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Autore: MrMurkrow    08/08/2013    3 recensioni
Alistair Vanko è un agente sotto copertura di Cerberus. Ora, dopo gli eventi accaduti su Haestrom, Vanko rivede le sue posizioni nei confronti dell'organizzazione a cui appartiene e dovrà in tal modo confrontarsi con le dure prove a cui le sue decisioni lo porteranno.
Spin-Off di Mass Effect Reborn
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Jack Of Spades'
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Capitolo 4: La Lunga Notte Dell’Ispettore Merlo
 
 
“Lo spettacolo non mi piacque fin dall'inizio... anche se mi avevano riservato un posto in prima fila.”
 
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-Un soffio d’aria insolitamente fredda si fece largo nel campo, sollevando una piccola quantità di polvere e facendogli fare due o tre loop prima di disperdersi nell’ambiente. Con la coda dell’occhio seguo quel piccolo e sfuggente serpente d’aria, tutto acquisiva più importanza dopo aver perso qualche centinaio di uomini e un numero imprecisamente alto di civili in un assalto dei Terroristi. Le prime luci del mattino inondavano l’accampamento dopo la terribile giornata precedente. L’ospedale del campo, così come quelli degli altri insediamenti circostanti, aveva lavorato a pieno regime e c’erano stati quindi un mucchio di pianti e lacrime di tutta la gente accorsa per i loro cari. Ho perso molti amici ieri, la Reale Accademia è stata attaccata e i membri della Tyrant rimasti a difesa erano troppo pochi per riuscire a contrastare l’offensiva nemica. Ci hanno presi di sorpresa, la 126° è stata presa a pugni in faccia dagli oppositori della Gerarchia..la nostra storia, i nostri cimeli, le nuove reclute, i vecchi soldati e la nostra casa sono stati annientati senza pietà..ho sentito dai miei superiori che si contano circa 300 perdite della più nobile, prestigiosa e antica divisione dell’esercito della Gerarchia. Colpire in questo modo una struttura militare, specie una unità come la Fanteria Reale Tyrant, è uno dei più grandi smacchi che la storia Turian ricordi… per giunta se effettuata da dissidenti del potere del Primarca.
Da qualche parte dentro di me..sento che sarò uno degli ultimi a portare lo stemma identificativo della Tyrant sulla corazza..la storia mi ricorderà come uno dei sopravvissuti al genocidio della mia legione..per me questo è solo un disonore terribile..avrei preferito essere ricordato come un martire che aveva perso la vita per difendere la sua casa, piuttosto che apparire come un codardo che non era riuscito a evitare uno dei più grandi massacri della storia della Gerarchia.
Bisogna dar merito a quei bastardi di aver organizzato tutto veramente bene..diamine non ho mai visto una cura così maniacale per i dettagli. Di certo non si può dargli torto, hanno effettuato un’impresa assolutamente impensabile. Da quando questa guerra contro i terroristi ha iniziato a prolungarsi anni in più di quanto previsto la Gerarchia ha applicato severe norme di sicurezza per accedere alle città più importanti, per non parlare della capitale che è diventata una specie di fortezza. Il Primarca Valorum si è lasciato decisamente trascinare dalla sua politica difensiva tanto decantata ed elogiata, ma è un Turian troppo orgoglioso e sicuro di se ed ha la cattiva abitudine quando mette in pratica una soluzione ad un problema di lasciarla a vegetare li, senza più curarsi di modificare alcuni aspetti del piano quando arrivano i segnali che qualcosa stia cambiando. Questo vale per le sue fottute “bolle di difesa”, come piace a lui chiamarle. Nessuna difesa è impenetrabile, ma la sua spocchiosa fiducia in se stesso e la volontà di apparire sempre come risoluto ed uno che non fa mai passi indietro lo rendono vulnerabile e prevedibile. Se l’avevo capito io figuriamoci quanto ci hanno messo a capirlo i Terroristi.
Ad ogni modo, il suo piano prevedeva cose come inserire accessi monitorati da soldati nelle città. Controllo documenti, scannerizzazione biometrica, perquisizioni varie, controllo dei precedenti e così via. Nemmeno i soldati erano esenti da questo trattamento onde evitare che ci fossero infiltrati tra le nostre stesse fila. Il problema era migliaia di persone entrano ed escono dalle grandi città ogni giorno e quindi, per garantire un flusso di entrata/uscita abbastanza fluido da non congestionare la strada, si controllavano velocemente e sommariamente gran parte delle persone e le perquisizioni si concentrarono più su coloro che ricalcavano lo stereotipo del terrorista, cioè gente proveniente dagli arcipelaghi settentrionali e delle montagne del Warsur. L’ostentata sicurezza del Primarca aveva contagiato anche gran parte di coloro che erano affidati a questo tipo di incarico, così che la loro vigilanza sul campo diminuì gradualmente fino ai livelli di placido e passivo assolvere. Dalle prime informazioni raccolte sappiamo che dovrebbero aver superato questi blocchi in vari modi: c’erano squadre che usarono dei cargo agli astroporti nascondendosi nella merce, cellule che sfruttarono i canali di scolo, riciclo e filtraggio delle città, gruppi che applicarono la corruzione a chi era di servizio agli ingressi controllati e chi semplicemente riuscì a superare i controlli semplicemente per la pigrizia di chi di dovere. Da li in poi i terroristi si divisero in piccoli gruppi e si portarono in diversi posti di particolare importanza delle varie città, camuffati da normali cittadini non ebbero problemi a muoversi attraverso le reti urbane e locali. Giunti ai loro obbiettivi, attesero che fosse mezzogiorno in punto e poi diedero il via ad un attacco simultaneo su ben dieci grandi città. Stazioni di mezzi pubblici, aeroporti, tribunali, aziende con legami fitti e strettissimi con la Gerarchia, industrie di vario genere (metallurgiche, energetiche, militari), ospedali, scuole, accademie militari come la Tyrant, piazze e grattacieli qualunque. Si stima un numero di infiltrati in media per città pari a un ottantina di elementi. Si procurarono le armi tramite il mercato nero, quindi niente di rintracciabile o riconducibile al loro movimento estremista, nessuna targhetta identificativa, documenti o altro per riuscire a di indentificarli..non ne avevano bisogno..sapevano benissimo che il loro era un viaggio di sola andata. Difatti il loro era un attacco mirato per mietere più vittime possibili, il caos era il loro obbiettivo, non appena capirono di essere alle strette e senza più molte munizioni…si fero saltare per aria…erano imbottiti di esplosivo ed erano pronti a lasciarci la pelle fin dal primo momento dell’assalto, ma il vero scopo di questo gesto diabolico era tutt’altro. Mentre il numero delle perdite civili, e non, saliva alle stelle, un gruppo di circa cinquanta Terroristi guidati dal loro stesso leader colpì la residenza del Primarca dapprima rapendolo e poi, circa dopo quattro ore da questi eventi, mostrandolo sanguinante, con ripetuti segni di abusi e torture, appeso ad una catena che lo teneva ritto in piedi. E’ stata una prova di forza, dove questi figli di puttana hanno dimostrato di sapere bene cosa stanno facendo e come lo stanno facendo..ora chiedono la liberazione di tutti i loro uomini catturati e la resa immediata dell’istituzioni che, a parer loro, hanno rovinato la società Turian. Ogni fottuto soldato o persona su questo buco di pianeta sa che non rivedremo il Primarca vivo e devo dire che Valorum non mi mancherà, da qualche parte ai piani alti è stato sicuramente nominato un sostituto pronto a prendere il suo posto. Di certo non tratteremo con i terroristi e certamente si farà di tutto per creare un piano per salvare il Primarca, ma questa è solo una copertura dei politici per dire “Abbiamo fatto tutto quello che era in nostro potere, ma abbiamo fallito”, sappiamo tutti che il Primarca è già morto..solo che questo non impedirà a me o al restante comparto militare di andare a fare il culo a quei bastardi e avere almeno il sapore della vendetta.
Ero seduto su una roccia all’ingresso del campo che guardavo la luce colpirmi il volto, giochicchiavo con un bastoncino tra le mani, fragile e piccolo, pareva dovesse spezzarsi al prossimo alito di vento. Continuavo a pensare a cosa avrei potuto fare se fossi stato all’Accademia Tyrant per dare una mano..mi sentivo peggio di un traditore e avrei voluto spaccare l’armatura dalla rabbia. Proprio mentre rimuginavo e tendevo in una flessione il bastoncino, arrivò di corsa un Turian alle mie spalle che mi chiamò a gran voce.
“Merl! Merl!”, urlò quello con quanto fiato aveva nei polmoni.
Dalla sorpresa misi troppo forza e spezzai il bastoncino che rimase metà  nella mao sinistra e metà nella mano destr in seguito ad un piccolo schiocco. Alzando gli occhi al cielo per aver combinato quel danno, come se fosse stato una cosa grave, lo deposi a terra mettendo le due parti in verticale per terra affiancate in modo parallelo. Nel frattempo lo strillone lo raggiunse e si fermò appoggiando le mani sulle ginocchia e respirando affannosamente.
“Cosa c’è Rax?”, gli domandai con noncuranza mentre sistemavo accuratamente i bastoncini,
“Il colonnello Mauser e il generale Kantus ti vogliono in sala briefing…in questo preciso momento!”, disse lui, sempre con un tono di voce alto e respirando più volte tra una parola e l’altra.
Stancamente mi rialzai, gli diedi una pacca sulla spalla e lo invitai a seguirmi mentre ci dirigevamo lentamente alla sala briefing poco più avanti, “Hanno detto il motivo di tutta questa fretta?...Il Primarca è stato dichiarato morto nelle ultime ore?”
“No ad entrambe le cose Merl e sinceramente non capisco perché tu ce l’abbia tanto con Valorum..A me è sempre stato simpatico e l’ho sempre ammirato per i suoi metodi”,
“Questo perché tu ti intendi di politica quanto un Varren si intende della tecnologia di campi di massa”, fui sincero e schietto con lui, quel giorno però non c’era ironia nelle mie parole, ero troppo coinvolto in quegli eventi e mi lasciai scappare quell’esternazione poco corretta nei suoi confronti. Fortunatamente lui la prese per il verso ironico.
“Sempre a scherzare sulle mie preferenze politiche. Ehi! Io faccio il soldato, mica il sindacalista”, sbottò in una risata.
Arrivati al CIC le guardie sulla porta fecero passare solo me, così Rax andò a riunirsi con la squadra lasciandomi con l’espressa richiesta di vuotare il sacco su quel colloquio subito dopo.
Entrai nella stanza e trovai il colonnello Mauser e il generale Kantus disquisendo su alcune mappe olografiche di metodi di ingaggio. Quei due non andavano granchè d’accordo, soprattutto per il fatto che la figlia di Kantus era in una delle decine di squadre Tyrant sotto il comando di Mauser e lo vedeva responsabile della salute della figlia, di convesso nutriva lo stesso sentimento verso di me, visto che sua figlia era il cecchino della mia squadra. Per altro avevano avuto spesso diverbi di natura politica e di strategie della Gerarchia, ma si rispettavano molto entrambi per le imprese militari compiute sul campo, anche se non lo avrebbero ammesso mai. Il colonnello Mauser era un Turian sulla ad un passo dalla mezza età, indosso portava la sua armatura bianca a strisce blu classe Specter. Statuario e imponente, era risoluto quando chiedeva di eseguire gli ordini e metteva spesso in mostra strategie offensive molto elaborate in cui i veicoli pesanti la facevano da padrone. Portava marchi dalle forme a curva di color verde intenso.
Il generale Kantus era invece un Turian appena oltre la sessantina, convinto che la miglior possibilità di vittoria stava nell’essere sempre pronti ad effettuare manovre difensive così da neutralizzare non solo l’offensiva nemica, ma anche a spezzargli il morale, così che si facessero più fiacchi ad ogni tentativo andato a vuoto. Indossava una spessa, voluminosa e antiquata armatura Blood Gear, molto solida, ma davvero limitante nei movimenti. Indossava quella corazza solo per far scena e ricordare a chi lo guardava che anche lui, prima di arrivare ai piani alti, era stato un soldato che aveva sputato sangue sul campo di battaglia. I suoi occhi neri erano la cosa che più in quel Turian trasmetteva la sua carica, non era il portamento, l’attitudine, la sua fermezza o la sua storia a renderlo rispettato da tutti, ma l’energia che emanava guardando chi gli stava intorno con i suoi occhi, si può dire quasi che facesse nascere un primitivo senso di paura in chi lo osservava. I marchi rossi sul suo volto, alcuni profondamente scavati da ferite vecchie più di me all’epoca.
I due interruppero la loro conversazione e si voltarono all’unisono verso di me.
“Ah, capitano Merula”, esordì Mauser, “Arriva giusto in tempo, stavamo dando un’occhiata alle immagini di ricognizione fornite dagli Hornet stamattina…la cosa non le piacerà”
“I Sovversori si stanno muovendo soldato, ma non dove noi ci aspettavamo”, si inserì Kantus schiarendosi la voce.
Le immagini erano poco dettagliate, ma si poteva notare un folto numero di soldati, quattro forse cinque squadre di assaltatori con veicoli leggeri al seguito, dirigersi verso il limite della boscaglia. Le presi e cercai di carpirne ogni dettaglio. I Sovversori erano diventati bravi a spostare le loro forze con cautela e senza essere individuati per questo motivo la Gerarchia aveva approvato la costruzione dei piccoli droni da ricognizione B-60 “Silver” Hornet. Questi droni, di dimensioni assai contenute, vantavano della allora sperimentale mimetizzazione ottica: sostanzialmente erano rivestiti di un materiale ultrariflettente a sua volta rinforzato con uno strato di grafene, il primo elemento riusciva a rendere il piccolo mezzo difficile da distinguere in mezzo al campo di battaglia, mentre il secondo provvedeva a dargli copertura contro gli scanner ad infrarossi o ai radar terra-aria. Uno di questi piccoli Calabroni d’Argento era riuscito a darci una visuale di quello che i nostri nemici stavano architettando. Quello su cui rimasi più colpito non fu l’armamentario di cui disponevano, sapevamo già bene che avevano molti legami con il mercato nero Volus e in particolar modo con l’odiata famiglia mafiosa Pallazzo, ma il numero di uomini al loro seguito. Quella nelle foto non era il gruppo completo di Sovversori, ma una semplice avanguardia. Rabbrividii nel confermare che quei dannati stavano ottenendo sempre più consenso in tutto il pianeta, c’era davvero così tanti fra di noi che credevano nelle estremistiche idee di quei reietti? Ebbene si..e quelle immagini, benchè non lo diedi a vedere, furono un colpo duro da mandare giù.
“Si muovono verso il passo di Magair”, dissi indicando prima la foto e poi la loro probabile direzione nella olomappa;
“Precisamente”, fece Mauser annuendo con un gesto sicuro del capo, “L’Intel sospetta che vogliano attraversarlo prima della fine della stagione e riunirsi con un secondo gruppo a Reienne. Il Maggiore Livus e io concordiamo sull’intercettarli alla fine del passo”;
“Colonnello questo pare pane per l’aviazione non per noi”, sentenziai portando la mia mano in un punto più alto della mappa, “I caccia possono partire da Camp Finer ed essere sul bersaglio in meno di 4 ore. Farebbero tabula rasa di questo gruppo di Sovversori con facilità”;
“Dovrà essere un lavoro fatto da terra soldato”, spiegò Kantus incrociando le mani dietro la schiena, “Un secondo rapporto dell’Intel conferma che trasporteranno batterie antiaeree e gli basterà individuare i caccia sul radar per contrattaccare…I bastardi hanno dato un notevole aggiornamento al loro equipaggiamento”, concluse facendo scattare le mandibole con rabbia;
“Allora non abbiamo altra scelta che distruggere le loro postazioni radar così da rendere inoffensive le loro contromisure. Risparmieremo anche parecchie vite dei nostri che perderemmo in un eventuale assalto frontale”;
“Questo è impossibile da effettuare Merula”, controbattè subito Mauser, “Fare ciò che dici implicherebbe una deviazione di sei giorni attorno al confine del Mandarey e a quel punto i Sovversori sarebbero già allontanati da un pezzo”;
“Lo so Colonnello”, ammisi poggiando le mani sul tavolo al centro della stanza, “Ma se tagliamo per il Mandarey con un piccolo contingente dovremo farcela in soli due giorni”;
“C’è un piccolo dettaglio che non ha considerato capitano”, mi bloccò immediatamente sul posto il generale, “Il Mandarey è una colonia neutrale”, pronunciò quelle parole come se volesse prendermi a sassate sul cranio per aver detto una cosa così sciocca.
Mi voltai verso di lui con fare deciso e lo guardai dritto negli occhi, come a sfidare quegli occhi che a tutti mettevano così tanta paura, “Non era mia intenzione chiedere dei visti, signore”;
“Questa scelta è impossibile da prendere anche solo in considerazione Merula, lo capisce?! E’ diplomaticamente inaccettabile! Ne io ne il generale Chox approveremo questa decisione”, sfuriò in tono grave Kantus.
Mi ci volle molta forza di volontà per non alzare la voce e battere un pugno sul tavolo del CIC, “Signore, i Sovversori varcano continuamente il confine e il Mandarey non batte ciglio”;
“La neutralità è una faccenda complicata”, si intromise il colonnello Mauser prima che Kantus si lanciasse in un’altra sfuriata delle sue.
Sapevo le idee di Mauser, era il mio colonnello, era un membro della FRT come me, mi aveva addestrato e nutriva molta fiducia in me, nei miei metodi e nei componenti della mia squadra. Così gli chiesi con velato intendimento, “Devo prenderlo come un Si o un No, signore?”;
“Come un –Non farti beccare- Merula”, sentenziò con voce dura per cercare di sembrare risoluto difronte a Kantus che, al sentire quelle parole, aveva subito puntato Mauser con inaudita sorpresa e ferocia negli occhi, “I Sovversori interrogheranno, tortureranno e giustizieranno ogni componente della tua squadra te compreso e se venissi catturato in Mandarey la Gerarchia negherà ogni coinvolgimento…sai bene che la convenzione di Torugul in questi casi non prevede prigionieri di guerra. Sia in Maranday che con i Sovversori saresti fregato insomma”;
