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Autore: Cassie chan    16/09/2013    11 recensioni
ATTENZIONE: non tiene conto degli eventi del settimo libro...!!Sono passati alcuni anni dalla fine della guerra, ed Hermione Jane Granger vive estromessa dal suo mondo, quello della magia, a causa di una condanna ricevuta tempo prima. Fidanzata delusa, disoccupata cronica, cinica perenne, Hermione ormai dispera dell'arrivo del principe azzurro. Ma quando arriva, non è facile riconoscerlo nelle fattezze affascinanti ma DECISAMENTE irritanti di Draco Lucius Malfoy, specie se babbano anche lui... ma la vita è decisamente strana e può anche capitare che ci si imbatta in una piccola fiaba, proprio quando si credeva di vivere in un incubo...:) PUBBLICAZIONE CAPITOLO 51 : 14 LUGLIO 2020
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Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter, Lavanda Brown, Ron Weasley | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'THE "HAVE A LITTLE FAIRY TALE" SAGA. '
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Capitolo 41 – You weren’t there part 2

 

Il sangue di Draco. L’ho visto ben più volte di quanto sarebbe normale.

Una volta, da ragazzina, mentre giocava una partita di Quidditch. Quando Fierobecco lo aveva colpito al braccio. A Grimmuald place, una sera in cui era stato ferito durante un’operazione contro i Mangiamorte. Nello scontro finale, quando eravamo nella tenda del pronto soccorso. Nei suoi ricordi con Helena. Quando si era scontrato con Astoria. Quando aveva litigato con Dimitri.

Il sangue… era la cosa che, in passato, mi avrebbe sempre tenuto lontana da lui. La purezza di quel sangue e la sporcizia nel mio, erano discrimine ed argine che ci avrebbero tenuti divisi per sempre. Per questo, quando avevo visto quel liquido rubino, spesso mi ero data pena di osservarlo più del necessario. Non trovandoci, come ovvio, alcuna differenza.

Rosso, dall’odore ferrigno, dalla consistenza densa: era esattamente come il mio, portava alle stesse lacrime di dolore se versato, aveva la stessa funzione necessaria di trasportare vita.

Addirittura un giorno, in guerra, a causa di una sua ferita particolarmente emorragica, mi fu chiesto il mio gruppo sanguigno, in modo che, se le cose si fossero messe male, si potesse valutare la possibilità di una trasfusione. Avevamo persino lo stesso gruppo sanguigno, 0 positivo lui e 0 negativo io. Lui a me non poteva donare sangue… ma io a lui sì.

Non arrivammo a questo, il sangue ce lo siamo mescolati nella più comune delle maniere, con l’amore e quello che ci sta attorno, ma mi ricordai di questo particolare, quando nacque mio figlio.

Il suo sangue… era quello di Draco. 0 positivo.

Avevo annotato questa cosa il giorno della sua nascita con un sorriso mesto. La stirpe dei Malfoy era stata definitivamente sporcata, forse gli antenati si stavano rivoltando nelle loro tombe fredde, ma quel segno, quel minuscolo impercettibile segno, recava in sé la traccia di una colpa quasi cancellata, nella purezza che veniva data a mio figlio nel sangue gemello di suo padre.

Ora quel sangue è anche la sola chiave di salvezza di Alex.

Ho pensato tanto, ore intere, mentre Draco ancora discuteva con Pansy, ad un modo che comportasse non dirgli di suo figlio, ma assicurandomi il suo sangue. Dean ne aveva di metodi per farlo, tutti poco ortodossi, ma che in fondo mi hanno fatto sorridere. Qualcosa dentro di me, di mogio, spento, sordo e pigro, si era mossa in modo imprevisto, ed è stata davvero come una ferita da cui gocciava sangue e che minacciava di farmi morire dissanguata. Uno stillicidio che mi rendeva debole, di secondo in secondo, sempre più annebbiata, sempre meno lucida, sempre meno presente a me stessa, mentre in testa prendeva forma un pensiero che non saprei definire se positivo o negativo.

Tatia, Helena… il loro continuo collegamento con me, i miei sogni su di loro, mi hanno reso più aperta ed attenta ai segni che la vita mi dà sotto la forma delle più impensabili delle coincidenze, quelle che io per inciso, non so nemmeno quanti decenni fa, odiavo perché sembravano togliermi il controllo della mia esistenza.

Tatia mi ha lasciato una collana che, per funzionare, necessita del sangue di Draco. Mi ha ammonito di non toglierla. Ci vuole poco a fare due più due.

Dal Cielo, da dovunque ella sia, vogliono che io dica a Draco di suo figlio… e non tra una settimana, un anno, dieci anni, come io pensavo mi fosse concesso fare.

No.

Adesso, ora… perché tanto oramai sono già a pezzi, e tanto ormai comunque le cose stanno andando male, e tanto ormai conta sempre Alex e lui per sempre. Quindi, chissenefrega di me stessa: del resto, ormai, che è rimasto di me stessa?

Non ho mai pensato di togliere a mio figlio suo padre, di non dirgli mai che Alex è suo figlio… ho solo pensato che adesso non fosse il momento.

Per me.

Sì, per me sola, che per una volta volevo essere egoista: Alex è la sola cosa che mi resta, e forse non volevo spartirla con lui, specie dopo che lui ha conquistato tanto, tutto, senza di me. O forse mi sento così devastata che non trovo il coraggio di inventarmi un discorso che sia la rivelazione di quella verità… o forse, ancora, dirgli di Alex avrebbe significato dover accettare che lui rientrasse nella mia vita, ma non dal portone principale di una ricongiunzione voluta dal destino e perpetuata da un amore mai morto, quanto invece dalla porticina secondaria di un dovere verso suo figlio e di un affetto istantaneo per lui, che avrebbe visto me solo come mediatrice. Ecco: quando ho capito questo mentre Dean parlava, quando ho capito che volevo tenermi quella verità dentro non perché pensavo ad Alex e volevo proteggerlo, ma perché pensavo solo a me, quando mi sono resa conto che forse Tatia da me invece voleva proprio che superassi il mio egoismo non scambiandolo per amore per mio figlio… in quel preciso istante, ho capito che avrei detto a Draco tutto, senza remore e senza rimorsi, smettendo di usare mio figlio contro di lui. Dopo le parole di Draco, la parte remota di me, quella ancora innamorata, ancora vogliosa di combattere per lui, quella che l’ha aspettato cinque anni ed è tornata a riprenderselo… credo che sia definitivamente evaporata da me. Ed era quella parte, tesa sempre ad immaginare il ritorno di Draco nella mia vita, che non voleva e non poteva dirgli di Alex. Perché voleva che tornasse perché mi amava, non perché doveva. Ora, invece, ogni ritorno di quel tipo mi è precluso per sempre. Forse mi vuole ancora bene, forse non gli sono indifferente, forse è anche geloso di me… ma l’amore, quello che mi ha tenuto ancorata a lui per cinque anni, lui se l’è dimenticato da un pezzo.

Da tre mesi dopo che io ero scomparsa.

Quindi nella nostalgia di un ritorno che non ci sarà mai, posso smettere di desiderare qualsiasi cosa che non sia riavere mio figlio.

E se il cielo, il ciondolo, Seth, la vita o come la voglio chiamare, vogliono che io dica a Draco di Alex… così sia.

Quella che sono ora, la madre di Alexander Leo Malfoy e basta, ha interesse e cura nell’avere quel sangue: se il modo più celere è questo, allora va bene così.

Dean continua a parlare e io sento solo che la mente si annacqua nella colpa: perché, ancora, dal ritenermi la mamma meravigliosa che mi sono sempre creduta, ho compreso che invece sono egoista e codarda. E sono una di quelle donne che si diverte ad affilare suo figlio contro il padre, solo perché lo detesta. In che cosa mi sono trasformata? In che cosa il risentimento per Draco mi ha trasformato? Oppure… continuo a dare la colpa a Draco, a Raissa, ad Helena, allo Zahir, a Dimitri. Ma forse… questa sono io.

Una che si diverte a fare l’eroina, ad ergersi stoica sull’altare del buonsenso e della giustizia… ed in realtà non assomiglia nemmeno al riflesso sporco di quello che professo.

L’apatia mi travolge becera e fioca, come se mi avessero sfilato di netto dal corpo la colonna vertebrale, alla maniera in cui si spina un pesce. Avverto le membra intorpidite, formicolanti, prive di forza mentre Dean accanto a me continua a parlare, descrivendomi ancora qualche altro particolare dell’incontro con la negromante. D’improvviso, sono così stanca da non reggermi nemmeno in piedi.

“Herm, stai bene?” la voce premurosa di Dean mi raggiunge a stento le orecchie, mi tocca la guancia con le nocche della mano e mi guarda preoccupato “Hai il viso caldo… non avrai la febbre?”.

Non lo so, non credo, mi sento solo incredibilmente spossata: nego con il capo, dicendo che sto bene e che forse ho solo bisogno di riposare un pochino. Dean annuisce pensosamente, commenta che deve essere stata la tensione, non ho nemmeno mangiato nulla a pranzo ed ormai è pomeriggio inoltrato. Mi indica sommariamente una camera al piano di sopra, dice che deve essere degli ospiti, niente tracce o ricordi né di Draco e nemmeno di Raissa. Annuisco con un sorriso ringraziandolo, ma salendo le scale ho ancora la sensazione che mi siano state risucchiate le forze in un momento ben preciso, tra la conversazione con Draco e quella con Dean. Sfibrata, mi appoggio al corrimano della scala, cercando di calmare le vertigini che minacciano di farmi scivolare al suolo, finché sento un braccio stringersi attorno alla mia vita, sollevarmi in modo deciso ed aiutarmi a camminare. Penso a Dean, ma lui è ancora ai piedi della scala, lo intravedo con la coda dell’occhio ancora bloccato in un gesto che stava facendo verso di me per aiutarmi e che poi si è arenato in sé stesso. Con lo sguardo annebbiato, sollevo il mento verso la persona che mi sta aiutando.

“Ti porto a letto… vieni…”. Nella foschia che mi ha preso subdola le iridi, intravedo solo lo scintillio verde di un paio di occhi lucidi e tristi, che mi osservano con dolcezza malinconica.

Annuisco e, del tutto esausta, mi lascio andare, affondando il viso nel collo di Seth e ritrovandomi persino a chiudere gli occhi. Bastano pochi passi che faccio a stento, le ginocchia di pastafrolla, che Seth è costretto a caricarmi sulle spalle e a trasportarmi così al piano di sopra. La testa che continua a pulsarmi, il volto rosso, riapro gli occhi solo quando sento Seth adagiarmi piano su un letto morbido. Dalle palpebre semi-chiuse, spio la stanza in cui mi trovo con il cuore in gola e la sua anonimità mi rassicura sul fatto che non sia quella di Raissa. C’è solo un letto, una libreria vuota ed una finestra piccola, la cui luce è coperta però da delle tende pesanti e scure, cosa che rende la camera in penombra.

“Mi dispiace Herm…” la voce di Seth mi sorprende, provocandomi un piccolo sussulto che reprimo raggomitolandomi di più su me stessa, una parte di me registra che si è seduto alle mie spalle, una mano contratta sul lenzuolo “Non avrei dovuto arrogarmi il diritto di parlare al tuo posto con Danny… ero stato zitto fino a quel momento… e poi non ce l’ho fatta più…”. Il materasso trema sotto il peso di una risata amara e nervosa che non gli appartiene e che mi spinge, improvvisamente, a considerare tutto dimenticato. Così, come nulla, come rugiada al sole. Quella che era arrabbiata con Seth… quella era sempre la Hermione che non si sentiva così spenta e fiacca, tutt’un tratto. Quella che poteva rimproverare tutti e non sé stessa. E adesso, invece… io sento che non posso fare più niente del genere. Mai più. E poi… sembra dispiaciuto, sinceramente. Lui posso perlomeno provare a perdonarlo, sentendomi anche sincera, e non solo in colpa come con tutto il resto.

“Tranquillo…” sussurro con un filo di voce, voltandomi su un fianco per guardarlo in viso, ha un’aria da bambino dispettoso che mi spinge persino ad un lievissimo sorriso “A tuo modo avevi ragione, anche se avrei voluto avere il tempo e il modo di decidere quando e come dirgli tutto…”, la mia voce risuona acidula e sfiancata, presagisco che, così facendo, Seth penserà che ce l’ho ancora con lui. Quindi completo con il più convincente dei toni che mi esce: “Non sono molto razionale al momento… e mi dispiace anche di quello che ti ho detto… che sono sola e tutto il resto… so che non è vero… è ingiusto verso te, Pansy e Dean. In ogni caso, fosse anche solo per Alex, era giusto che lui sapesse la verità…”.

“Sì…” conferma Seth, tormentando la coperta con le dita e sospirando in modo rumoroso come a darsi forza “Però poi… l’ho sentito parlare di Raissa…  e lì ho capito che magari anche tu avevi ragione. Che non era il caso adesso di sapere anche questo… Pansy ha ragione, io non sono padre… e non posso sapere come è perdere un figlio. Non avrei dovuto premere perché tu avessi anche questo carico sulle spalle, adesso. C’era tutto il tempo di chiarirti con Danny…”, il tizzone ardente che esplode come sempre al ricordo della prigionia di Alex, mi raggiunge anche nella quiete narcotica che mi annebbia, ma mi limito ad annuire con il capo, mentre Seth ancora sorride triste, dicendomi: “E’ stato Kevin a farmelo capire… noi… un giorno vorremmo diventare genitori, adottare dei bambini…”, Seth si stringe nelle spalle e mi sembra piccolo piccolo mentre mi parla di quella fantasia dolce, mi avvicino a lui e gli poggio con tenerezza la mano su un ginocchio. Seth me la stringe e continua: “E Kevin mi ha detto che un figlio viene prima di tutto, prima persino di te stesso… e mi ha detto che, se non ero stato in grado di capirlo con te ed Alex, forse non ero pronto ad essere papà...”, stringo le labbra e sospiro a fondo, Kevin mi ha fatto decisamente migliore di quella che sono come tendono a fare tutti, ma non ho energia per controbattere, mentre Seth prosegue: “Mi ha fatto riflettere … ed allora ho capito che aveva ragione… e che io, in realtà, non era a te che pensavo… era a me che pensavo…”. Aggrotto le sopracciglia, non comprendendolo, la mano nella mia è sudata e fredda di quella confessione e mi chiedo se non sia la giornata dell’egoismo universale. Seth pigola piano, trattenendo le lacrime: “Danny è stato il mio primo amore… e non lo dico con malinconia o con tristezza, ormai, lo sai bene… ma nella mia testa, quando ho rinunciato a lui, l’ho fatto per te, per quella che credevo il suo grande amore, per quella che era il suo destino… quel pensiero non è mai andato via, nemmeno quando siete scomparsi… e si è rafforzato quando ho visto Alex…”, fa una pausa, sofferta, lunga, la sua mano nella mia trema e io cerco di non dare adito alle lacrime che stanno esplodendo sinistre sotto le palpebre abbassate “… volevo che parlaste, perché ero convinto che con Raissa fosse una magia delle vostre. Ero certo che lei l’avesse ingannato, circuito o incantato. Ed invece era la più normale delle cose… e questo ha fatto più male al mio vecchio orgoglio ferito, che a te… per questo, Herm, ti chiedo scusa…”.

