quello che i tre uomini stavano dicendo. Tra loro sembrava essere
tornata la pace.
Un paio di volte sentì gli
occhi di Joseph su di lei e riuscì ad incrociarne lo sguardo. La sua
espressione non diceva nulla, era come guardare una pagina bianca. Cara cercò
di immaginare cosa mai potesse star pensando e le sue guance si fecero calde al
ricordo delle sue mani addosso e del suo modo così rude di baciare, il primo
pensiero che le era tornato alla mente. Avrebbe potuto liberarsi di lei in un
istante e invece era ancora lì, viva e vegeta. Ripensò allo scontro tra Joseph
e suo fratello, lasciando che l’idea più ingenua e vagamente presuntuosa
trovasse spazio nella mente. Possibile che lei gli piacesse davvero?
Joseph stava sorridendo per
la prima volta dopo giorni interi. Amava i suoi fratelli, il solo tipo di amore
che conosceva e che gli era permesso. La famiglia prima di tutto, la loro unica
grande regola, le parole che in ogni momento riecheggiavano nella sua testa. Il
grande orgoglio e peso dell’essere un Michaelson. Mentre Nathaniel raccontava
della spogliarellista olandese che aveva legato al suo letto qualche sera
prima, Joseph guardò Cara con la coda dell’occhio. Se ne stava rannicchiata con
le braccia strette al petto, gli occhi fissi al suolo. Forse l’elicottero le
dava la nausea. Forse era stremata. Forse si era semplicemente arresa. Voltò la
testa per osservarla meglio, cercando di mandar giù. Sperò che non fosse
questo, che la ragazzina dell’aereo non avesse già ceduto. Gli piaceva la sua
grinta, il modo in cui lo combatteva, cercando di respingerlo e tenerlo
lontano. Voleva che lei lo combattesse. Voleva che lei lo respingesse.
Atterrarono su quello che
doveva essere il tetto di un edificio, il ronzio dell’elicottero rimbombava
ancora nelle orecchie di Cara, incapace di riconoscere dove si trovassero. Il
grigio paesaggio intorno a lei, fatto di ombre e grattacieli, non diceva nulla
di sé. Avrebbe voluto sporgersi e cercare qualche indizio, ma dovette muoversi
non appena sentì la mano di Joseph spingere sulla sua schiena.
Elia consegnò le chiavi
dell’apparecchio ad uno sconosciuto, quest’ultimo, occhiali da sole e giacca
nera, pronto a sparire nello stesso cielo da cui loro erano arrivati. Nathaniel
stirò le braccia con una specie di sbadiglio
“Avrei di gran lunga
preferito andare subito a casa. Sai com’è.. Jacuzzi, Champagne, massaggiatrici
cinesi.”
Il maggiore passò le mani
sulla giacca del suo completo blu, incredibilmente perfetta anche dopo il volo.
“A tempo debito Nate.”
Rispose, i suoi occhi
chiaramente diretti verso la ragazza. Joseph la spinse più forte verso la scala
di servizio, sempre mantenendo il silenzio. Doveva essere un palazzo
abbandonato, forse una specie di hotel in disuso, almeno a giudicare dal gran
numero di porte e dai cartelli verdi che segnavano ogni piano con una grande
cifra bianca e le indicazioni per l’uscita di sicurezza. Arrivati al numero 3
lui la trascinò attraverso la porta, lungo un corridoio con la moquette blu.
Cara respirò il forte odore di polvere, mischiato al rimasuglio di profumo di
fiori e detergente. Forse qualcuno aveva cercato di dare una pulita in tempi
non troppo remoti.
Joseph aprì per lei una
delle tante stanze anonime e la guidò dentro, sempre senza dire una parola. La
camera era piuttosto piccola, con la stessa moquette blu e la tappezzeria beige
alle pareti. Il poco mobilio sembrava essere lì dagli anni settanta, anche se
le lenzuola bianche sul letto erano brillanti e pulite.
Cara inspirò, pronta a
parlare per domandargli se l’avrebbe semplicemente chiusa lì dentro o se
preferiva legarle i polsi un’altra volta. Aveva ancora qualcosa da perdere dopo
tutto? La porta si aprì di nuovo e gli altri due Michaelson vennero dentro,
interrompendo sul nascere le parole di Cara.
Nathaniel si piazzò in
faccia il solito sorrisetto, indicando il letto con un cenno della mano
“Direi che qui hai tutto
quello che ti serve Jo.”