“Colonnello!”, intervenne furente il generale Kantus, “Si rende conto di che diamine sta facendo uscire dalla sua bocca?! Permettere al Capitano di entrare in Mandarey, eliminare i radar dei Sovversori dall’altro capo dello stato e poi tornare indietro? E’ follia! Non posso approvare questa operazione e nemmeno lei, per gli Spiriti!”.
Per quanto Kantus fosse un rompiscatole, aveva ragione, un operazione del genere non poteva essere approvata ne tantomeno presa in considerazione. Come colonia neutrale il Maranday non poteva, teoricamente, essere attraversato da una forza ufficiale della Gerarchia, ma era ben risaputo che lo stato maggiore favoreggiava per i Sovversori e taceva bellamente su tutti gli spostamenti che i nostri nemici compivano sul loro terreno di casa. Proposi quell’idea al Colonnello perché ero stufo che i Sovversori fossero sempre un passo avanti a noi ed anche perché volevo rendergli un sano pan per focaccia dopo tutti i disastri e le morti che avevano causato.
“Generale Kantus..io non so lei come la veda, ma sono stufo di essere preso a calci nel culo da questi bastardi!”, si sfogò Mauser affrontando faccia a faccia il generale, “Non permetterò che quelli se ne vadano impuniti dai loro compagni a Reienne bevendo e sparlando dei nostri morti. Oggi me ne infischio della procedura, della burocrazia e delle sue dannate obiezioni, perché ho ospedali pieni di Turian in lacrime per i loro cari e di cimiteri che si riempiono ogni giorno di più. Oggi io non li lascerò passare signore, oggi dico No”, poi il colonnello Mauser si volse verso di me ricercando compostezza, “Merula, sai quello che ti serve sapere..”.
Mi avviai lentamente verso la porta del CIC, “Ricevuto signore”, feci il saluto, ma prima di uscire all’esterno il generale mi urlò dietro, “Hai mia figlia con te capitano…mia figlia”;
Feci un cenno d’assenso col capo per intendere che lo sapevo bene e poi lasciai la stanza senza altre esitazioni.
Dopo qualche gelidi secondi di silenzio, Kantus riprese la parola, “Lei ripone troppa fiducia in quel soldato Mauser”, sentenziò laconicamente Kantus, “Un giorno la rovinerà, me lo sento”;
“Con tutto il rispetto signore, so quando dare o non dare il mio benestare ai miei uomini”, fece il colonnello voltandosi verso il suo superiore;
“E’ orgoglioso, istintivo e irrispettoso. Cosa diamine ci vede di speciale in lui?”, chiese Kantus prendendo posto su una sedia li vicino;
“Lei ha descritto il vecchio Merula generale”, iniziò a spiegare Mauser, “Non è più quel impetuoso ragazzo che conobbe al campo di addestramento quando ancora lei era Maggiore. Ha imparato molte cose, certo, non ha ancora raggiunto la completa maturazione, ma non mi dica che lei è nato già formato caratterialmente da generale”;
Quello diede un sonoro sbuffo come se, arrabbiato, riconoscesse la veridicità delle parole del suo interlocutore, “Ammetto che ha dimostrato più di una volta le sue abilità e le sue competenze…e devo dire che non fui affatto sorpreso di sapere che i BlackWatch lo volessero arruolare, più che altro mi lasciò sconcertato il suo rifiuto. Che diamine! Quale soldato sano di testa rifiuterebbe anche solo di provare ad entrare in quell’elite?”, concluse allargando le braccia;
“Su una cosa devo dargli ragione: Merula è orgoglioso. E’ orgoglioso dello stemma che porta sulla corazza, è orgoglioso della sua posizione nell’esercito, è orgoglioso dei suoi uomini e dell’appartenenza alla sua specie. Per questo ha rifiutato, non è il tipo da affrontare il pericolo tra le ombre, non è il soldato che abbandonerebbe la sua squadra per ricercare gloria personale o una posizione favorevole nell’esercito. No, Merula se ne infischia dei gradi, anzi ogni volta che riceveva una promozione lo vedevo molto abbattuto piuttosto che esaltato, lo sa perché? Perché ad ogni avanzamento di grado gli sembra di allontanarsi dai suoi uomini, crede di non poter aiutare nessuno stando dietro una scrivania come me e lei a fare strategie e dare ordini. No, lui è un soldato da prima linea che si butterebbe a fare da scudo ai suoi compagni piuttosto che vederli crepare da dietro un riparo. Son tuttavia convinto che un giorno imparerà che il pregio del comando può salvare tante vite quante ne salverebbe da solo sul fronte. Si…un giorno ce lo vedo..Colonnello Tiberius Merula e quel giorno saprò di aver fatto qualcosa di buono come soldato in questa Galassia che va sempre più a rotoli ogni giorno che passa”
Mi muovevo a passo veloce verso la mia squadra con mille idee per la testa. Non ero più un completo ribelle come i primi periodi d’addestramento, mi piace giocare pulito, ma bisogna riconoscere tra le regole e la palese stupidità. Quel vecchio rimbambito di Kantus, avesse potuto, ci avrebbe mandato a combattere cavalcando dei Varren. Quindi se c’è un modo migliore per porre fine a questa guerra io lo proverò.
Superai cinque file di tende stracolme di feriti e civili gettando sguardi fugaci verso il loro interno.. troppi, troppi morti c’erano stati. Quel che ci accingevamo a fare, se avessimo avuto successo, non avrebbe ridato indietro le vite spezzate da quei bastardi, ne tantomeno avrebbe equiparato le perdite dalla loro parte, ma avremmo sicuramente fatto felici diverse persone, me in primis.
La mia squadra era radunata vicino ad un carro AH-330 “Wild Dust” parcheggiato in una piccola rimessa in attesa di riparazioni. Mi notarono da lontano e subito si prepararono ad ascoltare le notizie che gli portavo.
“Sbaglio o quella è la sua faccia da cospirazione, signore?” . Salton è l’ingegnere della squadra, veloce e preciso quando si tratta di hackerare qualche tecnologia nemica e letale quando si tratta di scendere in prima linea armi in pugno. La sua arma preferita era senza dubbio una M-7 Rainstorm, piccola e versatile mitraglietta con caricatore laterale da 40 colpi. Sebbene il rinculo fosse notevole, l’arma si prestava bene a raffiche brevi per la sua alta precisione anche a distanze superiori di 100 metri. Salton era inoltre un tipo molto agile che prediligeva l’utilizzo di armature leggere per muoversi più velocemente sul campo quando gli veniva dato un ordine di sabotare una determinata struttura nemica ed effettivamente certi incarichi lo mettevano spesso sotto la linea di tiro del nemico. Ad ogni modo non si era mai tirato indietro a queste eventualità e spesso scherzava sul fatto di fungere da bersaglio mobile in modo da garantirci tiri puliti sui nostri bersagli.
“Indovinato Salton”, risposi richiamando gli altri membri della squadra Sette in cerchio con dei rapidi gesti delle mani, “Qualcuno è interessato a una missione che ufficialmente non esiste in Mandarey per far esplodere un po’ di chincaglieria radar nemica?”;
“Credevo che non ce l’avresti mai chiesto!”, esclamò esaltato Rax. Rax e io ci conoscevamo da una vita intera ormai, sempre fianco a fianco in tutte le missioni assegnateci. Per quanto il suo atteggiamento fosse rimasto costantemente chiacchierone e scanzonato dai tempi dell’addestramento, in campo si dimostrava sempre vigile e reattivo. Insomma, sapeva bene come distinguere il Fuori da il Dentro del campo di battaglia. Ultimamente si era specializzato con l’uso del M-44 Atlus un fucile d’assalto pesante con doppia modalità di fuoco. La prima era la full-automatic che scaricava il caricatore come se si stesse usando una mitragliatrice pesante, la seconda invece permetteva solo tre raffiche brevi a frequenza di fuoco ridotta per tiri più precisi.
“A me piacciono le esplosioni signore…specie se si portano via qualche Sovversore”, ridacchiò compiaciuto Bai. Di dimensioni più contenute della media Turian era Bai Tack, questo soldato era originario delle isole settentrionali e lo si poteva ben capire dal fatto che portava dei marchi con forme decisamente tribali, tondeggianti e che finivano in numerose punte, solo sul lato sinistro del viso. La popolazione di quelle isole era famosa proprio per la sua forma decisamente più ridotta di qualsiasi Turian e ciò li metteva spesso come oggetto di scherno dal resto dei propri “fratelli maggiori”. Ciò che la maggioranza non sapeva e che questo contadinotto isolano sapeva muoversi silenzioso come un alito di vento e, vista la sua corporatura, era dannatamente difficile da individuare specialmente tra le ombre. Io stesso alle volte lo perdevo di vista per poi vederlo dietro le linee nemiche a freddarli di sorpresa alle spalle. Si adatta praticamente ad ogni tipo di arma anche se pistole montanti soppressori e il suo coltello da caccia SOG.
“Dal suo tono sembrerebbe che non abbia ricevuto il benestare del Generale, signore”, affermò decisa Lea portando il suo fucile di precisione in spalla. Lea era figlia del generale Kantus ed anche un cecchino dalle abilità indiscusse. Per quanto fosse abbastanza tranquilla di natura, bisognava dire che la grinta e il coraggio non gli mancassero affatto. Rapida, silenziosa e dannatamente infallibile da tiri da distanze di 200 metri. Utilizzava un M-82 Firefly silenziato, ottimo fucile di precisione con alta cadenza di fuoco grazie al sistema di raffreddamento studiato apposta per questa arma, di contro aveva un gran rinculo e richiedeva molta manutenzione per evitare guasti tipici come la tendenza a destra del colpo.
“Diciamo pure che il generale si sta facendo molti problemi di diplomazia al riguardo”, risposi schietto, Lea sapeva come era fatto il padre e non avere la sua approvazione era un problema che aveva assimilato e superato fin da quando era bambina.
“Verrà anche lei con noi signore?”, domandò Bai mentre iniziava già a ricontrollare la perfetta limatura della sua lama.
“Non ve lo chiederei se non fossi disposto ad andarci io per primo”, feci osservando e rimanendo stupito, per l’ennesima volta, di quanto quell’arma bianca apparisse letale alla sola visione, “Abbiamo due giorni per eliminare la stazione radar di Gralia. Iniziate a prepararvi l’equipaggiamento, io farò un salto in officina a vedere che mezzo riesco a strappare dalle mani dei ragazzi, lo sapete quanto sono fiscali con queste stronzate burocratiche. Mi ci vorrà minimo un’ora per fargli capire che la missione non è ufficiale e quindi non devo firmare nessun dannato registro”, detto questo mi allontanai a passo leggero, ma deciso verso la cabina del capomastro.
“Sai cosa lo preoccupa Bai?”, domandò Rax al compagno di fianco a lui che sollevò lo sguardo verso di me e facendo segno d’assenso, “Alla prossima promozione gli toccherà starsene seduto al QG”;
“Gli manca essere un soldato di fanteria”, concordò quello riponendo la lama nella fodera agganciata sul lato destro del bacino, “Glielo si può leggere negli occhi”.
A conti fatti non è la bandiera a contare, ma sono i soldati accanto a te. E più salgo di grado, più mi è difficile mantenere quel contatto. Forse dovrei…
Non feci in tempo a concludere il pensiero che mi ritrovai Lea al mio fianco, “Signore, possiamo parlare qualche minuto?”
Sapevo già dove sarebbe andata a parare, quindi allungai il passo per superarla e espressi il mio diniego, “Mi spiace Lea, ma abbiamo cose importanti di cui occuparci ora, il tempo è prezioso. Parleremo quando saremo tornati a missione compiuta”.
Quella non cedette e mi fermò scandendo bene la parola, “Merl!”, mi bloccai sul posto come se mi avesse lanciato un incantesimo, “Ne dobbiamo parlare ora”.
Diedi un lungo sospiro, mi passai la mano sul volto e poi le feci cenno di seguirmi. Ci allontanammo da orecchie indiscrete arrivando quasi al limite orientale del campo. Una volta appurato che non c’era qualcuno nei dintorni, abbassai la testa e con le mani le diedi il via libera per esprimersi.
“Davvero vuoi che sia io a parlare per prima?”, disse lei mostrando ampia delusione per quella scelta, “E va bene…”, si avvicinò appoggiandosi sul mio petto e fulminandomi con i suoi occhi di un colore simile all’oro, “Non mi hai più rivolto la parola dopo quel che è successo tre giorni fa..quindi..”, prese tempo e intrecciò le sue braccia attorno al mio collo, “Vuoi dirmi cosa c’è che non va?”.
Sospirai nuovamente, mi liberai dalla presa e l’allontanai da me. Fu molto sorpresa di questo atteggiamento e aspettò pazientemente, ma con visibile ansia, che proferissi parola.
“Senti Lea…Quello che è successo è stato uno sbaglio…uno di quelli giganteschi”, iniziai io mentre lei sgranava gli occhi sempre più stupita, “Io ero ubriaco, tu eri ubriaca e quel che ne è seguito non è stato certo dettato dalla lucidità mentale…E’ stato solo il momento…non c’era nessun sentimento dietro…Quindi non c’è nessun Noi…mi dispiace”.
Lei strinse le mani a pugno e digrignò i denti, “Per me non era affatto il momento Merl”, mi rivolse poi uno sguardo carico di tristezza, ma con la stessa compostezza del fiero soldato quale era, “Ho cercato di impressionarti fin dal primo giorno d’accademia FTR…Pensavo che prima o poi avresti fatto la tua mossa, ma sei sempre rimasto chiuso ad ogni mio tentativo..Ceco dinanzi ad ogni mia iniziativa..Pensavo che alla fine..beh..l’alcool avesse rivelato il tuo vero interesse per me..”.
Mi forzai a dire qualcosa, benchè già di per se fosse stupido protrarre quella conversazione, “Mi spiace Lea, ma questa è la verità, non provo amore nei tuoi confronti..Sei un membro della mia squadra, una mia cara amica, ma qui finisce la nostra linea di rapporti…”;
“E’ a causa di mio padre vero?”, disse lei di getto, probabilmente rigirandosi mentalmente quella dannata frittata che le era stata servita;
“Spiriti!”, esclamai con sorpresa passandomi ancora una volta la mano sul volto, “Ovvio che no Lea! Lui è solo un mio superiore, se la cosa fosse andata in porto non mi sarei certo fatto problemi a sfidare tuo padre…anche se ciò sicuramente ci avrebbe fatto finire fuori dall’esercito con onta e disonore”, la vedevo corrucciarsi sempre di più mentre parlavo, così decisi di tagliare il discorso li ora e per sempre, ma ovviamente lo feci con la mia solita grazia, la quale non mi ha mai abbandonato nel corso degli anni, “Senti Lea…è stato uno sbaglio..non ci pensare più, perché non è successo assolutamente niente e, come ti ho già detto, io non provo alcun tipo di amore nei tuoi confronti..Vai a prepararti, a breve dobbiamo essere in marcia”;
Mi allontanai a passi lesti come a voler fuggire dall’inferno stesso, ma lei pareva non voler mollare l’osso, giacchè se c’è una cosa che le donne della mia vita avevano in comune era l’insana abitudine di avere sempre l’ultima stramaledetta parola per loro, “Tu si che sai come rendere più dolce la pillola Merl..Pensi che possa semplicemente premere il tasto Cancella e arrivederci? Sei proprio un coglione lasciatelo dire..”.
Ahimè. Se peccavo in mancanza di tatto, peccavo ancora di più in formazione. La situazione avrebbe voluto che tollerassi quelle parole e che esprimessi ancora una volta la necessità di prepararsi per la missione, ma, ahimè, ero uno che pretende rispetto per i gradi. Puoi odiare un tuo superiore, arrivare ad alzare la voce con lui, discutere un ordine, pensare le peggio cose su di lui nella tua testa, ma mai arrivare ad offese verbali, perché c’è un motivo comunque se quel qualcuno in questione si è meritato le mostrine sul petto e la responsabilità di dirigere degli uomini e di dare loro degli ordini. Ci possono essere dei casi in cui la palese deficienza di un ufficiale possa essere contestata, ma si arriva comunque ad oltrepassare una linea che ti macchia il registro per sempre che tu sia in buona o cattiva fede. Non potevo permettere a Lea di parlarmi così o di passarla liscia, così dovetti almeno alzare la voce e rendermi più duro con lei, affinchè capisse come stavano le cose.
Feci dietrofront e mi parai davanti a lei, lo sguardo duro e l’atteggiamento di uno che sta per esplodere di rabbia, “Sinceramente tenente puoi pensare di quello che ti pare e piace di me, ma non ti azzardare mai, e dico MAI, più a rivolgerti a me con cotanta insolenza! Io sono un tuo superiore e tu una mia sottoposta, è lecito che tu mi voglia mandare apertamente delle maledizioni vista la situazione, ma ti chiedo, anzi, ti impongo di tenere certe stronzate nella tua testa. Pensa di me quello che vuoi tenente, mi basta che sul campo di battaglia tu sia vigile, attenta, precisa e letale come sempre lo sei stata. Qui siamo nell’esercito! Tu e io siamo membri di un elite! La FTR! Non siamo scolaretti figli di papà della scuola di Azura! Quindi vai a prepararti tenente, perché io non sono buono, ma giusto e so che tu capisci bene che intendo dire…”.
Lea lo capiva, sapeva com’ero fatto, sapeva che era stata ingiusta almeno tanto quanto lo ero stato io con lei, ma capiva perfettamente la situazione ed era conscia che si stava semplicemente lasciando sballottare dai sentimenti che aveva covato per anni nei miei confronti. Diede un forte cenno d’assenso con la testa, poi mi fissò intensamente negli occhi e fece il saluto. In futuro io e Lea Kantus saremmo rimasti ottimi amici, compagni d’arme che della FTR furono d’esempio e per la quale identità e per la nostra amicizia lei sacrificò la sua stessa vita. Ricordo che ai funerali il generale Kantus mi ringraziò. Mi ringraziò per aver formato sua figlia fuori e dentro il campo di battaglia come lui non era riuscito a fare. Fu la prima e unica volta in cui vidi un generale piangere e nonostante ciò mi ringraziò perché, così disse, “Mia figlia è morta secondo i grandi valori della Gerarchia e secondo gli importanti valori di amicizia e coesione che tu stesso gli hai ispirato”. Mi strinse le mani con forza e con visibile tremore. Il sacrificio di Lea aveva salvato più persone di quante ne salvai io nel resto della mia vita. Lei divenne un monumento nei miei ricordi, un’amica che mai mi sarei meritato e alla quale avevo reso praticamente solo torti.
 Mentre la guardavo allontanarsi verso l’armeria, feci mente locale, guardai per un attimo il sole e poi volsi uno sguardo stanco al resto del campo.
“Sono un soldato e una persona davvero schifosa”, ricordo che pensai, “Non diventerò mai colonnello ringraziando gli Spiriti”-
 