“Non devi farlo…” dico piano, con un sospiro tremulo, sistemandomi meglio sul letto “Sia quel che sia… era la cosa giusta dirgli che cosa era successo…”, prendo fiato e continuo ancora con un filo di voce “… e stasera… gli dirò anche di Alex… se sul resto potevo avere dubbi… su questo, devo cercarne di non averne… è di mio figlio che si parla. Ha diritto ad avere suo padre…”. Spiego anche sommariamente la questione del ciondolo a Seth e del sangue di Draco, cosa che ha solo indirizzato la mia scelta. E Seth sussurra, stringendomi ancora la mano: “Vedi che io il padre ancora non lo posso fare? Io adesso me ne andrei e basta… ed invece tu stai giustamente pensando ad Alex…”, sorride intenerito e mormora: “Sei una mamma eccezionale…”.

Nego con il capo e mi schernisco con vergogna, quando in realtà sto solo annaspando dalla volontà di urlare che non è vero, che se lo fossi stata mio figlio sarebbe ancora qui, che se lo fossi stata avrei fatto ben altre scelte negli anni e forse qui sarei arrivata con ben altro spirito, che quello dell’innamorata ferita. Ma non dico nulla, ci vorrebbe troppa forza che non ho e Seth controbatterebbe, mi darebbe contro.

E non avrebbe mai ragione… mai.

Seth mi dice, alla fine, di riposare, così da recuperare le forze per il confronto che mi aspetta stasera e di non preoccuparmi di nulla, Dean sta organizzando tutto per un’eventuale incursione e comunque stiamo aspettando che Harry ci faccia sapere qualcosina di più, magari da Helder. Mi accarezza la fronte e si chiude la porta alle spalle. Scivolo in un sonno nervoso ed inquieto, dove ogni volta che mi addormento mi sembra di tradire Alex e di stare perdendo tempo, ed allora penso a che cosa fare, a come organizzare la sua fuga, a come salvarlo. Ammassando strategie, il sonno mi colpisce di nuovo, a tratti, facendomi ripiombare in un denso e colloso riposo che non mi calma, ma mi agita solamente, prostrandomi di immagini cupe e sanguinose, accompagnate da una litania infernale di cui non distinguo le parole. Se poi penso a cosa dire a Draco, a come spiegargli che il bambino di cui ho parlato fino ad ora, è anche suo… allora, la possibilità di dormire si allontana ancora di più, maciullando le mie articolazioni. Devo avere davvero la febbre, in fondo.

Non so esattamente a che ora mi risveglio, la gola secca ed il respiro corto, sentendo qualcosa di diverso: non mi sono neanche accorta di essermi addormentata, la sensazione di calore non è passata, così come quella maledetta sensazione di stanchezza paralizzante. Però avverto la presenza di qualcuno nella stanza, quindi, ricordandomi che indosso ancora il vestito della mattina, mi copro pudicamente con il lenzuolo. Forse perché una parte di me ha già capito chi si è seduto sul letto accanto a me, e questo ha portato il mio cuore decelerato ad assumere un ritmo quasi normale. Quando sento una carezza lenta e dolce sulla mia testa, come se fosse fatta ad una bambina ammalata, respiro a pieni polmoni l’odore dello sconosciuto, che già so chi sia, sebbene ho gli occhi chiusi, serrati. Tabacco. Cuoio. Aghi di pino.

È un odore quieto, fresco, tranquillo, che rende la mia febbre più sopportabile, che mi assolve e perdona, che mi protegge e capisce. E mi fa piangere, sebbene stia ancora fingendo di dormire. Inutilmente. Perché se è come sempre, se va tutto come sempre… Ilai già sa che sono sveglia, già sa che non ho mai dormito, già so che forse non ci riuscirò mai più.

“Mi hai lasciato sola…” sussurro, gli occhi sempre chiusi, alla mano che mi accarezza la fronte e che d’improvviso si ferma, immota, colpevole, vinta. Un sospiro un po’ più forte, un brivido sulla schiena, il ricordo di un bacio, poi lui riprende ad accarezzarmi con lentezza, non voglio che smetta e non lo fa, mentre mi risponde pacato: “Non l’ho mai fatto… né mai potrei. Ero qui fuori… non mi pareva il caso di stare in casa di Malfoy, senza uno specifico invito…”. Non penso che Pansy e Dean abbiano avuto bisogno di un invito, ma capisco che cosa voglia dire Ilai. È qualcosa di ben diverso: è accettazione che lui sia qui, adesso, a far parte della mia vita in questo modo così strano e fatalista. Dubito che Draco riuscirebbe a formulare un invito in quel senso… come non penso che lo farei mai io, al contrario.

“E adesso, allora, che cosa è cambiato?” chiedo con un filo di voce, non aprendo ancora gli occhi.

“Seth…” mormora Ilai laconico, facendo una pausa “Mi ha visto in giardino… e mi ha detto che dovevo essere qui… con te… e che con Malfoy ci parlava lui… non volevo ancora, ma ha insistito…”. Sorrido mio malgrado, ripensando alle parole di Seth del pomeriggio e ricordandomi di quanto può essere convincente o assillante, se ci si mette. Comprendo, in sottotesto, anche altro: Seth non aveva mai accettato il legame che io avevo con Ilai. Mai, perché era convinto che io e Draco appunto ci appartenessimo. Se si è convinto, noto con una spina lacerante in petto, vuol dire che non lo pensa più.

Mi muovo velocemente nel letto, avvicinandomi con improvvisa risoluzione ad Ilai, pur restando distesa nel letto. Poggio la testa sulle sue gambe, lo sento irrigidirsi sorpreso e sento, persino nel buio della stanza e delle mie palpebre chiuse, il suo sguardo di ghiaccio nero soppesare la mia reazione. Poi qualcosa si fa più leggero, più vischioso e più caldo assieme, e giurerei di averlo sentito sorridere. Si incaglia quel sorriso dentro di me, in un punto morbido nel petto, e sorrido timidamente a mia volta, ringraziando il buio.

“Ti hanno detto del ciondolo di Tatia?” chiedo senza preamboli, affondando il viso sulle sue ginocchia.

Ilai sospira ancora piano, ed annuisce, confermandomi anche che sa di Draco e del fatto che dovrò dirgli di Alex.

“E’ la scelta giusta… e lo sai anche tu…” la sua voce tintinna nel buio, causandomi un altro brivido lungo la schiena e di nuovo la dimensione di quello che sta per accadere mi frastorna ancora. Tremo, mentre mi sforzo di annuire ad Ilai, che naturalmente si accorge di questo. Lentamente, dolce come sempre è stato, si china su di me, mi stringe per i fianchi e mi solleva seduta con facilità, come se fossi davvero una bambina piccola. Ho ancora un capogiro, ma si smorza quando sento il torace di Ilai reggermi saldamente, mentre mi ha sistemato in braccio a lui e mi ha chiuso con le sue braccia. Poggia la guancia sulla mia fronte, mentre mi raggomitolo contro di lui, e poi mi sussurra: “Andrà tutto bene… mi hai capito? È suo figlio, ti aiuterà… e non sarai sola in questa storia…”.

Una scossa elettrica lungo la schiena mi fa aprire velocemente gli occhi, mentre sollevo il collo, rivolgermi a quel buio caldo che so essere lui: “Non sono mai stata sola… tu… ci sei stato tu…”.

“E non è servito a granché…” ride amaramente, il cuore che mi diventa minuscolo “Non ho salvato te… non ho salvato tuo figlio… non ho vendicato Tatia… e quel che è peggio è che…”, Ilai tace a disagio, le sue braccia tremano ed improvvisamente la testa mi gira daccapo: “Continua… ti prego…”.

“Perché?” mastica amaro, muovendosi nervosamente e sistemandomi meglio tra le sue braccia, il cuore mi annega in una melassa condensata, sentendo la sua voce scoraggiata “Perché, Hermione? Fino a che punto, uno può ammettere che tutto quello che ritiene giusto, vero e corretto… tutto quello che sa che dovrebbe fare… poi, semplicemente, non lo fa… non lo riesce a fare, perché ogni fibra del suo corpo lo spinge da una parte diversa, ed adesso… io… non ci dovrei nemmeno pensare, dovrei solo andarmene via da qui e basta…”, quel pensiero mi immobilizza, mi fa trattenere un singhiozzo e mi spinge ad aggrapparmi alla sua camicia con le dita, mentre mormora con tono disperato: “Io devo andarmene da qui, Hermione…”.

So che ha ragione, so che non ha torto, so che è ingiusto che io lo trattenga qui per questo senso di bisogno che ho maturato nei suoi confronti e che non so spiegare. So che dovrei avere la mente libera e il cuore sgombro per riflettere su quello che davvero provo per lui, senza che mi si frapponga la rabbia, la disperazione, la rivalsa, il dolore. So che probabilmente dovrei proteggerlo per Tatia e mandarlo via, concedergli di salvarsi, e so forse adesso per la prima volta che quest’uomo era di un’altra che mi ha aiutato da un’altra vita ed un altro mondo, e che io sto ringraziando cercando di insinuarmi nel ricordo che ha ancora di lei. È quel pensiero, turpe, immondo e schifoso, che batte l’apatia e mi spinge a prendere coscienza di me stessa. Con le mie residue forze, mi alzo in piedi a fatica, tenendomi vicina ad un comodino. Da fuori non filtra alcuna luce, deduco che sia ormai sera e mi arrischio velocemente ad accendere la luce di un abat jour, che ho visto poco fa. Mi abbaglia una luminescenza perlacea e smorta, che conferisce al viso di Ilai una sfumatura decadente che me lo mostra più fragile e debole di quanto mi sia mai parso.

Resta seduto sulla sponda del letto guardandomi, mentre resto immobile, in piedi, davanti a lui, le braccia chiuse sotto il seno a proteggermi e contenermi. Ilai ha lo sguardo più triste di quando l’ho conosciuto in Finlandia, ha i capelli spettinati, le labbra rosse e il respiro affaticato, eppure gli occhi sono vivi, liquidi, intensi, incollati ai miei.

“Hai ragione…” biascico, osservandomi i piedi nudi “Hai ragione… questo… non è giusto… io sono semplicemente un’egoista… non posso… anzi… non devo… trattenerti qui…”, non faccio nulla per nascondere la lacrima che mi accarezza la guancia e che muore nel mio collo, tanto lui l’intuirebbe lo stesso. Ilai stringe le labbra, fa un verso di gola e bisbiglia: “Tu sei egoista, adesso? Tu?”, si alza in piedi e si para davanti a me, prima di sollevarmi il viso con due dita e sorridermi mesto, la luce bianca che disegna ombre scure sotto i suoi occhi che mi appaiono sempre più stanchi. Non mi sforzo nemmeno di trattenere le lacrime, mentre mi dice: “Io ti ho baciato, io ti bacerei ancora, io dico una cosa e ne faccio un’altra, io mi impongo di andarmene e resto in giardino, io mi obbligo a non toccarti mai più e godo nel fare l’incoerente con me stesso… io… io e basta… che so che sarai per sempre di Draco Malfoy, eppure tento di strapparti pezzo dopo pezzo a lui…”. Il cuore mi va in gola, ancora, di nuovo, soffocandomi, il contatto con i suoi occhi è d’improvviso così destabilizzante, che rimpiango il buio e la stasi misericordiosa che ci aveva dato.

“Io… non sono più di nessuno… non hai nessuno a cui strapparmi via, se non me stessa…” piagnucolo, cercando di sfuggire i suoi occhi, Ilai sorride triste e dice: “Lui è sempre qui, Hermione, non è dall’altra parte del cielo come Tatia… fino a quando sarà qui, sarai sua per sempre…”. Non so più che dire, resto in silenzio, mi divincolo dalla sua presa e faccio un passo indietro, finendo per scontrarmi contro il muro alle mie spalle. Non ce la faccio più a guardarlo, non ce la faccio più. Il pensiero che se ne vada, che non possa più rifugiarmi in lui, che non ci sia più… mi uccide. È bastato un secondo, un solo secondo, e già misteriosamente mi sono sentita meglio… però, poi, il pensiero di tenerlo qui, ad aspettare… che cosa, poi? Che mi dimentichi Draco, che possa tornare quella ragazza pura e semplice che si meriterebbe, che tutto sparisca in una nebbia vorticante di buone intenzioni? Almeno con lui… non posso e non devo essere egoista.

Il cuore che mi martella in petto, sollevo lo sguardo e dico con un sorriso tremulo: “Hai ragione, cioè… è giusto che tu vada via… io non sono sola, non ti devi preoccupare… ce la farò in qualche modo… e poi Raissa e Dimitri vogliono anche la tua pelle… è meglio davvero che tu vada via… tranquillo… io… starò bene…”, fingo ancora un sorriso, sperando di rassicurarlo.

Ilai sorride a sua volta, tristemente, poi mi guarda piegando la testa di lato, e soggiunge: “Non torno in Finlandia… ma prendo una camera in paese. Quando affronterete Raissa e Dimitri… io ci voglio essere… solo, è meglio che non resti più qui…”. Lo ripete ancora, come per convincere sé stesso e me, ed io annuisco daccapo, il vuoto che si allarga nel petto, risucchiandomi, la mascella tesa nel tentativo di mantenere su questo sorriso spento.

“Certo, hai ragione, lo capisco… vai, non ti preoccupare, starò bene…” sussurro ancora, poggiando la schiena al muro e cercando di nascondergli il tremito convulso delle mie gambe al pensiero che davvero se ne vada. Quella sensazione si acuisce ancora, quando lo vedo estrarre la bacchetta per pronunciare l’incantesimo di Smaterializzazione, mantengo il respiro fermo e il sorriso statico e tranquillo, ma so già che appena sparirà, crollerò piangendo, di nuovo, daccapo, come ormai so fare benissimo. Lui soppesa la bacchetta tra le mani, la rigira e la guarda come se scottasse, e getta un’ultima occhiata a me, che ancora trattengo le lacrime, che ancora sorrido, che ancora cerco di rassicurarlo quando so benissimo che non ce la posso fare. Perché nessuno è lui, perché è troppo facile stare tra le sue braccia e sentirmi a casa, perché sarà anche egoista ed inconcepibile, ma sto bene adesso solo se c’è lui. Eppure, anche solo l’ombra del sospetto pigro che possa volerlo qui solo per sostituire Draco, mi incatena a questa parete, non facendomi muovere.