Joseph sospirò scuotendo
appena la testa, Elia si avvicinò di nuovo alla ragazza, porgendole una
bottiglietta d’acqua comparsa dal nulla.
“Ho immaginato che potessi
essere assetata.”
Cara guardò tra le sue mani
e poi nei suoi occhi, indecisa su come muoversi. Avrebbe potuto giurare che
Elia stesse tentando di sorridere, solo che quel semplice gesto sembrava
essergli terribilmente difficile. Stava morendo di sete. Allungò la mano per accettare
l’offerta, ma Joseph le tolse la bibita dalle dita prima ancora che potesse
afferrarla davvero.
Inclinò la testa verso il
fratello maggiore
“Bel tentativo Elia.”
Gli ci era voluto un secondo
di troppo per capire, anche se la natura di quell’offerta era più che ovvia. Elia
aveva avvelenato l’acqua, impaziente all’idea di liberarsi della sua ragazza
dell’aereo. Sua. Ma perché continuava a pensarla sua? Sollevò un sopracciglio
rivolto al fratello, il suo sguardo diceva chiaramente che avrebbe deciso lui
come e quando liberarsi dell’ostaggio. Elia non mosse un solo muscolo del viso,
gli diede le spalle e prese la porta. Dietro di lui Nathaniel ridacchiava
ancora tra sé e sé
“Buon divertimento!”
Qualche secondo perché il
rumore dei loro passi nel corridoio svanisse e poi il silenzio piombò
nuovamente sovrano nella stanza.
Cara cercò di mandar giù.
Aveva la gola secca come il Sahara.
“Quindi è questo che vuoi?
Lasciarmi morire di fame e di sete?”
Joseph la guardò
immediatamente, come se solo in quel momento prendesse piena coscienza della
sua presenza. Svuotò la bottiglietta nel lavandino del minuscolo bagno annesso
e tornò da lei
“Mai. Non bere o mangiare
mai qualcosa che provenga dalle mani di Elia.”
Lei lo guardò per un secondo
cercando di dar senso a quel comando. Joseph si mosse verso la porta
“Ha la tendenza ad
avvelenare le persone.”
Cara abbassò gli occhi senza
rispondere nulla, senza il coraggio di confessare che era comunque
terribilmente assetata.
“Ti porterò io qualcosa da
bere e da mangiare.”
Aggiunse lui, come se le
avesse letto nel pensiero. Uscì dalla stanza chiudendosi la porta dietro le
spalle. Lo scatto della chiave nella serratura secco e netto.
Cara si lasciò sfuggire un
lungo sospiro. Era finalmente sola, finalmente libera di muoversi, di urlare,
piangere o spaccare qualcosa. Non ne avrebbe avuto la forza. Raggiunse piano il
letto e si poggiò contro il materasso, troppo duro per i suoi gusti. Una debole
luce filtrava dalle finestre, tratteggiata dalle inferriate che ovviamente
impedivano ogni tentativo di fuga. Sospirò ancora una volta, quasi uno sbuffo
più che un sospiro, accarezzando con le mani le sue stesse ginocchia.
Senza la presenza di un
orologio nella stanza non avrebbe potuto dire se erano passati cinque minuti o
due ore. Quando Joseph riaprì la porta lei rimase immobile nella sua posizione,
voltando solo la testa per avere la non necessaria conferma che fosse lui.
L’assassino le porse una bottiglia e Cara l’afferrò senza bisogno di inviti,
portandosela immediatamente alle labbra e lasciando che il fresco liquido
trasparente le riempisse la bocca. Era dolce, dolciastra come è sempre l’acqua
quando ne hai bisogno, come quando ti svegli nel cuore delle notti d’agosto e
non desideri altro che un po’ di sollievo.
Joseph rimase lì a
guardarla, totalmente assorta in quel gesto naturale, ignorando le gocce che
sfuggivano alle sue labbra colando giù lungo il collo, bagnando il vestito
troppo grande che aveva addosso. Beveva come se quella fosse la sua ultima
possibilità, come se non avesse mai assaggiato nulla di più buono. E lui se ne
stava lì, incapace di distogliere lo sguardo, assorbito dalla sua aura. La
ragazza aveva qualcosa, una sorta di strano potere, l’abilità di mutare davanti
ai suoi occhi, un attimo terrorizzata e l’attimo dopo splendente, forte, come
se nulla potesse toccarla.
Cara si fermò per respirare,
chiudendo gli occhi per un attimo. Sentì addosso l’ombra di Joseph.