 
 
Vanko era ancora allibito dalla scena a cui aveva appena assistito. Diamine, chi non lo sarebbe stato? Il suo sguardo passò prima sopra i vari cadaveri dei suoi inseguitori che giacevano a terra in posizioni scomposte e innaturali, poi alle pozze di sangue che iniziavano a riempire la strada, ebbe un fremito di terrore a pensare che avrebbe potuto essere lui a colorare il pavimento del vicolo. Deglutì. Stava sudando freddo come se ci fossero ancora cento sgherri di Cerberus a circondarlo, invece c’era solo la figura di quel vecchio Turian che, mentre teneva con la mano sinistra il bastone ritto davanti a se per tenersi in equilibrio, gli porgeva la mano destra per aiutarlo a rialzarsi. Alistair non poteva certo dirsi pienamente convinto delle intenzioni del Turian: punto primo, era saltato fuori dal nulla come se ce lo avesse depositato un Angelo per salvargli la pelle; punto secondo, aveva seccato i suoi inseguitori con inaudita rapidità e ferocia per un anziano; punto terzo, a che pro tutto ciò? Che voleva da lui? Perché lo aveva aiutato?
“Vuoi rimanere col sedere per terra per il resto della giornata ragazzo?”, chiese il Turian con un accenno di fatica tra le righe, “No, perché io avrei anche altri impegni per il resto della giornata. Tipo le pastiglie..”.
Il vecchio si fermò un attimo a quella parola e strabuzzò gli occhi, “Le pastiglie! Spiriti! Me ne sono completamente dimenticato!”, dopo aver tastato le tasche del suo vestiario si tornò a girare verso l’umano che osservava la scena con una faccia a mezza via tra lo sconvolto e il sorpreso per una scena così naturale in mezzo a dei cadaveri.
“Ehm sul serio giovane”, continuò il Turian, stavolta con un tono di chi ha molta fretta, “Se devi rimanere li immobile con una faccia da drogato per altre sette ore dimmelo che io me ne vado. Sai le pastiglie in questione servono per la mia schiena e con tutto il movimento di poco fa non credo che dovrò attendere molto prima che..”.
Il vecchio non terminò la frase. Un dolore lancinante partì dalla parte bassa della schiena per poi attraversargli tutta la spina dorsale. Si estese in un movimento di riflesso alla tremenda fitta e perse l’equilibrio. Sarebbe rovinosamente caduto al suolo se non fosse stato per Alistair, il quale lo afferrò non appena lo vide inclinarsi in malo modo sulla destra. Lo rimise in posizione eretta, tenendolo ben stretto e fece in modo che il Turian potesse aggrapparsi bene a lui in modo da permettergli di ritrovare la terra sotto i piedi.
“Ehi! Tutto ok signore?”, chiese Vanko con un po’ di apprensione, dopotutto quel Turian gli aveva appena salvato la vita, un aiuto per tenersi in piedi gli parve il minimo da fare.
Il vecchio si passò una mano davanti agli occhi per cercare di fermare il vicolo che girava vorticosamente su se stesso, “Eh non sono più resistente come quando avevo sessant’anni”, ridacchiò poco convinto.
Cercò poi di fare presa più salda sull’Umano mentre cercava di capire se le sue ginocchia gli concedessero di stare in posizione eretta senza aiuto. Un’altra scarica di dolore, sebbene più lieve, gli confermò che non poteva.
“Sii gentile ragazzo, mi raccoglieresti il mio bastone”, disse indicando l’oggetto in questione ai piedi di Vanko.
Alistair non discusse, cercò di allungare il braccio senza piegarsi troppo, per evitare che il suo compagno potesse sbilanciarsi ancora o avere altre fitte di dolore a causa dei suoi goffi movimenti. Preso il bastone lo passò al Turian che gli elargì diversi ringraziamenti e lo invitò a muoversi verso l’uscita del vicolo, visto che ormai non vi era più alcun motivo per rimanere in quel loco ameno e che presto avrebbe richiamato l’attenzione delle forze dell’ordine locali. Vicino ad un cadavere tuttavia Vanko notò un piccolo tubo con impresse scritte di inconfondibile natura Turian. Facendolo notare al vecchio, quello confermò che era la medicina di cui aveva bisogno e raccattatola ringraziò nuovamente quell’umano che stava ripagando già ampiamente l’aiuto che gli aveva prestato precedentemente.
Presero posto in una panchina del parchetto vicino. Non appena furono seduti, il Turian aprì il contenitore e fece cadere nella sua mano quattro grosse pastiglie di colore violaceo, le quali furono immediatamente ingurgitate dallo stesso senza troppi complimenti. Dopo qualche istante, in cui il vecchio sembrò riprendersi e rilassarsi da ogni possibile supplizio che le fitte alla schiena gli stavano infliggendo, il Turian prese parola.
“Allora”, fece ponendo ritto il bastone difronte a lui e scrutando Vanko con occhi pieni di curiosità, “Inanzitutto le presentazioni: Tiberius Merula, come avrai sicuramente capito sono un ex militare ormai in pensione e, se non te lo fossi figurato da te, con qualche acciacco dovuto all’età e alle ferite di guerra”, ridacchiò in modo solare, “E tu invece saresti?”, porgendo la mano come era consuetudine tra gli Umani quando si salutavano.
“Ah..Alistair Vanko..piacere”, rispose l’ormai ex membro di Cerberus in modo impacciato, stringendo la mano dell’altro con quella poca forza che gli rimaneva dopo tutti gli avvenimenti attraverso cui era passato durante la giornata.
“Mmmm non hai davvero un bell’aspetto ragazzo”, notò Tiberius squadrandolo bene alla luce del sole, “Giacchè ti salvai la vita e siamo qua seduti assieme, che ne diresti di raccontarmi perché eri inseguito da quei brutti ceffi? Son certo che non hai commesso qualche cavolata giovanile perché quelli non erano dicerto dei tipi a cui righeresti la macchina”, sentenziò il Turian.
Vanko rispose in modo come ferito nell’orgoglio, “Ehm ho ventotto anni signore..direi che sono adulto abbastanza da non fare certe scemenze..”;
“Spiriti!”, sbottò il vecchio, facendo un rumore secco sbattendo la punta del bastone a terra, “Vorresti farmi credere che ti definisci già come un adulto formato? Diamine, ai miei tempi uno era adulto quando suo padre smetteva di rifilargli scappellotti sul cranio…e conta che ciò succedeva anche all’età di trent’anni! Si è adulti solo quando il proprio vecchio lo ammette. Sta tutto nel dimostrarlo con le azioni”, poi scosse la testa in diniego, “Voi Umani pensate sempre di essere adulti ancor prima di essere svezzati…Ad ogni modo non evitare la vera natura della domanda ragazzo”, gli intimò, infine, indicandolo con la punta del bastone.
Alistair, deglutendo al pensiero di far innervosire Tiberius e, soprattutto, di dover assaggiare di persona la furia di quel bastone, si decise a parlare. Non gli raccontò tutta la storia solo per paura ovviamente, ma anche perché era completamente solo, non aveva dove andare, era senza qualcuno o qualcosa su cui fare affidamento e anche perché il Turian meritava di sapere ciò che era successo visto che gli aveva salvato la pellaccia in quel vicolo.
Dopo un resoconto degli eventi più importanti, delle mire di Cerberus, della morte della sua ragazza, del suo lavoro all’interno dell’organizzazione terroristica pro-Umani, Vanko tirò un sospiro di sollievo, si era liberato da un peso enorme che si era caricato fin dal primo giorno di lavoro con Cerberus e che era diventato sempre più gravoso e pesante da sostenere ogni giorno che passava. Si sentì decisamente più leggero e libero. Lasciò che il Turian assimilasse tutto ciò che aveva detto, certo, si aspettava sbigottimento, sorpresa, fraintendimenti, scatti di rabbia, si aspettava pure che lo avrebbe condotto alla polizia oppure che se ne sarebbe andato lasciandolo solo al suo destino…invece…quello se ne stava immobile a rimuginare, come a spulciare ogni sillaba di ciò che gli aveva appena raccontato. Non diede alcuna reazione significativa, nemmeno un parere, un commento veloce, niente…ascoltò e iniziò a riflettere. Infine si volse all’Umano e disse:
“E’ una storia davvero strana e al contempo triste ragazzo..mi spiace per la tua perdita comunque..”, il suo tono era più che mai sincero, Tiberius conosceva bene la perdita di qualcuno che si ama, poi si fece più serio, “Dunque, se non sono indiscreto, quale sarà la tua prossima mossa?”.
La domanda arrivò davvero inattesa. Ora che Lidia era morta non sapeva davvero cosa fare. Lei era tutto per lui, si sarebbe consegnato all’Alleanza per salvarla, ma ora che poteva fare? Fuggire dal pianeta pareva l’unica opzione sensata, sempre che riuscisse a sopravvivere alle prossime ore.
“Sinceramente non ne ho idea”, dovette confessare con volto mesto, “Potrei fuggire…ma poi? Prima o poi mi rintraccerebbero e mi ucciderebbero”.
Tiberius gli mise la mano destra sulla spalla e gli disse, “Che ne dici del piano riguardante l’Alleanza? Potresti dargli molte informazioni utili riguardo Cerberus no? Salveresti parecchie vite in questo modo, oltre che avere una piccola rivalsa contro chi ha fatto del male alla tua Asari”;
“Sinceramente penso che quello sia un vicolo ceco signore”, rivelò con schiettezza, “Cerberus ha infiltrati ovunque, non so quanto di chi ci si può fidare e comunque che potrei dire? Senza dati a sostegno della mia testimonianza tutto quello che direi potrebbe valere meno della parola d’onore di un Vorcha”.
Tiberius si fece cupo, mise entrambe le mani sul pomo del bastone come a volerlo accarezzare, “E se recuperassi i dati? Come hai detto tu stesso, se ti presentassi con una documentazione che certifica quello che dici non avrebbero motivo di non crederti”.
Alistair aveva capito dove il vecchio Turian voleva andare a parare e subito ebbe delle obiezioni da fare, “Il punto sarebbe il come procurarseli. Sicuramente hanno già liberato il mio appartamento e senza ombra di dubbio li avranno scaricati in qualche loro server di sicurezza”;
“Ragiona ragazzo”, fece Tiberius indicando il proprio cranio, “Serve tempo per traferire la quantità di dati che conservavi e maneggiavi su una rete protetta. E ne serve ancora di più per cancellare poi ogni traccia. Cerberus è organizzata, ma sa benissimo che ci sono cose che richiedono tempo. Direi che hai una possibilità di recuperare i dati abbastanza buona da permetterti il rischio dell’impresa”.
Vanko scattò come se Tiberius avesse detto chissà quale eresia, “Certo, come no! Non vorrei deluderla signore, ma non crede che si sia dimenticato un piccolo dettaglio? Ad esempio che Cerberus mi sta alle calcagna e che avrà certamente messo una scorta più che consistente alla difesa di quei dati? Non avrei alcuna possibilità di sfidarli, certamente i numeri sono dalla loro parte”.
Merula gli volse uno sguardo profondamente deluso e di sdegno, “Se mi fossi abbattuto alle prime difficoltà da giovane non avrei certo vissuto la vita che desideravo. La palla è tua ragazzo, devi decidere tu come muoverti, ma frenarsi solo perché vedi il buio all’orizzonte non ti condurrà da nessuna parte o, meglio, alla morte sicuramente. Inoltre ora non sei solo, hai un alleato in più: me”.
Alistair si volse stupito verso il suo interlocutore, “Perché mi vuole aiutare? Perché vorrebbe imbarcarsi in un’impresa tanto folle quanto disperata?”.
Tiberius si raddrizzò e ammirò l’orizzonte, “Vedi ragazzo, mi è stato insegnato che non si abbandona mai qualcuno in difficoltà, specie se quel qualcuno è in guai seri..in più sono vecchio e la vita comincia a trascorrere in modo così lento che ti senti più inutile e fuoriposto ogni secondo che passa..Ho l’occasione di aiutarti a portare a termine un’impresa che gioverà non solo la tua salvezza, ma anche all’Alleanza e la Gerarchia che si vedrebbero un passo più vicino dall’eliminare un nemico comune e giuro che non ti abbandonerò fino al completamento di questa missione. Se tu vorrai, questo povero vecchio cercherà di rendersi utile e di aiutarti in ogni modo che potrà. Allora che ne pensi?”.
L’Umano non sapeva proprio come rispondere. Quel Turian non solo gli aveva salvato la vita, ma ora si metteva lui stesso nella linea del fuoco e gli proponeva di aiutarlo in una missione dove le possibilità che li vedevano morti erano decisamente maggiori di quelle in cui ne uscivano sani e salvi.
“Dico che fa sempre piacere ricevere un aiuto quando si è in difficoltà. Non ho idea se riusciremo nell’impresa, ma sicuramente non ho nulla da perdere nel provarci”, fece Vanko mettendosi in piedi accanto al suo nuovo compagno di sventure, “Quale è il primo passo?”;
“Quello di spostarci dalla strada ed andare in un luogo sicuro. Di sicuro Cerberus, dopo non aver ricevuto altre notizie dai quei primi inseguitori, ti avrà messo alle costole altri uomini. Direi che è il caso di muoverci tu non credi?”, asserì Tiberius iniziando ad incamminarsi lungo la strada come se sapesse già dove dirigersi.
Alistair lo raggiunse al suo fianco e chiese titubante, “Hai già qualche luogo in particolare in mente?”
Il lieve schiocco del bastone di Tiberius si insinuò nelle orecchie del russo e, mentre il sole illuminava con raggi arancioni il piccolo giardino, il compagno annuì, rispondendo in tono serio e coinciso, “Certamente. Andiamo a casa mia”.
 
