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Autore: BeautifulMessInside    20/02/2013    2 recensioni
"Non hai paura di morire?" - "Non ho molte ragioni per vivere."
Cara non sarebbe dovuta salire su quell'aereo, non sapendo che Joseph Michaelson, detto il Lupo, sarebbe stato sul suo stesso volo.
Joseph non avrebbe dovuto salvare la ragazza, non sapendo chi lei fosse. Ma Joseph non ha idea di chi sia Cara e lei non può sapere che lui davvero farà il grosso sbaglio di salvarla.
Assassini, famiglie potenti, attrazioni pericolose e segreti nascosti in una storia dove non tutto è come sembra.
Genere: Angst, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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cap5

A/N Chiedo scusa per il ritardo! Giornate impegnate ahimé! Rubo questo spazio per ringraziare chiunque mi stia leggendo e per lasciarvi due parole. Se avete letto il resto ed ora leggete questo capitolo, forse qualcosa potrebbe non quadrarvi.. Ecco, prometto che tutto avrà senso alla fine!

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“Eccoci qui fratello! Come vedi, contrariamente alle tue supposizioni, sono perfettamente capace di portare a termine un compito.”

Elia non mosse gli occhi dal bersaglio mentre il più giovane dei suoi fratelli prendeva posto sull’elicottero. Le sue labbra pronunciarono una risposta, ma il resto del suo viso non si mosse nemmeno.

“Trovi sempre il modo di stupirmi Nathaniel.”

Rimase immobile con le braccia incrociate sul petto, seguendo i movimenti degli altri due passeggeri. Joseph stava strascinando la ragazza, una completa sconosciuta. Per quanto fosse sollevato alla vista del fratello, la presenza del quarto incomodo rischiava di scalfire la sua perenne aplomb.

Joseph stava ricambiando i suoi occhi, anche lui serio, ma coscienti entrambi che dietro quelle maschere stavano sorridendo. Avrebbe volentieri abbracciato Elia, se non avesse avuto la precedente urgenza di trovare una scusa per il suo “bagaglio a mano”.

“Devo essermi perso qualcosa Joseph.”

Esordì il maggiore, lasciando le braccia distese lungo i fianchi, lo sguardo rivolto alla ragazza. Cara sollevò la vista da terra solo per qualche istante, giusto il tempo di capire che aspetto avesse il terzo fratello, l’ennesimo membro della famiglia che avrebbe votato per la sua esecuzione immediata.

Aveva chiaramente qualche anno in più, o almeno così suggeriva il suo viso, la pelle chiara ed i capelli scuri, esattamente come il minore. Era però più alto, composto, totalmente a suo agio nell’elegante completo blu che indossava. Non sembrava affatto un criminale, pensò Cara, aveva più l’aspetto di uno scaltro uomo d’affari, di quelli che incontreresti solamente a Wall Street.

Joseph sollevò gli angoli della bocca

“Grazie per il trucco dell’aereo fratello.”

Elia rimase impassibile

“Hai detto Volo con l’Aquila, il che indicava gli Stati Uniti. E non è stato difficile cogliere il tuo sottile riferimento alla libertà, vedi statua della libertà, vedi New York. Da lì in poi non ho dovuto fare altro che un paio di telefonate…”

Prese fiato

“… E adesso…”

Inclinò lentamente la testa a sinistra

“…Potresti gentilmente spiegarmi l’inaspettata presenza di quest’esausta, senza dubbio incantevole, ma sconosciuta giovane donna?”  

Cara lo guardò di nuovo, momentaneamente distratta dall’utilizzo di tante parole per chiedere semplicemente chi lei fosse. Il suo tono suonava così diverso da quello di Joseph e di suo fratello, riusciva quasi a farle credere che non ci fosse nulla da temere.

Joseph le lanciò un’occhiata veloce

“Era sull’aereo.”

Esordì. Elia sollevò un sopracciglio

“E tu l’hai presa?”

