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Autore: elsie    24/09/2007    2 recensioni
Seguto di "Into the Fire". John e Meredith si sono ormai lasciati alle spalle i loro nomi e il loro passato e sono diventati Pyro e Medusa, soldati di Magneto nella Confraternita. Ma insieme alla guerra tra umani e mutanti, i due ragazzi dovranno combattere una battaglia molto, molto più importante, e che riguarda loro due soli. AVVISO: in questo racconto si parlerà di aborto. Se non vi sentite di affrontare questo argomento, allora per favore non leggete.
Genere: Romantico, Drammatico, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Confraternita, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Tutti i personaggi di questo racconto, a parte Meredith St.Clair/Medusa, che è una mia creazione, appartengono a Stan Lee e Jack Kirby, alla Marvel Comics e alla Twentieth Century Fox. Io li ho solo presi in prestito per un po’.

Come ho scritto nel riassunto, in questo racconto si parla di aborto. O meglio, delle scelte a cui una persona si trova davanti quando ha a che fare con una gravidanza non programmata. Dopo un lungo dilemma interiore, ho deciso di non scegliere il rating rosso perché, in tutta onestà, non ho scritto niente che giustifichi un rating così alto. Non mi sembra che questo racconto contenga nulla di offensivo o provocatorio, ma capisco che è un tema di cui qualcuno potrebbe non voler sentir parlare. Mi sembra giusto mettere le carte in tavola prima, anche se questo significa dare qualche anticipazione sul racconto.

Bene, sistemata questa questione possiamo passare a cose più leggere. Come forse qualcuno si sarà accorto, “Winning a Battle, Losing the War” è il titolo di una canzone dei King of Convenience. Mi sembrava carino continuare con la “tradizione” inaugurata da “Into the Fire” e usare anche per questo racconto il titolo di una canzone.

Spero che questo racconto vi possa piacere. Ora basta con le chiacchiere, passiamo ai fatti!

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La luce del sole nascente illuminava la stanza numero 109 del motel Stardust, appena fuori Philadelphia. Indumenti di vario tipo erano sparsi alla rinfusa sul linoleum verde bottiglia del pavimento, e una valigia ancora mezza piena era abbandonata aperta ai piedi dell’armadio, sul fondo della stanza. Accanto alla porta c’era quello che sembrava essere una pesante zaino da campeggio nuovo di zecca, già colmo di tutta l’attrezzatura necessaria. Su un tavolino accanto alla finestra giacevano una serie di passaporti di varie nazionalità, mazzi di chiavi, bigliettini strappati via da angoli di quaderni con appuntati indirizzi e nomi, un pacchetto di chewing-gum e uno di sigarette, accanto ad uno Zippo con il disegno di uno squalo.

Un ragazzo biondo dormiva a pancia in giù sul letto matrimoniale, occupandone la metà di destra. Nell’altra metà il letto era sfatto e le lenzuola erano gettate indietro, come se il suo occupante si fosse alzato in fretta e di nascosto.

Dietro la porta del bagno, Meredith St.Clair, che aveva passato gli ultimi quattordici mesi con il nome di Medusa, camminava nervosamente avanti e indietro davanti al mobile del lavandino, gli occhi fissi all’orologio che vi era posato sopra con il quadrante rivolto verso di lei. Accanto all’orologio c’era quello che sembrava essere un lungo e sottile bastoncino di plastica bianca.

La lancetta dei secondi ticchettò, e Medusa cominciò a rosicchiarsi l’unghia del indice sinistro. Erano almeno dieci anni che aveva smesso di mangiarsi le unghie, ma quella era un’occasione particolare. La lancetta dei secondi si mosse di nuovo. Tac.

Settantanove... Settantotto...

Medusa arrivò di nuovo fino alla doccia, troppo lontano per vedere a che punto fosse la stramaledettissima lancetta dei secondi, poi tornò in fretta sui suoi passi. Si fermò davanti all’orologio e fissò la lancetta. E muoviti, schifosa, pensò. Tac.

Settanta...

Passò a mangiarsi l’unghia del pollice. Fece un paio di passi verso la doccia, poi si sentì improvvisamente una stupida per quel ridicolo balletto e si sedette bruscamente sul water, proprio davanti all’orologio. Tac.

Sessantaquattro... Sessantatre...