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- Confine con il Mandarey
 
Il rumore del motore del piccolo furgone era l’unica cosa che spezzava la tranquillità della pacifica aria del Mandarey. Attorno alla squadra Sette c’erano solo, montagne, alberi, cespugli e altra vita vegetale che poco aveva di interessante per noi partecipanti a quell’insana missione. Il cielo era pulitissimo e la strada deserta, sembrava davvero il posto più pacifico e sereno sulla faccia della galassia. Sulla destra potei scorgere il movimento di qualche animale che, notato il mezzo su cui viaggiavano lui e i suoi compagni, si affrettava a nascondersi per paura di essere preso di mira. Si poteva notare anche qualche tipologia di volatile sulle fronde degli alberi starsene riparata dal sole sotto l’ombra garantitagli da quel rifugio temporaneo.
“Signori, stiamo ufficialmente violando il territorio di una colonia neutrale”, annunciai, con falsa fierezza, ai miei compagni seduti, nel retro del mezzo, in modo da occupare sapientemente lo spazio minuto del veicolo che ero riuscito ad ottenere dai meccanici dell’officina del campo base.
“Naturalmente uno dei piloti VTOL avrebbe potuto paracadutarci direttamente oltre il confine del Mandarey..”, disse Rax in uno sbuffò, mentre cercava di sistemarsi più comodamente nel suo spazio, ma andando inevitabilmente a dare fastidio a Lea, la quale gli assestò un robusto calcio agli stinchi.
“Come no Rax”, lo schernii agitando le mani in aria, “Violiamo anche lo spazio aereo del Mandarey. Svegliamo i radar di tutti quanti..”;
“Sono solo lamentele, signore. Servono a passare il tempo”, si difese lui, mentre ridacchiava e sorrideva a Lea.
“Lamentati pure Rax, ma smettila di muoverti come se avessi le convulsioni!”, protestò Bai assestandogli una poco elegante gomitata alle costole con grande soddisfazione della figlia del generale.
La strada si faceva sempre più sconnessa e tortuosa, il Mandarey non era certo famoso per le sue grandi autostrade ed anzi era uno dei luoghi meno sviluppati urbanamente e industrialmente di Palaven. Un territorio in gran parte coperto della vegetazione tipica del pianeta Natale dei Turian, lo stato neutrale era decisamente più famoso per le sue riserve di caccia e parchi naturali piuttosto che per le industrie tessili o le sue città. Effettivamente il paesaggio era decisamente splendido e si vedeva benissimo come le autorità locali ci tenessero a mantenere lindo e perfetto il proprio suolo, almeno non avrebbero perso la più grande forma di sostentamento: il turismo. Entrare e uscire dal Mandarey non era la cosa più semplice del mondo, venivano controllati visti, documenti di identità, motivazioni della visita, status sociale e fedina penale, diciamo pure che erano più scrupolosi di certi personaggi della dogane del resto delle grandi città di Palaven. La più grande preoccupazione per noi al  omento era non far trovare l’equipaggiamento da battaglia e l’esplosivo che avremmo usato per far detonare le torri radar una volta giunti sull’obbiettivo.
Dopo una curva presa troppo stretta ebbi dei sudori freddi, “Salton vacci piano con questa guida spericolata! E voi tre la dietro tenete d’occhio il carico, questa strada è più accidentata della superficie di un meteorite”;
“Ci proviamo, signore, ma qui dietro a malapena riusciamo a condividere l’aria”, disse Lea, mentre un sobbalzo fece saltare Rax, il quale si era di poco spostato per controllare se l’esplosivo fosse ben fissato, e fargli sbattere il cranio al tettuccio del mezzo.
“Ma porcaccia…”, gridò Rax che si reggeva la nuca con entrambe le mani e lamentandosi sonoramente, “Salton accidenti a te! Lo hai fatto apposta e non cercare di negare!”
Per tutta risposta Salton diede una piccola frenata che fece tornare a sedere il povero Rax con un piccolo tonfo sordo, “Hai sentito il capitano, no Rax? E’ il terreno che è accidentato, non darmi colpe che non ho. Lo sai che sono un guidatore provetto”, ma si lasciò scappare una risatina rivelatoria.
Rax avrebbe voluto dirgliene altre quattro, ma incrociò prima il mio sguardo e poi venne subito interrotto da Bai, “Signore, quanto manca al confine?”;
“Arriveremo in nottata Bai, quindi cercate di fare meno chiasso li dietro e concentratevi. Una volta fuori cercheremo un punto dove nascondere il camion, direi che potremo tenere come riferimento una distanza minima di cinque chilometri dal bersaglio. Poi ci toccherà procedere all’interno dei boschi fino alla stazione di Gralia”.
Per le successive ore rimanemmo tutti in silenzio. Il panorama non variava poi molto, a volte passavamo vicino a dei piccoli centri abitati, ma per il resto era unicamente la luce a cambiare dando nuova prospettiva al paesaggio. Ad un certo punto dovemmo passare all’interno di questo villaggio di campagna. C’era un attività molto fervida: bambini che correvano in mezzo alle strade, madri che cercavano di riacchiapparli, vecchi che stavano seduti all’esterno delle case fumando dalle loro vecchie pipe e lanciandoci sguardi duri e sbilenchi dovuti al fatto che, evidentemente, non passavano molti stranieri da quelle parti. Non avevamo motivo di essere preoccupati, il fatto di essere estranei non voleva dire essere fuori luogo, sicuramente qualche altro mezzo passava di quando in quando di li per dirigersi dall’altra parte dello stato e comunque non avevano elementi sufficienti per capire che eravamo militari del reggimento FTR.
Il silenzio fu interrotto improvvisamente da Salton, “Non saprei davvero dire se il Mandarey non si accorge di chi buca il suo confine o semplicemente se ne frega…”, affermò indicandomi con lo sguardo un punto della strada poco avanti a noi.
C’erano Sovversori che conversavano amabilmente con un gruppo di locali, uno addirittura teneva in braccio un bambino giocherellandoci e tutti ridevano al vederlo alle prese col bimbo che piangeva e piangeva disperato perché voleva tornare dalla madre. In totale era una squadra di sette terroristi con appresso dei semplici fucili d’assalto e dell’equipaggiamento standard come granate o flare. Non avevamo alcun interesse a eliminarli al momento, avremmo solo fatto saltare la nostra copertura e di conseguenza la missione stessa, ma ciò non vuol dire che non avremmo voluto ardentemente fermare il camion, scendere e riempirli di piombo. Feci cenno a Salton di proseguire lentamente, giacchè la strada si restringeva proprio in prossimità del gruppo di nemici e cittadini. Vidi gli sguardi dei tre che dietro di me si caricavano d’odio e rancore, con un rapido gesto della mano attirai la loro attenzione su di me e gli intimai, cercando di fargli capire bene il labiale, di stare calmi e di non fare rumore. Al nostro passaggio, il gruppo si accostò lungo i bordi della strada per permetterci di andare oltre. Salton, il quale aveva una gran faccia tosta, elargì sorrisi e ringraziamenti a tutti i presenti, persino fece un incitamento ai Sovversori. A malincuore fui costretto anche io a seguire l’esempio del mio compagno e fortunatamente le cose andarono per il meglio. Nessuno dei terroristi si insospettì ed anzi ringraziarono Salton per il suo incoraggiamento. Intanto potevo sentire Lea digrignare i denti per il disprezzo verso i nostri nemici e Rax stringere i pugni, mentre Bai, invece,  mantenne un contegno impeccabile, stando per tutto il passaggio a occhi chiusi. Oltrepassato quel punto la strada si fece più larga e tutta in discesa. C’erano solo qualche altro edificio molto vecchio sul percorso che Salton oltrepassò con noncuranza tenendo lo sguardo fisso davanti a se con uno sguardo di chi ha appena commesso un reato e vuole allontanarsi il prima possibile dal luogo del misfatto. Una volta fuori dal paesello tirai un sospiro di sollievo e mi rivolsi al nostro pilota:
“Salton..ti ha mai detto nessuno che hai un incredibile faccia tosta?”, appoggiai stancamente il capo sul poggiatesta del sedile e socchiusi gli occhi, “..Già un sangue freddo invidiabile..”;
Lui accennò un lieve sorriso, “Mi son esercitato tanto con mia madre. Quando facevo qualche macello in casa dovetti imparare in fretta a dire le bugie con delle espressioni il più possibile credibili, sennò erano botte”;
“Per un momento ho davvero pensato di sporgermi con il fucile e sparare”, ammise sommessamente Lea, sbattendo i pugni sul pavimento del veicolo;
“Noi siamo dei semplici camionisti che attraversano un paese neutrale ricordate”, dissi rimarcando inutilmente l’utilità della nostra copertura;
“Con un carico di esplosivi, signore. Vorrei evitare di dare spiegazioni a riguardo”, precisò Bai dietro la sua maschera di ghiaccio.
 
Dopo altre due ore superammo una grossa altura e ci si piazzò davanti all’orizzonte il nostro obbiettivo. Quattro torri radar, alte circa trenta metri, si innalzavano dal suolo facendo convergere la loro base in metallo fino ad un puntale soverchiato di elettronica, parabole e sensori di puntamento. Erano certo uno spettacolo di ingegneria e maestria nel saper sfruttare adeguatamente la rete satellitare offerta dalla Gerarchia. Guardandole ci si poteva rendere conto che i Sovversori avevano davvero fatto passi da gigante in fatto di mezzi e alleati, per erigere e poter controllare sotto falso nome quella rete di radar non dovevano certo mancare in fatto di amicizie altolocate..almeno in Mandarey. Ricordai i tempi in cui ci dicevano che questi oppositori sarebbero stati schiacciati in maniera rapida e indolore..Spiriti se li avevamo sottovalutati! Erano cresciuti, di numero, di mezzi, di sostenitori e persino di conto in banca. A volte mi domandavo se fosse stato il caso di usare mezzi meno “tradizionali” per debellare questa minaccia, ma non era quello il modo di agire che ci avevano insegnato, così accantonavo presto il pensiero.
“Ammirate il panorama signori!”, esclamai in tono serio, “Domani non ci sarà più”.
Una volta mi posi il problema se non avessi una specie di dipendenza dal pericolo, dalla sensazione di minaccia, da quella strana sensazione di vittoria e liberazione che si prova nell’uscire da una situazione disperata rimanendo vivo. Poi ho capito…No. Non ho una dipendenza. E’ solo paura. Paura di deludere tutti. E ogni promozione non fa che peggiorare le cose.
 
