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Autore: UnicornDead    08/09/2013    0 recensioni
Diciassette anni in ventiquattro ore. Non è assurdo? No, se pensate a qualche stupida Pozione.
Oh, io mi chiamo Samantha, Samantha Slewyn, ho diciassette anni e sono felicemente fidanzata. Credo sia meglio che voi sappiate che sono una strega e frequento il settimo ed ultimo anno alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, nella casata di Serpeverde.
Ma non sono qui per raccontarvi la mia vita, bensì vi narrerò una storia molto più interessante riguardante il mio ragazzo, Jason Adams, un diciassettenne dai capelli dorati nato due mesi dopo di me, Grifondoro.
Credetemi, sarà molto interessante, per cui prendete quei cosi che voi babbani chiamate pop-corn e mettetevi comodi.
Avete mai sentito parlare delle Pozioni Ringiovanenti, quelle che ti fanno rivivere i principali anni della tua vita in un giorno? Io sì, e posso dirvi di aver avuto la fortuna/sfortuna di aver vissuto un momento davvero bizzarro.
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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From eight to eleven

«Mettimi giù, brutta strega!»
Per quanto tutto fosse accaduto velocemente, in poche ore, rimasi stupita da questa richiesta.
“Brutta strega”? Come osava, ero la sua ragazza!
Il Jason di ormai otto anni si dimenava tra le mie braccia e scalciava di qua e di là in attesa di essere messo giù; avrei tanto voluto lasciarlo cadere a terra, in quel momento, ma decisi di calmarmi, non assumere alcuna espressione, ancora con il cervello in confusione per tutto ciò, e lo lasciai scendere.
Non appena toccò il pavimento con i suoi piedi, cominciò a correre di qua e di là per la Sala Comune di Serpeverde; sembrava impazzito, per quanto euforico. Non avevo mai visto un bambino tanto entusiasta.
«Ehi, calmati!»
Gridai, ma invano, perché quel poco più di un metro di vivacità continuò a correre da una parte all’altra, gettandosi sui divani, rialzandosi e mettendo in disordine la Sala, cambiando di posto tutto ciò che si ritrovava fra le mani minuscole.
«Ehi, fermo! Attento al camino, non toccare il fuoco, potresti bruciarti! No, metti giù quei fogli di pergamen—Jason, torna qui!»
Il piccolo sembrava non ascoltarmi e continuava a correre come un pazzo; la situazione non mutò per i seguenti dieci o quindici minuti, quando ad un certo punto mi si fermò davanti, con sguardo furbo.
«Hai una Cioccorana?»
Annuii distrattamente, tirai fuori dalla tasca due delle mie preziose rane di cioccolato e gliele porsi; il bambino in meno di un minuto riuscì ad addentarle entrambe, a strappare le figurine ed a gettare a terra le cartacce –oh, la Sala era un vero macello, se solo qualcuno avesse scoperto di chi fosse stata la colpa, io mi sarei ritrovata in punizione con il signor Gazza a pulire coppe varie nella Sala dei Trofei!  
«Ne hai ancora, Samantha?» mi chiese, stavolta con uno sguardo apparentemente angelico. Ne rimasi affascinata, così farfugliai un semplice “Aspetta che controllo” e mi precipitai su in dormitorio per procurarmi qualche Cioccorana; come immaginavo, ne avevo un’intera scorta nel baule, così ne presi alcune e ritornai giù da Jason.
Un problema più grande di me, però, mi attendeva, mentre il mio sguardo era caduto, preoccupato, sulla porta della Sala Comune che, proprio in quel momento, stava per chiudersi.
«Per Salazar, no! Jas, dove sei?»
Urlare non mi fu d’aiuto, perché era ovvio che ormai il mio ragazzo in miniatura si stava avventurando chissà dove per la parte bassa della scuola; uscii immediatamente dalla Sala, lanciando un’ultima occhiata amara al disordine che avevamo lasciato, e feci una poco faticosa corsa lungo il tragitto che mi avrebbe portata verso la Sala Grande.
Di Jason inizialmente non vi era traccia, ma fui poi molto fortunata a notare un bambino di otto anni avvicinarsi alla Sala di Ingresso, pronto a varcare la porta per raggiungere i giardini di Hogwarts.
Mi precipitai da lui e, senza che avesse il tempo di accorgersene, lo presi in braccio e lo guardai inferocita.
«Cosa ti è saltato in mente? Volevi uscire dalla scuola? Sei impazzito? Qui comando io, hai capito?
Non ti allontanare mai più così!»
Mi aveva fatto prendere un grosso spavento, ma qualcos’altro mi fece saltare: una voce, dietro di me.
«È così che si trattano i primini? Dieci punti in meno per Serpeverde, Slewyn!»
Mi girai appena in tempo per notare il Prefetto di Grifondoro allontanarsi da me ed il primo pensiero a vagarmi per la testa fu il seguente: ma nessuno si rende conto che è troppo piccolo per frequentare il primo anno?
Per osservarlo meglio, mi voltai verso Jason, il cui braccio stavolta stringevo forte così che non potesse scapparmi, e mi resi conto che forse ero stata troppo dura, perché i suoi occhi ora luccicavano, pieni di lacrime pronte a solcare le sue guance. Mi preoccupai subito di dirgli di non piangere e lo abbracciai forte, stringendolo sempre più a me, e lo portai in Sala Grande, senza dire una parola, al tavolo della mia casata.
Nemmeno lui parlò; forse ero stata davvero cattiva.


L’ora di pranzo era ormai vicina, era l’una del pomeriggio, e scommisi che gli elfi domestici avevano preparato per noi un pranzetto con i fiocchi.
Per fortuna il pranzo proseguì molto tranquillamente e velocemente, e riuscii, una volta terminato esso, a trascinarmi Jason nuovamente in Sala Comune, ancora disordinata e vuota come poco prima.
Era diventato stranamente tranquillo, e questo mi tranquillizzò, così lo feci sdraiare sul divanetto di fronte al camino e lui si addormentò per due o tre ore; raggiunsi per la terza volta in quella giornata il dormitorio, stavolta per pettinare i miei capelli, più scompigliati del solito, a causa della confusione causata dal piccolo Grifondoro.
Non appena scesi giù, scossi il capo: Jason era in piedi di fronte a me, leggermente più alto di prima, e stavolta mi guardava malissimo, come fossi il papà severo. Aveva sì e no undici anni.
«Oh, accidenti, un’altra volta!»
Erano già le quattro del pomeriggio; il tempo passava molto velocemente.
  
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