“Io non l’avevo mai vista prima, ma lei sapeva chi sono. Sospetto sia una spia.”

L’altro tornò a guardare la ragazza

“Spia?”

Joseph sospirò

“Esatto. Ho sentito che il tuo amato suocero era a Johannesburg e quindi ho fatto due più due.”

Elia inspirò profondamente, non lasciando trasparire alcuno dei suoi pensieri

“Una spia di Vladimijr quindi.”

Stavolta si mise ad osservare la sconosciuta con più attenzione, tracciando due lenti passi verso di lei. Cara cercò di guardare altrove, ormai stanca di essere il continuo centro dell’attenzione, troppo stanca perfino per preoccuparsi ancora della sua stessa vita. Elia curvò la schiena verso di lei, avvicinando il viso alla sua persona, quasi volesse sentirne l’odore, quasi potesse riconoscere la Russia dal suo profumo. Alzò la mano destra, afferrando delicatamente il mento di Cara tra pollice ed indice, sollevando il suo sguardo senza alcuna fretta

“E dimmi…”

Iniziò, gettando i suoi occhi scuri in quelli di Cara

“…Questa dolce creatura ha anche una voce?”

In quel momento lei capì, nell’istante in cui scoprì, pur volendo con tutte le sue forze, di non poter distogliere la vista dal suo interlocutore. Poteva facilmente sembrare il più gentile ed educato, ma era di gran lunga il più crudele di tutti.

“Come ti chiami?”

Cara annaspò nell’aria per qualche secondo

“Cara.”

Elia mosse piano le dita dal suo mento alla sua gola, sfiorando dolcemente il punto preciso in cui il sangue pulsava freneticamente sotto la pelle. La ragazza aveva paura.

“Non credo che sia una spia.”

Si rivolse a Joseph interrompendo ogni contatto, fisico o visivo, con Cara.

“Sei sicuro? Come faceva a sapere allora?”

Elia si mosse verso l’elicottero

“Non lo so. Chiedilo a lei, dopodiché sbarazzatene.”

Cara chiuse gli occhi, cercando di restare in piedi per la milionesima volta negli ultimi tre giorni. Perché continuava a sperare? Perché? Ormai era ovvio che non ne sarebbe uscita viva, quindi per quale strano motivo nessuno dei tre le aveva ancora sparato un colpo in fronte? Perché nessuno voleva mettere fine alle sue sofferenze?

“Mi ci vorranno tempo e mezzi fratello.”

Elia si bloccò sui suoi passi, voltandosi in un unico, fluido movimento

“Questo implica forse il fatto che vorresti portarla con noi?”

“Voglio solo arrivare in fondo alla questione.”

Il maggiore si avvicinò a Joseph, stavolta rigido e serio

“Stai quindi sottintendendo che vorresti portare una completa insignificante sconosciuta a casa nostra?”

La sua voce sottolineò le ultime parole, implicando l’assurdità del solo pensiero. Cara non riuscì a trattenersi dal lanciargli un’occhiataccia, poteva anche tenere in mano i fili della sua vita, ma nessuno, nessuno al mondo, doveva prendersi il diritto di definirla “insignificante”. Non sapevano nulla di lei. Non ancora almeno.

Joseph strinse i pugni

“Me ne occuperò io.”

Elia sollevò le spalle tornando a voltarsi

“Occupatene ora.”

L’altro gonfiò il petto e sollevò il viso

“E da quando sei tu che dai gli ordini fratello?”

Cara si allontanò impercettibilmente di un passo. Non poteva fuggire, ma senza dubbio non aveva intenzione di trovarsi nel bel mezzo di quel fuoco incrociato. Gli occhi dell’assassino si erano tinti di scuro, i suoi muscoli stavano tremando e dopo la loro piccola discussione sulla barca, sapeva cosa ciò volesse dire.

Elia emise una specie di sospiro, il suono della sua esasperazione

“Non lo so fratello. Forse da quando ho dovuto tirarti fuori dai guai per l’ennesima volta? Sono stanco di ripulire i tuoi casini.”

