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Autore: Trick    16/06/2013    4 recensioni
«Il mondo non è diviso in brava gente e Mangiamorte».
Raccolta di drabble, flash-fic e one-shot di mediocre pretesa spudoratamente a caso.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Scritta in occasione del Prompts Day indetto da Pseudopolis Yard.


*
Me lo devi
Remus Lupin, John Dawlish (RemusxTonks)
1605 parole


Non voleva farlo.
Se lo era detto fin dal principio, fin da quando Silente gli aveva rivolto quella folle richiesta – e forse perfino prima, mentre risaliva le scale a chiocciola che conducevano al suo ufficio e una parte di lui aveva già amaramente intuito a cosa stesse andando incontro. Non voleva farlo, eppure aveva acconsentito per mettere a tacere quell'altra parte di sé, quella più insistente e febbrile, quella che continuava a ribadire: “È il tuo compito. È il tuo dovere. Non può farlo nessun altro”.
Aveva realizzato ciò che davvero aveva acconsentito a fare solo una volta che l'imponente profilo di Hogwarts fu svanito nella nebbia del villaggio di Hogsmeade.
A quell'ora tarda della sera la strada principale era solitamente deserta, ma ora che il ritorno di Lord Voldemort aveva gettato la comunità magica nel terrore Remus non si aspettava di imbattersi in qualche passante nemmeno sotto la luce del sole.
Davanti alla porta dei Tre Manici di Scopa si ergeva tuttavia una figura ben piantata, con le spalle larghe e il petto prominente. Attraverso le ampie finestre, le fiaccole che illuminavano l'interno del pub facevano apparire la sua lunga ombra sul ciottolato come un piccolo gigante. Remus riconobbe immediatamente il cappello tipico degli Auror e alzò d'impulso il bavero del logoro mantello per nascondere il volto.
Nel corso degli ultimi sedici anni, la lista degli Auror che gli avevano dato delle noie si era preoccupantemente allungata. Remus non gliene faceva una colpa: era il loro mestiere, quello, e nonostante la protezione di Silente lui restava comunque un licantropo, eppure sembravano tutti convinti che lui non avesse il minimo diritto di difendersi. Eppure a Remus bastava stare tranquillo. Era una caratteristica che Sirius non aveva mai spesso di prendere in giro.
«Non fate arrabbiare il Lupo Mannaro!» informava con voce professionale. «L'ho visto mordere la gamba di un tavolo, signori, e vi assicuro che è pericolosissimo».
Remus inghiottì un fastidioso groppo in gola in al ricordo della risata scanzonata di Sirius – al pensiero di Sirius che voleva combattere, di Sirius che rideva ancora e ancora, e poi finiva oltre quel dannato Velo – e infilò entrambe le mani nelle tasche. Non voleva pensarci.
«Ehi, tu!» lo chiamò l'Auror fermo davanti ai Tre Manici di Scopa.
Remus si bloccò e soffiò un'imprecazione fra i denti. Non era decisamente il momento più adatto. Alzò appena la testa verso di lui e gli rivolse un'occhiata interrogativa.
Di norma Remus evitava sempre di lasciarsi influenzare dalle prime impressioni. L'esperienza gli aveva insegnato che nessuna prima impressione è mai ben stesa, ma il suo cervello etichettò quello sconosciuto come “idiota” in pochi istanti. Quando l'uomo si mosse verso di lui, Remus riuscì a vederlo in viso e non si trattenne dal sospirare infastidito. “Dawlish...” si lamentò fra sé. “Buon Dio, perché metti tutti gli idioti sulla mia strada?”.
Prima di diventare Auror, John Dawlish era stato Prefetto di Corvonero. Divenne Caposcuola nello stesso anno in cui Silente fece l'errore di dare a Remus l'onere di essere il Prefetto di Grifondoro. Coperti da lui, gli scherzi di James e Sirius non fecero che raddoppiare di numero e spettacolarità: un po' per quello e un po' per mancanza di umorismo, Dawlish non aveva mai tollerato nessuno dei Malandrini.
A questo si aggiungeva il fatto che Remus lo avesse preso a pugni solo cinque anni più tardi, quando sotto le direttive di Barty Crouch Dawlish aveva bloccato tutte le uscite dal porto di Exeter per chiudere la fuga i Mangiamorte. Nessuno aveva dato peso alla presenza di venticinque marinai Babbani che scaricavano un mercantile arrivato da Copenaghen e nessuno di loro era sopravvissuto.
Avevamo il dovere di eliminare i Mangiamorte” si era scusato con irritante pedanteria Dawlish. “La sicurezza del mondo magico non è sacrificabile quanto qualche Babbano”.
E Remus lo aveva preso a pugni. Aveva provato una soddisfazione animalesca nel sentire il setto nasale dell'Auror sbriciolarsi sotto le sue nocche. Aveva scampato Azkaban solo per il pronto intervento di Moody, ma quello era rimasto uno dei pochi scatti d'ira che non aveva mai rimpianto.
«Il villaggio è protetto dal Quartier Generale degli Auror» lo informò Dawlish.
Remus roteò gli occhi.
«Se mai dovessi vedere qualche losca figura intenta a torturare Mezzosangue, non esiterò ad avvertirla».
Dawlish si avvicinò fino a qualche metro da lui e la sua bocca si aprì in un'esclamazione di ridicola sorpresa. Fu questione di un istante prima che l'Auror si riscuotesse dallo stupore e riprendesse il suo contegno professionale.
«Remus Lupin». Pronunciò il suo nome come se fosse un'offesa tremenda. «Non hai il permesso di girovagare per Hogsmeade».