“Ciao Hermione…”.

“Ciao Ilai…”.

Ilai ha già sollevato in aria la bacchetta, compiendo la torsione del polso che lo porterà via da me, ed io mi lascio sfuggire un singhiozzo lento, che infrange il mio sorriso, che lo spezzetta in mille pezzi, che lo rende un plastificato retaggio di memorie che non ho più. Con gli occhi sgranati, con l’espressione persa, con il cuore in gola, vedo Ilai gettare rabbiosamente la bacchetta a terra, avvicinarsi rapido a me e chiudermi tra il suo corpo e il muro alle mie spalle, prima di prendermi il viso tra le mani e baciarmi con tutta la forza e la disperazione di cui è capace. Le sue dita si artigliano gentili sulle mie guance, giocando poi dolcissime con i miei capelli, mentre le sue labbra, caldissime come un fiore d’agosto, si poggiano silenti sulle mie, costernate, distrutte, piegate ed afflitte. Piange nelle mie labbra chiuse, e piango anche io, non resistendo più, ma restando immobile, atterrita, inerme, catturata nell’attimo dell’inspirazione, e ritrovandomi improvvisamente senza fiato, come se annegassi. Cerco di resistere, cerco di impormi di fermarmi, cerco di comandare il mio corpo di non fare nulla, assolutamente nulla, ma le mie braccia lo cingono alla vita prima che me ne renda conto, le mie labbra si aprono ed assaggiano avide il suo sapore, il mio cuore si scontra con il suo mentre gli volo tra le braccia e la mia mente mi scoppia in mano, suggerendomi di non smettere di baciarlo. Piango ancora, ed è giusto così, perché lui aveva ragione, siamo solo capaci di amarci in questo dolore sordo, continuo, costante, incessante, e se non sento le lacrime sulle sue labbra, sulle mie labbra, io non lo riconosco, io non so che è lui, io non posso piegarmi a baciarlo. Perché non è amore questo, come non è amore quello per Draco, ormai. Io so amare solo mio figlio, adesso: questo ha i contorni malaticci di un sentimento sbriciolato che la sola cosa che mi è rimasta da dare a qualcuno. Anche a lui, anche ad Ilai, anche a lui che adoro tanto, che forse avrei amato persino, che magari potrebbe rendermi felice. Anche a lui.

Non mi basta più, con terrore mi accorgo che baciarlo soltanto non mi basta più: che voglio averlo dentro, addosso, ovunque, ad annullarmi la memoria ed il pensiero.

Me la sono scopata e mi è piaciuto farlo, mi faceva stare bene, mi annullava il pensiero…

Con un sussulto, mi ricordo le parole di Draco su Raissa. Siamo uguali, non c’è che dire… sempre a cavare fuori l’anima, da chi ci sta vicino… chi è mai stato davvero il Serpeverde tra me e lui?

Quando Ilai si stacca da me, non vorrei che lo facesse: guardo i suoi occhi annebbiati e stanchi, le sue labbra rosse e gonfie, il segno che senza volere gli ho lasciato sul collo con le dita della mano nel tentativo di attirarlo più vicino… ed abbasso il viso, la vergogna che si spande come un manto sulle mie spalle.

“Devo andare, adesso…” bisbiglia lui, che invece è saldo in sé stesso, non ha cambiato idea, sa che non dovrebbe stare qui. E che poi mi bacia ancora, piano, da fratello, a fior di labbra. E io gli strappo ancora altri baci, veloci, rapidi, dolci come caramelle ed amari come veleno, mentre mi rassicura che, se ho bisogno di lui, potrò chiamarlo in ogni momento. Ogni parola che dice, gliela soffoco sulle labbra. Ed ho freddo quando si allontana, quando afferra la bacchetta caduta per terra e quando si prepara a sparire. Ho un sorriso meno tirato, più tranquillo, reso morbido dalle sue labbra, che diventa persino sincero, mentre mi guarda serio e dice dolcemente: “Se esiste anche un solo destino per cui Tatia ha voluto che ci incontrassimo perché dovessi restare con me… questa sarà l’ultima volta che ti lascio andare…”.

Con un groppone in gola, annuisco e sussurro: “Se sarà così… sarò io a non permetterti di andartene più…”. Glielo dico sincera, onesta, vera come non sono da giorni e come si merita che io sia. Glielo dico, perché ne sono convinta e con questa convinzione riesco ad assolvere me stessa e quello che ho appena fatto. Forse, esiste davvero un mondo in cui, se non appartengo più a Draco, divento sua. Ma se avverrà, se accadrà, sarà senza tutto questo che mi sconquassa il cuore: sarà con Alex con me che gli gioca sulle spalle ma che chiama Draco papà, sarà con me che lo bacio solo perché voglio baciarlo, sarà perché voglio stargli accanto completamente presente a me stessa, sarà con Draco diventato una memoria innocente e piacevole nella testa, e non l’incendio boschivo che è adesso.

Sarà con me che amo Ilai ed Ilai solamente, e sarà con me che mi dico che ho bisogno di lui perché lo amo, e non che lo amo perché ho bisogno di lui.

Se esiste un solo destino, anche uno soltanto, che mi vede accanto a lui… mi avrà tutta, senza sconti, per sempre, tersa, limpida ed immacolata come un bucaneve fiorito.

Nessuno, soprattutto lui con quello che ha passato, si merita questa versione marcia e lercia di me stessa, che ama ed odia nello stesso istante, che mente ed è sincera, che ha fede nello spergiuro e che ha le vene sature di dolore. Nessuno… persino Draco  si merita questa versione di me stessa.

Ilai sorride alle mie parole, ed è anche il suo è un sorriso aperto, sincero, dolcissimo, onesto. Mi saluta con il palmo della mano aperto, poi pronuncia la formula di Smaterializzazione e scompare.

La stanza, d’improvviso, sembra così piccola e vuota che voglio solo uscire da qui. Ritemprata da un nuovo coraggio, persino da una speranza fioca nel futuro, mi sussurro decisa che devo immediatamente parlare con Draco, dirgli di Alex e utilizzare il ciondolo di Tatia. Prima riporterò mio figlio a casa, prima tutto tornerà normale, prima tornerò me stessa… e prima potrò risolvere tutti questi nodi irrisolti che mi sto lasciando alle spalle. Nel silenzio della preoccupazione dissolta, potrò davvero capire se è finita tra me e Draco… e se è iniziata tra me ed Ilai.

La febbre sembra non essersene andata, lo specchio mi rimanda una mia immagine dagli occhi lucidi e dalle guance rosse come mele mature, ho il passo ancora traballante e il fiatone, ma decido di scendere subito di sotto per chiudere la questione con Draco. Il vestito azzurro è spiegazzato e aggrinzito, quindi decido di cambiarmi velocemente: Seth deve aver portato qui la mia valigia, perché la trovo ai piedi del letto. Un paio di jeans ed una canotta bianca, mi fanno sentire più a mio agio, ma il freddo che mi sento fin nelle ossa a causa delle febbre, mi spinge a poggiare malamente una felpa sulle spalle. Decido di assecondare immediatamente i residui della calma che Ilai mi ha lasciato addosso e di cui chissà per quanto tempo non potrò usufruire, e decido di scendere di sotto immediatamente a cercare Draco. Apro la porta, percorro il corridoio e scendo le scale, la luce della luna mi informa che devono essere almeno le otto passate.

Gironzolo un po’, ma in salotto non c’è nessuno, e nemmeno nelle altre stanze. Alla fine, trovo in cucina Pansy e Seth, seduti attorno al tavolo ed intenti a sbocconcellare dell’insalata. Charisma si è addormentata tra le braccia di sua mamma, dorme con un ditino in bocca. E sul divano poco distante, vedo anche Serenity addormentata a sua volta, i codini biondi legati con dei nastri azzurri. Per terra, sono sparsi dei giochi e delle bambole, cosa che mi fa dedurre che devono aver giocato assieme fino ad ora.

“Herm!” Seth si alza subito in piedi, premuroso, avvicinandosi a me e sfiorandomi la fronte con il palmo della mano “Hai ancora la febbre?”. Sorrido rassicurante e rispondo che credo che sia scesa un pochino, Pansy alle spalle di Seth, mi guarda indecifrabile ma impercettibilmente sembra allentare la tensione delle spalle.

“Dove sono gli altri?” chiedo velocemente, sedendomi accanto a Seth che mi porge subito da mangiare.

“Dean credo che sia andato a svaligiare una farmacia… per comprare del magnesio, o che so io…” risponde svogliata Pansy, punzecchiando con la forchetta un pomodoro “Se avessi saputo che doveva trasformarsi nella versione maschile di Nonna papera, gli avrei detto che ero incinta a moccioso sgusciato fuori…”. Roteo gli occhi con espressione fintamente partecipe, rendendomi conto che adesso Dean sarà semplicemente elettrico, avendo saputo della nuova gravidanza della moglie. Certo, Pansy la liquida bruscamente, ma lo splendore terso che ha assunto il suo sguardo, lei non lo può negare e nascondere. E per fortuna, non può nemmeno vederlo, così da non vergognarsene o da cercare di sottrarlo agli altri. Charisma, nel sonno, fa una buffa risata e si accoccola meglio contro il petto della madre.

Chissà se Alex ha avuto un incubo stanotte… mi caccio a forza un’altra manciata di insalata in bocca, lottando con il solito impulso di rimettermi a piangere.

“Chi ha i denti e non ha il pane…” mormora Seth, mettendo su un broncio “Io non ho coccole da nessuno da settimane…”. La sua espressione mi spinge a ridere sommessamente, Seth mi guarda felice e lieto che abbia sorriso alla sua piccola battuta: sono davvero felice che possiamo tornare a guardarci così.

Pansy però prende la mia risata come se gli stessi dando manforte, magari lamentandomi anche della mia di astinenza da coccole, e difatti blatera, agitando la mano con aria truce: “Green, tu hai un fidanzato da qualche parte o mi sbaglio? Quindi non farei propriamente il delirio tragico… e tu Granger, vogliamo parlare del tuo tozzo di pane russo? Mi sa che hai i denti ed anche la pagnotta…”.

“Non dire sciocchezze…” arrossisco fino alla punta delle dita dei piedi, nascondendomi dietro la frangetta di capelli mentre continuo a mangiare.

“Ah bè sì certo, il taglio sul labbro da bacio alla “come se non ci fosse un domani” te l’ha fatto Seth in un accesso tardivo di mascolinità post adolescenziale…” asserisce tagliente Pansy, mentre io in imbarazzo mi strofino le labbra con il palmo della mano in modo febbrile, ricavandone una piccola striatura rossastra. Seth ridacchia del mio imbarazzo, sghignazzando, lo minaccio brandendo una forchetta e asserendo: “E comunque… il tozzo di pane, insomma, Ilai, accidenti a te… se n’è andato…”.

“Herm!” squittisce Seth deluso, alzandosi in piedi e facendomi sobbalzare “Ma allora dillo che hai maturato uno spirito di contraddizione nei miei confronti! Che ti ho fatto, eh? Te l’ho mandato persino in camera così che… potesse farti provare il suo sfilatino!”.

“Possiamo smetterla con queste metafore da panificio?!” biascico sempre più violacea e con la temperatura corporea che minaccia di arrivare a 45 gradi centigradi, non credendoci nemmeno che lo stia facendo questo discorso “Sebbene io ed Ilai volevamo…”.

“… strapparci i vestiti di dosso…”.

“…usarci come farmaco per la castità pluriennale che ci accomuna…”.

“Questa è bella, Pans!”.

“Esercizio, Green... tra qualche anno ci arrivi anche tu…”.

Dicevo…” continuo, massaggiandomi con le dita le tempie e controllando il mio viso congestionato “… sebbene io ed Ilai ci siamo avvicinati molto in queste settimane, al momento non era giusto che lui stesse qui… quando la situazione tra me e Draco…”, devo prendere fiato per proseguire: “… non è poi così chiara… e poi, io devo parlargli di Alex adesso, lo sapete… ed al momento è meglio che mi concentri solo su questo…Ilai l’ha capito ed ha deciso di allontanarsi… lui…” divento rossa in viso ancora, ricordandomi il bacio che mi ha dato solo pochi minuti fa, e non so più in grado di continuare.

“… lui ti vuole molto bene…” completa Seth con un sorriso tenero e dolce, accarezzandomi la testa fraternamente, ed io annuisco, stringendomi nelle spalle.

“E te lo meriti Granger…” sottolinea Pansy, sistemandosi meglio Charisma tra le braccia così da nascondermi il suo viso, la guardo sconcertata per la sua gentilezza rude, mentre prosegue: “Tutti, persino tu, ti meriti qualcuno che si prenda cura di te, adesso… e so che il tuo nobile spirito Grifondoro si rivolterà nel senso di colpa… ma non devi alcuna fedeltà a Draco, se non quella di madre di suo figlio… non contorcerti nell’olio bollente…”.

“Non lo sto facendo…” sorrido quietamente, guardandola.

“Lo so… sei più simile a te stessa di quanto tu non sia stata da settimane… tutta tesa a fare la cosa giusta… e se è merito di Radcenko, allora… deo gratias per l’addio alla tua te stessa martire…”. In modo inconsapevole, mi viene da sorridere ancora, non so per quale motivo, ma l’approvazione di Pansy ultimamente per me è diventata la più importante. Non so se la considero strettamente una mia amica, ma forse è proprio per questo che so che, quando sbaglio, non avrebbe alcuna remora d’affetto a farmelo notare, come invece accade con Seth, Dean o Ilai. Perciò, anche se a lei non lo dirò mai, capisco che sto facendo la cosa giusta solo se me lo dice lei. E considerando che cosa siamo state fino a qualche anno fa, questo è davvero il vertice dei paradossi che conosco da quando mi sono innamorata di Draco.

Mi ricordo improvvisamente di lui e quella tenue sensazione di sicurezza tiepida si raggela come ghiaccio rappreso. Fingendo indifferenza e riprendendo a mangiare, chiedo pacata: “E… Draco… dov’è?”.

