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Autore: Rebel Girl    07/04/2013    0 recensioni
“Lei un pazzo.”
“Definisca la parola pazzia, signor Coleman.”
“Perché dovrei?”
“Se utilizzo i miei strumenti d’analisi, dire che il pazzo è lei. Tutti in questa sala stanno pensando che lei sia un pazzo. Si stanno chiedendo: “Oddio, si sta mettendo contro Howl. Ma è pazzo?”. Se però utilizzassimo i suoi strumenti d’analisi, il pazzo in questione sono io. Lei starà pensando: “Un rehab, incatenato, di rango inferiore e pure con una sentenza di morte sulle spalle, mi sta sfidando con un contorto gioco di parole invece di cadere a terra in ginocchio e supplicarmi di risparmiarlo. Ma è pazzo?” Ora, signor Coleman, chi crede che sia veramente il pazzo?”
Alexander alzò il viso, puntando gli occhi scuri su quelli infuocati di rabbia del giudice. “ A me piace credere alla prima teoria, se non le dispiace.”
Genere: Drammatico, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
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Il vecchio tribunale di sottomondo, quella mattina, stava assistendo al più interessante processo degl’ultimi secoli. Alexander sedeva sul pavimento impolverato, lo sguardo puntato verso la giuria. I giudici, dal canto loro, parlottavano sottovoce li uni con gli altri, lanciando di tanto in tanto occhiate fugaci al ragazzo e additandolo come facevano i bambini davanti ad un leone allo zoo. Il signor Cotton, il cui cuore non dava segno di volersi calmare, stava discutendo in modo concitato con il vecchio Persly. L’uomo in questione sembrava condividere la sua folle idea. Idea che nessuno, all’interno della sala, sembrava voler ascoltare.
“Ci deve spiegare che cos’è avvenuto. Non possiamo dichiarare a morte una persona senza che questa non spieghi prima la sua versione dei fatti!” esclamò Johnson, nascondendo la bocca dietro alla mano, cercando in questo modo di non farsi vedere da Alexander.
“La sapete anche voi la versione dei fatti! Volete farvi prendere in giro ancora? Lui e suoi stupidi giochetti di parole rimarranno in questa stanza non un minuto di più!” esclamò stizzito Coleman, battendo una mano sul tavolo, attirando, in questo modo, l’attenzione di tutti i presenti su di se. Si appoggiò al tavolo, sporgendosi quel poco che bastava verso i giudici seduti al suo fianco.
“Ha ucciso il vero Re e si è preso gioco di noi per tutto questo tempo. La sua sfacciataggine è la prova della sua colpevolezza. Signori miei, finiamo questo processo e per il bene di sotto mondo, uccidiamo questo impostore seduta stante. Non vedete come si sta divertendo sotto ai nostri occhi?”
“Non possiamo ucciderlo! Vi rendete conto di che cosa ci succederà se lo facciamo? Se lui muore, qualcuno lo vendicherà a suo nome!” . La voce del signor Cotton uscì quasi traballante dalla sua gola. Non era il tipo di persona che imponeva la sua idea durante i processi. Era solito starsene in disparte, leggendo il giornale e battendo di tanto in tanto le mani. Ora, però, aveva troppa paura del imputato per starsene zitto in un angolo a guardare i suoi colleghi che si firmavano la condanna a morte con le proprie mani. Il signor Coleman spostò l’attenzione su Cotton, strabuzzando gli occhi dallo stupore.
“Come dici Cotton?”
“Io….io dico…” farfugliò l’uomo, cercando l’assenso di Persly “…. Che sarebbe un grande errore uccidere il ragazzo. Non subito, almeno. Era un personalità molto conosciuta a sotto mondo, se non dire molto rispettata.”
“E’ solo uno scrittore con idee libertine e profane. Come può una persona del genere essere rispettata dagli abitanti del nostro mondo?” esclamò stizzito Johnson, sistemandosi gli occhiali sopra al lungo naso storto.