“Sai che non sono una spia…”
Esordì, la voce più nitida
dopo aver saziato la sua sete
“…Perché mi hai portata
qui?”
Lui si leccò le labbra
fissando la parete
“Perché mi hai salvata
dall’aereo?”
La seconda domanda
pronunciata con meno decisione. Joseph tese la mandibola.
“Non lo so.”
Rispose, sorpreso dalla sua
stessa onestà. Ovviamente non poteva dirle che lei gli piaceva, tanto meno che,
in qualche incomprensibile modo contorto, sentiva di averne bisogno. La ragazza
dell’aereo era bella, coraggiosa… Normale. Joseph inspirò dandole le spalle
dopo aver poggiato un sacchetto del take-away sul comodino. Naturalmente, dopo
aver saputo il suo nome, aveva scovato ogni possibile fonte alla ricerca di
informazioni sulla ragazza. Ventiquattro anni, nata nei sobborghi di New York,
una vita del tutto ordinaria fino a nove anni prima. Entrambi i genitori morti
in un incidente d’auto, era andata a vivere in Alaska con sua zia. Ora viveva
di nuovo a NY da quattro anni, pagando l’affitto di un bilocale a China Town
con un lavoro da cameriera di caffetteria. Una donna comune, una boccata d’aria
fresca nella sua vita disordinata e solitaria. Tutto quello che lui non aveva e
non avrebbe mai potuto avere.
Non poteva dirle che le
piaceva guardarla, immaginandola dietro un bancone a servire caffè o sdraiata
sul divano davanti alla tv. O nuda sotto la doccia. O stesa su un tavolo da
biliardo con lui sopra. No, non poteva.
Cara si prese il tempo di
contemplare la sua figura, scorrendo con gli occhi la sua schiena, le spalle
larghe e le gambe avvolte nei jeans. Per la prima volta in sua compagnia,
sentiva di non essere in pericolo.
“Cosa siete quindi… Mafiosi?
Killer su commissione? Stupratori?”
Joseph tornò a guardarla,
sul suo viso un accenno di sorriso
“Due su tre, tesoro.”
Cara aggrottò le
sopracciglia, non più completamente a suo agio. L’assassino si muoveva lento
verso di lei, coprendola a poco a poco con la sua ombra. Dalla sua pelle le
saliva alle narici un profumo muschiato e virile, un odore che avrebbe dovuto
odiare, ma che non riusciva a non portarsi dentro con piacere ad ogni respiro.
“Quali?”
Chiese, cercando di vincere
la lotta per la dominanza di sguardi. Lui sorrise beffardo, di nuovo calato
nella sua veste.
“Uccido le persone. E mi
piace anche…”
Cara trasalì sentendolo
incombere su di sé
“Ma quando si tratta di
donne…”
Joseph prese a giocherellare
con una ciocca dei suoi capelli biondi
“…Di certo le preferisco
consenzienti. E vive.”
Lei si sforzò di prendere un
respiro profondo, cercando di indietreggiare il più possibile senza arrivare a
sdraiarsi sul letto.
“Io posso anche essere viva,
ma non sarò consenziente.”
Il ghigno sul viso di Joseph si aprì
completamente
“Confesso che avevo avuto
tutt’altra impressione.”
Sussurrò. Davanti ai suoi
occhi ancora chiara l’immagine di lei, calda e tremolante, pronta ad essere
presa e cavalcata.
Cara sollevò il mento
“Stavo solo cercando di salvarmi
la vita.”
Lui inclinò la testa,
indugiando un paio di secondi prima di poggiare un ginocchio sul letto e
prendere posto accanto a lei.
“Stai mentendo.”
La sicurezza stampata sul
suo viso costrinse Cara a guardare il soffitto. Non sarebbe stato saggio farsi
saltare i nervi in quella situazione. Joseph si fece più vicino, assorbendo
ogni minimo dettaglio del suo viso, cercando conferma ai propri pensieri in
ogni più piccolo movimento dei suoi tratti
“Tu mi vuoi.”
Cara riprese immediatamente
contatto con le sue iridi azzurre, sconcertata ed intimamente imbarazzata da
quell’affermazione.
“Dal primo momento in cui ci
siamo incrociati sull’aereo.”
Aggiunse, senza mai interrompere
il loro contatto di sguardi. Le pupille della ragazza si dilatarono di colpo,
divorando il blu dei suoi occhi, dimostrazione che aveva colto nel segno.
Avrebbe voluto sorridere, battere il cinque al proprio ego, ma preferì
continuare a fissarla, scavandole dentro, ormai troppo perso per risalire
rapidamente a galla.