Infine la notte si impadronì della strada, del camion, di noi e del pianeta. Salton accese i fari e guidò con ancora più prudenza di quanto gliene avessi raccomandata. La notte e il buio son cose strane, misteriose e affascinanti. Le peggio cose accadono nel buio. Almeno per noi soldati è una benedizione ed una maledizione allo stesso tempo. Ci offre riparo per non essere scoperti, ma cela anche ai nostri occhi, per rispetto, anche i nostri nemici. La notte e il buio sono così: imparziali. Spettatori silenti degli eventi che sarebbero seguiti. Probabilmente, se hanno piacere a vedere uno spettacolo pirotecnico, stanotte ci garantiranno un pizzico di aiuto in più.
Salton decellerò improvvisamente mostrando una smorfia grottesca, accentuata dai toni bui dell’ora tarda. Capii subito il perché: a meno di cento metri c’era un posto di blocco occupato da dei soldati del Mandarey armati di tutto punto. Mi accigliai anche io, ma dovetti mantenere il sangue freddo per non allarmare troppo gli animi del gruppo.
“Merda…”, sibilò Salton, comunque non rallentando troppo il passo da destare sospetto alle figure poco distanti, “Signore, l’Intel non parlava di..Quello”;
“Rilassati Salton”, gli dissi senza voltarmi verso di lui, ma mantenendomi concentrato sul blocco stradale, “Vogliono solo sapere chi varca il loro confine. Mantieni il tuo sangue freddo come al solito, mostra le credenziali che abbiamo e andrà tutto bene. Non sono Sovversori, non dobbiamo preoccuparci di loro”
Nel frattempo dietro si erano mossi per capire che diamine stesse succedendo, mi girai appena per fargli capire la procedura, “Sarebbe dura spiegare loro cosa ci fanno nel retro del camion una donna e un isolano. State tutti giù”, poi aggiunsi per tenerli all’erta, “E se le cose si mettono male…fate i finti tonti mentre io e Salton li sistemiamo”.
Il blocco era molto poco professionale. C’erano giusto cinque soldati, la cabina che controllava l’argano per sollevare una sbarra ricoperta di un antico quanto classico filo spinato elettrificato e mancavano totalmente delle postazioni fisse. Ci fermammo non appena ci fecero segno. Come al solito Salton esibì la sua solita parlantina affabile e incredibilmente ben riuscita al primo soldato che gli si avvicinò. Lo elogiò per la loro costanza nel lavoro anche di notte, elargì centinaia di sorrisi e si abbandonò anche a chiedere qualche falsa indicazione stradale. Il soldato che venne verso di me, invece, non era dei più cordiali, saltò a pie pari i convenevoli e chiese subito le credenziali per confermare il motivo del nostro passaggio. Dapprima guardò i fogli con disinteresse, poi sembrò trovare qualcosa che non andava. Chiese di pazientare un attimo e poi raggiunse il suo collega nella cabina di controllo. Mentre guardavano le carte che gli avevo passato, sudavo freddo cercando di capire cosa avesse mai potuto notare di sbagliato. Mi ripassai mentalmente ogni riga di quei documenti, ma non riuscii a trovare traccia di errori o imprecisioni. Dopo qualche minuto il soldato tornò ad avvicinarmisi, d’istinto portai la mano alla pistola temendo il peggio, ma fu tirai un sospiro di sollievo quando quello mi ripassò sul factotum i documenti. Per prudenza chiesi se c’era stato qualche problema, ma quello ammise candidamente che, a causa del sonno, si era semplicemente dimenticato di controllare la bolla di transizione e che quindi, portando a verificare i documenti al suo superiore nella cabina, aveva ricevuto una strigliata per una mancanza così banale. Lo rassicurai dicendogli che un errore può capitare di tanto in tanto, quello elargì un sincero sorriso e, insieme al suo compagno, si fecero da parte per lasciarci passare.
Superato il blocco sentii Rax gracchiarmi dietro, “Il ritorno sarà divertente, signore..”.
A Rax piaceva, di tanto in tanto, sottolineare l’ovvio o fare l’uccellaccio del malaugurio, “Troveremo un’altra strada. Appena possibile preparatevi a nascondere il camion”.
Non ci volle molto. Dopo quasi venti minuti avevamo trovato il posto adatto. Nascondemmo il camion sotto dei grossi alberi con foglie caduche e ci preparammo velocemente indossando l’armatura e raccattando ognuno il quantitativo di esplosivo assegnatigli.
“Bai”, lo chiamai mentre già eravamo in marcia, “Tu sei il più abile tra noi a muoverti in questi ambienti. Assumi tu la testa della fila e guidaci”.
Sapevo perfettamente che avrei rischiato di perdermi e di far perdere i miei uomini in quel dannato buio della foresta. Bai era decisamente più esperto di tutti noi a muoversi nelle foreste visto che era cresciuto su un’isola dove la vegetazione la faceva da padrone. Quindi non mi venne difficile affidargli il comando degli spostamenti. Bisogna sempre saper riconoscere i propri limiti e farsi aiutare quando si può.
Bai si mosse quindi svelto davanti a tutti e ci disse: “Adesso facciamo le cose alla maniera della mia gente. Tutti quanti da ora…Silenzio”.
Ci volle quasi mezz’ora prima di scorgere la base della prima torre e, fortunatamente, le altre distavano poco l’une dalle altre. Doveva essere una cosa rapida e precisa. Se avessimo tardato troppo il posto si sarebbe riempito di soldati e specialisti del turno di giorno e saremmo rimasti davvero nei guai.
“Lea tu rimani quassù e offrici copertura dall’alto”, le dissi indicando un buon punto dove avrebbe ottenuto una buona visuale su tutto l’area.
“Non sappiamo quanti siano la dentro, signore”, protestò lei che avrebbe preferito decisamente una posizione meno arretrata;
“Vorrei evitare una sparatoria tenente”, le dissi cercando di farla ragionare, “Monta il soppressore di fuoco sul Firefly e tieni gli occhi vigili. Ci serve che ci guardi le spalle mentre siamo laggiù a piazzare le cariche”.
Lei diede un cenno d’assenso con la testa e si diresse nel punto che gli avevo indicato, ma, per ottenere una vista ancora migliore, si arrampicò su un albero li vicino e si posizionò nella posizione che gli garantiva più copertura e stabilità.
Rax intanto controllava l’area accucciato e scrutando col binocolo, “Scommetto che Mauser non ha riferito al generale in che modo avremmo agito..”, la sua suonava molto come un’ironia malsana verso me e Lea, ma la presi come quello che effettivamente dichiarava;
“A lui basta poter sapere quando far decollare i caccia senza problemi di antiaerea”.
Salton intanto mi diede un tocco sulla spalla e mi indicò poi una guardia al limite della recinzione di sicurezza, “Quella guardia fa un giro lungo, signore. In venti minuti sarà dinuovo in quella posizione”;
“Bene”, sentenziai dando una rapida controllata al Mercury, “Possiamo entrare e uscire senza che se ne accorgano. Dobbiamo chiudere la faccenda entro un paio d’ore, sennò qua salta tutto”.
Lo faccio spesso. Dico qualcosa di ottimista, ma ancor prima di aprire bocca so che si tratta di una stronzata allegra a cui nessuno di noi crederà.
Ci avvicinammo lentamente nascosti sempre dal buio e dal fogliame. Cercammo sempre di tenere d’occhio Bai, il quale passava nei punti in cui era meno probabile fare rumore pestando rami o altro. C’era da dire che la tensione era alta, quindi rimanere saldi ad una guida capace era la cosa migliore da fare per muoversi in quei momenti.
Sentii poi la voce sarcastica di Lea tramite il codec impiantato nell’orecchio, “Gentile da parte loro tenere qualche luce accesa”.
Subito ci fu la risposta seria, ma al contempo ironica di Salton, “La sicurezza è scarsa. Non affiderei il mio ingresso posteriore al Mandarey”.
Ci muovemmo fino al limite della recinzione e aspettammo che la guardia girasse l’angolo per poter passare indisturbati. Quando pareva che la guardia si stesse facendo da parte, si girò di scatto e fissò un punto indistinto tra il fogliame. Subito pensammo al peggio e ci tenemmo pronti a bloccargli il fiato in gola con un proiettile dritto ai polmoni. Invece quello si guardò intorno circospetto e tirò fuori un pacchetto di sigarette da una tasca della cintura, si sedette su una roccia e iniziò a fumare con tranquillità.
“Dannazione”, sbuffò Rax tranquillizzandosi, “Abbiamo beccato l’unico stronzo pigro”.
Mentre noi quattro ci scambiammo un’occhiata mista tra sbalordimento e sollievo, Lea mi chiamò sul codec: “Signore, ho una visuale pulita…Basta che mi dia l’ordine”;
“Negativo Lea”, feci rivolgendo un’occhiata di intesa a Bai, il quale stava già tirando fuori il suo coltellaccio, “Ho un’idea migliore”;
“Sarebbe meglio che non perdiamo altro tempo, signore. Ci rimane solo un’ora”, asserì Bai, mentre già si occupava di sminuzzare la recinzione per aprirsi un varco;
“Salton, vagli dietro e state attenti a non fare rumore”, ordinai con un gesto della mano.
Ci volle meno di tre minuti. Bai e Salton si mossero rapidi come fulmini, ma Bai era così veloce che seminò il suo compagno e fu dietro al nemico così all’improvviso che neanche Lea era riuscito ad individuarlo fino al momento dell’uccisione della guardia da parte dell’isolano.
La guardia difatti fece in tempo giusto a buttare via la cicca della sigaretta, poi Bai gli tappò la bocca e gli tagliò il collo da parte a parte con la sua arma bianca. Il corpo del nemico cadde a terra e la testa rotolò poco distante da lui. Uno spettacolo non certo entusiasmante da vedere, ma diamine se era efficace.
“Via libera signore. Io e salton vi copriamo le spalle. Entrate”, fece l’isolano comunicando via codec;
“Spiriti, signore”, esclamò Rax mentre passavamo attraverso il passaggio aperto poco prima nella rete da Bai, “Non si sente, non si vede…”;
“..E poi la tua testa si stacca. Un lavoro pulito”, conclusi io manifestando aperta ammirazione per le abilità di Bai.
Raggruppatici decidemmo che ognuno avrebbe piazzato gli esplosivi sulla torre che gli avrei indicato. Fummo rapidi e tramite le indicazioni di Lea riuscimmo ad evitare le poche altre guardie in giro per il campo. La torre più vicina toccò a Bai. Piazzo due cariche su ogni gamba di sostegno della torre in maniera fulminea.
“Una volta piazzate le mie cariche avremo dieci minuti a disposizione, signore. A meno che ovviamente non le attiviamo prima”, recitò l’isolano con la sua tipica voce glaciale;
“Basteranno Bai”, gli comunicai, mentre sia io che Rax e Salton predisponevano le cariche nelle rispettive torri radar;
“Ho intenzione di battere il record dei duecento metri oggi, signore”, rise ironicamente Salton.
Una volta che Lea ci confermò le posizioni delle guardie, iniziammo la corsa verso la recinzione. Sfortunatamente una sentinella salita su una torre di guardia aveva notato i nostri movimenti e ci stava per illuminare con il suo faro, ma prima che ciò potesse accadere Lea aveva piazzato un proiettile proprio alla fonte luminosa. Sebbene ciò ci avesse di essere visti, non aveva evitato di attirare l’attenzione, perciò iniziammo a correre a rotta di collo fuori dal raggio dell’esplosione. Appena fummo fuori dalla recinzione urlai verso Salton, il quale teneva in mano il detonatore: “Falle saltare! ORA!”;
Lui, correndo a perdifiato, si girò verso la recinzione e poi verso di me, “Siamo ancora troppo vicini, signore”.
Accelerai e mi portai accanto a lui, “Tu fallo e basta”.
Salton sbottò vistosamente e, mentre premeva il pulsante posto in cima al detonatore, disse: “Voglio una medaglia postuma però”.
L’esplosione che seguì squarciò l’aria con un boato spaventoso. Le fiamme divorarono il campo nemico e le torri crollarono come giganti di metallo al suolo, seguiti da uno scricchiolio sinistro e spaventoso. Fumo e detriti si sparse tutt’intorno all’area. L’onda d’urto ci fece volare per almeno una decina di metri e la stessa Lea fu sbattuta giù dall’albero per l’enorme potenza liberata dagli esplosivi. Se qualcuno ci aveva notato al campo ora certamente non poteva più proferirlo a qualcuno.
Mi rialzai acciaccato aiutandomi con le braccia, mentre anche i miei compagni cercavano di far passare il fischio che rimbombava nella testa. Dovevo essere rapido, così portai la mano all’orecchio e attivai una comunicazione codec.
“Sette-Uno a controllo. Richiedo che questa comunicazione sia trasferita al comando”, recitai cercando di riguadagnare al contempo un buon equilibrio sulle gambe.
“Controllo a Sette-Uno. Richiesta approvata. Trasferimento comunicazione in corso”, fece un addetto dall’altro capo della chiamata;
“Comando a Sette-Uno. Vi riceviamo. Che notizie mi porti capitano?”, era la voce di Mauser nella quale riuscii a distinguere una punta di apprensione;
“Radar eliminati, signore. Potete far alzare in volo i caccia quando volete”, continuai mentre aiutavo Rax ad alzarsi ed incitando gli altri ad alzarsi per filarcela da quel putiferio;
“Ricevuto Sette-Uno. Ottimo tempismo davvero”, stavolta la sua voce si riempì d’orgoglio volutamente non celato;
“Silenzio radio finchè non avremo varcato il confine. Passo e chiudo”.
Raggiungemmo Lea e gli diedi una mano ad alzarsi, fortunatamente non si era rotta nulla cadendo da quel maledetto trespolo. Il resto del tempo lo trascorremmo correndo nella foresta senza fiatare e con sempre Bai alla testa del gruppo. Raggiungemmo il furgone in quelli che mi parsero pochi minuti e subito ognuno prese il proprio posto dentro il mezzo. Salton sgasò e si fiondò sulla strada non lesinando sul consumo dell’acceleratore. Dopo qualche istante di fuga, Rax controllo dallo spioncino di dietro e esclamò:
“A quanto pare nessuno ci segue. Spiriti se abbiamo fatto danni laggiù!”;
“Come minimo avranno chiamato tutto il supporto areo della zona dopo l’esplosione. Dobbiamo sbrigarci a superare il confine, signore”, manifestò preoccupata Lea;
“Hai ragione Lea”, concordai, “Mezzo Mandarey avrà sentito le esplosioni. Non supereremo mai il blocco”, poi lanciai uno sguardo di intesa a Salton che annuì capendo al volo la mia strategia:
“Spengo le luci ed esco fuori di strada”.
Ho paura. Ho paura del futuro. Ho paura di starmene seduto dietro una scrivania e mandare uomini a morire. E’ molto più facile ricevere ordini che impartirli.
 
Passarono come minimo altre due o tre ore e cominciavo a temere che Salton si fosse perso, ma dal suo sguardo si evinceva che sapeva benissimo cosa stava facendo e dove stava andando. Durante questo periodo di tempo rimanemmo tutti in silenzio. Rax era intento a pulire la sua arma e testarne il corretto funzionamento, controllava insistentemente il sistema di raffreddamento nel caso saltasse fuori qualcuno con l’intento di accopparci. Lea teneva in braccio il suo Firefly e recitava in un sussurro preghiere agli Spiriti. Bai stava a braccia conserte e occhi chiusi nel suo angolo non muovendo un muscolo, difficile dire se stesse dormendo o stesse solo riposando. Io dal canto mio guardavo in modo circospetto la strada, cercando di cogliere qualche movimento tra le fronde degli alberi oppure notare qualche movimento in cielo di VTOL nemici. Tutta quella calma era così strana e innaturale dopo la nostra operazione, ma ne ero grato.
Alle prime luci del mattino ordinai a Salton di tornare lungo la strada, muoversi nella boscaglia a quel punto era inutile, tanto più che il mio compagno era sicuro di aver superato il confine. In un certo senso lo avevamo fatto, ma non avevamo tenuto conto del possibile allestimento di posti di blocco dall’altra parte della colonia. Infatti ne trovammo uno proprio sulla via per il ritorno al confine opposto del Mandarey.
“Merda”, sibilò Salton a quella brutta sorpresa, “Se ci beccano nel Mandarey dubito che quei ragazzi saranno tanto neutrali”.
Gli misi una mano sulla spalla destra e cercai di rassicurarlo, “Lascia parlare me”.
Ma il pilota scosse la testa, “Sa anche lei che non servirà a nulla, signore..”.
Sapevo che intendeva dire con quelle parole. Gli battei una mano sulla spalla e gli dissi di accelerare, poi mi volsi ai tre dietro, “Impedite loro di fare rapporto”, si poteva ben notare l’amarezza nella mia voce, “Ufficialmente questa missione non esiste…quindi niente testimoni”.
Lea, Rax e Bai presero le armi e confermarono l’ordine. Non appena Salon buttò giù la barriera del posto di blocco e la oltrepassò a tavoletta, i tre aprirono lo sportello posteriore e iniziarono a sparare verso le guardie del Mandarey. Nessuna di loro sfuggi alle mortali raffiche. Caddero a terra inesorabilmente senza nemmeno avere la possibilità di rispondere al fuoco nemico. Due di loro erano molto giovani. E’ la guerra.
Usciti dal Mandarey, ci volle appena un’ora per vedere VTOL battenti i marchi della FTR librarsi nel cielo.
“Siamo a meno di un chilometro dall’accampamento”, sentenziai vittorioso, “Ottimo lavoro ragazzi. Chiamo il comando come prestabilito”.
Mi misi la mano nell’orecchio e attivai la comunicazione codec, “Sette-Uno a comando. Siamo di ritorno al campo, a breve saremo li. Abbiamo avuto qualche problema al confine col Mandarey, ma non saranno in grado di identificarci”;
“Il generale Kantus è furioso Merula. Il Mandarey ha fatto un reclamo formale al sostituto Primarca”, era sempre la voce del colonnello Mauser dall’altra parte;
“Noi non siamo mai passati di la”, dissi come se stessi prestando giuramento;
“E’ quello che il Reggente ha detto loro, ma vi beccherete ugualmente una bella ramanzina Sette-Uno…comunque ottimo lavoro squadra. Davvero. Comando chiudo”.
Ottenere un complimento dal colonnello fu un vero toccasana per tutti noi. Ci venne un sorriso grande come una casa e a nessuno di noi importava di sentirsi fare la paternale da Kantus o dal Reggente in persona. Avevamo fatto il nostro dovere.
A volte non sai mai come il tuo pezzo si inserisce nel puzzle della guerra.
A volte tutto ciò che fai è invisibile. Ingrato.
A volte è anche fatica sprecata. Ma preferisco di gran lunga questo lavoro a quello di Kantus o di Mauser.
“Non c’è pericolo che diventi colonnello”, mi ripetevo osservando i miei compagni che finalmente scherzavano e sorridevano allegramente, “Non c’è nessun pericolo”
 
 
 