“ Già, Johnoson ha perfettamente ragione. E’ solo uno scrittore da quattro soldi, non può farci del male.”
“Ma signori mie, lui potrebbe essere pieno di seguaci?”
“Seguaci? Vorrai dire membri di qualche club del libro.”
Alla battuta del vecchio giudice l’intero consiglio scoppiò in una fragorosa risata. Cotton agitò le mani sudaticce davanti agli occhi, scuotendo la testa.
“Non è solo uno scrittore, signori miei. Avete visto come ci ha ingannati? Il  nostro sovrano era il vampiro più potente di tutto Sotto Mondo. Ha subito un mucchio di attentati e vi ricordate tutti come sono finiti? Bastava uno sguardo e gli assassini cadevano al suolo come mosche. Non alzava nemmeno un dito, il nostro vecchio Re. E ora guardate il ragazzino che vi sta di fronte.”
Cotton puntò un dito verso Alexander che lo stava osservando in silenzio. I suoi bei occhi marroni erano puntati verso il giudice e non davano segno di volersi staccare dalla sua figura. Cotton deglutì nervosamente, riportando la sua attenzione verso i membri della giuria.
  “Ha ucciso il Re e se non l’avesse apertamente affermato a quest’ora non sapremmo nemmeno che il nostro Re è morto. Ha finto di essere lui per tutto questo tempo e noi non l’abbiamo nemmeno smascherato. Se è riuscito ad uccidere lui, cosa credete che non possa farlo anche con noi?”
“E quindi noi dovremmo starsene seduti in silenzio e non condannarlo? Lasciarlo a piede libero aspettando che di notte ci salti alla gola e ci uccida? Ma io dico, ti sei rammollito Cotton?!” esclamò Coleman, prendendo l’amico per le spalle e stringendo forte il tessuto della toga dell’uomo tra le dite ossute.
“Io non dico questo ….. io…. dico…..perché non patteggiamo con lui?”
“Patteggiare?? Patteggiare? Figlio di un cane, io ti….”
Coleman non poté terminare la frase perché un voce calma e pacata sormontò la sua.
“Patteggire….. mi piace patteggiare. Scendere a compromessi, anche questa è una cosa carina.”
Alex sorrise. Piegò le gambe verso il torace ed allungo la mani verso i lacci delle scarpe logore. Cominciò ad annodare i due lacci sciolti della scarpa destra, compiendo ogni azione lentamente e con poco interesse.
“Patteggiate, signori. Vi ascolto.”
Coleman scese dalla pedana, fermandosi a pochi passi dalle guardie.
“ Cosa dovremmo patteggiare? Gli imputati non patteggiano con la giuria.”
“Questo me lo deve dire lei.” rispose Alexander, pulendo con il polsino della camicia la scarpa impolverata.
Coleman stava per ribattere ma venne fermato dalla voce di Cotton : “ Non ci uccida, noi voglio solo questo da lei.”
Alexander storse la bocca, alzando lo sguardo.
“ Non avevo intenzione di farlo, comunque.” . IL ragazzo voltò lo sguardo verso Coleman  “Non tutti voi, almeno.”
“Cosa vuole in cambio per la sua clemenza?” disse Cotton, sporgendosi dal tavolo.
“Stai zitto, codardo. Chiedere la clemenza di questo sporco Rehab? Ma non ti vergogni?” esclamò Coleman, pronunciando ogni minima parola con una dose di veleno. Alexander scosse la testa, concentrandosi sulla scarpa sinistra.
“Se siete così restii a patteggiare, allora mettetemi al patibolo adesso. Odio aspettare e, da quanto posso capire, anche voi siete della mia stessa opinione.”
“No, noi vogliamo patteggiare. La prego, Alexander, ascolti le mie parole e non Coleman. Non è in sé.” Disse Cotton, in un disperato tentativo di riportare l’attenzione del moro su di se.