Lei si morse l’interno della
guancia, cercando di non segnare il proprio destino con un risposta troppo
istintiva e tagliente. Allungò le mani sul torace dell’assassino e lo spinse
via
“Sta’ lontano da me.”
Lui si lasciò guidare, per
nulla segnato dal suo rifiuto anzi, quella era probabilmente la parte che
preferiva, il piacere agro-dolce del sentirsi negare ciò che desiderava. Il
rigetto presupponeva, infatti, che avrebbe goduto il doppio nel prenderselo.
Joseph si alzò in piedi,
avvicinandosi lento alla finestra, sbirciando il mondo tra le sbarre, tanto
simili a quelle di una prigione.
“E’ piuttosto difficile
capirti ragazzina.”
Cara rimase a guardarlo,
aspettando che continuasse
“Un attimo sembra che tu non
abbia ragioni per vivere, che la tua stessa esistenza non abbia per te alcuna
importanza… E l’attimo dopo sei pronta a tirar fuori gli artigli e graffiare…”
Sorrise tra sé e sé
“…Non che non mi piacerebbe
sentire le tue unghie conficcarsi nella mia schiena.”
Cara strinse le lenzuola nei
pugni. L’ultima ennesima allusione pronunciata dall’assassino le riempì lo
stomaco di rabbia e la bocca di bile. Era solo quello il punto? Quella l’unica
ragione per cui stava ancora respirando? Contrasse la mandibola e balzò in
piedi
“E’ solo questo che vuoi,
giusto?”
Lui si voltò, genuinamente
spiazzato
“Bene.”
Cara mosse due passi decisi
verso di lui, afferrando stretto l’orlo del suo prendisole, pronta a sfilarselo
senza troppa grazia.
“Avanti.”
Continuò, buttandolo a terra
con forza.
“Fa’ ciò che vuoi…”
Riprese fiato a stento
“…Togliamoci il pensiero.”
Joseph avvertì ogni sfumatura
di rabbia ed acidità nella sua voce, sentendosi colpito per la prima volta. Si
prese il tempo di guardarla ancora una volta dalla testa ai piedi, apprezzando
ogni centimetro scoperto della sua pelle candida. Stavano bruciando entrambi in
quella piccola stanza, lei di collera e lui di… Desiderio? L’assassino inspirò
profondamente, cercando di capire cosa lo bloccasse dal prenderla, sbatterla al
muro e farle rimangiare quell’impeto di sfacciataggine, magari riempiendole la
bocca in tutt’altro modo. Se ne stette lì, immobile, ad aspettare che Cara per
prima divenisse cenere. Le sue mani ed i suoi piedi avrebbero voluto muoversi
per conto loro, ma qualcosa dentro lo tenne inchiodato al pavimento, qualcosa
che uno come lui, totalmente sconosciuto ai sentimenti e alle emozioni, non
riusciva a decifrare.
“Lo stai facendo di nuovo.”
Riuscì infine a parlare,
ricompattando a fatica il proprio controllo, completamente focalizzato sui soli
occhi della ragazza.
“Come se nulla avesse
importanza.”
In quel momento la ragazzina
dell’aereo era come una moneta, un moneta che gira veloce su sé stessa,
mostrando ininterrottamente le sue due facce e Joseph era quello che stava a
guardare, cercando di resistere all’urgenza di bloccarla e scoprire quale fosse
li suo vero volto. Qualcosa in quella donna lo stava incantando contro la sua
volontà. Doveva fare in modo che smettesse.
Cara non disse nulla, ma fu
la prima a mollare lo sguardo, cercando invano di sprofondare nel pavimento. L’assassino
raccolse l’abito bordeaux e glielo porse.
“E’ ora che tu prenda una
decisione…”
Lei afferrò piano il
tessuto, sentendo la mano di lui sotto la propria per un istante.
“…Vuoi vivere o vuoi morire?”
Con un sospiro sarcastico si
rivestì
“Come se fossi io a
decidere.”
Lui la catturò con un’occhiata
seria, bloccandola a metà del suo gesto
“Certamente sei tu a decidere.
Siamo noi i soli artefici del nostro destino.”
Cara aggrottò le
sopracciglia. Cosa stava cercando di dire? Stava forse prendendola in giro? Dal
momento in cui era salita su quel maledetto volo da Johannesburg tutto della
sua vita le era sfuggito dalle mani, tutto dipendeva esclusivamente da lui ora.