“I tuoi casini vorrai dire. Se fossi stato in grado di tenerti tua moglie tutto questo non sarebbe successo.”

Elia piombò sul fratello, rapido ed incombente, come se volesse sfondargli la faccia a suon di pugni. Non si mosse più una volta davanti al suo viso, gli occhi stretti in due fessure come se potesse cavargli l’anima dalle orbite.

Joseph rimase immoto, improvvisamente stava davvero desiderando di picchiare suo fratello, non sapeva nemmeno bene perché.

Nathaniel saltò giù dall’elicottero con agilità e raggiunse gli altri due

“Dateci un taglio…”

Ordinò con nonchalance, richiamando l’attenzione di Elia

“La ragazza gli piace ok?” Sorrise divertito  “Lasciagliela portare, tanto sappiamo bene che se ne sarà già stancato tra un paio di giorni.”

Il maggiore guardò di nuovo Joseph, nessun segno di emozioni sul suo viso

“Molto bene…”

Esordì riprendendo la sua postura composta

“…Andiamo via da qui.”

Cara si mosse dietro di loro non appena avvertì la presenza di Joseph al suo fianco, senza bisogno che lui la spingesse o trascinasse. Non era nemmeno sicura di poter sopportare che lui la toccasse di nuovo. Le parole degli altri Michaelson avevano cambiato le corde del suo umore, gran parte della sua angoscia tramutata in fastidio, se non in pura avversione. Per loro era insignificante, inutile, inesistente, come se fosse un cucciolo di una qualche specie tropicale, divertente da osservare per qualche giorno, e poi da buttar via.

Se ne stette stretta in un angolo per tutto il viaggio, cercando di ignorare il rumore assordante dell’elica che non le permetteva nemmeno di pensare. Era stanca. Davvero stanca. Si lasciò trascinare per tutto il tragitto come fosse uno zombie, senza prestare alcuna attenzione a quello che i tre uomini stavano dicendo. Tra loro sembrava essere tornata la pace.

Un paio di volte sentì gli occhi di Joseph su di lei e riuscì ad incrociarne lo sguardo. La sua espressione non diceva nulla, era come guardare una pagina bianca. Cara cercò di immaginare cosa mai potesse star pensando e le sue guance si fecero calde al ricordo delle sue mani addosso e del suo modo così rude di baciare, il primo pensiero che le era tornato alla mente. Avrebbe potuto liberarsi di lei in un istante e invece era ancora lì, viva e vegeta. Ripensò allo scontro tra Joseph e suo fratello, lasciando che l’idea più ingenua e vagamente presuntuosa trovasse spazio nella mente. Possibile che lei gli piacesse davvero?

Joseph stava sorridendo per la prima volta dopo giorni interi. Amava i suoi fratelli, il solo tipo di amore che conosceva e che gli era permesso. La famiglia prima di tutto, la loro unica grande regola, le parole che in ogni momento riecheggiavano nella sua testa. Il grande orgoglio e peso dell’essere un Michaelson. Mentre Nathaniel raccontava della spogliarellista olandese che aveva legato al suo letto qualche sera prima, Joseph guardò Cara con la coda dell’occhio. Se ne stava rannicchiata con le braccia strette al petto, gli occhi fissi al suolo. Forse l’elicottero le dava la nausea. Forse era stremata. Forse si era semplicemente arresa. Voltò la testa per osservarla meglio, cercando di mandar giù. Sperò che non fosse questo, che la ragazzina dell’aereo non avesse già ceduto. Gli piaceva la sua grinta, il modo in cui lo combatteva, cercando di respingerlo e tenerlo lontano. Voleva che lei lo combattesse. Voleva che lei lo respingesse.

Atterrarono su quello che doveva essere il tetto di un edificio, il ronzio dell’elicottero rimbombava ancora nelle orecchie di Cara, incapace di riconoscere dove si trovassero. Il grigio paesaggio intorno a lei, fatto di ombre e grattacieli, non diceva nulla di sé. Avrebbe voluto sporgersi e cercare qualche indizio, ma dovette muoversi non appena sentì la mano di Joseph spingere sulla sua schiena.