“E lei ad essere pazzo, non io!” esclamò Coleman. Ritornò a grandi falcate verso il tavolo, afferrando per il colletto COtton. “ Voi, vile codardo, disonorate il nostro nome.”
Cotton cercò di divincolarsi dalla stretta del giudice. “ Io sto cercando di salvarmi la pelle, Coleman! Mia dia ascolto per una buona volta e mi lasci fare!”
“Non ti farò parlare ancora a lungo!”
Coleman spinse Cotton bruscamente che cadette all’indietro con un tonfo. Si avvicino alle guardie, sistemandosi la toga sgualcita.
“Guardie, prendete questo uomo e portartelo in cella. Egli verrà giustiziato oggi stesso.”
La guardia più alta si avvicinò ad Alexander, gli afferrò il braccio bruscamente, affondato le dita nel tessuto della camicia bianca. “Alzati, sporco Rehab.”
Alexander non alzò il viso. Sembra, piuttosto, molto interessato a pulire la punta della scarpa sinistra con la manica della camicia.
“Hai sentito, Rehab? Alzati immediatamente.” urlò la guardia, strattonandolo con più forza.  Alexander si inumidì le labbra, distendendo la gamba sinistra.
“Risolviamola civilmente, signor Coleman.” Disse Alexander , alzando il viso e puntando lo sguardo verso il vecchio giudice. “Se lei non vuole patteggiare, lo faccia fare a Cotton.”
“Io non risolvo civilmente un bel niente, Howl!” esclamò Coleman. Alexander si fece scappare una risata. Strofinò le mani l’una contro l’altra, togliendo i residui della polvere dalla pelle.
“Forse ha ragione lei. Per risolvere un problema civilmente bisogni essere….” Esitò qualche istante sulle parole, per poi aggiungere. “… civili. Qualità che,a quanto vedo, lei non possiede.”
“Come osi sporco…”
“Ora basta!”
Il signor Thomas batté con forza il martello di legno sopra alla scrivania, portando l’attenzione di tutto il tribunale su di se. “Sono stanco di questi continui battibecchi. Io sono il giudice che deciderà il verdetto di Howl, non lei signor Coleman. La pregherei di ritornare al suo posto e di parlare solo, e solo, se io glielo chiederò!”
Il signor Coleman serrò la mascella, furibondo. “Come desidera, giudice Thomas.”
Alexander accennò un sorriso, posando lo sguardo sulla guardia accanto a se.
“Il braccio, ragazzo.”
Quello lasciò il braccio del ragazzo, ritornando al suo posto.
“Molto gentile.” Rispose Alexander, alzandosi velocemente in piedi, pulendosi i pantaloni impolverati.
“Signor Cotton, continui con quello che stava dicendo.” Disse Thomas, invitando l’uomo a parlare.
“S-si….”
Cotton si alzò in piedi lentamente. Lanciò un’occhiata dubitante alla folla di gente all’interno del tribunale, tamponandosi il sudore sulla fronte bagnata. Si schiarì la gola, sistemando nuovamente il fazzoletto ormai completamente bagnato all’interno del taschino della tunica.
“Alexander Christopher Howl, cosa possiamo darle in cambio della sua clemenza?”
Alexander esitò alcuni secondi, osservando il pavimento. Un uomo in prima fila si sporse dalla sedia, cercando di osservare in viso il bel vampiro. Alexander alzò le mano, indicando la giuria. Le manette tintinnarono delicatamente.
“Il consiglio mi accusa di due reati. Il primo è l’omicidio del sovrano, il secondo è l’aver liberato un umana.” disse Alexander, gesticolando lentamente con le mani. “ Voglio scontare solo una di queste due pene.”
Cotton guardò dubitante il giudice Thomas, aspettando una sua qualche risposta. Thomas aggrottò la fronte.
“E sarebbe?”
Alexander accennò un sorriso, alzando il dito indice all’altezza degli occhi.
“Imprigionatemi per aver aiutato una ragazzina, ma scagionatemi nell’altro reato. Mi sembra una proposta accettabile, non trovate?”