Sbuffò e, senza accorgersene, cominciò a battere nervosamente il piede sul pavimento freddo. Novanta secondi. Cristo santo, non possono essere così lunghi. Si tratta di un misero minuto e mezzo. Afferrò l’orologio e lo guardò attentamente, come se cercasse di capire se si stesse prendendo gioco di lei. La lancetta dei secondi rimase ferma tremante al suo posto, come se volesse rifiutarsi di procedere. Tac, disse infine.

Medusa gettò l’orologio sul mobile, furiosa, e si alzò di scatto. Poi si ricordò che doveva fare piano, che per nessun motivo al mondo doveva svegliarlo, e guardò con ansia la porta del bagno, cercando di carpire un qualsiasi rumore che potesse provenire dalla camera da letto. Non sentì nulla, e dopo qualche secondo ricominciò a camminare avanti e indietro.

Cinquanta... Quarantanove...

Scorse di sfuggita la sua immagine nello specchio del bagno e quello che vide non le piacque per niente, una ragazza con i capelli castano ramato raccolti in una coda mezza sfatta e il viso grigiastro per il nervoso. Sembrava malata. Ma se non altro, pensò con un certo sollievo, di certo non sono ingrassata. Di colpo si sentì irritata dall’inutilità di quel pensiero, e si portò alle labbra l’unghia dell’indice destro. Tac.

Trentatrè... Trentadue...

Ormai mancava poco. Mezzo minuto non era poi così tanto, no? Tra poco sarebbe finito tutto. L’ansia, i sotterfugi, la preoccupazione. Sarebbe sparita ogni cosa e lei avrebbe potuto tornare alla sua vita normale, senza più angosce e paure e notti insonni passate a fissare il soffitto. Sarebbe passato tutto.

Ventuno... Venti...

Si sedette nuovamente sul water, poi si alzò, poi si sedette di nuovo. Si guardò intorno, passando velocemente in rassegna le piastrelle bianche, i sanitari di porcellana a buon mercato e il mobile di legno laccato, con la vernice che ormai si scrostava attorno al lavandino, dove veniva più spesso a contatto con l’acqua. Afferrò l’orologio che vi giaceva sopra.

Sette... Sei...

Il cuore cominciò a martellarle nel petto e la lancetta dei secondi, che fino a qual momento aveva proceduto con una lentezza esasperante, tutto di un tratto si mise a correre come un ossessa. Medusa trattenne il respiro e senza nemmeno accorgersene scattò in piedi, elettrizzata e atterrita allo stesso tempo.

Tre... Due... Uno...

Tac.

Medusa si scagliò in avanti e afferrò il bastoncino di plastica bianca che fino a quel momento se ne era rimasto trascurato e dimenticato sul mobile. La sua superficie era liscia e intatta, senza nessuna finestrella scavata nella plastica. Confusa, si accorse che era sottosopra e con le dita che le tremavano lo girò.

Blu.

Medusa fissò la finestrella sul bastoncino, la bocca impastata e asciutta, il cuore impazzito di paura. Chiuse gli occhi per un paio di secondi, poi li riaprì.

La finestrella era sempre blu. Il test era positivo.

Le ginocchia le cedettero e lei si sedette sul pavimento freddo, aggrappandosi al mobile con una mano per non cadere rovinosamente a terra, la mano destra che stringeva ancora convulsamente il test di gravidanza. Un singhiozzo le salì alle labbra e lei si affrettò a soffocarlo con la mano libera. E’ positivo, è positivo, è positivo! le gridò il suo cervello. Cosa farai adesso? Cosa farai?
Senza che potesse opporvisi, grosse lacrime calde le riempirono gli occhi fino ad offuscarle la vista, pronte a riversarsi a fiume sul suo viso da un momento all’altro. Sapeva bene che se si fosse messa a piangere in quel momento non sarebbe più riuscita a fermarsi.

No, le disse una voce risoluta nella sua mente, proveniente, ne era quasi certa, dall’ultimo centimetro quadrato del suo cervello che ancora non era stato invaso dall’angoscia e dal terrore. Non devi piangere. Cristo, sei già abbastanza nella merda senza che ti metti anche a frignare. Sai che se ti metti a piangere farai un casino d’inferno e sveglierai John, e il fatto che lui ancora non sospetti niente è l’unico aspetto positivo di questa faccenda. E anche se per un qualche miracolo non lo svegliassi, quando avrai finito di piangere avrai tutta la faccia gonfia e gli occhi rossi e il naso che gocciola, e lui si accorgerà subito di quello che è successo e vorrà sapere perché piangevi. Quindi datti un contegno e ricaccia subito indietro quelle lacrime.