“Ah bè, certo… nella scaletta della giornata da ritorno al passato, adesso viene la paternità tardiva…” bofonchia Pansy con un sorrisetto sardonico, guardandomi di sbieco “Malfoy non potrebbe aver avuto giornata peggiore di questa… e io l’ho visto quando ha preso gli orecchioni e la varicella assieme, nella stessa giornata… non era una bella e mistica visione…”. Quando però aggrotto le sopracciglia, in attesa, chiedendole in modo alquanto palese ed impaziente dove diamine sia andato, Pansy sospira e borbotta qualcosa sottovoce che non riesco ad intendere, prima di aggiungere: “Dopo l’illuminante chiarimento con la sottoscritta… il quale per inciso si è concluso con le pareti del salone immacolate e non sporche di sangue, cosa che è il massimo possibile adesso… Seth ha pensato bene di parlare a Draco della necessità che Radcenko stesse qui… un momento epico… da poema cavalleresco…”, a quelle parole Seth gonfia il petto tronfio di sé stesso, ma distinguo una lieve sfumatura verdastra sul suo viso, cosa che mi fa ragionevolmente assumere che non sia stata esattamente una passeggiata corredata di gelato parlare con Draco di me ed Ilai. Gli do comunque una pacca sulla mano, alla quale Seth mi restituisce un’occhiata soddisfatta, mentre Pansy conclude con tono indifferente: “Alla fine il drago, geloso marcio della sua principessa mezzosangue di cui non ammetterebbe mai di essere ancora stracotto, è andato da qualche parte a sbollire la sua rabbia… ma penso che stia per tornare… insomma, è sempre la sua di casa, anche se tecnicamente desideriamo sfrattarlo ad ogni piè sospinto…”.

Una parte di me, nemmeno così piccola come potrei fingere, ha un singulto tremulo alle ultime parole di Pansy: è una parte adolescenziale, acerba, imberbe, ancora strettamente legata a Draco come uomo che amo, e non come padre di mio figlio, la sola cosa a cui riesco a pensare adesso. Sentire la supposizione per cui lui potrebbe essere ancora innamorato di me mi fa arrossire e tremare il cuore come se fosse fatto di cera. Non credo che passerà mai questa sensazione, non abbiamo smesso di amarci per scelta e convinzione, limando odio e rabbia giorno per giorno. È stato più simile ad un aborto spontaneo, doloroso, terribilmente acuto e di cui portiamo ancora i segni e le tracce addosso, come tagli di sangue nella carne. Difficilmente un giorno dismetterò l’abitudine di sussultare sentendolo nominare, oppure di sobbalzare parlando di lui, o anche di sperare che tutto possa tornare a posto, specie considerando che sono la mamma di suo figlio e sarà sempre mia fantasia che Alex possa avere i suoi genitori assieme. Figuriamoci se posso improvvisamente, adesso, smettere di sentire il cuore in una centrifuga se penso a lui.

Per fortuna, almeno, ho imparato a nasconderlo: difatti, quando mugugno che spero che si spicci a tornare, Seth e Pansy annuiscono partecipi, non accorgendosi del tremito della mia voce, percettibile solo alle mie orecchie. A quel punto, finito di mangiare, Pansy porta Charisma in una camera al piano di sopra, mentre Seth fa lo stesso con Serenity, dopo di che decidiamo di organizzare al meglio il piano contro i Karkaroff, definendo delle linee guida, almeno fino a quando non tornano Dean e Draco. Ci sediamo in salotto, io con una tazza di tisana che ha l’effetto di calmarmi e di cercare di snebbiare la mente da tutte le cose che potrebbero andare storte, ferendo Alex o peggio. Quando però la tristezza minaccia di sopraffarmi, Pansy fa una battuta divertente o Seth mi stringe meglio la coperta sulle spalle, così da non farmi prendere freddo dato che la febbre non accenna a scendere, ed allora mi sento un pochino meglio. In ogni caso, ad ogni rumore proveniente dall’esterno e che potrebbe tradursi nel ritorno di Draco, mi scopro ancora vogliosa di prendere tempo prima di dirgli di Alex e sospiro di sollievo quando capisco che non è lui, affannandomi nella testa per trovare le parole giuste. Non so davvero se esistano queste fantomatiche parole giuste… anzi… di minuto in minuto, credo di capire che non ci sono parole giuste tra me e Draco, da quando ci siamo conosciuti. Non ci sono mai state. Ergo, sarà meglio che nemmeno ci pensi… dovrà venire da sé. A costo di prendergli il sangue a forza, sibilando solamente che mi serve il sangue del padre di mio figlio. Almeno glielo avrò detto… parlare di come agire con i Karkaroff, paradossalmente, è più semplice. Il mio istinto da ex Capo degli Auror prende il sopravvento, rendendomi più fredda e lucida, mentre analizzo la situazione. Non sappiamo dove sono nascosti, quindi in ogni caso dobbiamo aspettare che siano loro a contattarci, non possiamo pertanto studiare il terreno di scontro e capire bene come affrontarli. Ho solo alcune cose chiare e nette in mente. Primo, usare il ciondolo solo in presenza di Alex, quindi arrivata nel loro nascondiglio. Non posso rischiare che il suo potere non sia sufficiente, se Alex fosse lontano da esso. Secondo, Dean, Pansy e Seth ovviamente restano qui. Non esiste che li metta in pericolo in alcun modo e se questo non è un problema per Seth, che sa di essere d’impiccio essendo babbano, e per Pansy, che è consapevole di dover restare fuori a causa della sua gravidanza, non sarà ugualmente semplice convincere Dean, ma spero che in questo sua moglie sia più persuasiva di quanto potrei essere io. Ed arriviamo all’ultimo ed ovvio punto: con me dovranno venire Ilai e Draco, se non altro perché dovrò fingere in qualche modo che li ho uccisi, altrimenti Dimitri non mi farà nemmeno avvicinare ad Alex. Senza contare che Ilai non rimarrebbe mai fuori da questa storia… e dubito che lo farà anche Draco, specie quando saprà che Alex è suo figlio. Ovviamente, è questo il punto maggiormente difficile da sbrogliare al momento: se so che, sciolto Alex dall’assimilazione con Dimitri, potrei tentare di fuggire o di far fuggire almeno lui, affidandolo o a Draco o ad Ilai, so che sarà difficile farli collaborare pacificamente assieme, vista la situazione complicata di me con ognuno dei due. E, punto non trascurabile, non so praticamente come inscenare la loro morte. Dimitri e Raissa sanno qualsiasi cosa, scoprirebbero subito falle ed inganni di pozioni o incantesimi anche ben congegnati. Sanno tutto quello che è stato scritto da uomo, me l’ha detto Dimitri… come trovare qualcosa di sconosciuto a loro? Mi lambicco il cervello per ore attorno a quella domanda, ma non ne vengo assolutamente a capo. E non vale nemmeno l’aiuto di Dean quando ritorna, lo sguardo acceso, carico di integratori per Pansy che riprende a sbuffare. Quando Seth inizia a sbadigliare e Dean ingiunge a Pansy di andare a letto, che “le neo-mamme devono dormire almeno sette ore a notte”, cosa che gli fa guadagnare una rispostaccia acida sul “se dormissi sempre sette ore a notte, adesso non sarei proprio incinta”, capisco che dobbiamo rimandare la questione a domani. Penso di chiamare Helder ed Harry per chiedere il loro aiuto: la prima ha sottomano il più grande patrimonio non scritto, ossia quello degli Empatici, ed il secondo ha accesso a fonti che sicuramente io non conosco, come i centri di sperimentazione di pozioni. Saluto Dean, Pansy e Seth, rassicurandoli e dicendoli di andare tranquillamente a dormire, mentre io mi stendo sul divano in salotto, scossa dai brividi della febbre che sicuramente ha ripreso a salire. Ma devo aspettare Draco, non c’è verso di rimandare a domani.

Crollo di nuovo in un sonno fragile ed instabile, ogni rumore mi fa rizzare in piedi e la febbre peggiora le cose, dandomi la sensazione di essere sospesa su un vulcano di lava bollente, sebbene i brividi di freddo non mi lascino in pace. Nel buio, ogni ombra nasconde un nuovo terrore per Alex, una nuova ansia al pensiero di non trovare una soluzione o di non riuscire a parlare con Draco. Poco prima dell’alba, fiaccata e distrutta dai dolori alle articolazioni e dalla sensazione di essermi ridotta come un ramoscello secco e bruciacchiato, mi appisolo lievemente, scivolando in un sonno nero e privo di sogni che non mi riposa, ma mi agita soltanto. A calmarmi, giunge solo una carezza fresca sulla mia fronte, che ha l’effetto di placare la mia angoscia, la luce dorata che preme contro le mie palpebre chiuse e sudate. È un tocco delicato, lieve, dolce… come il battito delle ali di una farfalla. Ed è umido, bagnato, infinitamente rilassante e corroborante sulle mie tempie bollenti. Morbido, soffice… nessuna mano potrebbe esserlo, è sicuramente un asciugamano imbevuto d’acqua fresca, che corre lungo le vene del mio sangue a portarmi refrigerio. Respiro profondamente ad occhi chiusi, mentre passa lungo i miei zigomi e giunge a bagnarmi anche le labbra secche e spaccate dal delirio della febbre. Non apro gli occhi, non so se sia perché non ci riesco, o perché non voglio: ed in quel momento che un sospiro più forte, da annegata, sospinge un profumo familiare nelle mie narici, giungendo a farmi capire che non apro gli occhi perché non posso.

Perché, sebbene tutto di me spinga a forzare la resistenza degli occhi serrati, so che nel momento in cui li aprissi, Draco smetterebbe di prendersi cura di me così.

Varrebbe la pena anche solo per vedere i suoi occhi grigi fissi su di me, non furiosi, non arrabbiati, non colmi di livore… ma solo di quel residuo di tenerezza melodiosa che aveva per me, anche sbiadita, scolorita, sporca, contaminata, ma ancora straordinariamente vera e presente. Basterebbe anche solo questo, pure se si allontanasse subito, comprendendo che non sto dormendo, ma che sono sveglia.

Mi basterebbe.

Ma violerebbe le regole non scritte tra me e lui, quelle per cui tutto quello che ci nuota nel cuore davvero, può avere forma solo di tocchi, di sguardi, di fruscii, da poter negare l’attimo dopo. L’attenzione solerte che ha adesso per me, se fossi cosciente o pensasse che lo sia, me la tributerebbe solo se fosse certo al mille per mille che io non la userei come arma contro di lui. E questa mancata ritorsione è accaduta solo dieci giorni della nostra vita assieme, quando ci siamo così fusi l’uno nell’altra da generare un bambino.

Sono troppo orgogliosa per ammettere che respiro davvero, adesso che mi sfiora così. Sono troppo arrabbiata per convincermi che ha sempre l’odore più buono del mondo. Sono troppo addolorata per svegliarmi e sorridergli grata, come se non fosse accaduto nulla. E lui è troppo orgoglioso, arrabbiato ed addolorato a sua volta per leggere meglio il mio respiro affannato, per fare un gesto meno cauto che mi costringa a dismettere la recita, per dire il mio nome con prudenza affinché possa accorgermi di tutto. Si limita a picchiettare con solerzia la mia pelle con la stoffa bagnata, come se non fosse capace di fermarsi, come se in fondo fosse normale farlo, come se non ci fosse altra scelta. Lo sento sospirare a tratti, allontanarsi e bagnare nuovamente il tessuto, per poi tornare a me con nuova cura, diligenza ed attenzione. Ad ogni tocco, la mia pelle assetata ne domanda ancora e, ad ogni tocco, conosce fame e sete nuove, al punto che comprendo ben presto, con un brivido, che non ho necessità di quella acqua seppure piacevole. Ho ancora e sempre necessità che sia lui a farmi questo. Non dovrei, e lo so bene, ma non posso evitarmi di abbandonarmi a questo gesto semplice eppure perfetto.

Che è affetto ed interesse… sebbene sia ad occhi chiusi. Gli occhi aperti, la luce, il sole, la vita ci ricorderebbero troppo, così da non poter essere più naturali e sinceri come eravamo ere fa.

Il buio, il sonno, la luna, la febbre, la stanchezza, gli occhi chiusi… sono la coltre insincera, dove ci concediamo sprazzi di passato per nasconderci al presente.

Draco si prende tutto il tempo del mondo per rinfrescare il mio viso, piano, con gesti misurati e premurosi, prima che ancora lo senta sospirare e sussurrare, la voce bassa che fatico a sentire: “Tu e Radcenko non avete bisogno di alcuna mia benedizione…”, sobbalzo, rendendomi conto che era perfettamente cosciente che fossi sveglia, eppure mi serro nelle spalle e non accenno ad aprire gli occhi, mentre prosegue: “Dubito che ne avresti mai avuto bisogno… e dubito che tu ne abbia bisogno adesso… so di Raissa, so di Dimitri, so tutto… e non posso convincerti ad accettare che io ti aiuti per tuo figlio… se hai bisogno di andare via, fosse anche con lui… fallo e basta. Ma fallo presto… sai come va tra me e te… come va sempre tra me e te…”, sospira ancora profondamente come per prendere fiato e sussurra: “Non possiamo mettere a posto quello che è stato. Eppure fingeremmo di dimenticarcene così da trattenerci l’uno nella vita dell’altra… e poi… alla prima occasione…”.

“… verrebbe tutto fuori daccapo… lo so…” completo io al suo posto, triste, riaprendo finalmente gli occhi e trovandomelo davanti, chino su di me, il fazzoletto bagnato ancora in mano, i capelli biondi spettinati e gli occhi grigi slavati dalla stanchezza. Si siede goffamente per terra, accanto al divano, la testa reclinata all’indietro, guardando il soffitto con espressione distratta, prima di annuire.

“Forse doveva andare così…” sussurro piano, fissando un punto imprecisato alle sue spalle, per fermare le lacrime sotto gli occhi.

“No… non doveva andare così…” dice lui deciso, forte, stringendo i pugni anche se non mi guarda ancora “E’ andata così per i Karkaroff… non posso credere che non ce l’avremmo fatta…”, il suo sguardo torna d’improvviso nel mio, fiero, lucido, spavaldo, mentre aggiunge lapidario: “Io e te… quelli che siamo stati, allora… ce l’avremmo fatta…”.

Annuisco, non sapendo se lo faccio solo per fargli intendere che l’abbia sentito, oppure perché sono d’accordo con lui: cosa importa, in fondo? Lui non mi perdonerà mai per Ilai. Io non lo perdonerò mai per Raissa. Chi se ne frega di quelli che eravamo… ormai non ci siamo più, ugualmente.

“Non che importi, adesso…” riprende, facendo nuovamente scivolare lo sguardo lontano da me e prevedendo il filo dei miei stessi ragionamenti “Credo che quella parte di me… di noi… sia morta e sepolta, ormai… è rimasto solo… il padre di Serenity. E quello che farei per lei… e la madre di Alex…e quello che tu faresti per tuo figlio… tutto filtra da questo. Persino i sentimenti che ho per te, e quelli che tu hai per me… o mi sbaglio?”. Annuisco ancora, dicendomi intanto che in realtà qualcosa di diverso c’è. E passa tutto da quello che lui farebbe per mio figlio… per suo figlio. La consapevolezza che le cose stanno prendendo una piega più definitiva di quelle che dovrebbero avere, mi frastorna d’improvviso, facendomi sentire spossata. Sto salutando intimamente Draco, ma in realtà io non posso ancora farlo, forse non potrò mai, perché è il papà di Alex. Ma lui non lo sa, non lo sa ancora, mi sta giustamente rescindendo dalla sua vita… e non posso permetterglielo, non ancora. E non c’entra il sangue di cui ancora ho bisogno… c’entra Alex, il mio bambino. Qualsiasi cosa accada, comunque vada tra me e Draco, Alex ha bisogno di suo padre. L’ho capito tardi… ma l’ho capito.

