Capitolo 41 – You weren’t there part 2
Il sangue di Draco. L’ho visto ben più volte di quanto sarebbe normale.
Una volta, da ragazzina, mentre giocava una partita di Quidditch. Quando
Fierobecco lo aveva colpito al braccio. A Grimmuald place, una sera in cui era
stato ferito durante un’operazione contro i Mangiamorte. Nello scontro finale,
quando eravamo nella tenda del pronto soccorso. Nei suoi ricordi con Helena. Quando
si era scontrato con Astoria. Quando aveva litigato con Dimitri.
Il sangue… era la cosa che, in
passato, mi avrebbe sempre tenuto lontana da lui. La purezza di quel sangue e
la sporcizia nel mio, erano discrimine ed argine che ci avrebbero tenuti divisi
per sempre. Per questo, quando avevo visto quel liquido rubino, spesso mi ero
data pena di osservarlo più del necessario. Non trovandoci, come ovvio, alcuna
differenza.
Rosso, dall’odore ferrigno, dalla consistenza densa: era esattamente come
il mio, portava alle stesse lacrime di dolore se versato, aveva la stessa
funzione necessaria di trasportare vita.
Addirittura un giorno, in guerra, a causa di una sua ferita particolarmente
emorragica, mi fu chiesto il mio gruppo sanguigno, in modo che, se le cose si
fossero messe male, si potesse valutare la possibilità di una trasfusione. Avevamo
persino lo stesso gruppo sanguigno, 0 positivo lui e 0 negativo io. Lui a me
non poteva donare sangue… ma io a lui sì.
Non arrivammo a questo, il sangue ce lo siamo mescolati nella più comune
delle maniere, con l’amore e quello che ci sta attorno, ma mi ricordai di
questo particolare, quando
nacque mio figlio.
Il suo sangue… era quello di Draco. 0 positivo.
Avevo annotato questa cosa il giorno della sua nascita con un sorriso
mesto. La stirpe dei Malfoy era stata definitivamente sporcata, forse gli
antenati si stavano rivoltando nelle loro tombe fredde, ma quel segno, quel
minuscolo impercettibile segno, recava in sé la traccia di una colpa quasi
cancellata, nella purezza che veniva data a mio figlio nel sangue gemello di
suo padre.
Ora quel sangue è anche la sola chiave di salvezza di Alex.
Ho pensato tanto, ore intere, mentre Draco ancora discuteva con Pansy, ad
un modo che comportasse non dirgli di suo figlio, ma assicurandomi il suo
sangue. Dean ne aveva di metodi per farlo, tutti poco ortodossi, ma che in
fondo mi hanno fatto sorridere. Qualcosa dentro di me, di mogio, spento, sordo
e pigro, si era mossa in modo imprevisto, ed è stata davvero come una ferita da
cui gocciava sangue e che minacciava di farmi morire dissanguata. Uno
stillicidio che mi rendeva debole, di secondo in secondo, sempre più
annebbiata, sempre meno lucida, sempre meno presente a me stessa, mentre in
testa prendeva forma un pensiero che non saprei definire se positivo o
negativo.
Tatia, Helena… il loro continuo
collegamento con me, i miei sogni su di loro, mi hanno reso più aperta ed
attenta ai segni che la vita mi dà sotto la forma delle più impensabili delle
coincidenze, quelle che io per inciso, non so nemmeno quanti decenni fa, odiavo
perché sembravano togliermi il controllo della mia esistenza.
Tatia mi ha lasciato una collana che, per funzionare, necessita del sangue
di Draco. Mi ha ammonito di non toglierla. Ci vuole poco a fare due più due.
Dal Cielo, da dovunque ella sia, vogliono che io dica a Draco di suo
figlio… e non tra una settimana, un anno, dieci anni, come io pensavo mi fosse
concesso fare.
No.
Adesso, ora… perché tanto oramai sono già a pezzi, e tanto ormai comunque
le cose stanno andando male, e tanto ormai conta sempre Alex e lui per sempre.
Quindi, chissenefrega di me stessa: del resto, ormai, che è rimasto di me
stessa?
Non ho mai pensato di togliere a mio figlio suo padre, di non dirgli mai
che Alex è suo figlio… ho solo pensato che adesso
non fosse il momento.
Per me.