Medusa annuì e si affrettò ad ubbidire, prendendo un paio di profondi respiri ad occhi chiusi e tirando su col naso finché non riuscì a riguadagnare il controllo di sé stessa. Ma per quanto autoritaria e risoluta, la voce nel suo cervello non aveva alcun potere sul suo stomaco, e un’ondata di nausea la travolse con violenza, costringendola ad aggrapparsi al bordo del water mentre conati di vomito la scuotevano dalla testa ai piedi.

Disgustata da sé stessa, strappò un pezzo di carta igienica e si pulì la bocca, poi si alzò sulle gambe che ancora le tremavano, tirando lo sciacquone con un movimento stanco. Raccolse da terra il test di gravidanza, (Blu, blu, blu! continuò a gridare una voce nella sua testa, ma Medusa la ignorò) e lo infilò nel pacchetto degli assorbenti insieme alla sua scatola e alle istruzioni per l’uso, accuratamente piegate, poi sbattè il pacchetto nel suo beauty case e lo richiuse. Se ne sarebbe liberata non appena John fosse uscito. Prese il suo spazzolino, ci mise sopra un’abbondante dose di dentifricio e cominciò a risciacquarsi la bocca.

La maniglia della porta si abbassò violentemente, e Medusa sobbalzò.

“Meredith, sei lì dentro?” chiamò una voce maschile dall’altro lato della porta. Con un ultimo, frenetico sguardo attorno per accertarsi che fosse tutto in ordine, Medusa girò la chiave nella toppa e aprì la porta.

Pyro stava in piedi dall’altra parte con indosso solo un paio di boxer neri, i capelli corti e biondi tutti arruffati e un’espressione sonnolenta sulla faccia.

“’giorno...” biascicò chinandosi a baciarla.

“Mm, menta...” disse quando si staccarono, leccandosi le labbra. Nonostante tutto quello che era appena successo, Medusa non riuscì a trattenere un sorriso.

Pyro si appoggiò alla porta puntellandosi allo stipite con l’avambraccio sinistro, e la guardò con gli occhi socchiusi.

“Tutto bene?” chiese.

Il cuore di Medusa saltò un paio di battiti. “Sì, sì, tutto bene.” rispose, il più convincentemente che poteva. “Perché?”

Pyro alzò le spalle. “Non ti chiudi mai a chiave in bagno.”

“Scusa.” rispose lei, cercando di nascondere la tensione. “Dovevo essere soprapensiero.” Appena la pronunciò, Medusa si rese conto che era una scusa davvero pessima, ma con suo grande sollievo Pyro non sembrò farci caso.

“Come mai in piedi a quest’ora?” le domandò, ma non c’era traccia di sospetto nella sua voce; più che altro, sembrava semplicemente curioso.

“Non riuscivo a dormire.” rispose Medusa, più rilassata.

Lui sorrise e le cinse i fianchi con un braccio. “Potevi svegliarmi.” disse con un sussurro. “Avremmo sicuramente trovato qualcosa di interessante da fare.”

“Non ne dubito.” rispose Medusa mentre lui si chinava a baciarla.

Mentre le labbra di Pyro si posavano sulle sue, sentì una fitta di rimorso stringerle lo stomaco. Bella ipocrita che sei. Hai appena scoperto di essere incinta di suo figlio e ti comporti come se niente fosse.

Il braccio di Pyro che era ancora appoggiato allo stipite si spostò e la mano strinse uno dei suoi seni, massaggiandolo attraverso la canottiera che indossava. Medusa gli prese il mento nell’incavo della mano e gli spinse delicatamente la testa indietro, ponendo fine al bacio.

“Prima fatti la barba.” disse con un lieve sorriso, strofinandogli la guancia ispida con l’indice. “Dopo vedremo.”

Pyro sospirò e alzò gli occhi al cielo.

“E va bene.” rispose passando una mano tra i suoi capelli ossigenati, imperitura memoria di quella notte in cui avevano giocato a “verità o pegno” dividendosi una bottiglia di Jack Daniels. Quando la mattina dopo Medusa gli aveva detto ridendo che non avrebbe preteso che lui pagasse il suo pegno, se non se la sentiva, Pyro era sceso al supermercato all'angolo ed era tornato con una scatola di tinta bionda, troppo stupidamente orgoglioso per tirarsi indietro da una sfida che aveva sottoscritto per gioco e da ubriaco.