Elia consegnò le chiavi dell’apparecchio ad uno sconosciuto, quest’ultimo, occhiali da sole e giacca nera, pronto a sparire nello stesso cielo da cui loro erano arrivati. Nathaniel stirò le braccia con una specie di sbadiglio

“Avrei di gran lunga preferito andare subito a casa. Sai com’è.. Jacuzzi, Champagne, massaggiatrici cinesi.”

Il maggiore passò le mani sulla giacca del suo completo blu, incredibilmente perfetta anche dopo il volo.

“A tempo debito Nate.”

Rispose, i suoi occhi chiaramente diretti verso la ragazza. Joseph la spinse più forte verso la scala di servizio, sempre mantenendo il silenzio. Doveva essere un palazzo abbandonato, forse una specie di hotel in disuso, almeno a giudicare dal gran numero di porte e dai cartelli verdi che segnavano ogni piano con una grande cifra bianca e le indicazioni per l’uscita di sicurezza. Arrivati al numero 3 lui la trascinò attraverso la porta, lungo un corridoio con la moquette blu. Cara respirò il forte odore di polvere, mischiato al rimasuglio di profumo di fiori e detergente. Forse qualcuno aveva cercato di dare una pulita in tempi non troppo remoti.

Joseph aprì per lei una delle tante stanze anonime e la guidò dentro, sempre senza dire una parola. La camera era piuttosto piccola, con la stessa moquette blu e la tappezzeria beige alle pareti. Il poco mobilio sembrava essere lì dagli anni settanta, anche se le lenzuola bianche sul letto erano brillanti e pulite.

Cara inspirò, pronta a parlare per domandargli se l’avrebbe semplicemente chiusa lì dentro o se preferiva legarle i polsi un’altra volta. Aveva ancora qualcosa da perdere dopo tutto? La porta si aprì di nuovo e gli altri due Michaelson vennero dentro, interrompendo sul nascere le parole di Cara.

Nathaniel si piazzò in faccia il solito sorrisetto, indicando il letto con un cenno della mano

“Direi che qui hai tutto quello che ti serve Jo.”

Joseph sospirò scuotendo appena la testa, Elia si avvicinò di nuovo alla ragazza, porgendole una bottiglietta d’acqua comparsa dal nulla.

“Ho immaginato che potessi essere assetata.”

Cara guardò tra le sue mani e poi nei suoi occhi, indecisa su come muoversi. Avrebbe potuto giurare che Elia stesse tentando di sorridere, solo che quel semplice gesto sembrava essergli terribilmente difficile. Stava morendo di sete. Allungò la mano per accettare l’offerta, ma Joseph le tolse la bibita dalle dita prima ancora che potesse afferrarla davvero.

Inclinò la testa verso il fratello maggiore

“Bel tentativo Elia.”

Gli ci era voluto un secondo di troppo per capire, anche se la natura di quell’offerta era più che ovvia. Elia aveva avvelenato l’acqua, impaziente all’idea di liberarsi della sua ragazza dell’aereo. Sua. Ma perché continuava a pensarla sua? Sollevò un sopracciglio rivolto al fratello, il suo sguardo diceva chiaramente che avrebbe deciso lui come e quando liberarsi dell’ostaggio. Elia non mosse un solo muscolo del viso, gli diede le spalle e prese la porta. Dietro di lui Nathaniel ridacchiava ancora tra sé e sé

“Buon divertimento!”

Qualche secondo perché il rumore dei loro passi nel corridoio svanisse e poi il silenzio piombò nuovamente sovrano nella stanza.

Cara cercò di mandar giù. Aveva la gola secca come il Sahara.

“Quindi è questo che vuoi? Lasciarmi morire di fame e di sete?”