«Non ero stato informato di questa ristrettezza nei miei spostamenti...» replicò blandamente Remus, fingendo di sistemare un filo dell'orlo sdrucito del mantello.
«È stato pubblicato sulla Gazzetta del Profeta».
«Davvero? Deve essermi sfuggito l'articolo. Quello sulla famiglia di Birmingham che avete rinchiuso ad Azkaban era prima o dopo?».
La faccia lunga di Dawlish divenne talmente rossa che Remus riuscì a vederla nonostante il sole fosse ormai tramontato. Inclinò appena il capo e scrutò l'uomo con palese disgusto attraverso un ciuffo ingrigito di capelli.
«Il giornalista di quell'articolo era stato erroneamente informato».
«Hai ragione. Ora che ci penso, credo fossero di Manchester».
«Stammi a sentire, Lupin...» ringhiò nervosamente Dawlish, sistemando il distintivo del Ministero con un gesto isterico. «Non hai alcun diritto di giudicare l'operato del Ministero. Se solo Silente non--».
«Sì, sì, sì...» lo liquidò annoiato Remus. «Io starei già marcendo in una cella di Azkaban, certo. Suvvia, un Auror del tuo calibro non riesce a dirmi qualcosa che io già non sappia?».
Non era certo del motivo per il quale stesse continuando a stuzzicare quell'idiota. Forse aveva solo bisogno di distrarsi, forse voleva lasciarsi alle spalle l'amara consapevolezza di ciò che lo attendeva l'indomani – quel conto alla rovescia con Fenrir Greyback lo stava torturando – forse ero tediato, forse era solo arrabbiato un po' con tutti e un po' con nessuno, e Dawlish gli era capitato semplicemente fra capo e collo.
«Se Silente...».
«Se Silente fosse stato ascoltato un anno fa» lo interruppe in un soffio furioso Remus, «ora avremmo un anno di vantaggio su Lord Voldemort». Si compiacque del tremito di paura che il nome del mago aveva causato in Dawlish. “Che idiota. Tonks ha la metà dei suoi anni e già lo pronuncia senza battere ciglio”.
«Voi altri dovreste mettervi in testa che non è Silente a dettare le regole».
«No, ma sarebbe vostro dovere far rispettare quelle che già sono state dettate. Buon Dio, Stan Picchetto non ha avuto nemmeno un processo. Nessuno si è accertato della possibilità che fosse sotto l'effetto della Maledizione Imperio, che qualche Mangiamorte stesse minacciando la sua famiglia... niente del genere, come sempre. Non fate niente fino a quando non è troppo tardi. Talvolta mi chiedo da quale fronte stiate combattendo».
Visibilmente innervosito, Dawlish si allungò verso di lui con aria intimidatoria. Era alto quasi quanto Remus e largo il doppio, ma non sortì l'effetto sperato.
«Potrei farti arrestare per questo».
Le labbra di Remus si piegarono in un sorriso affabile, ma nei suoi occhi riluceva una luce di sfida che lo fece apparire di poco differente dal sedicenne Malandrino che era stato un tempo.
«Potresti» sibilò fra i denti. «Ma sai bene che non ce la faresti».
Fra le sopracciglia di Dawlish comparve una ruga sottile. “Lo sa perfettamente” si disse Remus. “Ho vinto più battaglie di qualunque Auror del Ministero”. L'uomo accusò il colpo e fece un profondo respiro. Poi replicò con più malignità:
«Tu non sei un mago. Non sei nemmeno umano».
Remus scoppiò in una risata priva di allegria.
«Eppure mi devi la vita, Dawlish: quel bel cappello da idiota che ti hanno messo in testa te l'ha fatto scordare?».
A giudicare dal tremito della sua bocca, Dawlish non lo aveva affatto dimenticato. Era il 1976 e se non fosse stato per il repentino intervento dell'Ordine della Fenice la sua squadra sarebbe stata decimata. E Remus gli aveva parato le spalle: rapido e silenzioso, senza chiedere niente a nessuno. Lo aveva fatto e basta. Forse era quello il motivo dell'astio di Dawlish. O forse era un individuo infinitamente più semplice, come temeva Remus, è il solo motivo era il fatto che a salvarlo fosse stato un dannato Lupo Mannaro.
Dawlish stava per replicare, ma venne interrotto da una voce squillante che proveniva da una delle finestre del secondo piano dei Tre Manici di Scopa.
«John, va tutto... Remus?».
Remus sollevò lo sguardo giusto in tempo per vedere il profilo stupefatto del volto di Tonks affacciarsi al davanzale. Lei si passò una mano fra i capelli rosa cicca e si aprì in un largo sorriso. Non aggiunse altro e svanì all'interno – a Remus parve quasi di sentire i suoi passi scendere di corsa le scale per raggiungerlo in strada.
Dawlish rimase a contemplare per qualche istante la sua espressione improvvisamente distratta. Sorrise beffardo e disse:
«Lei è un'Auror. Non ha niente che ti dovrebbe interessare».
Il sottinteso era fin troppo evidente perché Remus non lo cogliesse.
«E tu sei un incapace» replicò duramente. «Ma se le succede qualcosa e tu non muori nel tentativo di salvarla, giuro sul mio onore che sarò io ad ammazzare te».
«Non permetterti di--».
Remus lo afferrò per il colletto della camicia con uno scatto incredibilmente veloce. Nei suoi occhi brillava una luce pericolosa – ferina, brutale.
«Me lo devi» lo minacciò in un mormorio roco. «Tienilo a mente».
Svanì in un vicolo secondario prima ancora che Tonks varcasse la porta d'ingresso.
   
 
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