Pyro entrò nel bagno sbadigliando e aprì il suo beauty case, frugandoci dentro alla ricerca del rasoio. Medusa cominciò a spogliarsi, intenzionata a farsi la doccia e lavarsi via di dosso tutta l’angoscia e l’incertezza, e sì, anche quella sensazione di sporcizia che si era sentita sulla pelle dal momento in cui John era apparso sulla porta del bagno, assonnato e dolcissimo.

“Che stai facendo?” le chiese ad un tratto, fissandola come se non l’avesse mai vista prima senza vestiti.

Lei alzò le spalle, spiazzata dall’ovvietà della domanda. “Mi faccio un doccia.” rispose.

Pyro posò il rasoio sul lavandino. “Guarda che non puoi fare così.” disse. “Non puoi negare il sesso al tuo ragazzo e poi spogliarti nuda davanti a lui. E’ molto, molto scorretto. E anche molto crudele.”

Medusa sorrise e si sfilò le mutandine. “Allora sbrigati a farti la barba ed entra.” gli rispose chiudendo dietro di sé le pareti scorrevoli della doccia.

****

Medusa rientrò in camera dal bagno dopo aver finito di asciugarsi i capelli. John era mezzo sdraiato, mezzo seduto sul letto disfatto, un cuscino sistemato dietro la schiena, e stava guardando il notiziario alla tv.

...la Cura, che, come ha assicurato Warren Worthington, presidente della Worthington Pharmaceutics, è in grado di reprimere il genere mutante, sarà presto disponibile gratuitamente in tutta la nazione, per ogni mutante che ne faccia richiesta...

“Bastardi fottuti.” ringhiò Pyro.

Medusa lo raggiunse e si accoccolò accanto a lui nel letto, appoggiando la testa sul suo petto.

“Riguarda questo, l’uscita che tu e Magneto dovete fare stasera?” gli chiese.

“Penso proprio di sì.” rispose lui mentre le grattava la schiena. “Non mi ha dato molti dettagli. Sai come fa.”

“Sì, lo so.” Alzò la testa dal suo petto e lo guardò. “Vuoi che venga anch’io?”

Pyro scosse la testa. “Naaa. Da quel che ho capito non sarà niente di che. Si tratterà di imbucarsi ad una riunione di mutanti e guardare le spalle al vecchio mentre cerca di convincerli ad unirsi alla Confraternita. Niente di pericoloso o eccitante.” Sorrise e indicò lo zaino da campeggio che aspettava vicino alla porta. “E poi è meglio che almeno uno di noi due si goda l’ultima notte in albergo. Da domani è finita la pacchia.”

Medusa guardò lo zaino. “Se Magneto vuole che ci trasferiamo tutti nella foresta significa che tra un po’ ci sarà qualcosa di grosso.” disse, rivolta più a sé stessa che a Pyro.

“Già. E’ diventato un filo paranoico, da quando Mistica è stata catturata.” sbadigliò Pyro.

Medusa sorrise. “E’ vero, Mistica. E’ stata una vera sorpresa sapere che si era fatta arrestare. Un genio come lei. Ed io che avevo sempre pensato che avesse più tette che cervello.” disse sarcastica.

Pyro scoppiò a ridere. “Sei una iena.” le disse, dandole un bacio.

Di nuovo Medusa si sentì sporchissima, e di nuovo ebbe voglia di scoppiare a piangere. Per un istante fu sul punto di staccare le labbra da quelle di lui e raccontargli del test di gravidanza che era diventato blu, ma poi si trattenne. Non fare la vigliacca, la rimproverò la voce. Non c’è bisogno di far star male anche lui.

Pyro pose fine al bacio e le sorrise. “Fame?” le chiese, scostandole con delicatezza i capelli dalla fronte.

Medusa annuì. “Direi.”

Pyro sorrise di nuovo, afferrando al volo la sua allusione alla recente performance nella doccia, e si alzò dal letto.

“Che vuoi mangiare?” chiese mentre cercava le scarpe. “Il solito?”