 
La ramanzina fu meno pesante di quanto ci potessimo aspettare. Come previsto il Mandarey non aveva alcun tipo di prova che fossero stati i soldati sotto il comando della Gerarchia a commettere i reati da loro riportati, perciò il Primarca gestì la cosa in modo semplice e collaudato. Persino il generale Kantus ebbe da ammettere che era stata un’operazione rischiosa, ma incredibilmente efficace. Ricevemmo tutti una giornata di completo riposo e tutti e quattro i membri della mia squadra ne approfittarono in primis per andare a dormire. Li capivo, visti i due giorni di fuoco passati, avrei voluto anche seguirli, ma Mauser mi chiese un colloquio privato. Camminammo in direzione del campo d’atterraggio per i VTOL e ci fermammo in un punto sgombro dal personale e con nessun mezzo che doveva atterrarvici.
“Come stai Merula?”, quando il colonnello mi chiamava per nome era per far capire che la discussione era di tono personale. Teneva a me come se fossi suo figlio, aveva imparato a conoscermi, mi aveva insegnato a sparare e un mucchio di altre cose. Era stato come un secondo padre per me, ma un padre di genere diverso dai classici stereotipi Turian;
“Bene colonnello. E’ stata una settimana dura. Non solo per me, ma anche per la mia squadra, per lei, per il generale, per il Primarca e per tutta la gente delle città e che ha subito le ripercussioni degli attentati”, parlavo in tono sincero e con voce un po’ roca a causa della sete;
“Non ti ci tormentare. Non potevi fare niente. Ne per tutta quella gente, ne per i tuoi compagni all’Accademia”, disse lui poggiandomi una mano sulla spalla sinistra, “Non essere tormentato come le era sempre tuo padre”;
“Ci farò ho fatto l’abitudine ormai, signore…alle perdite intendo”, fissavo le truppe salire e scendere dai VTOL per essere trasferiti lungo qualche confine di battaglia al momento a me ignoto e mi chiedevo perché diamine non stavo salendo sul mezzo di trasporto aereo con loro;
“No invece. Non ci si fa mai l’abitudine. E, se fosse possibile, non dovresti”, disse lui girandomi per guardarci faccia a faccia, “Tutti impariamo a gestire la cosa a modo nostro. Tuo padre ha deciso di andarsene per lavorare alle –Armi-“;
“Si, ed ora lo capisco decisamente molto meglio”, affermai in tono triste e facendo cadere lo sguardo verso il basso.
Il colonnello Mauser mi diede uno strattone come per impedire che mi addormentassi, “Ascolta Merula..Noi perdiamo soldati, amici, compagni e civili ogni giorno che gli Spiriti mandano in terra. E la cosa non smetterà mai di farci del male, ma giorno dopo giorno torniamo la fuori a combattere finchè non abbiamo concluso il nostro lavoro. Sei bravo soldato, tieni duro”.
Improvvisamente un VTOL senza livree tipiche dei mezzi standard dell’esercito della Gerarchia si stagliò nel cielo e puntò dritto verso la nostra piattaforma.
“Da quando disponiamo di modelli di VTOL così veloci, signore?”, domandai con sguardo sospetto;
“Difatti non ne dovremmo avere di quel genere”, confermò lui e passò subito la mano all’orecchio per chiamare il controllo e sapere l’identificazione di quel velivolo, ma arrivò sulla piattaforma lo stesso generale Kantus a fugare i nostri dubbi:
“Non sprechi tempo a chiamare il controllo Mauser”, fece avanzando con le mani dietro la schiena, “Le dico io chi sono quelli: sono i BlackWatch”.
“Spiriti!”, esclamai nella mia testa, rivolgendo poi un’occhiata minacciosa al VTOL completamente nero che ormai atterrava sulla piattaforma, “Ancora loro?!”.
“Perché diamine i reparti speciali sono qui?”, urlò furioso Mauser, ma soprattutto per farsi sentire dal generale oltre il rumore terrificante che emettevano i motori del VTOL.
“Li ho chiamati io”, rispose tranquillamente Kantus, riparandosi gli occhi dalla polvere che, sollevata dal velivolo, veniva sparata contro i visi dei presenti.
“Spiriti del cielo! Perché diamine lo ha fatto?! Senza nemmeno avvertirmi tra l’altro”, continuò, sempre più furente, il colonnello.
“Diciamo che ero talmente preoccupato per la buona riuscita della missione della sua squadra FTR che ho preferito chiamare una squadra di specialisti di rinforzo”.
Kantus stava palesemente mentendo. Mauser lo sapeva e me lo aveva rivelato: le BlackWatch alla fine erano state approvate e pienamente sfruttate dalla Gerarchia. Ed era lampante come il sole che quel tipo di squadre quando venivano messe sul campo non era certo per fare da scorta ad una missione guidata da un gruppo di fanteria. Kantus era sicuramente preoccupato per sua figlia e quindi aveva di nascosto chiesto l’intervento di quel gruppo d’elite per avere la certezza che almeno Lea sopravvivesse, mentre ovviamente io e il resto del gruppo potevamo tranquillamente morire.
Dal VTOL uscirono gli specialisti. Erano sei, tutti bardati nelle loro uniformi nere. Spiriti se non fui preso dalla voglia di sparargli all’epoca, ma fortunatamente la stanchezza e l’impossibilità di recuperare un’arma da fuoco sul breve periodo mi impedirono di fare una colossale scemenza.
Kantus si avvicinò a quello che doveva essere il capo di quella combriccola di disadattati e porse le sue scuse per averli fatti venire così di fretta, giacchè a causa di un “imprevisto” la questione era già stata risolta.
“Chiamalo imprevisto!”, sbottai io cercando di farmi sentire solo da Mauser.
Poi la riconobbi. Impossibile non riconoscere quelle linee e quelle forme. Era passato del tempo, ma sarei riuscito a riconoscerla anche tra mille uniformi nere. Così, non appena Kantus gli diede il benestare per farli riposare quanto tempo reputassero necessario nel campo e se ne andò via insieme a Mauser, mi avvicinai a lei.
“Capitano Tannis”, dissi ottenendo la sua attenzione, “Che fa? Non saluta un suo quasi-ex-collega?”.
Lei rise parecchio e, congedatasi dal resto della squadra che procedette fino alla caserma del campo, si tolse il casco per farsi vedere in faccia. Spiriti…quegli splendidi occhi verdi…ricordo che ne rimasi abbagliato allora quanto ogni singolo altro giorno che incrociavo il suo sguardo.
“Comandante adesso, caro mio quasi-ex-collega”, fece lei in tono di superiorità;
“Nei ranghi BlackWatch si fa carriera in fretta a quanto vedo”, ribattei io sminuendo la cosa, “Chiedo scusa a vossignoria per avervi fatto fare un viaggio a vuoto, ma c’è chi è competente nel proprio lavoro a differenza di qualche nostro superiore”.
Lei se la rise nuovamente di gusto, “Aaaah capitano Tiberius Merula della 126° FTR…non sei cambiato manco di una virgola. Sempre quel tono saccente e di disprezzo nei miei confronti”;
“Certe cose non si possono cambiare Tannis”, affermai incrociando le braccia al petto;
“Sapevo che i gradi li rispettava Merula, cosa è cambiato? Sempre per la questione che sono io?”, fece lei inviperita per la mia mancanza di rispetto;
“Il mio rispetto va a chi sta sul campo e non si copre di una maschera d’ombra. Farei più volentieri il saluto ad una recluta che ad uno solo di voi –Specialisti-”, diamine…a volte ripensandoci mi chiedo perché mai, benchè l’avessi vagheggiata nei miei sogni per notti intere, quando la incontravo mi veniva da darle contro. Probabilmente non accettavo il fatto che provavo qualcosa per lei. Mi rifiutavo di concedere i miei sentimenti verso quel qualcuno che aveva contribuito a rendere la FTR una banale divisione di fanteria. Lei non aveva una colpa diretta, ma far parte del processo, ed essere anche l’unico BlackWatch di cui sapessi volto e nome, la identificò nella mia testa come il male personificato.
Lei si avvicinò a passi calmi e calcolati, “Capitano lei dovrebbe capire l’importanza di avere delle forze speciali slegate dai comuni vincoli dell’esercito”, mi squadrò con uno sguardo gelido e sembrò penetrarmi l’anima dall’intensità del suo sguardo, “Lei ha visto quello che è successo negli ultimi giorni…Sa che il nostro reparto Intel aveva intercettato alcune comunicazioni dei terroristi? Le abbiamo presentate ai generali e quei bastardi le hanno accantonate definendoli inutili allarmismi…Fino all’altro giorno lo stesso Kantus ci denigrava come la maggior parte dei suoi pari. Le BlackWatch non hanno avuto vita facile come lei può pensare Merula”, mi diede le spalle e allargò le braccia continuando il suo discorso, “Molti la pensavano come lei, ai generali non andava a genio una forza speciale come la nostra, pensando che l’assurda guerriglia tra loro e i nostri comandanti avrebbe fatto a pezzi non solo il nostro reggimento, ma anche la struttura gerarchica di potere dell’esercito classico. Pensavano che, non essendo legati a qualche disciplina storica della Gerarchia, ci saremmo scatenati come dannati selvaggi”;
“La guerra ha bisogno di regole”, la bloccai io, rendendomi oggetto di un’occhiataccia da parte sua;
“Ma davvero?”, fece lei puntandomi un dito contro, “Capitano le devo forse ricordare in quale missione è stato occupato negli ultimi due giorni?”.
E li dovetti rimanere in silenzio. Colpito e affondato in pieno.
“Quella che ha appena compiuto è una dannata missione da BlackWatch. La FTR esegue le Black Operations, ma sempre sotto guida del Primarca e rispondendo direttamente a lui. Lei ha preso un’iniziativa personale Merula. Lei e forse con la partecipazione del colonnello Mauser che figuriamoci se non la coprirebbe visto che anche lui è stato membro delle FTR”.
Aveva ragione su tutta la linea, impossibile darle torto. Rigirare la frittata a mio favore era una semplice scusa.
Io sapevo.
“Lei lo sa Merula…lei sa. Sa che c’è bisogno di una forza speciale come la nostra. E lo conferma il fatto che è andato dal suo ufficiale responsabile dell’organizzazione della Tyrant e gli ha chiesto di creare delle squadre di azione specializzate in operazioni d’alto profilo. Può mentire a me se la cosa le piace capitano, ma non a se stesso. Lei sa che c’è bisogno di gente come noi, sa che c’è bisogno di qualcuno che possieda i mezzi e che abbia la possibilità di agire in modo più diretto su certe missioni, senza aspettare i burocrati e i politici”.
Non avevo idea che lei sapesse di quell’incontro, ma questo mi confermò che non è facile dare un rifiuto alle BlackWatch. Ti tallonano e ti tengono d’occhio.
“So che tuttavia non le piace agire nell’ombra, che preferirebbe combattere in prima linea e morire sul campo assieme ai suoi compagni…Ma deve capire che potrebbe salvare molte più vite se venisse in pianta stabile tra i nostri ranghi piuttosto che rimanendo a marcire sotto il peso delle regole e la rigida catena di comando. Si unisca ai BlackWatch capitano…lo sa che è la cosa migliore per lei”.
Sentirsi la verità sbattuta in faccia non fa mai bene, soprattutto se tu stesso la rifiuti. Ho desiderato di entrare nelle BlackWatch un paio di volte, quando davvero sentivo le catene della lunga scala gerarchica sulle mie azioni, ma mi son sempre rifiutato alla fin fine. Non ero tagliato per stare assieme ad individui simili. L’ombra non era la mia soluzione.
Rialzai lo sguardo verso di lei. Uno sguardo di chi è vinto, “No, comandante. Non mi unirò alle BlackWatch, non è quella la mia strada…ma le sosterrò da ora in avanti. Ha ragione: serve una forza come la vostra, ma servono anche i soldati come me. Mentre lei agirà da dietro le linee nemiche, io farò in modo da tenerli occupati sul fronte. Le guerre non si vincono solo con battaglie campali o con operazioni segrete, servono entrambe le cose. Perciò io sarò la luce che guiderà i nostri uomini nelle grandi battaglie e lei sarà l’ombra che ci libererà la strada e ci proteggerà da attacchi alle spalle. L’una beneficerà dell’aiuto dell’altra e come entità indissolubili proteggeremo il nostro popolo fino alla fine”.
Lei non riuscì subito a rispondermi, vidi una leggera tristezza bagnargli il volto, ma fu subito accantonata. Si portò vicino a me e mi prese le mani.
“Quando il nemico è forte, Tu non cedere.
Quando le avversità sono grandi, Tu non cadere.
Quando pensi sia la fine, Tu non credere.
Allunga la mano. Ci sarà sempre qualcuno che dal buio della paura si farà avanti per aiutarti.
Sono i tuoi Compagni. Loro sono la tua forza e tu sei la loro.
Insieme non temete di andare incontro alla Morte, perché la sconfiggerete.
Che gli Spiriti vi facciano dono della Coesione e veglino sui passi di voi e dei vostri Compagni.
Forza Insieme!”
Non potevo sapere. Non potevo immaginare. Non potevo credere. Recitò la formula completa del giuramento della Fanteria Reale Tyrant così come era incisa a lettere d’oro sulla grande lasta appesa all’entrata dell’Accademia. Ma la recitò in un modo che non avrei mai pensato potesse accadere. Non era un semplice ripetere delle parole che per lei potevano anche solo significare una bella composizione di frasi. Era una promessa. E io non seppi che dire, se non perdermi nell’infinito dei suoi occhi e pregare gli Spiriti che non fosse tutto un sogno.
Lei mi lasciò le mani lentamente e con certo dispiacere, “Maledizione a lei Merula…Sempre attaccato ai suoi ideali e ai suoi valori…ma forse è proprio per questo che la trovo così dannatamente affascinante..Hai la tua Ombra Tiberius…ma a me manca una Luce…pensi di poter diventare la guida che serve a tutti noi?”.
Non aspettò una risposta. Se ne andò muovendosi in direzione della caserma senza mai voltarsi indietro. Stavo per inseguirla, benchè non avessi idea di che dirle, ma fui fermato da Rax che mi prese alle spalle e mi disse:
“Merl! Mauser ti ha già dato la notizia?”;
“Quale notizia?”, chiesi io, mentre al contempo cercavo con lo sguardo lei che si allontanava;
“Ti hanno promosso Merl. Ti faranno Maggiore!”.
E fu così che la Luce divenne tale e assunse consistenza. Le guerre si vincono con i soldati e con qualcuno che li guidi…ed io ero appena diventato uno di questi ultimi. Le mie più grandi paure assunsero forma e mi ritrovai catapultato in un mondo di cui ben presto avrei capito le responsabilità e le difficoltà. –
 