Joseph la guardò immediatamente, come se solo in quel momento prendesse piena coscienza della sua presenza. Svuotò la bottiglietta nel lavandino del minuscolo bagno annesso e tornò da lei

“Mai. Non bere o mangiare mai qualcosa che provenga dalle mani di Elia.”

Lei lo guardò per un secondo cercando di dar senso a quel comando. Joseph si mosse verso la porta

“Ha la tendenza ad avvelenare le persone.”

Cara abbassò gli occhi senza rispondere nulla, senza il coraggio di confessare che era comunque terribilmente assetata.

“Ti porterò io qualcosa da bere e da mangiare.”

Aggiunse lui, come se le avesse letto nel pensiero. Uscì dalla stanza chiudendosi la porta dietro le spalle. Lo scatto della chiave nella serratura secco e netto.

Cara si lasciò sfuggire un lungo sospiro. Era finalmente sola, finalmente libera di muoversi, di urlare, piangere o spaccare qualcosa. Non ne avrebbe avuto la forza. Raggiunse piano il letto e si poggiò contro il materasso, troppo duro per i suoi gusti. Una debole luce filtrava dalle finestre, tratteggiata dalle inferriate che ovviamente impedivano ogni tentativo di fuga. Sospirò ancora una volta, quasi uno sbuffo più che un sospiro, accarezzando con le mani le sue stesse ginocchia.

Senza la presenza di un orologio nella stanza non avrebbe potuto dire se erano passati cinque minuti o due ore. Quando Joseph riaprì la porta lei rimase immobile nella sua posizione, voltando solo la testa per avere la non necessaria conferma che fosse lui. L’assassino le porse una bottiglia e Cara l’afferrò senza bisogno di inviti, portandosela immediatamente alle labbra e lasciando che il fresco liquido trasparente le riempisse la bocca. Era dolce, dolciastra come è sempre l’acqua quando ne hai bisogno, come quando ti svegli nel cuore delle notti d’agosto e non desideri altro che un po’ di sollievo.

Joseph rimase lì a guardarla, totalmente assorta in quel gesto naturale, ignorando le gocce che sfuggivano alle sue labbra colando giù lungo il collo, bagnando il vestito troppo grande che aveva addosso. Beveva come se quella fosse la sua ultima possibilità, come se non avesse mai assaggiato nulla di più buono. E lui se ne stava lì, incapace di distogliere lo sguardo, assorbito dalla sua aura. La ragazza aveva qualcosa, una sorta di strano potere, l’abilità di mutare davanti ai suoi occhi, un attimo terrorizzata e l’attimo dopo splendente, forte, come se nulla potesse toccarla.

Cara si fermò per respirare, chiudendo gli occhi per un attimo. Sentì addosso l’ombra di Joseph.

“Sai che non sono una spia…”

Esordì, la voce più nitida dopo aver saziato la sua sete

“…Perché mi hai portata qui?”

Lui si leccò le labbra fissando la parete

“Perché mi hai salvata dall’aereo?”

La seconda domanda pronunciata con meno decisione. Joseph tese la mandibola.

“Non lo so.”

Rispose, sorpreso dalla sua stessa onestà. Ovviamente non poteva dirle che lei gli piaceva, tanto meno che, in qualche incomprensibile modo contorto, sentiva di averne bisogno. La ragazza dell’aereo era bella, coraggiosa… Normale. Joseph inspirò dandole le spalle dopo aver poggiato un sacchetto del take-away sul comodino. Naturalmente, dopo aver saputo il suo nome, aveva scovato ogni possibile fonte alla ricerca di informazioni sulla ragazza. Ventiquattro anni, nata nei sobborghi di New York, una vita del tutto ordinaria fino a nove anni prima. Entrambi i genitori morti in un incidente d’auto, era andata a vivere in Alaska con sua zia. Ora viveva di nuovo a NY da quattro anni, pagando l’affitto di un bilocale a China Town con un lavoro da cameriera di caffetteria. Una donna comune, una boccata d’aria fresca nella sua vita disordinata e solitaria. Tutto quello che lui non aveva e non avrebbe mai potuto avere.