Medusa annuì e si mise seduta a gambe incrociate sul letto. “Sai, forse dovrei andare io.” disse. “I tuoi capelli non passano esattamente inosservati.”

“I miei capelli vanno benissimo.” replicò lui allacciandosi gli anfibi. “Perché? Cos’hai contro i miei capelli? Sei stata tu a dirmi di tingerli.”

Medusa alzò gli occhi al cielo. “Ero ubriaca, John.”

Lui alzò le spalle. “E allora? Lo era anch’io.”

Medusa scoppiò a ridere. “No, tu eri perfettamente sobrio quando sei andato a comprare la tinta. E’ questa la parte più triste di tutta la faccenda.”

Lui frugò nel cassetto del comodino accanto al letto e tirò fuori una specie di bracciale con attaccato un piccolo lanciafiamme. Medusa lo guardò mentre se lo infilava al polso destro.

“Nemmeno quel coso passa molto inosservato.” disse.

“E’ più comodo dell’accendino.” rispose Pyro con una alzata di spalle.

Il lanciafiamme era stato uno dei molti doni di Magneto. Quando erano entrati nella Confraternita, Medusa e Pyro possedevano solo i vestiti che avevano indosso. Magneto provvedeva a loro per qualunque necessità: i documenti falsi, le stanze d’albergo in cui dormivano, il cibo, i viaggi (negli ultimi quattordici mesi si erano spostati con Magneto più o meno in tutto il mondo, in cerca di nuove leve per la Confraternita), persino i vestiti e le sigarette. A pensarci bene, anche il test di gravidanza era stato comprato con i soldi della diaria mensile che Magneto corrispondeva loro. Si trattava di cifre più che dignitose, ma andava detto che Pyro e Medusa avevano sempre speso i soldi che ricevevano in maniera responsabile e oculata.

Una volta Medusa aveva chiesto a Magneto da dove veniva tutto quel denaro, dato che la Confraternita non aveva entrate, o almeno non aveva entrate di cui lei fosse a conoscenza. Magneto le aveva sorriso con dolcezza. “Non preoccuparti dei soldi, mia cara.” le aveva risposto. “Considerali uno stipendio per i servigi che tu e Pyro offrite alla Confraternita.” Medusa non aveva fatto altre domande.

Pyro raccolse un paio di jeans che giacevano sul pavimento, vicino alla porta del bagno, e frugò nelle tasche in cerca del portafoglio, senza trovarlo. Mormorando sottovoce qualche imprecazione, si mise a cercare tra le cianfrusaglie che giacevano sparpagliate sul tavolino accanto alla finestra. Alla fine trovò un biglietto da venti dollari infilato in un passaporto canadese (Medusa vi figurava con il nome di Claire Handersen) e se li infilò in tasca con un espressione soddisfatta.

“Questa stanza fa schifo.” disse Medusa guardandosi in giro. In ogni motel in cui soggiornavano allungavano sempre cinquanta dollari alla cameriera perché si tenesse alla larga dalla loro camera, ma l’effetto collaterale era che vivevano in un porcile.

“Fregatene.” rispose John mentre si infilava il giubbotto. “Domani ce ne andiamo.”

“Dobbiamo raccogliere le cose che ci servono. I documenti, soprattutto.” disse Medusa, alzandosi dal letto. Forse si era messa in piedi un po’ troppo velocemente, perché per un secondo ebbe le vertigini e dovette appoggiarsi al muro per non cadere. Fortunatamente Pyro stava sistemandosi i capelli davanti lo specchio del bagno e non se ne accorse.

“Il resto lo possiamo lasciare.” continuò Medusa, cercando di parlare con il tono più tranquillo e rilassato che le riusciva. Le stava tornando la nausea e dovette sedersi di nuovo sul letto.

Pyro aprì la porta della camera. “Sì, ma dobbiamo ricordarci di distruggere quelle cose.” disse indicando i foglietti scribacchiati sul tavolino accanto alla finestra. Sorrise e alzò la mano destra, dove il lanciafiamme luccicava minacciosamente. “Ci penso io quando avremo finito di fare colazione. E’ un po’ che non uso questa bellezza.”

Medusa aspettò che i suoi passi si allontanassero in corridoio, poi corse in bagno e vomitò di nuovo. Almeno adesso puoi essere sincera con te stessa, si disse. Se vomiti alla mattina, non c’è più bisogno che tu dia la colpa alla cena che era avariata. E se hai il mal di testa e le vertigini, non potrai più raccontarti che Magneto ti ha fatto lavorare molto e sei esausta. Se hai la nausea e l’emicrania è perché sei incinta, e ora non puoi più scappare.