 
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“A che pensa?”, chiese Vanko riportando Tiberius all’interno dell’ascensore che li avrebbe portati al livello della casa del Turian.
Il vecchio soldato si passò una mano davanti agli occhi tentando di riabituare gli occhi alla luce, la quale ormai si fugava oltre l’orizzonte.
“A niente. Vecchi ricordi”, rispose lui con disinvoltura, “Siamo arrivati. Scendiamo qui”
I due camminavano a passo normale, ma con incedere deciso. Alistair stava accanto a Tiberius che guidava l’Umano attraverso le vie ancora strapiene di gente che andava e veniva da ogni parte. Il russo si guardava attorno circospetto, temendo che qualcuno li stesse seguendo. Dopotutto Cerberus aveva sicuramente mandato qualcun altro a cercarlo, magari stavolta anche personaggi meno propensi a non portare con se delle bocche da fuoco di piccolo calibro. La luce ormai si affievoliva di minuto in minuto e la notte iniziava ad avvolgere con il suo freddo abbraccio il panorama di Illium. Riflettendoci erano passate ore dall’ultimo contatto con quei sicari, eliminati in un batter di ciglia dal vecchio Turian, e probabilmente, come Tiberius aveva già accennato in precedenza, Cerberus si stava occupando di insabbiare alcune cose a suo riguardo e di pilotare gli eventi come aveva spiegato l’Uomo Misterioso e Kai Leng in precedenza. Merula aveva insistito per fare un giro un po’ più lungo per tornare a casa sua, complice il fatto che voleva passare per luoghi in cui la presenza di telecamere era più bassa ed erano più facili da evitare. Inoltre Tiberius insistette affinchè Alistair entrasse in un bagno a ripulirsi le ferite, effettivamente un Umano livido, sporco e con macchie di sangue sui vestiti avrebbe destato sospetti. Il Turian optò anche per recuperare lungo la strada degli abiti spicci e che dessero meno nell’occhio dell’elegante completo che Vanko indossava. Il russo doveva ammetterlo: il vecchio sapeva muoversi bene e cercava di non lasciare nulla al caso. Lo aveva parecchio sottovalutato, sebbene a livello fisico avesse comunque dei limiti causati dall’età e dalle vecchie ferite, a livello cerebrale non si poteva certo dire che soffrisse di particolari debolezze tipiche dell’avanzare della vecchiaia. Almeno in quei momenti pareva assolutamente concentrato e vigile, sebbene mantenesse all’esterno l’aspetto del semplice Turian in pensione.
-Evidentemente certe cose ti rimangono. Non so che tipo di soldato tu sia stato vecchio, ma pare che la guerra ti scorra ancora nelle vene-, pensò Alistair dandogli una rapida occhiata da capo a piedi.
Quando arrivarono alla loro metà era ormai buio. Le fonti di luci artificiali poste nei muri e vicino alle grandi terrazze dei dintorni erano in piena attività. Le stelle brillavano nel cielo come un insolita trapunta magica. Spettatrici indiscrete degli eventi che si svolgono lontani da loro. C’era comunque una fervida attività nelle strade. Una Asari corse proprio accanto a Vanko mentre rispondeva alla chiamata di una amica e reggeva maldestramente diverse buste contenenti vari abiti firmati da svariate centinaia di crediti l’uno. C’era una coppia formata Drell e un Umana dai capelli lunghi rossi che ammiravano lo scenario della città illuminata. Lui la teneva stretta per le spalle e lei lasciava cadere piano la testa sul suo compagno.
Erano attimi così puri e innocenti. E mentre loro vivevano serenamente le loro vite, un vecchio Turian e un Umano fuggivano da un nemico per ora invisibile, ma sempre incombente dietro gli angoli bui dei vicoli.
L’aria fredda e leggera si infiltrava ovunque, come un piccolo messaggero elargiva parole silenziose a coloro che avevan orecchie per intendere il messaggio che portava. Tiberius sentì un brivido di freddo percorrergli la schiena, ebbe un attimo di esitazione ed arrestò il passo. Volse il suo sguardo alle lontane luci della città e del cielo. Sentiva che erano osservati e che presto avrebbe dovuto rimettere sotto sforzo la sua schiena…Oppure era semplicemente un vecchio Turian acciaccato che sentiva freddo.
Riprese a camminare. La notte elargì altri ricordi alla sua mente, dei quali ora Tiberius non voleva avere a che fare. Inseguimenti, urla da una casa al primo piano, colpi di pistola, la musica di un pianoforte, il Jazz e il C-Sec...
Dimenò la testa in quel bagno di memorie buie e le soffocò sotto la luce delle stelle del presente. La notte smise di tormentarlo. Aprì gli occhi e si ritrovò insieme al suo compagno Umano davanti al suo palazzo. Oggi l’edificio aveva un che di stranamente tetro. Sospiri e sussurri sembravano provenire dai dintorni, l’aria sembrava stregata ora, un che di pesante e ghiacciato aleggiava nelle sue molecole. Le strade parvero diventar brulle e scoscese come fossero nel mezzo di una brughiera. Quale immonda bestia si aggirava in cerca di prede quella notte?
“E’ questo il posto?”, domandò il russo squadrando l’edificio con fare sospettoso;
“Si”, rispose rapido Tiberius, incalzando l’andatura, “Muoviamoci. Ho sentore che qualcuno sia a caccia stanotte ed è meglio per noi ripararci in casa”.
Salirono utilizzando l’ascensore. Pareva che le ombre avessero vita propria quella sera. Persino gli avvisi acustici dell’elevatore avevano un tono musicale più dolce e soave del solito. Arrivati al piano, Merula si diresse senza indugi alla porta. Stava per aprire la suddetta, quando arrivò una voce ad attirare l’attenzione dei due compagni.
“Per amore del cielo, Tiberius! E dire che mi ero tanto raccomandata di essere puntuale!”, unaa donna era apparsa a braccia incrociate sull’uscio di casa sua ed in controluce i suoi capelli bianchi avevano un non so che di spettrale.
Tiberius si diede una manata sulla fronte e si avvicinò alla figura femminile facendo un mezzo inchino, “Mia cara Pennyworth..”, iniziò a dire cercando le parole giuste, “Diciamo che ho avuto un piccolissimo contrattempo..”.
La Pennyworth scosse sconsolata la testa e ridacchiò un po’, “Aaaaaah Tiberius..Ormai mi son abituata alle sue stranezze, ma non deve inventarsi scuse se è la sua schiena ad averle dato difficoltà”, concluse lei alzando l’indice in rimprovero.
Il vecchio Turian avrebbe voluto arrossire, si sentì parecchio in imbarazzo per quella sorta di ramanzina da parte dell’amica, “La schiena centra relativamente Miss..”, fece lui portando una mano dietro il collo mostrando evidente disagio.
La Pennyworth gli elargì uno dei suoi grandi sorrisi e poi portò la sua attenzione su Vanko, il quale non riuscì a trattenere una risata alla scenetta a cui aveva appena assistito, “Oh e chi è questo bel giovanotto che le fa compagnia?”, disse lei in tono gioioso.
Tiberius passò prima lo sguardo su Vanko, tirandogli un’occhiataccia minacciosa, per poi rigirarsi verso la donna, “Lui? Ecco lui è il principale motivo del mio ritard…”.
Non fece in tempo a finire la frase che la Pennyworth prese Alistair per il braccio e tentò di tirarlo dentro casa incalzandolo di domande, “Oh allora mi deve raccontare tutto? Che cosa è? Un suo amico? Conoscente? Esattore delle tasse? Oh sarà una serata davvero interessante! Venga, venga dentro! Ho thè per tutti e biscotti in quantità!”.
Prima ancora che il Turian potesse declinare gentilmente l’invito, Ann aveva già trascinato in casa il russo, il quale si voltò verso il compagno con la faccia di chi non ha la minima idea di cosa deve fare ed, anzi, è anche parecchio in difficoltà a gestire la personalità esuberante della donna che lo stava trasportando. Tiberius diede un sospiro sommesso. La Pennyworth li avrebbe trattenuti parecchio e lui, che sentiva ancora quello spiacevole brivido, aveva paura di infilarla a sua insaputa in una pessima situazione. Entrò in casa, diede una veloce occhiata all’esterno e richiuse la porta dietro di se, che diede un rapido sibilo prima di sigillarli all’interno.
Casa Pennyworth era un piacevole tuffo nel passato per chi sapeva apprezzarne il valore. Mobilio di legno antico, vasi in porcellana e mattonelle dagli affascinanti disegni artistici contornati da splendidi colori, erano la prima cosa che balzava all’occhio. Ann era nata a Londra e vissuta li per quasi trent’anni prima di intraprendere carriera medica nelle stazioni spaziali. Si era laureata col massimo dei voti all’University College in Scienze Biomediche. Ricercatrice di talento fece grandi passi nell’industria del suo campo ed ebbe molte occasioni di confronto con altri scienziati di varie specie aliene, moltissimi dei quali la spronarono a seguire dei corsi specialistici per permetterle poi di arrivare a condurre l’intera facoltà o addirittura di assumere il ruolo di rettore dell’università. La Pennyworth seguì il loro consiglio, ma, una volta concluso il periodo di specializzazione e dopo aver guidato per un anno il suo dipartimento, preferì andare nello spazio dove credeva che avrebbe spinto ai suoi limiti le sue conoscenze e dove avrebbe potuto avere più possibilità di ricerca viste le enormi possibilità di scambio di informazioni che avrebbe potuto avere con altri dottori in posti come la Cittadella. Effettivamente Ann Pennyworth ebbe una vita spaziale condita di tantissimi viaggi e confronti scientifici con altri dottori di altre specie. Di rado rimaneva stabile in un posto per più di sei mesi. Ottenne numerosi successi ed affermazioni tra i suoi pari. Scrisse numerosi libri e trattati che furono poi consigliati in numerose università come materiale di studio imprescindibile. Riceveva moltissime lettere di richiesta di prendere cattedra in moltissime università ed anche ottenne richieste di lavoro presso laboratori in cui sarebbe stata strapagata e in cui avrebbe ricoperto incarichi di alto profilo. Il suo lavoro gli riempì talmente tanto tempo che non pensava mai a cercare qualcuno con cui condividere le sue gioie, certo, aveva avuto in giovinezza una fervida attività sentimentale. C’è chi diceva che fosse la più contesa del campus e che la sua bellezza avesse incantato anche diversi dottori di altre specie. Indiscrezioni vollero che avesse avuto una storia lampo con una virologa Asari. Quando Ann raccontò di ciò a Tiberius disse tranquillamente e con uno dei suoi soliti limpidi sorrisi: “A chi non piace un po’ di blu nella propria vita?”. Tuttavia il vero amore fu qualcosa per cui tutti le diedero contro, il fortunato era un dentista Umano, tale Robert Tresk. Rinomato nel suo lavoro e conosciuto soprattutto per quella volta che aveva dovuto creare un apparecchio odontoiatrico per un Krogan, praticamente come mettere una museruola ad uno squalo bianco. Tutti le dicevano che avrebbe potuto avere di meglio, ma lei era convintissima della sua scelta, difatti non si lasciò influenzare da certe malelingue e visse una vita felice insieme al suo compagno. Le circostanze della morte di Robert, però, la lasciarono in una crisi profonda. Si scoprì terribilmente malato di una tipologia di cancro incurabile e benchè avesse lavorato giorno e notte per trovare una cura, non vi riuscì in tempo. Ottenne la sua cura, ma, proprio durante la sintetizzazione della formula finale, il marito morì. Non erano riusciti ad avere figli quindi Ann si ritrovò completamente sola. Per un po’ si buttò sul lavoro, ma non riuscì più ad eguagliare i risultati che un tempo le appartenevano. Lentamente prese coscienza che non poteva continuare e lasciò tutto e si ritirò a vita privata.
Un grande specchio era posto vicino all’entrata. Strategicamente posto in quella posizione in modo che la Pennyworth potesse sempre darsi una controllata veloce prima di uscire. Sotto di esso c’era un comò talmente lucido da far sembrare che falegname l’avesse consegnato in mattinata. Sopra il suo ripiano c’era un grande centrino bianco sopra cui erano appoggiate diverse foto di lei e Robert in viaggio in svariati posti: Rio, Teotihuacan, Nairobi, Roma e persino Thessia. Come per il vecchio Turian, quelle foto erano spesso più fonte di rimpianti che di rievocazione di bei momenti. Tiberius diede una veloce occhiata alla sua faccia nello specchio, constatando che pareva essere appena uscito da un bar con serata alcolica inclusa, riprese a camminare verso il centro dell’appartamento. La tappezzeria aveva dei toni giallo-ocra su cui si muovevano in modo indistinto, descrivendo forme tanto strane quanto complesse, rampicanti che terminavano in miriadi di fiori rosa. Il salotto comprendeva un enorme spazio al cui centro era posizionato un tavolino di cristallo lunghissimo sopra il quale era posto un grosso centrino azzurrino pieno di merletti. Ai lati maggiori di quello strano rettangolo vi erano due divani dai cuscini enormi e sofficissimi, probabilmente contenevano vera piuma d’oca cosa rarissima di questi tempi. Entrambi erano di un color rosso pompeiano e sui braccioli stavano posati altri centrini bianchi. Tutti questi oggetti si trovavano appoggiati sopra un tappeto persiano delle dimensioni simili a quelle di un campo da football. I tipici disegni arabici davano un tono molto regale alla stanza e quasi dava dispiacere a Tiberius rovinare il tappeto con i suoi piedi. Sopra il tavolino era posto un grande lampadario, anch’esso in cristallo, che alla luce del sole creava giochi di luci spettacolari in tutte le pareti di casa. Alle spalle di uno dei due divano vi era l’enorme finestra, la quale fungeva praticamente da quarta parete della stanza, che dava sull’enorme terrazzino da cui si poteva godere una fantastica vista della città, molto spesso Tiberius e Ann prendevano il thè all’esterno proprio per la vista e la piacevole brezza che in alcuni momenti passava a quell’altitudine. Nell’angolo in fondo a destra vi era il tavolino, ma praticamente era uno sgabello decisamente più grande, alto ed intagliato finemente, che fungeva da scacchiera. La Pennyworth amava gli scacchi ed aveva non solo iniziato, ma reso esperto Tiberius in materia, il quale non ebbe grosse difficoltà a imparare a gestire il gioco strategico come più gli piaceva. Da notare come anche i pezzi di quella fantastica scacchiera fossero in legno, di come sotto ogni pezzo vi fosse un piccolo strato di velluto per conservare l’integrità del legno e di come lo stesso piano di gioco fosse stato prima inciso e poi dipinto sullo sgabello. Certamente erano tutti oggetti di gran classe che una donna di gran gusto come lei aveva piacere non solo di far vedere, ma anche e soprattutto usare. Ovviamente Ann possedeva molti altri giochi simili: dama, Shangai ed altre cose più classiche, e più abbordabili, come Memory e Tombola. Non si faceva comunque il dispiacere di non avere e saper utilizzare tantissimi mazzi di carte. Ognuno era specificatamente indicato per un gioco diverso: Scopa, Briscola, Bridge, Rubamazzetto, Poker e tutti erano conservati in un mobiletto stanziato nella parete destra della sala da pranzo e riposti in piccole caselle di legno portamazzi. Sulle altre pareti stavano quadri che illustravano galassie lontane, incoronazioni di re del passato e anche un paesaggio dai toni surrealistici, ma dagli sgargianti colori accesi.
“Tiberius!”, lo chiamò la Pennyworth facendogli cenno con la mano, “Vieni a sederti amico mio. Voglio che mi racconti tutto su questo bel ragazzo che mi hai portato”, e non scherzava affatto. Ad Ann piaceva tantissimo chiacchierare, ma mai si sarebbe permessa di chiedere di parlare direttamente al suo ospite, avrebbe chiesto tutto al Turian e poi, se il russo avesse acconsentito o se lo avrebbe ritenuto d’uopo, avrebbe potuto inserirsi nella conversazione. Ovviamente ciò voleva dire che Ann era autorizzata a condirlo a fuoco lento con centinaia di domande. Non era ne cattiveria, ne curiosità, semplicemente era la prassi che la Pennyworth seguiva in questi casi, etichetta che aveva imparato a sue spese dalle nonna materna.
“Eccomi mia cara!”, fece Merula facendo tichettare il bastone sul legno del pavimento. Prese poi posto ad uno degli angoli piccoli del tavolino, sedendosi su una comoda poltrona anch’essa con centrini e di color rosso pompeiano. Lasciò in tal modo Vanko faccia a faccia con Ann la quale si era seduta proprio nel divano opposto ad Alistair.
Nel frattempo la Pennyworth aveva servito sul tavolino il thè, come al solito nella sua grande teiera di porcellana, così come lo erano e tazze, i piattini, la zuccheriera e la lattiera. Unica nota differente erano i cucchiaini e il vassoio i quali erano composti interamente d’argento. Ann prese dalla zuccheriera due zollette di zucchero e le fece cadere dolcemente in una tazza contenente un infuso verde chiaro e lo porse con altrettanta delicatezza verso Tiberius.
“Ecco a te, mio caro”, ancora un grande ed affabile sorriso si dipinse sul suo volto e la voce suonò calda e accogliente.
“Non posso assolutamente dire che non mi vizi, amica mia”, fece Merula prendendo il thè e facendole un inchino con la testa.
Poi prese una seconda tazza e ci versò dentro del thè contenuto in una teiera diversa dalla precedente, mise un paio di biscotti nel piattino e lo allungò verso Alistair.
“E questo è per lei. Son sicura che un giovane come lei gradisce di più questa tipologia di thè ed ho subito intuito dai suoi lineamenti che proveniva da un paese dell’est Europa..Russia forse?”, disse lei, ma la domanda, come prassi, era rivolta a Tiberius, il quale però non poteva rispondere a tale domanda, così Vanko, benchè imbarazzato, si trovò a dover rispondere di persona.
“Ha indovinato”, fece un  poco titubante, “I miei genitori sono di San Pietroburgo”, poi prese un sorso di thè e ne rimase piacevolmente colpito, “Complimenti signora, questo infuso è eccezionale”;
“La prego, mi chiami Ann. Sono lieta che le piaccia. La ricetta è proprio russa: chiodo di garofa, cannella, acqua bollente e poi succo d’arancia dopo aver lasciato riposare l’infuso per qualche minuto”, fece la Pennyworth mostrandosi sempre accorta e con occhio vigile ai dettagli.
“Oh che sbadato!”, fece il russo acquisendo più coraggio, “Alistair Vanko, piacere di conoscerla Ann”.
Era la caratteristica principale di Ann Pennyworth quella di mettere a proprio agio le persone. Il suo incredibile carattere, la simpatia, la dolcezza, la sua gentilezza e la sua affabilità rendevano facile per chiunque aprirsi con lei. Una caratteristica che molte spie pagherebbero oro per avere, si era ritrovato più volte a pensare Tiberius.
“Piacere di conoscerla signor Vanko. Allora mi racconti un po’ di come lei e Tiberius vi siete conosciuti, non mi ha mai parlato di le…”.
Una luce. Fu questo tutto quello che Tiberius riuscì a vedere fuori dalla finestra prima che si scatenasse il finimondo, ma tanto gli bastò per sentire per l’ennesima volta il brivido sulla schiena e lanciarsi con quanta più energia possibile verso l’amica, facendo volare il thè sopra il tavolino. Anche Alistair notò in tempo sia la luce che la reazione del Turian, così si limitò a gettarsi a terra per cercare riparo.
Nei secondi successivi qualche centinaio di proiettili irruppero in casa Pennyworth senza essere invitati. I quadri si riempirono di buchi, così come le pareti e la mobilia, mentre la piuma d’oca, i frammenti di porcellana e le schegge di legno volavano per la stanza. Il rumore assordò la casa e penetrò selvaggio nelle orecchie dei tre. Ann urlava impaurita, mentre Tiberius la teneva inchiodata al suolo per evitare che facesse movimenti che in preda al panico la avrebbero messa nella traiettoria dei tiratori nemici. Vanko era anch’esso sdraiato a terra, le mani sopra il collo in un vano tentativo di ripararsi il capo.
Merula urlò qualcosa verso di lui, ma le prime due volte non riuscì a capire, complice il terribile rumore delle armi automatiche. Poi alla terza riuscì a focalizzare meglio l’udito e a capire quello che gli stava dicendo.
“Dobbiamo andare in casa mia!”, continuava a urlare con quanto fiato poteva il Turian, “Ho un dispositivo di sicurezza attivo. E’ uno scudo cinetico!”;
Vanko gli fece cenno d’assenso muovendo la testa e in risposta Tiberius indicò la cucina, “Dobbiamo passare da li e sperare che il muro devi sufficientemente i proiettili da non venire trasformati in un colabrodo!”, poi si rivolse anche ad Ann, guardandola negli occhi per attirare la sua attenzione, “Ann! Guardami! Ci dobbiamo muovere, d’accordo? Dobbiamo andarcene da qui o moriremo! Stai bassa e incollati a me!”.
La Pennyworth diede un piccolo cenno d’assenso. Probabilmente aveva capito metà di quello che il suo vecchio amico gli aveva detto, ma si sforzò di seguire quello che gli diceva. Non appena furono pronti e le armi tacquero per un istante, si diedero alla fuga attraverso la cucina, correndo a testa bassa e sperando nella fortuna. Vanko era in testa e, essendo il più giovane fu il primo a gettarsi dietro il mobile all’entrata per aprire la porta. Una volta fattolo diede cenno di muoversi a Tiberius, mentre continuavano a piovere proiettili da tutte le parti. Merula si gettò in corsa tenendo stretta l’amica a se. Appena usciti dalla porta, il Turian smanettò sul dispositivo di identificazione sulla porta per accedere. La porta emise un sibilo veloce e subito si accesero le luci interne della stanza. Alistair si stava per lanciare all’interno, ma il compagno lo fermò.
“Non ora ragazzo!”, gli disse trattenendolo per una spalla, “Lo scudo non è ancora attivo!”.
Difatti il velivolo su cui erano piazzati i tiratori fece in tempo a spostarsi e a dare qualche raffica all’interno di casa di Tiberius prima che un aura blu ricoprisse le finestre. Si iniziarono a sentire crepitii e a vedere bagliori bluastri sulle vetrate.
“Non durerà per molto. Presto tutti dentro!”, incitò il vecchio militare Turian.
Vanko, appena catapultato dentro un ambiente che non conosceva, non sapeva che fare e si guardava attorno spaesato. Tiberius portò Ann dietro la colonna portante di camera da letto e le intimò di non muoversi. Lei biascicò qualcosa mentre delle lacrime gli scorrevano sul viso, “Non lasciarmi qui da sola!”;
“Ann, ascoltami! Tu devi rimanere qui, sei al sicuro, stai bassa e non muoverti”, fece Tiberius prendendola per le spalle, “Devo attirare la loro attenzione su di me, così non penseranno a sparare nella tua direzione. Non posso permettere che ti facciano del male a causa mia, quindi ti prego, rimani qui!”.
Non aspettò il consenso dell’amica, si avviò zoppicando leggermente verso Vanko, il quale era ugualmente impanicato.
“Porca puttana!”, gemeva quello mentre guardava Tiberius andare verso il muro in fondo alla stanza, “Che cazzo facciamo ora?!”;
“Mi pare chiaro ragazzo!”, fece il Turian strappando l’M-94 Mercury dai supporti fissati al muro e prendendo da un’altra teca un M-7 Lancer, “Combattiamo!”.
Vanko sbiancò a quelle parole e il terrore lo pervase quando Tiberius gli lanciò il Lancer tra le braccia, “Cosa?! Vuole sparare a dei soldati iper-equipaggiati con dei residuati bellici dalla Guerra del Primo Contatto?! Visto che ci siamo possiamo anche lanciargli un vaso della sua amica, chissà, magari gli facciamo anche più male!”.
Merula lo prese per il bavero e lo alzò di prepotenza da terra, chiamando a se ogni energia dai suoi muscoli, “Senti bene ragazzo, è ora di tirare fuori i coglioni dalle mutande se vuoi sopravvivere! Niente piagnistei o battute del cazzo! Prendi bene la mira, attento al rinculo e al sistema di raffreddamento, queste cose non hanno bisogno di clip, ma hanno comunque un limite di sopportazione. Brevi raffiche precise quindi, non sprecare un buon tiro per una scarica che di letale ha solo l’aspetto!”.
Poi tirò fuori da una piccola scatola, che era posta dove teneva solitamente il coltello di famiglia, e ne estrasse alcune fiale contenenti del liquido giallastro. Se ne infilò alcune nella cintura e poi ne prese una, attivò la siringa posta ad un suo capo e ne iniettò il liquido nelle vene infilando l’ago con forza nel collo.
“Porca miseria!”, esclamò Alistair mentre prendeva riparo dietro a un mobile, “Ma che cazzo fa?!”;
“E’ la mia soluzione speciale. Senza di questa crollerei a terra a momenti”, disse facendo scattare la mandibola in una stizza di dolore e gettando via la siringa che finì rotolando sotto un mobile, “Ora tieniti pronto a sparare e guai a te se mi rovini quell’arma! E’ un caro ricordo!”, gli intimò Tiberius.
Appena qualche attimo dopo, gli scudi cinetici cedettero crepitando nell’aria e le vetrate furono bruscamente abbattute da un fiume di proiettili. Frammenti scintillanti di vetro iniziarono a volare in ogni dove nell’appartamento. Vanko prese coraggio e si sporse dal riparo. Constatò subito che quell’M-7 si era conservato più che bene. Un ruggito possente seguito dai muzzle flashes in punta alla canna, appartenenti alla prima scarica di colpi, evidenziò come la stessa arma fosse più che pronta a seminare il suo carico di morte e distruzione. La rapida sequela di colpi colse di sorpresa ed in pieno petto uno dei tiratori nemici. La corazza si riempì di buchi da cui sgorgò copioso il sangue vermiglio. I suoi compagni non tardarono a far arrivare una risposta. Nuovamente una generosa raffica di proiettili si abbattè sui nostri in difesa. Tiberius aveva aspettato qualche secondo che la medicina facesse effetto prima di scendere effettivamente in campo. Non appena si sentì la gola bruciare e le dita serrarsi in una stretta coriacea sull’impugnatura dell’arma, uscì dalla copertura e sparò in direzione della navetta che fluttuava difronte alla sua finestra. Un perfetto colpo alla testa fece esplodere le cervella di un secondo tiratore, abbellendo di frattaglie rosate e di sangue l’interno del mezzo. Il corpo del soldato nemico cadde nel vuoto sottostante come una foglia secca che si stacca dall’albero. Non si diede tempo di respirare. Mentre Alistair esplose una seconda raffica contro i loro avversari, Tiberius cambiò rapidamente copertura posizionandosi dietro la seconda vetrata della casa. Così mentre i due tiratori rimasti concentravano il fuoco verso il russo, il Turian prese la mira ed sparò ad un altro tiratore bersagliandolo con una raffica alle gambe, che fece detonare il ginocchio sinistro del soldato nemico in un guazzabuglio di ossa e tendini. Successivamente, mentre quello si dimenava e urlava guardando il moncone sanguinante, gli rifilò un’altra raffica precisa all’altezza delle costole facendo tacere quelle invocazioni d’aiuto. Alistair provò ad ottenere una posizione migliore per eliminare il nemico rimasto portandosi dietro un mobile sulla sinistra dell’appartamento, ma le raffiche che elargì in seguito si infransero sul mezzo nemico senza nessun risultato significativo.
Vedendosi in svantaggio, l’ultimo soldato chiuse la paratia laterale della navetta e diede un qualche tipo di ordine al pilota. Sulle prime i nostri pensavano che si fossero ritirati, ma con amara sorpresa constatarono che il mezzo nemico contava dei piccoli cannoni frontali i quali fecero subito intendere la pericolosità e la loro potenza. Il balcone esterno venne tartassato da tre salve che lo divelsero completamente e catapultarono in casa una grossa quantità di polveri e detriti.
Vanko incespicò e raggiunse Tiberius dietro una colonna della casa, “D'yavol! E adesso cosa facciamo?!”, chiese al Turian, mentre quello faceva raffreddare la camera del Mercury.
“Adesso passiamo alle maniere forti anche noi!”, sibilò Merula correndo basso verso una piccola camera laterale. Ne torno dopo una manciata di secondi con qualcosa di sferico in cui erano incise linee rette che identificavano i numerosi spigoli della strana forma dell’oggetto. In ogni angolo era posizionata una piccola sfera rossa. Tiberius lanciò una di queste al russo che se la rigirò bene tra le mani prima di esclamare:
“Che cosa diamine è quest’affare?”;
“Una granata tattica d’assalto T-34 standard in dotazione a vari reparti dell’esercito Turian tra cui la Fanteria Reale Tyrant di cui facevo parte. Innescala premendo il piccolo esagono posto nel piano leggermente rialzato, conta fino a tre e poi lanciala. Vedi di non contare troppo in fretta o troppo lentamente se non vuoi far male ad altri se non che a te stesso”, fece il vecchio posizionandosi nel riparo che aveva precedentemente lasciato.
Alistair sgranò gli occhi e squadrò prima la granata e poi il suo compagno, “Ma questa è una casa o un’armeria? Se le chiedevo un lanciamissili ho paura a chiedere cosa mi avrebbe tirato fuori..”;
“Non avevo tempo di controllare dove avevo lasciato l’anticarro. Al momento mi son venute in mente queste. Sempre a lagnarti ragazzo, Spiriti!”, si lamentò quello. Poi capì l’ironia del suo interlocutore e fece una smorfia di disapprovazione, “Lancia la granata e basta..”, gemette infine.
Innescarono entrambi i due esplosivi ed iniziarono a contare.
 