Non poteva dirle che le piaceva guardarla, immaginandola dietro un bancone a servire caffè o sdraiata sul divano davanti alla tv. O nuda sotto la doccia. O stesa su un tavolo da biliardo con lui sopra. No, non poteva.

Cara si prese il tempo di contemplare la sua figura, scorrendo con gli occhi la sua schiena, le spalle larghe e le gambe avvolte nei jeans. Per la prima volta in sua compagnia, sentiva di non essere in pericolo.

“Cosa siete quindi… Mafiosi? Killer su commissione? Stupratori?”

Joseph tornò a guardarla, sul suo viso un accenno di sorriso

“Due su tre, tesoro.”

Cara aggrottò le sopracciglia, non più completamente a suo agio. L’assassino si muoveva lento verso di lei, coprendola a poco a poco con la sua ombra. Dalla sua pelle le saliva alle narici un profumo muschiato e virile, un odore che avrebbe dovuto odiare, ma che non riusciva a non portarsi dentro con piacere ad ogni respiro.

“Quali?”

Chiese, cercando di vincere la lotta per la dominanza di sguardi. Lui sorrise beffardo, di nuovo calato nella sua veste.

“Uccido le persone. E mi piace anche…”

Cara trasalì sentendolo incombere su di sé

“Ma quando si tratta di donne…”

Joseph prese a giocherellare con una ciocca dei suoi capelli biondi

“…Di certo le preferisco consenzienti. E vive.”

Lei si sforzò di prendere un respiro profondo, cercando di indietreggiare il più possibile senza arrivare a sdraiarsi sul letto.

“Io posso anche essere viva, ma non sarò consenziente.”

 Il ghigno sul viso di Joseph si aprì completamente

“Confesso che avevo avuto tutt’altra impressione.”

Sussurrò. Davanti ai suoi occhi ancora chiara l’immagine di lei, calda e tremolante, pronta ad essere presa e cavalcata.

Cara sollevò il mento

“Stavo solo cercando di salvarmi la vita.”

Lui inclinò la testa, indugiando un paio di secondi prima di poggiare un ginocchio sul letto e prendere posto accanto a lei.  

“Stai mentendo.”

La sicurezza stampata sul suo viso costrinse Cara a guardare il soffitto. Non sarebbe stato saggio farsi saltare i nervi in quella situazione. Joseph si fece più vicino, assorbendo ogni minimo dettaglio del suo viso, cercando conferma ai propri pensieri in ogni più piccolo movimento dei suoi tratti

“Tu mi vuoi.”

Cara riprese immediatamente contatto con le sue iridi azzurre, sconcertata ed intimamente imbarazzata da quell’affermazione.

“Dal primo momento in cui ci siamo incrociati sull’aereo.”

Aggiunse, senza mai interrompere il loro contatto di sguardi. Le pupille della ragazza si dilatarono di colpo, divorando il blu dei suoi occhi, dimostrazione che aveva colto nel segno. Avrebbe voluto sorridere, battere il cinque al proprio ego, ma preferì continuare a fissarla, scavandole dentro, ormai troppo perso per risalire rapidamente a galla.

Lei si morse l’interno della guancia, cercando di non segnare il proprio destino con un risposta troppo istintiva e tagliente. Allungò le mani sul torace dell’assassino e lo spinse via

“Sta’ lontano da me.”

Lui si lasciò guidare, per nulla segnato dal suo rifiuto anzi, quella era probabilmente la parte che preferiva, il piacere agro-dolce del sentirsi negare ciò che desiderava. Il rigetto presupponeva, infatti, che avrebbe goduto il doppio nel prenderselo.

Joseph si alzò in piedi, avvicinandosi lento alla finestra, sbirciando il mondo tra le sbarre, tanto simili a quelle di una prigione.

“E’ piuttosto difficile capirti ragazzina.”