“Io devo parlarti… c’è ancora una cosa che devo dirti…” le mie parole mi esplodono in gola, mentre mi tiro ritta a sedere, rompendo la quiete mesta che ci attorniava. Draco sussulta, si rimette dritto e mi guarda in attesa. Ho la gola secca, ma improvvisamente so esattamente che cosa dire. Non penso a me stessa, non penso a Draco. Penso solamente a nostro figlio. Penso che ha bisogno di suo padre. Penso che non voglio e non posso più essere da sola a fargli da genitore. Penso che tutto questo è così maledettamente giusto, a così tanti livelli, che ormai non posso nemmeno concepire l’ombra di un dubbio. Il mio sguardo, che si era inconsapevolmente abbassato sulle mie mani chiuse sulle ginocchia, ritorna alto e cerca gli occhi di Draco, mentre dischiudo le labbra.

Ma non trovo i suoi occhi, bassi dove erano prima, mentre lui era seduto di fronte a me. Si è alzato in piedi, guarda un punto alle mie spalle, stringe i pugni e serra la mascella. La febbre rallenta e di molto, i miei riflessi, perché di primo acchito non capisco che diamine stia guardando: devo persino sbattere le palpebre un paio di volte, per snebbiare la vista. Poi comprendo che sta guardando il camino spento alle mie spalle e mastico maledizioni sottovoce: proprio adesso doveva essere contattato da qualche amico suo? Io e il tempismo abitiamo decisamente in due dimensioni spazio temporali parallele.

Sto già per alzarmi e togliere il disturbo, pronta a tornare dopo, quando lo sguardo di Draco torna nel mio, ed è torbido, teso, preoccupato.

E lì, con un brivido che nulla ha a che vedere con la febbre, mi volto piano su me stessa. Nel camino non è comparsa una testa fiammeggiante, come accade in tutte le comunicazioni tra maghi. È invece comparsa una nebbia perlacea, dalla consistenza più densa del mero fumo, che sta rapidamente invadendo la stanza. Preoccupata mi tiro su a sedere, coprendo il viso con una mano e temendo che si tratti di qualcosa di tossico. Cinque secondi dopo, ne ho la conferma. Ma non si tratta di una tossicità che concerni direttamente i miei polmoni… riguarda, invece, un alto grado di dannosità valevole per la mia intera persona, i miei affetti, la mia anima, il mio corpo, il mio passato, presente e futuro. La nebbia assume la consistenza netta di un muro, e le fogge di una superficie rettangolare, quasi come se si trattasse di un televisore: splende di un bagliore smunto ed intermittente, ronzante, finché vortica in modo sinistro, materializzando due figure che assumono progressiva definizione.

Traballo su me stessa, reggendomi in piedi ed aggrappandomi al bracciolo del divano, gli occhi che mi si fanno lucidi. Mi mordo le labbra, trattenendo le lacrime, che non so se siano d’ansia, di preoccupazione, di dolore, di irritazione dovuta alla nebbia o di febbre. Poco importa, non le devono vedere lo stesso. Draco, alle mie spalle, fa un passo verso di me, mi afferra per un gomito e quasi mi costringe a stare dritta, mentre le figure mi appaiono finalmente limpide. Lo ringrazio mentalmente, mentre lascia cadere il braccio, dopo essersi sincerato che potessi stare in piedi da sola.

“Buongiorno tesoro…” la voce disgustosamente roca di Dimitri mi fa accapponare la pelle, mi chiudo nelle spalle per impedire che se ne accorga. Ha un aspetto più florido del possibile, sembra ben nutrito, riposato e sereno. Tutto il contrario di come sto io… e solamente a causa sua e di sua sorella. Lei, come di consueto, non parla, ha la mascella serrata e lo sguardo rivolto ostinatamente su di lui.

“… e buongiorno anche a te, Malfoy…” sogghigna Dimitri, un tetro scintillio nei beffardi occhi chiari, Draco si irrigidisce ancora di più “Non nego che avrei avuto maggiore soddisfazione a trovarti già in perenne posizione orizzontale… ma almeno possiamo darci agli ultimi convenevoli…”, Dimitri fa una studiata pausa ad effetto prima di aggiungere biecamente: “Non c’è bisogno di ringraziarmi per essere riuscito in ciò in cui fallivi da anni… ossia uccidere gli assassini della Greengrass… ed anche per averti tolto di mezzo l’altra Greengrass… non nego di aver tratto anche del piacere personale da entrambe le situazioni…”. Draco non risponde, resta immobile, non posso guardarlo in viso, ma la tensione che emana il suo corpo la sento persino io che sono davanti a lui.

“Dov’è Alex?” chiedo terrorizzata, guardando Dimitri con odio puro, stringendo le palpebre “Che cosa gli hai fatto?!”.

“Nulla Granger, credimi…” mi rassicura malevolo Dimitri, guardandomi di sbieco “Ho reputato che il miglior modo per far vivere ad Alex questa esperienza, fosse che non la ricordasse affatto… quindi tuo figlio dorme da quando l’abbiamo… prelevato… e come ben ricordi, siamo una sola cosa adesso… domani sera lo saremo definitivamente… quindi, se mangio io, puoi star certa che ne trae anche lui giovamento…”. Un piccolo sospiro mi cattura i polmoni, effettivamente la sola cosa buona di questa dannata assimilazione è che se Dimitri sta bene, sta bene anche Alex. E quel bastardo sembra stare benissimo: quindi anche il mio bambino sta bene. E se sta effettivamente dormendo come dice… non si sarà nemmeno reso conto di nulla. E spero che non se ne renda conto mai… fino a quando non sarò andata a prenderlo…

“Quindi Granger, non essere noiosa…” blatera Dimitri con un gesto noncurante, come se stesse scacciando una mosca molesta, poi, ispirato, soggiunge: “Qui, sta succedendo qualcosa di sommamente più interessante e a cui darei la priorità al momento…”, non capisco di che diamine stia parlando, finché non mi rendo conto che Raissa si è stretta nelle spalle ed ha sollevato lo sguardo lievemente. Un brivido mi fa trasalire, mentre mi volto leggermente e guardo alle mie spalle. Draco ha lo sguardo fisso su di lei, gli occhi di acciaio che la trapassano da parte a parte, l’espressione dura.

“Tu… hai fatto tutto questo… a me?” l’intimità di quella domanda è peggiore di tutte le illazioni fatte mentalmente su di loro, peggio persino delle risposte poco filtrate che ha dato alle mie domande. La confidenza dei pronomi personali, il tono accorato ed incredulo di Draco che, davvero, non ha mai pensato che quella donna potesse fargli del male… mi hanno comprendere in modo fulmineo e poco delicato quanto si sia fidato di lei e quanto ci abbia tenuto a lei. È come uno spiraglio di una vita che queste due persone hanno condiviso per cinque anni: il respiro di questa casa, d’improvviso, sa ancora pesantemente di giorni trascorsi assieme, a spartirsi poca gioia e moltissima sofferenza, mischiate tutte assieme tra le lenzuola della camera da letto. Mi sento estranea, terzo incomodo, cerco di farmi piccola in questa confidenza sussurrata tra queste due persone, mentre Dimitri ridacchia ed io non so nemmeno dove guardare. Alla fine è lui che guardo, Dimitri, perché lui è responsabile anche di questo, anche di farmi stare qui in questo momento, anche di quest’ondata di fuoco liquido che mi scioglie le viscere, inducendomi al pianto.

Draco, senza esitazione alcuna, prosegue con tono spento e volutamente basso, come se stesse cercando di arrivare a qualcosa di ben diverso dalle mere orecchie di Raissa: è come se, a suo modo, stesse cercando di farla rinsavire, ragionare, tornare in sé. Ed ancora sento caldo, un rovente e vorticante incendio allo stomaco. Sa di poterselo permettere, Draco. Sa che lei lo ascolterebbe. Ovviamente, spero che lo faccia, spero che l’ascolti… ma qualora accadesse… avrei ancora una prova ben diversa da un mero rapporto fisico tra loro. E questo, nonostante tutto, farà sempre un male dannato dell’inferno.

Eppure lo lascio fare, chiudo gli occhi, cerco quasi di sparire come se non li volessi disturbare: ho imparato troppo, in poche ore, per permettermi recriminazioni cretine da donna innamorata che mi allontanino ancora di più da mio figlio.

“Tu hai permesso che lui me la portasse via…” pronuncia affannato Draco, non un solo muscolo lascia intendere che stia guardando me e non lei, mi stringo ancora nelle spalle, il fuoco che si placa un pochino, sentendolo ricordarsi di me “Io mi sono fidato di te, da subito… e tu mi hai consolato, aiutato. E sapevi che lei… sapevi che Hermione stava rischiando la vita, e tutto quello che era nelle mani di tuo fratello…”, Draco abbassa ancora di più la voce, ringhiando: “Se le fosse successo qualcosa, se oggi non fosse stata in grado di essere qui, se l’aveste uccisa come avete fatto con la moglie di Radcenko…”, fa una pausa voluta, forte, tonante che ha l’effetto anche di gelare Dimitri, ma Draco scuote il capo come a ricacciare indietro quei pensieri in un punto oscuro dentro, non prima di aver gettato uno sguardo confuso nella mia direzione, come ad accertarsi davvero che io sia qui. Tento un timido sorriso con gli occhi, ma lui volta subito il viso altrove, riprendendo: “… avevate un debito con me. Tu avevi un debito con me… e l’hai saldato, allontanando da me la sola persona che avesse mai contato fino a quel momento nella mia vita…”, ancora rabbrividisco e mi serro nelle spalle, il calore che non so se sia febbre, che mi toglie il fiato e mi azzera la salivazione.

“Ed adesso…” soggiunge stoico Draco, sibilando freddo “Per me non fate alcuna differenza… entrambi... lasciate libero il bambino…prima che vi pentiate tutti e due di esserti mescolati alla mia stramaledetta esistenza…”. Dimitri, ovviamente, non si scompone, ridacchia beffardo e sta per aprire bocca, ma Raissa finalmente solleva lo sguardo, gli occhi verdi corrono prima al mio viso, ritraendosi disgustati, e poi vagano su quello di Draco, mentre aggiunge, ignorando la sua minaccia: “Fino ad una settimana fa… fino a pochi giorni fa… non avrei mai voluto chiamare Dimitri indietro dalla morte falsa, che si era imposto…”, parlano come se non ci fossimo, Dimitri non ne pare disturbato, sghignazza e basta, guardandomi; io, in compenso, non riesco a stare ferma con i piedi, la febbre che rende i miei movimenti fin troppo lenti “… ed anche se l’avessi fatto… tu e Serenity dovevate restare fuori…”. L’aria assente di Raissa torna improvvisamente fin troppo presente, mentre soggiunge digrignando i denti: “Ma lei si è presa Ilai… me l’ha portato via… i-io ho visto come la guardava… Ilai la guarda come guardava Tatia, come non ha mai guardato me, con quell’ansia di uccidersi pur di proteggerla…”, mi stringo nelle spalle, distolgo il viso, come se lei potesse leggerci anche il modo che ha avuto Ilai di baciarmi. Non so se sia lo stesso che aveva con Tatia, e nemmeno mi interessa, ma non vorrei mai che lo intuisse. Draco, alle mie spalle, segue le mie manovre in silenzio, lui che invece difficilmente posso ingannare. Il mio sguardo corre un secondo nel suo, ma è lui a distoglierlo per primo, tornando a Raissa che riprende a parlare: “Ma ho visto anche come lei guardava lui… e come guarda ancora anche te… se non fosse la puttana che è, se si fosse accontentata solo di Ilai… tu almeno saresti stato salvo… ed invece vi vorrebbe entrambi, quella cagna…”, ancora Raissa parla come se io non ci fossi, non mi do pena di rispondere ai suoi patetici insulti, mi basta sapere dove diamine sia mio figlio, ma se non finiscono sto discorso inutile, non posso ovviamente saperlo “… ed io non posso lasciare che abbia né te, né Ilai… si consolerebbe con il superstite, l’aiuterei persino a scegliere… ed invece così non avrà nessuno dei due… come non vi avrò io…”. La rabbia ovviamente mi raggiunge nonostante il velo della prudenza, della disperazione e della febbre, costringendomi a mordermi l’interno della guancia nervosamente, finché non sento il sapore del sangue in bocca. È come benzina sul fuoco quel tono ferrigno sulla lingua: i pugni chiusi lungo i fianchi, mi ritrovo ad urlare stremata prima di rendermene conto: “E tu per punire me, accetteresti anche di ammazzare la persona che dici di amare? E quella con cui hai vissuto per cinque anni? Ed ammesso che ciò non ti convinca… che cosa diamine c’entra mio figlio, sua figlia?! Sei stata con Serenity per cinque anni… ed adesso la priveresti di suo padre?! Che razza di persona sei?!”. Draco alle mie spalle, raggela, come se avessi detto troppo, cosa che mi fa chiedere se non abbia esagerato. Ma, dopo, la pressione gentile che fa con due dita sulla mia schiena mi fa rabbrividire di sollievo.

Dimitri chiude le braccia al petto, divertito, osservando in tralice la sorella, come ad aspettarsi la prossima battuta nel dramma che stiamo mettendo in scena per suo esclusivo divertimento. Raissa non si scompone minimamente, ha un’aria folle ed allucinata che non le ho mai visto. È come se davvero avesse perso ogni cognizione del reale. Sussurra solamente: “Se Serenity resterà sola… sarò io a farle da madre… come in fondo Draco voleva…”, le dita di lui, sulla mia schiena, tremano piano, come se d’improvviso e finalmente abbia capito con chi diamine abbia a che fare. I suoi occhi perdono la sfumatura quieta della diplomazia che aveva assunto, perdono ogni accenno tenero di affetto verso quella donna e si spalancano nervosamente, comprendendo quanto i Karkaroff abbiano in comune tra loro. Qualsiasi ostacolo ai loro obiettivi, deve morire… e, in modo diverso, sono io il loro obiettivo. Lui, Ilai, Alex e persino Serenity… sono inciampi trascurabili. Saranno soddisfatti solo quando sarò distrutta, marcia, morta, ma di Dimitri. La mano di Draco abbandona la mia schiena, si serra a pugno e resta sospesa lungo il fianco.