1.
 
Iniziano a raccogliere le forze per il lancio e ad imprimere la rotazione del polso.
 
2.
 
Escono dal riparo ed inquadrano l’obbiettivo. I muscoli si tendono in uno sforzo congiunto con l’unico scopo di far arrivare la bomba a destinazione.
 
3.
 
Le granate si stacca dal palmo delle loro mani e viaggiano spedite attraverso l’aria infischiandosene di schegge e di detriti sollevati dalla potenza dei cannoncini del mezzo nemico.
 
4.
 
Le T-34 sono nel primo gradino delle granate intelligenti. Sanno riconoscere il tipo di terreno su cui atterrano grazie ai numerosi sensori sulla sua superfice. Se la superficie è morbida o vengono rilevate tracce di terra la granata non esplode all’istante poiché potrebbe essere anche finita in un punto non desiderato. Se la superficie è metallica o la composizione di riscontro appartiene ad una corazza la granata esplode all’istante. Se invece il contatto è a pelle, la granata si incolla al bersaglio e non ci sono Santi, Dei o Spiriti che possano salvare il malcapitato.
 
5.
 
Le T-34 esplodono a contatto col cofano del mezzo. La cabina di pilotaggio diventa una trappola che si riempie di fuoco e grosse parti metalliche che tranciano qualunque cosa si trovino a dover passare per assecondare le leggi della fisica. I due avversari che si trovavano all’interno non hanno scampo.
Un secondo scoppio fa vacillare il mezzo che compie cerchi e spirali nell’aria lasciando solo fumo dietro di se. Non c’è più nessuno al controllo del mezzo ed anche se vi fosse potrebbe solo vedere il suolo avvicinarsi così come la fine della sua vita.
Un’ultima esplosione riempie l’aria e le fiamme saturano il piccolo piazzale. Alto si leva il fumo. Forte si leva l’odore del metallo fuso e della carne bruciata. Niente altro interrompe l’infaticabile incedere del fuoco.
Tutto brucia.
Tiberius aiuta ad alzarsi Ann Pennyworth, la quale stava letteralmente morendo di paura nel suo piccolo cantuccio. Rivedere il volto dell’amico la riempie di gioia ed altre grandi lacrime gli percorrono il viso.
Almeno per quella notte era tutto finito.
Alistair Vanko, nuovamente sporco, sudato e provato dall’ennesima emozione del giorno, si porta accanto al Turian ringraziandolo. Merula gli da un cenno di ricambio con la testa, mentre stringe la sua amica in abbraccio sincero di sollievo.
“Ed ora che facciamo? Sanno che stiamo collaborando… Pensi ancora di volermi aiutare?”, chiese titubante il russo, mentre la luce del fuoco rendeva visibili gli evidenti segni della fatica sul volto dell’uomo.
Il vecchio Tiberius Merula fa occhi duri al cielo e lancia un occhiata di disprezzo e disgusto verso la carcassa metallica dei loro attentatori.
“Si. Ora più che mai son disposto ad aiutarti”, riflette un attimo cercando di trovare il fiato per continuare la frase, “Ma, abbiamo bisogno di rinforzi. Di gente pronta a tutto per poter anche solo sperare di sopravvivere ad un prossimo assalto. So già a chi rivolgermi…”, queste ultime cinque parole furono riferite con una fiducia, ma al contempo con grande tristezza.
 
 
 
 
 
 
 
 
Solita nota sbiadita di fondo di Murkrow:
 
Salve! Se qualcuno è arrivato qua in fondo mi sento il dovere di ringraziarlo. Non solo per il fatto di aver letto l’enorme montagna di roba di sopra, ma anche e soprattutto per la pazienza di aver letto errori grammaticali o chissà quali altre stramberie.
Non scrivevo da un secolo lo so e me ne dispiaccio. E da ancora più tempo non recensisco una storia su questa splendida sezione che come ho potuto notare si è riempita di persone di talento e con grande voglia di fare. Recupererò, piano piano, ma lo farò.
Che dire? Non lo so nemmeno io, ma mi sembra d’uopo fare diversi ringraziamenti. Ringrazio chi è appena arrivato e sta sopportando le mie stranezze, ringrazio chi è tornato perché probabilmente l’ho deluso e ringrazio chi non se n’è mai andato perché siete davvero importanti. Ringrazio Johnee e Andromedahawke per un’infinità di motivi tra cui l’enorme e sconfinato supporto, la sopportazione riguardo i mei deliri e la gigantesca amicizia da cui siamo legati. Un abbraccione ragazze, ma di quelli davvero titanici. Ringrazio mamma e papà semplicemente per tutto. Ringrazio la mia terra che mi accoglie sempre con un bentornato caloroso e ringrazio un po’ me stesso per essere sempre così Spettinato e non in un altro modo.
In questo capitolo ho messo un po’ tutto di me, delle mie idee e di tutto quello che penso possa essere un mondo complicato da descrivere come quello di Mass Effect. Scusate anche per l’insolita disposizione dello scritto, c’è stato poco spazio per la vicenda in se effettivamente e molto più ai ricordi. La prossima volta sarò più equilibrato.
 Non sono il migliore dei narratori, il migliore a scrivere intrecci o inventare personaggi. Mi piace raccontare agli altri delle storie, nella speranza che possano interessare e divertire. Di questi tempi mi ci vuole davvero tanto tempo, ma prometto che proverò ad accorciare i periodi d’attesa, promesso.
Un grazie a chi leggerà la storia, a chi mi vorrà lasciare un parere e a chi passerà un buon quarto d’ora nella lettura e ne uscirà soddisfatto.
Un grazie anche a chi legge queste note, perché son sconclusionate come il mio cervello e può essere difficile destreggiarsi.
Un grazie ancora a tutti perché non smetterei mai di farlo.
Infine un saluto, con la promessa di risentirci prima che siano passati 17.000 anni.
Ah allego qui una bonus track per il capitolo, ero indeciso se inserirla oppure no, ma alla fine pensando che spezzasse troppo il ritmo l’ho inserita qui. Enjoy :D
 
La vita è un gioco per tutti…e il premio finale è l’amore
  
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