****

Quella sera, quando Pyro uscì per accompagnare Magneto alla riunione, Medusa gettò il test di gravidanza nel bidone dell’immondizia che si trovava nel cortile del motel, poi tornò nella sua stanza e si spogliò nuda davanti allo specchio del bagno, esaminando con attenzione il suo corpo.

Il seno le si era già ingrossato, non di molto, certo, ma era gonfio e duro al tatto, e le faceva male. Le sembrò anche che le areole avessero preso un colorito leggermente più scuro, ma non sarebbe stata pronta a giurarci. Si soppesò i seni con le mani, premendo delicatamente i capezzoli turgidi, ma rimosse immediatamente la pressione quando sentì il dolore aumentare leggermente. Massaggiò con attenzione attorno alle areole, cercando un nodulo, ma poi pensò, sentendosi un po’ ridicola, che probabilmente il dolore era dovuto alle ghiandole del latte che cominciavano a gonfiarsi.

Si mise la mano aperta sul ventre, appena sopra il triangolo del pube, e si accarezzò con attenzione la pancia. Non c’era alcun dubbio. Si era arrotondata. Non c’era bisogno di guardare nello specchio per vederlo; lo poteva sentire, senza alcuna possibilità di errore, sotto il suo palmo.

Medusa guardò in basso la mano appoggiata delicatamente sul grembo. C’è davvero qualcosa dentro di me, pensò. Un piccolo, minuscolo, insignificante esserino che nuota e cresce nella mia pancia.

Cercò di immaginarsi come potesse essere, quel cosino microscopico che se ne stava tutto rannicchiato dentro di lei, ma proprio non aveva idea di che aspetto avesse. Deve essere proprio qui, si disse passando la mano sul punto in cui il suo ventre era più tondo. E siamo stati John ed io a farlo.

Improvvisamente una serie di immagini le attraversarono la mente. Vide il suo grembo ingrossarsi sempre più, settimana dopo settimana, mese dopo mese. Vide sé stessa appoggiarsi una mano sul ventre gonfio, e sentire un piedino minuscolo premere contro il suo palmo. Vide John sdraiarsi accanto a lei sul letto, e posare un soffice bacio sul suo pancione...

Basta.

Guardò il suo volto nello specchio. Basta. Sai che non sarà così. Queste cose succedono solo nelle pubblicità dei biscotti. Nella realtà ci sono i conti da pagare, e la parcella del pediatra, e i pannolini, e tutto il resto... Credi che Magneto sarà altrettanto generoso con voi, quando scoprirà che non sei più in grado di lavorare per la Confraternita? E che succederà allora? Dove vivrete? Come vi procurerete i soldi per mangiare? Come sfamerete il vostro bambino? Come?

Una lacrima le rigò il viso. E se anche per un miracolo Magneto vi permettesse di restare, saresti davvero così infame da condannare il tuo bambino ad una vita da fuggiasco, da reietto, rischiando di farlo diventare orfano, o figlio di carcerati, ad ogni piè sospinto? Che ne sarebbe di lui, se voi foste catturati o uccisi? Chi si occuperebbe di lui? Un'altra lacrima scese dai suoi occhi.

Sai bene cosa gli succederebbe. Vuoi che faccia la tua fine, rimbalzare da un orfanotrofio all’altro, da una famiglia affidataria all’altra, alla mercè di qualunque Alex Hagen che si senta in diritto di tirargli del fango e di chiamarlo mostro? Un singhiozzo le scuotè il corpo e Medusa si coprì una mano con la bocca, orripilata dal pensiero che si era appena formato nella sua mente.

Vuoi che faccia la fine di Evie?

Si sedette per terra e finalmente si concesse di piangere.

....................................................................................

Siamo arrivati alla fine di questo capitolo. Allora, come lo avete trovato? Fatemi sapere.

Secondo voi, come reagirebbe John se sapesse che Meredith aspetta un bambino? Si farebbe prendere dal panico, oppure accetterebbe le proprie resposabilità? E soprattutto, sarebbe felice all'idea di diventare padre? Come pensate che evolverà la cosa?

Un bacio a tutti e alla prossima!

  
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