Joseph si avvicinò
nuovamente alla finestra, svuotato dei pensieri lussuriosi di poco prima. Seguì
il profilo delle nuvole sopra New Orleans.
“Cosa faresti se adesso
aprissi quella porta e ti lasciassi andare?”
Cara trasalì sentendosi
attraversare da un fulmine di nuova energia. Lui invece rimase perso nei propri
pensieri, ignorando quel mezzo sospiro speranzoso.
“Dove andresti? Cosa
cambieresti se riavessi la tua vita?”
Aggiunse a voce bassa, come
se stesse parlando con un interlocutore immaginario piuttosto che con lei. Cara
prese a fissare i suoi stessi piedi, scovando la sua mente alla ricerca di una
risposta. Chiunque altro al suo posto non sarebbe riuscito a frenare la lingua,
elencando decine di familiari ed amici da cui tornare, descrivendo case
accoglienti con la staccionata bianca e natali passati tutti insieme davanti al
camino. Ma lei? Lei non aveva più nessuno da cui correre.
“Londra.”
Rispose infine tornando a
sedersi sul bordo del letto.
“Avrei sempre voluto
andarci.”
L’assassino si girò a guardarla,
un nuovo e diverso luccichio nei suoi occhi
“Gran bella città. Artistica.
Eccentrica. Affascinante.”
“Ci sei stato?”
La domanda le sfuggì dalle
labbra spontanea, come se la loro fosse diventata una semplice conversazione.
Joseph sollevò un angolo della bocca in un mezzo sorriso
“Non credo ci sia a questo
mondo un posto dove non sono ancora stato.”
Ed era vero. Dall’Europa all’Australia.
Dai deserti del Nord Africa a quelli del Medio Oriente. Dalle stravaganze giapponesi
agli intensi profumi di Cuba.
Cara sbatté gli occhi più di
una volta, trattenendo l’istinto di chiedergli di più. Il modo in cui sembrava
essersi immerso nei suoi personalissimi ricordi lo faceva sembrare diverso,
portava alla luce un nuovo aspetto dell’assassino che la teneva in ostaggio.
Era una persona, prima di tutto era anche lui una persona, con un passato, una
storia, delle passioni e dei desideri. Forse perfino dei rimpianti.
Rimpianto. Il peso se lo
sentì di colpo sulle spalle, il fardello della sua vita, tutta passata nello stesso
posto, tutta spesa rincorrendo un solo ed unico scopo.
La suoneria trillante del
telefono di Joseph interruppe quell’attimo di silenzio. Il suo viso tornò scuro
in un istante. Le voltò le spalle e si portò il cellulare all’orecchio
“Padre.”
Rispose, quell’unica parola
pronunciata tra le labbra quasi fosse tagliente. Il suo interlocutore parlò
senza bisogno di risposte per una buona manciata di secondi.
“Bene.”
Fu l’unica altra cosa che
Joseph disse prima di chiudere la comunicazione. Guardò di sfuggita Cara come
se la sua presenza avesse perso improvvisamente d’interesse. Si avviò verso la
porta in silenzio. Se ne stava andando senza dir nulla.
“Mi lasci qui?”
Una domanda retorica si
potrebbe dire, pronunciata con un brivido d’agitazione. L’assassino le rivolse
un ultimo sguardo, la sua mente era già ampiamente fuori da quella stanza e da
quell’edificio.
“Ho delle cose da fare.”
Cara sospirò, iniziando
inaspettatamente a tremare
“Non voglio stare qui…
Chiusa in questo buco ad aspettare di morire.”
Lui sollevò un sopracciglio
“Cosa vorresti? Che ti
portassi con me?”
Il tono a metà tra il
divertito e l’assurdità.
“Tu sei solo un ostaggio.
Una prigioniera. Una preda.”
Lei smise di tremare,
inchiodata dalla freddezza di quelle parole, ogni ombra della sua precedente compagnia
svanita nel nulla.
Joseph indugiò sulla soglia,
stringendo la maniglia con tutta la sua forza
“E credimi… Se hai già paura
di me, allora mio padre è davvero l’ultima persona al mondo che vorresti
incontrare.”
Concluse prima di sparire sbattendosi
la porta dietro le spalle.
Cara attese il familiare
scatto della serratura fissando l’uscita. Il suo viso mutò piano d’espressione,
ogni timore rimpiazzato dal gelo completo, il lucido dei suoi occhi sostituito
da un’inedita oscurità.
“Io non ne sarei tanto
sicuro.”