“… e in quanto al bambino…” prosegue Raissa monotona, come se stesse semplicemente organizzando una gita al mare “Te lo potrai pure tenere, Granger… se fai esattamente quello che ti abbiamo chiesto…”. Per un folle e sconsiderato attimo, mi immagino in un castello nero, colmo di morte ed odio, a crescere mio figlio assieme a Dimitri. È la cosa più orribile e sciagurata che abbia mai immaginato, non posso pensare che ci credano sul serio. Ma è così e me ne dà conferma Dimitri cinque secondi dopo, aggiungendo casuale: “Il bambino, poi, non è nemmeno fastidioso… credimi, Granger, mi sono anche ricreduto sul tuo moccioso, sembra un bambino intelligente e sveglio… era decisamente più odioso quando era nel tuo grembo, con quella stramaledetta barriera magica… ma non ci conoscevamo ancora, adesso siamo una cosa sola… andremo davvero d’accordo…”.

“Sei ancora più pazzo di quanto non pensassi se sei arrivato persino a concepire una cosa del genere…” mormoro a denti stretti, facendo un passo che spero suoni come minaccioso, sebbene nella febbre è molto più traballante di quello che vorrei “Mi riprenderò mio figlio… e la farò finita con voi due, una volta per tutte…”. Dimitri ovviamente non si scompone, scuote il capo come farebbe un fratello maggiore che deve sempre sopportare i capricci della sorellina e mormora con voce annoiata: “Domani sera, l’assimilazione diventerà definitiva… a meno che tu non mi porti i cadaveri di Radcenko e Malfoy… ed allora finalmente sarà finita sul serio…”. Digrigno i denti, nella testa rincorro già la soluzione al problema di ingannarlo sui corpi di Ilai e Draco e divento cieca e sorda del mondo circostante, al punto che non mi accorgo subito che è calato uno strano ed inquieto silenzio nervoso, di cui non capisco l’origine e il motivo. Sollevo lo sguardo nebuloso e mi rendo conto che Raissa è ferma, immobile, gli occhi sbarrati ed incuriositi: ha persino un singulto sinistro di gioia, che le trasfigura il viso di una luce cattiva che subito mi dà i brividi lungo la schiena. Dà una gomitata quieta a Dimitri, che segue la direzione del suo sguardo, e sorride a sua volta, divertito, stupito, autenticamente felice. Aggrotto la fronte, non capendo e, sebbene tenti di seguire la direzione del loro sguardo, non mi sembra che ci sia granché di nuovo nella stanza. Poi Dimitri scoppia a ridere senza ritegno, ottenendo di farmi ancora di più innervosire, così che automaticamente apro bocca per vomitargli addosso una serie di insulti e bestemmie, che però mi muoiono in gola. Perché lui, con calma e divertimento, mentre persino Raissa si trattiene dallo scoppiare a ridere, dice perfido: “Sai che c’è, Granger? Voglio essere generoso… portami solo il cadavere di Radcenko…”, lo guardo senza capire, comprendendo che deve essere successo qualcosa che, nel delirio della febbre, mi è evidentemente sfuggito. Mi sento così idiota che sto quasi per chiedere il perché, ma poi di istinto, guardo la schiena di Draco, grata che lui possa essere in salvo e possa restare fuori da questa storia. E gelo su me stessa.

La sua schiena è contratta, la maglia appare sudata e ha i pugni stretti così forte lungo i fianchi, che piccole gocce di sangue franano al suolo. Sto già per correre verso di lui, quando un’aura di colore nerastro attorno al suo corpo mi avvisa che probabilmente non riuscirei a toccarlo. Sembra… elettricità pura. Che diamine sta succedendo? Gli hanno fatto… qualcosa? Ma non ho visto nulla, non gli hanno nemmeno rivolto la parola… è lui… che sta reagendo, così. Ma a cosa, diamine? Non c’era già abbastanza da essere furioso? Ripercorro mentalmente le ultime fasi della conversazione, cercando qualcosa che non so, ed arrivo alla soluzione nello stesso momento in cui Dimitri, prima di sparire, sibila dolciastro: “Non ti perdonerà mai, Granger… tanto vale che resti vivo ad odiarti per sempre…”.

La nebbia si dirada come era nata, spegnendosi con le risate sguaiate di Dimitri e Raissa: ma il gelo nella stanza non passa, l’aura di Draco non passa, i suoi capelli ondeggiano di potere nero come se fosse immerso nell’acqua. Non riesco a guardargli il viso, non so che espressione abbia, terrorizzata mi rendo conto che forse non lo voglio sapere. Mi sta facendo autenticamente paura, davvero… e cerco immediatamente di farmi vicina, di parlare, di spiegare. Ma lui, con un solo singolo e flessuoso movimento della bacchetta, dopo aver pronunciato un irato: “Silencio!”, tronca la mia voce in gola. Ricado seduta al suolo per il forte contraccolpo dell’incantesimo, stringendo una mano sul collo: non ha mai usato un incantesimo contro di me, mai. E mai, con quella voce… come si trattenesse dall’uccidermi. È quello, forse, a lasciarmi seduta inerme al suolo, senza tentare la benché minima reazione, senza provare a forzare l’incantesimo. Non saprei nemmeno che dire.

Ormai… nemmeno importa più.

Dimitri ha accennato che ero incinta di Alex quando ero nel suo castello... cinque anni fa…

Draco, davanti a me, la bacchetta quasi spezzata tra le dita nervose, pronuncia un altro feroce incantesimo che fa sollevare la carta da parati della parete di fronte, che esplode in mille pezzi, soffiando polvere sul mio viso. Sulla parete, dietro la carta spezzata, emerge un ritratto dalla cornice antica e rovinata: una donna dall’aspetto nobile, gli occhi azzurri stropicciati dal sonno e una lunga massa di capelli corvini. Draco le si rivolge inquieto, la voce tenuta faticosamente normale dal tono di voce urlato che vorrebbe sputare fuori: “Nonna! Il tuo quadro… il tuo quadro a Grimmuald place… accanto all’arazzo dei Black… voglio che tu vada lì! Gli ultimi nomi dell’albero genealogico… leggimeli!”. Quella che adesso ho riconosciuto come la nonna materna di Draco, Druella Rosier, sparisce dopo aver fatto un vezzoso inchino, lasciando la cornice vuota. Attonita, cerco di liberarmi dall’incantesimo, perché non posso sopportarlo, non posso sopportare che accada così, non posso permettere che succeda così… e dovrei essere io, adesso, a togliergli i dubbi, persino quello infamante che, cinque anni fa, ero incinta di un altro uomo. Piango ed apro la bocca come uno stupido pesce rosso in una boccia, Draco che non si gira e volta affatto, lo sento solo digrignare i denti nell’attesa, come se li stesse per spaccare. Si muove solo quando mi vede alzarmi in piedi, e tentare di arrivare verso di lui: rapido, letale, veloce, mi costringe con un altro movimento della bacchetta al suolo, facendo esplodere una scarica di luce violetta contro il mio petto. Le mie costole tremano affannate, il fragore attira anche gli altri, li sento scendere le scale ma Draco, furioso, gli occhi ciechi, pronuncia un Colloportus così forte, che la porta sembra quasi staccarsi dai cardini. Finalmente lo guardo in viso: grosse gocce di sudore gli imperlano la fronte, le pupille sono dilatate e ricacciano l’aura grigia verso il fondo degli occhi, le labbra sono violacee e serrate, il respiro convulso, i capelli biondi ancora ondeggiano di potere represso. Mi getta una sola singola occhiata, mentre giaccio inerme ai suoi piedi, tenendomi il petto dolorante con una mano, e non è pena, dispiacere, dolore o confusione. È solo rabbia, disgustata, livorosa, rancorosa, che mi farebbe a pezzi, se potesse. Nemmeno quando pensava che fossi l’omertosa complice dell’omicidio dei suoi, o di Helena, mi guardava così… e scopro che fa così male, da farmi desiderare di morire all’istante, in sfregio persino ad Alex, in sfregio al mio orgoglio, in sfregio a tutto. Piango disperata, senza poter emettere un solo suono, l’incantesimo che mi blocca anche a causa della febbre, ed ogni parola si putrefà nella faringe, trasformandosi in una cascata di odiosi cristalli di sale che scartavetrano la gola, facendola sanguinare di offesa e di umiliazione, oltre che di sofferenza e tristezza.

Quando Druella Rosier torna, ha anche lei l’espressione disgustata: guarda il nipote con astio, tenendosi un fazzoletto ricamato sulle narici come se avvertisse un fetido odore di fogna.

“Di chi sono gli ultimi nomi, nonna?!” scoppia Draco come se non ne potesse più, il vaso sul tavolino accanto a lui esplode in mille pezzi, mi proteggo il viso dai frammenti di vetro.

“Di traditori del loro sangue, di feccia, di mezzosangue che inzozzano la nostra purezza di stirpe…” piange Druella, guardando biecamente Draco che, ansimando, urla di nuovo, incendiando la tenda: “Di chi sono i nomi?!”. Druella sembra spaventata, assume un colorito bianco ed esita, poi, terrorizzata, sputa fuori due nomi, prima di sparire nel paesaggio bucolico alle sue spalle.

“Teddy Lupin, nipote di quella sciagurata di Andromeda… ed Alexander Leo Malfoy, nipote della mia piccola Cissy… e figlio tuo e della Sanguesporco Granger…”.

Tutta l’aria, tutto l’ossigeno viene succhiato via dalla stanza, sostituito da un qualcosa di acquoso, viscido, denso come gli abissi di un oceano morto: qualcosa che rallenta i movimenti, qualcosa che rende tutto soffuso ed oscuro ai miei occhi, qualcosa che fa pulsare dolorosamente un punto fiammeggiante sopra il mio seno sinistro. Ed allora, forse, non è solo l’aria che manca, non è solo il cervello che annaspa, chiedendo qualcosa che non ha più e che probabilmente non avrà mai – l’aria limpida, serena, pulita, come se tutto fosse a posto - : forse allora, è il tempo stesso che se ne vola fuori, assieme alla vita, al delirio dell’esistenza, alla cognizione di chi siamo e di che cosa vogliamo, divento piatta come un foglio di carta, devitalizzata come un embrione abortito, secca come una foglia d’autunno. Tutto si atrofizza, tutto resta immoto per qualche secondo, amaro come un limone mangiato in modo improvvido e sleale, che annienta il senso del gusto per sempre.

Una nuvola abbatte il sole, lo cancella, le pareti si rivestono di piombo e sembriamo chiusi dentro una cassaforte in fondo al mare, come l’esperimento di un mago escapologo.

Ma fuga non c’è: è la fine, perché la fine si annuncia, bussa, sparge segni come semi al vento che ti soffiano in viso, costringendoti a chiudere gli occhi. E se anche non vedi, senti e sai, lo sai che alla fine stai arrivando, perché il cuore si fa pesante tra le costole, diventa d’improvviso così rovinosamente greve che ti schizza fuori il poco respiro che raccatti in una stanza che sa di piombo e di acqua sporca. Io, questa fine l’ho costruita pezzo dopo pezzo, l’ho ricamata come la tela di un arazzo da guardare con spasmodica attenzione tronfia, calibrando il colore di ogni filo e recidendo ogni fibra che mi tenesse ancorata a qualcosa che stridesse con la fine stessa. Da quando sono entrata qui, l’avrei voluta mia questa fine, l’avrei voluta tenere stretta tra le mani così da conoscerne foggia e forma e non poterla confondere con null’altro, né con una pausa di riflessione, né con un moto di pigrizia emotiva, né con un spasimo di orgoglio funereo. L’avrei voluta decisa e spontanea, ineluttabile eppure convinta, con quell’ombra soffusa di speranza che solo il tempo sa risolvere e rivoltare, rivelandola come un retaggio d’abitudine o un autentico investimento nel futuro. Ma io, che sono quella dell’essere responsabili delle proprie azioni, quella che ponteggia sul libero arbitrio, quella che “se vuoi qualcosa, la fai”, quella de “le coincidenze non esistono”, ecco quella… mi ritrovo a subire la fine, senza che l’abbia innescata, senza che l’abbia vista arrivare. E la subisco anche fisicamente perché resto seduta per terra, senza voce, il labbro spaccato. Debole, sconfitta e vinta che, se ci fosse Dio, gli chiederei il motivo di tante elaborate punizioni e se mi rispondesse che ne avrò ricompensa, direi che ricompensa e premio non c’è. Perché tutto mi è tolto, tutto mi è rubato come se io non me lo fossi nemmeno dovuto drappeggiare addosso, che forse vivo la vita di un’altra ed allora me la strappano pezzo a pezzo.

Forse vivo l’amore che doveva essere di Helena, forse vivo la maternità che doveva essere di Tatia: quindi, adesso, se le vengono a prendere con gli interessi.

E allora strappatemele tutte, dannate streghe, ed è all’inferno che marcite perché nessun Dio potrebbe volere questo: strappatemi via ogni goccia stupida di amore per quest’uomo, fate che ne abbia emorragia, tiratemelo fuori dal sangue, dal petto, dall’anima, dal respiro, dal fiato, dal ricordo, e fate un lavoro certosino, preciso, lungo, accurato. Strappatemelo dalle unghie, che non mi ci aggrappi più, che non diventi amicizia, stima, tenerezza, imbarazzo, perché deve bruciare come l’inferno che vi brucia, perché solo così abbiamo pace, odiandoci ed uccidendoci. E strappatemi l’amore di madre, perché mio figlio merita tutto, merita altro che non sono io, e di errori ne ho troppi, decine, migliaia di cui presentare il conto. E sarà salato, salatissimo… ed allora che sia salvo mio figlio, il mio bambino, ma che non sia con me, che vi prendiate tutto di me e io che possa restare involucro nella terra, a dormire, a riposare finalmente, a giacere illibata e vergine in una tomba di nulla, perché è troppo sfiancante andare avanti, ed in questo corpo forza non ce n’è più. Me l’avete drenata dal corpo: ed allora… adesso… posso riposare ora?