Cara rimase a guardarlo, aspettando che continuasse

“Un attimo sembra che tu non abbia ragioni per vivere, che la tua stessa esistenza non abbia per te alcuna importanza… E l’attimo dopo sei pronta a tirar fuori gli artigli e graffiare…”

Sorrise tra sé e sé

“…Non che non mi piacerebbe sentire le tue unghie conficcarsi nella mia schiena.”

Cara strinse le lenzuola nei pugni. L’ultima ennesima allusione pronunciata dall’assassino le riempì lo stomaco di rabbia e la bocca di bile. Era solo quello il punto? Quella l’unica ragione per cui stava ancora respirando? Contrasse la mandibola e balzò in piedi

“E’ solo questo che vuoi, giusto?”

Lui si voltò, genuinamente spiazzato

“Bene.”

Cara mosse due passi decisi verso di lui, afferrando stretto l’orlo del suo prendisole, pronta a sfilarselo senza troppa grazia.

“Avanti.”

Continuò, buttandolo a terra con forza.

“Fa’ ciò che vuoi…”

Riprese fiato a stento

“…Togliamoci il pensiero.”

Joseph avvertì ogni sfumatura di rabbia ed acidità nella sua voce, sentendosi colpito per la prima volta. Si prese il tempo di guardarla ancora una volta dalla testa ai piedi, apprezzando ogni centimetro scoperto della sua pelle candida. Stavano bruciando entrambi in quella piccola stanza, lei di collera e lui di… Desiderio? L’assassino inspirò profondamente, cercando di capire cosa lo bloccasse dal prenderla, sbatterla al muro e farle rimangiare quell’impeto di sfacciataggine, magari riempiendole la bocca in tutt’altro modo. Se ne stette lì, immobile, ad aspettare che Cara per prima divenisse cenere. Le sue mani ed i suoi piedi avrebbero voluto muoversi per conto loro, ma qualcosa dentro lo tenne inchiodato al pavimento, qualcosa che uno come lui, totalmente sconosciuto ai sentimenti e alle emozioni, non riusciva a decifrare.

“Lo stai facendo di nuovo.”

Riuscì infine a parlare, ricompattando a fatica il proprio controllo, completamente focalizzato sui soli occhi della ragazza.

“Come se nulla avesse importanza.”

In quel momento la ragazzina dell’aereo era come una moneta, un moneta che gira veloce su sé stessa, mostrando ininterrottamente le sue due facce e Joseph era quello che stava a guardare, cercando di resistere all’urgenza di bloccarla e scoprire quale fosse li suo vero volto. Qualcosa in quella donna lo stava incantando contro la sua volontà. Doveva fare in modo che smettesse.

Cara non disse nulla, ma fu la prima a mollare lo sguardo, cercando invano di sprofondare nel pavimento. L’assassino raccolse l’abito bordeaux e glielo porse.

“E’ ora che tu prenda una decisione…”

Lei afferrò piano il tessuto, sentendo la mano di lui sotto la propria per un istante.

“…Vuoi vivere o vuoi morire?”

Con un sospiro sarcastico si rivestì

“Come se fossi io a decidere.”

Lui la catturò con un’occhiata seria, bloccandola a metà del suo gesto

“Certamente sei tu a decidere. Siamo noi i soli artefici del nostro destino.”

Cara aggrottò le sopracciglia. Cosa stava cercando di dire? Stava forse prendendola in giro? Dal momento in cui era salita su quel maledetto volo da Johannesburg tutto della sua vita le era sfuggito dalle mani, tutto dipendeva esclusivamente da lui ora.

Joseph si avvicinò nuovamente alla finestra, svuotato dei pensieri lussuriosi di poco prima. Seguì il profilo delle nuvole sopra New Orleans.

“Cosa faresti se adesso aprissi quella porta e ti lasciassi andare?”

Cara trasalì sentendosi attraversare da un fulmine di nuova energia. Lui invece rimase perso nei propri pensieri, ignorando quel mezzo sospiro speranzoso.