Coleman batté un pugno sul tavolo, facendo traballare il povero Cotton. Alexander fece schioccare la lingua, visibilmente stizzito.
“Sporco Rehab, così eviti la pena di morte! Sei un calcolatore!” esclamò Coleman. I tendini del collo erano tesi e gli occhi erano infuocati dalla rabbia.
Alexander gli lanciò un’occhiata disinteressata, inumidendosi le labbra prima di parlare. Il tono della voce era leggermente seccato.
“Non è altro che furbizia, mio buon uomo. Io posso scegliere con che cosa patteggiare, voi invece no a quanto sembra.”
Un mormorio di voci si innalzò nel tribunale. Alexander si voltò leggermente verso la gente alle sue spalle, visibilmente scocciato da tutto quel furtivo parlare. Thomas batté il martello di legno sul tavolo, ripristinando il silenzio. Il martellare del vecchio giudice fece rivoltare il ragazzo verso la giuria. Alexander giocherellò con le manette, visibilmente annoiato. Thomas gli fece un cenno con il capo, invitandolo a continuare. Il moro si limitò a un veloce inchino con la testa, visibilmente disinteressato.
“Sarò sincero, signori. Non voglio morire per un qualcosa che ho ritenuto divertente fare. Se devo morire ammazzato, preferire farlo per mano mia ,non per un boia che si diverte a tagliare teste. Non deve essere un bel vedere la mia testa sanguinante in un cestino di vimini con della gente attorno che per vivere beve sangue.”
Cotton storse la bocca, disgustato. Alexander annuì tra se e se, gli occhi puntati ora su Cotton.
“Signor Cotton, si immagini che scena raccapricciante. La mia povera bella testa sbranata e dilaniata da persone che hanno saltato il pranzo. Da buon scrittore quale io sono, preferirei una morte un po’ più teatrale e non ispirata ad un racconto di Edgar Allan Poe.”
Coleman alzò le spalle, ridendo sarcasticamente.
“Io lo vedrei ben volentieri uno spettacolo del genere.”
Alexander spostò lo sguardo sull’uomo, sorridendo appena.
“Lei non sa quale spettacolo macabro ho in mente per lei e la sua testa.”
“Mi sta minacciando?”
Alexander scosse la testa, spostando nuovamente lo sguardo verso le manette.
“No, puro sarcasmo. Noi scrittori ne abbiamo da vendere.”
Coleman face un gesto vacuo con la mano, alzando le spalle.
“Odio il suo sarcasmo, insulta noi vampiri di alto rango.”
“Se lei si sente insultato significa che si ritrova in quello che scrivo.”
“La ucciderei sul posto.” esclamò il giudice.
“Una cosa su cui entrambi siamo d’accordo.”
Thomas batte le mani, chiedendo il silenzio. Guardò i giudici seduti al suo fianco, la fronte aggrottata. “ Il consiglio accetta la proposta di Howl?”
Alexander si massaggiò il polso destro pieno di lividi, alzando di poco lo sguardo verso la giuria. Johnsons scosse la testa, appoggiando una mano sulla spalla di Thomas.
“Prima dobbiamo sapere per quale reato lo stiamo giustiziando, non le pare, giudice Thomas?”
“Già, vogliamo sentire la storia raccontata dalle sue labbra.” esclamò Kingslay, lanciando un’occhiata concitata verso Thomas. Il vecchio giudice annuì, appoggiando il martello sul tavolo.
“Così sia, allora. Alexander Christopher Howl, ci racconti la storia del suo reato, se non le dispiace.”
Alexander si morse un labbro, abbassando lo sguardo. “Non la sapete già, mio signore?”
“No, credo di no, ragazzino.”
“In questo caso…”. Alexander alzò lo sguardo da terra, facendo cadere le braccia lungo i fianchi. “ Ascoltate la mia storia fino alla fine, ne rimarrete sconvolti dalla sua crudeltà.”





 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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