L’orgoglio, per primo, ha subito la fine: non mi riesco ad alzare da terra, non mi sforzo di parlare, guardo solo le mie ginocchia, provando solamente ad escludere dalla mia mente che cosa possa provare Draco. Non sapevo ancora che parole avrei usato, probabilmente avrebbe avuto comunque un colpo... ma avrei cercato ogni balsamo per lenirlo. Posso odiare il Draco che amo e che mi ha sostituito tre mesi dopo che ero sparita… ma non avrei mai odiato il padre della cosa che amo di più al mondo. Ma lui, adesso, non ha avuto alcuno schermo: la verità è stata fango, limo, sabbia, buttate in faccia a schiacciargli il fiato, accompagnate poi da una turba di pensieri neri che posso solo intuire. Con la coda dell’occhio, mi accorgo che Draco, d’improvviso, ha ripreso a muoversi come un animale in gabbia, l’aura ghiacciata che ancora gli gravida attorno, i pugni serrati lungo i fianchi ed un’espressione stralunata che non gli ho mai visto. I nostri amici continuano a bussare alla porta, ma non raggiungono le sue orecchie. Misura a grandi passi la stanza, pazzo, feroce, animalesco, ripetendo tra le labbra: “E’ mio figlio. E’ mio figlio. E’ mio figlio”. E, ad ogni passo, ad ogni invocazione, ad ogni movimento dei piedi, prende qualcosa che infrange violentemente al suolo: un vaso colmo di peonie bianche e rosa, una cornice con una foto di Serenity, un soprammobile di un viaggio a Londra… un ricordo, uno slancio di passione, un monito di tenerezza, un singulto di perdono: rovinano pezzi di vita sul pavimento, infranti dalla sua furia cieca, e non faccio nulla per spostarmi dalla loro traiettoria. Distrugge tutto di quella vita serena, da rivista d’arredamento, che tanto avevo invidiato entrando qui: come se bruciasse su una pira quello che è stato fino ad ora. Sembra godere nel calpestare frammenti e pezzi di carta, finemente, fino a ridurli ad una polvere sottile ed apparentemente innocua. Si porta spesso le mani nei capelli, si morde il labbro, calcia con violenza sedie e tavoli, ma mai guarda verso di me.

Perché ora è il sangue che ti spinge: il sangue del padre, vero?

Chi abitava in questa casa, nonostante tutto, era sempre Danny Ryan: magari più tranquillo, riconciliato, felice. Ma di quel riflesso, tu hai preso in prestito sembianze di calma, che non hai mai posseduto ed, alla fine, avevi fatto così finta di essere lui che lo sei diventato sul serio. Avevi la sua mente tersa, banale, concentrata su un oggi patinato di gioia rafferma. E ci hai creduto sul serio: hai appeso foto di un passato che potevi ignorare, hai cresciuto una bambina, ti sei persino detto che andavi avanti perché stavi con Raissa. Poi sono entrata io… e sei tornato Draco, il mio Draco, che ha il cuore spremuto dall’amore e che cerca di mettere a tacere con l’ironia sbruffona; che confonde l’odio con l’adorazione, che di me tutto odi e disprezzi, e tutto poi ami e idolatri. E Draco conosce gelosia, passione, rabbia, e le mescola tutte assieme, in un calderone che ucciderebbe altri, ma non smuove te, che hai il cuore allenato a sopportare il quadruplo delle reazioni umane. Draco, lui sì, che poteva anche accettare che oggi fosse la fine… perché in fondo è generoso come nulla, e mi avrebbe lasciato andare. Io amo Draco, disprezzo Danny Ryan… ed odio Malfoy. Ed ora, io ti ho fatto tornare Malfoy, quello che magari tu stesso eri convinto che non ci fosse più… ma invece c’era, è un legame che si nutre di placenta ed orgoglio genitoriale, rinsaldandoti alla stirpe marcia che ti porti dentro.

E, sebbene padre lo sei già… Serenity non è tua. E’ libera di amarti o no… è legata non dal sangue, ma dall’amore… e quello è Draco.

Di Alex avresti avuto prima dell’amore, sangue, orgoglio, rispetto… ti avrebbe fatto nascere padre come padre nacque Lucius Malfoy.

Purosangue, traditore, fariseo, becero doppiogiochista… che del sangue vive e del sangue, ora, ha un riflesso sconfessato e scoperto per caso. È il sangue che chiama adesso.

Sei un Malfoy, a cui hanno tenuto nascosto un figlio.

Non c’è essere più pericoloso, cattivo ed imprevedibile nell’intero Universo.

Repentinamente, Draco si ferma immobile nella stanza e scoppia a ridere in modo così stridente e folle, da farmi accapponare la pelle. Si piega in due, ma intanto continua a calciare oggetti sparsi.

Non ho paura, di lui. Non devo averne.

Ancora non mi guarda, si rivolge all’aria stantia che ci circonda, come se non esistessi, come se fossi evaporata qualche istante fa e lui parlasse ad una sgradita ospite lontana della memoria: “Non ha detto la sua età. Non l’ha descritto. Non ha detto nemmeno il suo nome completo… Leo fa persino di secondo nome…”, ancora gli sfugge una risata astiosa, denigratoria, che vede in quel piccolo gesto che io volevo come legame, solo un ulteriore beffa a suo danno. Difatti commenta: “Il contentino, certo…”, insegue frotte di pensieri lugubri, mentre ancora fa avanti ed indietro: “Ne ha parlato da quando è entrata qui, non voleva che l’aiutassi, voleva che stessi lontano da… da mio figlio…”. Quell’aggettivo possessivo, lo pronuncia con voce dolente e tremante, è un delirio incosciente, un rantolo da ubriaco che conosce sintassi scomposta e pause nevrotiche. Ha perso completamente il controllo… lui, che il controllo non lo perde mai. Rabbrividisco ancora, mentre prosegue con voce più sottile, guardandomi in tralice, una smorfia di ribrezzo che gli deforma il viso: “Sei stata furba, eh, Granger? Peccato che Karkaroff abbia parlato… peccato, davvero… avrei pensato per sempre che tuo figlio fosse davvero solo tuo, fosse davvero una scopata occasionale…”, la sua voce improvvisamente si alza di tono, chiude i pugni e mi affronta a muso duro, gridandomi contro: “Me lo avresti tenuto nascosto per sempre, vero?! L’avresti persino spinto ad odiarmi, perché mi facevo quella che l’ha rapito, vero?!”, frustrato, afferra la bacchetta e la punta nella mia direzione, tremo come se davvero temessi che possa uccidermi, mentre invece si limita ad urlare minaccioso: “PARLA, dannazione!”. Un’ondata di calore mi avvolge la gola, mentre riacquisto l’uso della parola. Lo guardo come non credo di averlo mai guardato, perché mai nella vita, sin dalla preistoria di Hogwarts e sin dai tempi della guerra, ho associato tanti aggettivi negativi e terrorizzanti sulla sua persona. Mi sforzo mentalmente di rintuzzare orgoglio e coraggio, come farei di una brace addormentata punzecchiata con un bastone: cerco vie e strade inesplorate, sentieri impervi che mi facciano risorgere me stessa da questo involto tremolante che sembro essere diventata. Ma non c’è verso: non posso richiamarmi alla ragazzina di scuola, che intimamente riteneva di essere migliore di lui per merito e destino; non posso appoggiarmi all’eroina di guerra, che magnanima accettava supponente un traditore che veniva dalla sua parte; non posso nemmeno rifarmi alla donna innamorata che mai avrebbe permesso che lui mi parlasse ed usasse così, perché quella donna l’ho talmente seppellita ed uccisa per far posto solo alla mamma di Alex, che ormai non so manco dove sia. E la donna che non sa che prova per Ilai, è ancora maledettamente debole, perché brandisca quel sentimento nebuloso come una spada ed un bastone ed un sostegno. C’è solo la madre di Alex, adesso, e quella, senza suo figlio, basta un alito di vento per spezzarla e portarsela via.

La mia voce, pigolante, gracchiante, terribilmente somigliante al peggiore dei miei peggiori incubi, squittisce, mentre cerco a fatica di alzarmi in piedi: “I-io… io te lo stavo dicendo… poco fa, ricordi… ti ho detto che ti dovevo p-parlare…”. Sono parole nate deformi, nate già handicappate, quando escono dalle mie labbra, e suonano come suonerebbero degli sgraziati fracassi prodotti da utensili inutili. E difatti Draco, lo sguardo cieco di furia, non perde un secondo per interrompermi, contraddicendomi. La sua voce non è come la mia, è dura, forte, urlata, come mai è stata.

Il padre di Alex e Draco Malfoy non hanno quasi nulla in comune. Stessa cosa per la madre di Alex ed Hermione Granger.

Forse… non torneremo mai noi stessi.

Chiudo gli occhi inconsciamente, mentre Draco mi urla addosso: “Quando, eh? Quando? Dieci minuti fa? Sei qui tra ventiquattro stramaledette ore… ed abbiamo parlato di tutto, DI TUTTO, tranne che di questo… mi sono dovuto sentire per ore le menate su te e Radcenko, Weasley, Thomas o chi cavolo ti fai al momento! E non ti è passato per la testa di dirmi che il figlio di cui parlassi, era anche mio?! Dovevi dirmelo appena entrata! Ed invece no…”, si ferma, prende fiato, si massaggia stanco la tempia e riprende, la voce più malevola: “E’ stata tutta elusione continua, ci hai girato attorno, ecco che cosa cazzo mi stavi tenendo nascosto, ecco che cosa evitava di dire Seth, Pansy… hai costretto anche a loro a mentirmi!”.

“Non dire sciocchezze!” qualcosa di me stessa rispunta fuori, come un raggio di sole nell’abisso nero dell’oceano, ma è ancora poco, ancora poco, ancora gracchia insopportabilmente la mia voce “Sapevano che era una scelta mia, che ero io che dovevo…”.

“Fare, cosa? Eh? Cosa?! Dirmelo quando ti aggradava, dirmi che mio figlio è in pericolo e io non so nemmeno di avercelo un figlio?!” è senza controllo, senza freno, mi interrompe ancora e so che ha ragione, so che avrà sempre ragione “T-tu… mi hai guardato negli occhi, hai detto di essere sincera… e non mi hai detto tutto questo?! Tu dovevi tornare da me cinque anni fa, appena hai scoperto di aspettare il mio di figlio!”. Si avvicina minaccioso a me, il volto trasfigurato dall’ira che sembra la maschera cattiva di un demone da teatro, colma di rosso e nero e di lineamenti luciferini, rabbrividisco e gemo, come se temessi ed aspettassi il colpo fatale. Ma lui mi afferra per le spalle, mi scuote violentemente, la febbre mi fa sentire tutto triplicato e mi fa a pezzi il cuore, sbriciolandolo del tutto. Grida a muso duro, ad un bacio dal mio volto: “Nessuno ti dava il diritto di scegliere per il mio di figlio!”.

È quella improvvisa vicinanza che quasi mi sveglia, mi tramortisce, mi acceca: pensare che, quando due persone sono così vicine, quando si sono amate, si colma il sangue del desiderio di un bacio. Lo scopro ancora nel fondo di me stessa, è simile ad una piccola fiammella rosata che mai sarà spenta, nemmeno da questa conversazione. È come afferrare il filo e procedere a ritroso fuori da un labirinto, recuperando ad ogni passo ed ostacolo superato, una parte di me stessa, di lui e di quelli che siamo stati assieme. Recupero ricordi e forza d’improvviso, tanto per persino la febbre mi sembra sopportabile, diventa una carezza fresca. Io ho cresciuto mio figlio, nostro figlio, nell’amore: quello che ho dato a lui, quello che lui ha dato a me, quello che gli ho sempre detto che l’ha forgiato. Dentro di me, per mesi, hanno battuto due cuori, come se davvero si volesse triplicare e moltiplicare l’amore. Il mio è un cuore piccolo, rugoso, colmo di imperfezioni e rughe. Il cuore di mio figlio era ed è, dentro di me, luminoso, chiaro, circondato da un’aura di fiducia smisurata nel mondo e nella vita, da un’allegria scanzonata, da una sorridente vivacità. Ora, adesso, lo sento ancora nel ventre quel battito lontano. Ed esso mi riporta sulla retta via, come l’ago di una bussola: l’amore che ispira anche solo il ricordo di un bacio, nutrendosi di un’ostile vicinanza… l’amore che fa battere due cuori nello stesso corpo fallace di una donna… è lo stesso amore che ha messo al mondo quel figlio, che Draco adesso rivendica come suo. L’amore non sbaglia mai. Furia e fuoco nelle ossa, ammetto con me stessa di aver potuto sbagliare come amante, come moglie finta, come donna imperfetta… ma non come mamma. Ho strattonato ogni parte di me stessa per essere la migliore delle madri, ed il migliore surrogato di un padre.

Posso accettare il rimprovero alla mia me stessa innamorata, quella che tiranneggia quest’uomo, quella che non perdona che sia stato con un’altra, quella che nutre sentimenti confusi per Ilai, quella che non è mai sicura e che odia ed ama assieme, e posso condannarla per aver prevalso quando sono entrata qui dentro, e per avermi tappato la bocca nel parlare con Draco… se lui mi rimprovera di non avergli detto di Alex appena sono entrata, ha ragione. E ne avrà sempre. Non avrò mai sufficienti scuse a riguardo. Ma non può nemmeno osare fiatare su questi cinque anni. Una sola imperfezione non cancella quella che sono stata per cinque anni: non cancella che un minuscolo frammento di merito nel modo in cui sia venuto su mio figlio, sia anche mio. Non cancella che mio figlio sia cresciuto sereno e felice, per quanto era possibile, sebbene sostanzialmente prigioniero. Non cancella che io, adesso, sempre… farei qualsiasi cosa, anche morire, anche uccidere, anche rinunciare a lui, per averlo in salvo.

La colpa dell’amante, non cancella le scelte della madre.

Nemmeno se provasse a cancellarle il padre di mio figlio. Specie se mi rimprovera di non essere tornata cinque anni fa.

Finalmente la mia spina dorsale torna dritta, raddrizzo la schiena, le guance si asciugano e il coraggio risorge, mostruoso e terribile. Lui mi guarda sbattendo le palpebre, in questo infinito gioco di parti di teatro sembra Draco per un attimo, e non più Malfoy, gli occhi sono meno neri, e più grigi, meno grigi e più azzurri.  Mi divincolo dalla sua presa sulle mie spalle, lo guardo socchiudendo gli occhi ed urlo a mia volta, la voce adesso finalmente somigliante alla mia: “Mi hai sentito almeno quando ho parlato, prima?! Hai capito che cosa diamine mi è successo?!”, glielo chiedo davvero come se davvero non avesse capito, e lui davvero per un attimo sgrana gli occhi, ci sono tante dimensioni del non dire e del solo sentire tra me e lui, che è autentico stupore che si mescola all’ira nei suoi occhi. Questo rende la mia voce più bassa mentre proseguo, ma non meno amara, confondendosi con un accenno indistinto di pianto: “Scusami tanto se mentre ero imprigionata nel castello di Dimitri, non ti ho potuto immediatamente chiamare per appendere il fiocco azzurro dietro la porta… l’ho scoperto nella peggiore delle maniere, buttata in una cella polverosa, con un ragazzo che avevo condannato all’immobilità accanto e con il pensiero di dover partorire lì… e se ben ricordo, non credo nemmeno che avessimo propriamente programmato la cosa…”, lo sguardo di Draco si tinge di qualcosa di caldo e tiepido, che però fa scomparire immediatamente sotto le palpebre, mentre mi affanno a continuare: “E scusami se i primi tre mesi della mia gravidanza fossi in coma, in Italia, non propriamente in grado di prendere telefono e carta da lettera e scrivere ad una persona che, peraltro, era scomparsa per tutti…!”. Abbasso il viso, frenando il rigurgito da innamorata che lo accuserebbe ancora di essere andato a letto con Raissa quando io ero in coma ed incinta, poi, quando sono certa di stare ferma con le parole sgradite, continuo a voce ferma: “E scusami ancora se ho pensato prima di tutto ad Alex, lasciando che crescesse in Italia, fino a quando non sapessimo che fosse al sicuro… e nonostante tutto vedi come è andata…”, devo ancora distogliere lo sguardo per impedirmi di piangere, aggiungendo casuale: “Astoria voleva per sé il figlio di un Malfoy, era assurdamente convinta che tu l’avresti voluta indietro se ti avesse fatto credere di aver partorito lei Alex… credi che io potessi tornare con questo pensiero? Credi che l’avrei messo in pericolo… per, cosa, poi? Non avevo nessuna certezza, nessuna garanzia che tu…”, le parole si sfaldano e vengono seguite da un silenzio pesante che odio, perché è colmo di ogni sciocca speranza lercia che avevo di mettere su una vera famiglia, quando l’avessi trovato. Lo rompo questo silenzio odioso, tornando a guardarlo e gridando a pugni chiusi: “Ho pensato solo a proteggere mio figlio!”.