“Dove andresti? Cosa cambieresti se riavessi la tua vita?”

Aggiunse a voce bassa, come se stesse parlando con un interlocutore immaginario piuttosto che con lei. Cara prese a fissare i suoi stessi piedi, scovando la sua mente alla ricerca di una risposta. Chiunque altro al suo posto non sarebbe riuscito a frenare la lingua, elencando decine di familiari ed amici da cui tornare, descrivendo case accoglienti con la staccionata bianca e natali passati tutti insieme davanti al camino. Ma lei? Lei non aveva più nessuno da cui correre.

“Londra.”

Rispose infine tornando a sedersi sul bordo del letto.

“Avrei sempre voluto andarci.”

L’assassino si girò a guardarla, un nuovo e diverso luccichio nei suoi occhi

“Gran bella città. Artistica. Eccentrica. Affascinante.”

“Ci sei stato?”

La domanda le sfuggì dalle labbra spontanea, come se la loro fosse diventata una semplice conversazione. Joseph sollevò un angolo della bocca in un mezzo sorriso

“Non credo ci sia a questo mondo un posto dove non sono ancora stato.”

Ed era vero. Dall’Europa all’Australia. Dai deserti del Nord Africa a quelli del Medio Oriente. Dalle stravaganze giapponesi agli intensi profumi di Cuba.

Cara sbatté gli occhi più di una volta, trattenendo l’istinto di chiedergli di più. Il modo in cui sembrava essersi immerso nei suoi personalissimi ricordi lo faceva sembrare diverso, portava alla luce un nuovo aspetto dell’assassino che la teneva in ostaggio. Era una persona, prima di tutto era anche lui una persona, con un passato, una storia, delle passioni e dei desideri. Forse perfino dei rimpianti.

Rimpianto. Il peso se lo sentì di colpo sulle spalle, il fardello della sua vita, tutta passata nello stesso posto, tutta spesa rincorrendo un solo ed unico scopo.

La suoneria trillante del telefono di Joseph interruppe quell’attimo di silenzio. Il suo viso tornò scuro in un istante. Le voltò le spalle e si portò il cellulare all’orecchio

“Padre.”

Rispose, quell’unica parola pronunciata tra le labbra quasi fosse tagliente. Il suo interlocutore parlò senza bisogno di risposte per una buona manciata di secondi.

“Bene.”

Fu l’unica altra cosa che Joseph disse prima di chiudere la comunicazione. Guardò di sfuggita Cara come se la sua presenza avesse perso improvvisamente d’interesse. Si avviò verso la porta in silenzio. Se ne stava andando senza dir nulla.

“Mi lasci qui?”

Una domanda retorica si potrebbe dire, pronunciata con un brivido d’agitazione. L’assassino le rivolse un ultimo sguardo, la sua mente era già ampiamente fuori da quella stanza e da quell’edificio.

“Ho delle cose da fare.”

Cara sospirò, iniziando inaspettatamente a tremare

“Non voglio stare qui… Chiusa in questo buco ad aspettare di morire.”

Lui sollevò un sopracciglio

“Cosa vorresti? Che ti portassi con me?”

Il tono a metà tra il divertito e l’assurdità.

“Tu sei solo un ostaggio. Una prigioniera. Una preda.”

Lei smise di tremare, inchiodata dalla freddezza di quelle parole, ogni ombra della sua precedente compagnia svanita nel nulla.

Joseph indugiò sulla soglia, stringendo la maniglia con tutta la sua forza

“E credimi… Se hai già paura di me, allora mio padre è davvero l’ultima persona al mondo che vorresti incontrare.”

Concluse prima di sparire sbattendosi la porta dietro le spalle.

Cara attese il familiare scatto della serratura fissando l’uscita. Il suo viso mutò piano d’espressione, ogni timore rimpiazzato dal gelo completo, il lucido dei suoi occhi sostituito da un’inedita oscurità.

“Io non ne sarei tanto sicuro.”

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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