Draco, quando mi volto, ha un singulto deciso negli occhi chiari che non intendo appieno e non intendo subito: per un attimo sembra rammarico, rimorso, e sono sensazioni tutto sommato dolci, retaggio restio di un amore che forse ancora prova per me. Ma anche in lui, l’amante ha vita da farfalla: dura un battito d’ali e muore. Il padre è più forte. Serra la mascella, acquisendo altre cose che gli avevo omesso come la minaccia costituita da Astoria, ma evita ulteriori recriminazioni. Il torto di non avergli detto di Alex assorbe tutto, tanto lo ritiene grave. Infatti si limita a guardarmi con ferocia, masticando: “Hai pensato, nella tua contorta e discutibile maniera, a proteggere nostro figlio… smettila immediatamente con questa smania di possesso”.

La rabbia scaccia la diplomazia ed il tatto, ed improvvisamente esplodo, senza il benché minimo controllo, ringraziando che Alex non sia qui adesso, ringraziando che posso urlare contro quest’uomo che di mio figlio ha solo sangue ed occhi, ma nulla del suo cuore, della sua gentilezza, di quel battito regolare che mi batte nel ventre. Lascio che il fiume di parole mi dreni e mi lasci esanime, ma che mi impedisca di implodere in me stessa: “Smania di possesso?! Ma ti senti?! Sei padre da quanto, cinque minuti, e già ti vuoi immischiare in quella che è la sua vita, le mie scelte, le mie decisioni?! Io l’ho cresciuto, io gli ho insegnato a camminare, a parlare, a leggere… io ho fatto di tutto perché non soffrisse, perché sapesse di avere un padre che non poteva stare con lui… perché non ti odiasse, ma anzi chiedesse di te, ti volesse bene, ti cercasse…”, ogni parola che mi ero arenata dentro, ogni mezza verità che avevo prima scioccamente taciuto, adesso, diventa piena, completa, assoluta, mentre ancora piango sotto il suo sguardo indecifrabile: “Ho avuto Ron vicino per cinque anni, e potevo anche non tornare mai più… eppure mai ho permesso che pensasse a lui come padre, perché eri tu suo padre, sei tu suo padre… non permetterti di giudicare le mie scelte, le mie decisioni, riguardo a MIO figlio, non te lo permetto! Specie tu che…”. Ancora mi devo trattenere per non vomitare fuori quello che penso, per lasciare ancora fuori lui e Raissa, ma stavolta purtroppo lui se ne accorge e mi ingiunge duramente, fronteggiandomi: “Io che? Io che? Dai finisci, finisci… io che mi sbattevo Raissa?! Io che mi sono fatto per cinque anni quella che l’ha rapito? Questo stai dicendo, questo?! E dai, sputalo fuori, aggiungiamoci altro schifo a sto calderone che siamo diventati io e te… perché questo siamo diventati io e te… uno schifo…! Quello che adesso tu hai magicamente reso me e tutto quello che siamo stati…”.

“Io?!” sbotto sconvolta, guardandolo ad occhi sbarrati, mentre Draco, come se di nuovo la rabbia minacciasse di sopraffarlo e tentasse un rimedio qualunque, inizia a camminare nervosamente per la stanza, avanzando tra frammenti di vetro e cocci vari, non guardandomi più in faccia: “Tu, sì, tu… tu ci hai reso questo schifo. Tu… con queste tue scelte… ma il bello… è che io non sono migliore di te. Io ho scelto in questi anni, ho fatto una scelta per salvare mia figlia, per tenermi Serenity… ho tenuto qui Raissa, per salvare mia figlia… e così ho condannato Alex, perché se avessi buttato per strada quella dannata stronza, tutto questo non sarebbe successo…”, si accascia stancamente su una poltrona, d’improvviso spossato, vecchissimo, le mani tra i capelli, la voce un rantolo scomposto: “Io avevo un figlio, e non lo sapevo. Un figlio, dannazione, un Malfoy…”. Solleva lo sguardo verso di me, ed è inespressivo, immobile, sembra che stia parlando di un articolo di giornale sciocco, ma invece mi fa la peggiore delle confidenze, come se la sputasse fuori biecamente. Già so che non lo dirà mai più, già so che lo negherà sempre, già so che questo momento io me lo dovrò cancellare, lo so dai suoi occhi spenti, come se li avessero cavati da un’altra persona ed attaccati sulla sua faccia. Sussurra piano, assurdamente sincero: “Io, Serenity la amo con tutto me stesso… è mia figlia. Ma non hai pensato che sia un dolore continuo per me guardarla? Non hai pensato che è la prova continua che Helena ed Amos sono morti per colpa mia? Non ci hai mai pensato che Serenity è la prova continua che lei… che Helena… non ha mai davvero scelto me? Non fa male questo… dopo anni non fa quasi più male. È come un fastidio, ecco, che nessun bene che provi per quella bambina cancellerà mai, perché questo sono, Granger, sono abietto ed egoista, e quando sono altruista, non lo sarò mai del tutto…non ci hai pensato mai, vero? Ovvio, non sia mai che tu ci pensi…”, ride tra sé e sé in modo amaro, si scompiglia i capelli, chiude gli occhi prima che ci distingua una pagliuzza di lacrime al loro interno “Ma Alex… sarebbe stato mio figlio, senza alcuna remora, ricordo, rancore. Con il mio cognome, con la mia storia addosso, con il mio sangue… mi avrebbe pulito, purificato, asciugato dalle mie colpe… avrei amato meglio Serenity attraverso di lui, perché avrei capito che potevo essere padre senza fare da surrogato ad uno che ho tradito…”. Non so quando ho iniziato a piangere, non so quando sia accaduto, me ne accorgo solo quando Draco si alza in piedi, recupera il suo viso normale, quello stravolto dall’ira, e mi si para davanti di nuovo, ormai lontano dalla sua confessione: “Adesso me ne rendo conto, dannazione, è sempre stato così maledettamente ovvio… l’altra sera, quando mi hai visto… ti ho ricordato lui, non è così? Mi somiglia pure, non è così?”.

Esplode la mia voce in singhiozzi, destinata ad avere nella vita un solo paio di occhi tempesta alla volta: “E’ tuo figlio… è ovvio che ti somigli…”.

Draco è come se implodesse ed esplodesse assieme, poi i pezzi si rinsaldano in una forma confusa che ha almeno il pregio di tenerlo assieme. Respira profondamente un paio di volte, chiude gli occhi ed è come se si trattenesse ancora dal piangere, dall’urlare, dal farmi del male, dal fare qualcosa di stupido. Nel suo viso passa una considerazione nuova, un lampo di luce, lo seguo ancora singhiozzando. Poi la sua voce torna calma, stentorea, tranquilla e chi conosce Draco Malfoy sa che si dovrebbe solo fuggire a questo punto: “E quindi mi ami e mi odi, vero? Radcenko non c’entra un cazzo… è questo che odi di me, vero? E’ questo che non sopporti? Che abbia condannato nostro figlio. Questo ti fa schifo, vero? Benvenuta nel mio mondo, benvenuta nello schifo che mi hai riversato addosso… perché diamine sei venuta a cercarmi?”, non lo so, oggi me lo sto chiedendo anche io… l’Italia poteva durare per sempre, diceva Harry. Perché davvero non è durata per sempre? Perché non sono rimasta lì, con Ron come marito, Alex accanto e lui incastonato nel cuore, al punto che nessuno me l’avrebbe portato via? “Io non potrò mai perdonarti. Mai. Perché tu mi hai fatto scegliere chi dovevo condannare tra i nostri figli. E questo non lo potrò mai perdonare a me stesso. Se anche lo salvassimo, se anche ce la facessimo… io non potrò mai perdonarti… né perdonare me stesso…”, lo schifo, eccolo qui, lo schifo. Avevi ragione, l’hai sempre avuta: ci siamo fatti a pezzi in tanti di quei modi, in tante di quelle vite ed Universi che ormai sembrava l’abitudine. Ed invece questa farà più male, perché non c’è niente che ci riporti a posto, nulla, ed anche di quel legame che ci unisce, nostro figlio… noi lo faremo a pezzi. Pansy aveva ragione, tutti avevano ragione, io stessa anni fa avevo ragione. “Io non sono mai pentito di niente. Di niente, quando si trattava di te, Dio santo, che sei sempre stata così perfetta, così meravigliosa, che persino ora, persino adesso… persino poco fa… ti ho detto che era finita, ti ho detto che doveva andare così… ma ero convinto, certo, sicuro… che in fondo ce l’avremmo fatta, una parte di me l’ha sempre pensato… e se fossi entrata qui dentro, un giorno qualunque, un giorno qualsiasi, un giorno pure che avessi avuto moglie, figli, cane e casa di proprietà, e mi avessi detto che volevi stare con me… io avrei mandato sempre e tutto a fanculo, pur di averti anche altri cinque secondi, fossi pure entrata quando avessi avuto novant’anni e dieci giorni da vivere davanti…” la cosa più bella, la cosa più bella… dimmela daccapo, dimmela sempre, dimmela per sempre… perché non me l’hai detto subito? Perché me lo dici adesso? Subito, avrebbe fatto ogni differenza, subito ti sarei volata tra le braccia, legittimata a strapparti da ogni vita che non fosse la nostra. Ed adesso, invece, tu me lo dici solo per ferirmi, me lo dici solo perché io sappia che cosa ho fatto, che cosa ho distrutto, che cosa ho ucciso, così mi odi e ti odi per sempre “Da quando ho scelto di amarti, perché sì, io ho scelto di amarti… mai, mi sono pentito di niente. Ed adesso, come ho scelto di amarti, io scelgo di odiarti… sia maledetto il giorno in cui sei entrata al Petite peste, sia maledetta Helena che ti ha portato da me, sia maledetto tutto quello che è stato tra me e te… e non hai idea dello schifo enorme, immenso che provo… a pensare di avere un figlio con te…”, è questa la fine, l’autentica fine: annunciata, temuta, stroncata, mangiucchiata, ricacciata, assaporata, e poi ancora rinnegata, seviziata, violentata, aspettata, accettata, abbracciata, baciata. Eccola la fine, è qui in questa frase, in questo momento, in questi occhi estranei, in questo che stai per dire, nella cattiveria che ci metterai, nel freno molle che era amore ed è morto, nell’ira che sgorgherà in me, nella minaccia che farai, nel singhiozzo che risponderò, nelle dita che tremeranno, nelle labbra che si graffieranno. Eccola la fine: come un cerchio che si chiude, e di cui l’inizio è lontano. Ne vedo ancora l’inizio, ma forse è per poco, forse è ancora un attimo prima che vibri il colpo fatale, la cosa peggiore che tu possa dirmi e che mi pieghi del tutto, quella che io ormai veda come imperdonabile. L’inizio… che è una saracinesca con una bambina sorridente. O forse è una richiesta di scuse affrettata dentro la tenda di pronto soccorso. O forse è lo sfrecciare di un treno rosso, mentre ho undici anni. O forse… non c’è mai stato inizio… solo fine, tante di quelle fini, incanalate una dietro all’altra a separarci.

Era più facile stare divisi, odiarci… che amarci.

Ecco che oggi diventa più facile: forse farà bene ad entrambi, amore mio. Gli inizi, ogni inizio… ha fatto così male, che ce lo siamo cuciti addosso per non perderlo di vista.

Questa fine, questo gridare… scivola come olio sull’acqua.

Facile.

Le parole che ci scambiamo a questo punto, dopo questo interminabile secondo, sono cattive, dure, fanno schifo. Non sono mie. Non sono sue.

“… ma è mio figlio… è un Malfoy… e io lo riporterò indietro… è stata solamente colpa tua… non hai protetto nostro figlio, e la pagherai anche per questo… dovevi tornare da me cinque anni fa… e ce l’avremmo fatta, l’avremmo salvato… la vera sciagura di Alex è avere te come madre e me come padre, l’abbiamo condannato entrambi… ma rimedierò, a costo di andarmene all’altro mondo…”.

“Io non ho condannato mio figlio! Non l’ho fatto! E cosa credi, che me ne starò qui ad aspettare che tu distrugga la vita di mio figlio?!”.

“Invece sì, te ne starai proprio qui…! E quando questa storia sarà finita, quando l’avrò salvato… mio figlio verrà qui, da me… e te lo potrai sognare di rivederlo per almeno altri cinque anni…”.

“CHE COSA?! Non puoi togliermi Alex!”.

“Posso e lo farò… credi che mettere al mondo un Malfoy sia una cosa normale?! Sarà pure un Mezzosangue, ma è l’ultimo di una casata nobile… e la madre non conta niente, non conta nulla… sarà mia decisione quando e come farti rivedere mio figlio… io… non ho visto mia madre per due anni e mezzo da bambino… e si sopravvive benissimo…”.

“Non puoi farmi questo”.

“Mi ci hai costretto tu… tu dovevi tornare da me cinque anni fa…”.

Queste parole non sono nostre.

Ma non sono nostre nemmeno le parole che, dopo uno scoppio di tuono, ci fanno tacere.

Sono le parole della sola persona che ci potrebbe salvare, quella che mi ha salvato sempre.

Sono le parole di Helder, spuntata nel soggiorno, dopo aver fatto saltare la porta.

… ma le sue parole non sono parole di salvezza.

“Ed ecco come muore l’unica speranza di salvare Alex…”.

Sono parole di fine.

 

 

 

   
 
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