Sì, per me sola, che per una volta volevo essere egoista: Alex è la sola
cosa che mi resta, e forse non volevo spartirla con lui, specie dopo che lui ha
conquistato tanto, tutto, senza di
me. O forse mi sento così devastata che non trovo il coraggio di inventarmi un
discorso che sia la rivelazione di quella verità… o forse, ancora, dirgli di
Alex avrebbe significato dover accettare che lui rientrasse nella mia vita, ma
non dal portone principale di una ricongiunzione voluta dal destino e
perpetuata da un amore mai morto, quanto invece dalla porticina secondaria di
un dovere verso suo figlio e di un affetto istantaneo per lui, che avrebbe
visto me solo come mediatrice. Ecco: quando ho capito questo mentre Dean
parlava, quando ho capito che volevo tenermi quella verità dentro non perché
pensavo ad Alex e volevo proteggerlo, ma perché pensavo solo a me, quando mi
sono resa conto che forse Tatia da me invece voleva proprio che superassi il
mio egoismo non scambiandolo per amore per mio figlio… in quel preciso istante,
ho capito che avrei detto a Draco tutto, senza remore e senza rimorsi,
smettendo di usare mio figlio contro di lui. Dopo le parole di Draco, la parte
remota di me, quella ancora innamorata, ancora vogliosa di combattere per lui,
quella che l’ha aspettato cinque anni ed è tornata a riprenderselo… credo che
sia definitivamente evaporata da me. Ed era quella parte, tesa sempre ad
immaginare il ritorno di Draco nella mia vita, che non voleva e non poteva
dirgli di Alex. Perché voleva che tornasse perché mi amava, non perché doveva.
Ora, invece, ogni ritorno di quel tipo mi è precluso per sempre. Forse mi vuole
ancora bene, forse non gli sono indifferente, forse è anche geloso di me… ma
l’amore, quello che mi ha tenuto ancorata a lui per cinque anni, lui se l’è
dimenticato da un pezzo.
Da tre mesi dopo che io ero scomparsa.
Quindi nella nostalgia di un ritorno che non ci sarà mai, posso smettere di
desiderare qualsiasi cosa che non sia riavere mio figlio.
E se il cielo, il ciondolo, Seth, la vita o come la voglio chiamare,
vogliono che io dica a Draco di Alex… così sia.
Quella che sono ora, la madre di Alexander Leo Malfoy e basta, ha interesse
e cura nell’avere quel sangue: se il modo più celere è questo, allora va bene
così.
Dean continua a parlare e io sento solo che la mente si annacqua nella
colpa: perché, ancora, dal ritenermi la mamma meravigliosa che mi sono sempre
creduta, ho compreso che invece sono egoista e codarda. E sono una di quelle
donne che si diverte ad affilare suo figlio contro il padre, solo perché lo
detesta. In che cosa mi sono trasformata? In che cosa il risentimento per Draco
mi ha trasformato? Oppure… continuo a dare la colpa a Draco, a Raissa, ad
Helena, allo Zahir, a Dimitri. Ma forse… questa sono io.
Una che si diverte a fare l’eroina, ad ergersi stoica sull’altare del
buonsenso e della giustizia… ed in realtà non assomiglia nemmeno al riflesso
sporco di quello che professo.
L’apatia mi travolge becera e fioca, come se mi avessero sfilato di netto
dal corpo la colonna vertebrale, alla maniera in cui si spina un pesce. Avverto
le membra intorpidite, formicolanti, prive di forza mentre Dean accanto a me
continua a parlare, descrivendomi ancora qualche altro particolare
dell’incontro con la negromante. D’improvviso, sono così stanca da non reggermi
nemmeno in piedi.
“Herm, stai bene?” la voce premurosa di Dean mi raggiunge a stento le orecchie,
mi tocca la guancia con le nocche della mano e mi guarda preoccupato “Hai il
viso caldo… non avrai la febbre?”.
Non lo so, non credo, mi sento solo incredibilmente spossata: nego con il
capo, dicendo che sto bene e che forse ho solo bisogno di riposare un pochino.
Dean annuisce pensosamente, commenta che deve essere stata la tensione, non ho
nemmeno mangiato nulla a pranzo ed ormai è pomeriggio inoltrato. Mi indica
sommariamente una camera al piano di sopra, dice che deve essere degli ospiti,
niente tracce o ricordi né di Draco e nemmeno di Raissa. Annuisco con un
sorriso ringraziandolo, ma salendo le scale ho ancora la sensazione che mi
siano state risucchiate le forze in un momento ben preciso, tra la
conversazione con Draco e quella con Dean. Sfibrata, mi appoggio al corrimano
della scala, cercando di calmare le vertigini che minacciano di farmi scivolare
al suolo, finché sento un braccio stringersi attorno alla mia vita, sollevarmi
in modo deciso ed aiutarmi a camminare. Penso a Dean, ma lui è ancora ai piedi
della scala, lo intravedo con la coda dell’occhio ancora bloccato in un gesto
che stava facendo verso di me per aiutarmi e che poi si è arenato in sé stesso.
Con lo sguardo annebbiato, sollevo il mento verso la persona che mi sta
aiutando.
“Ti porto a letto… vieni…”. Nella foschia che mi ha preso subdola le iridi,
intravedo solo lo scintillio verde di un paio di occhi lucidi e tristi, che mi
osservano con dolcezza malinconica.
Annuisco e, del tutto esausta, mi lascio andare, affondando il viso nel
collo di Seth e ritrovandomi persino a chiudere gli occhi. Bastano pochi passi
che faccio a stento, le ginocchia di pastafrolla, che Seth è costretto a
caricarmi sulle spalle e a trasportarmi così al piano di sopra. La testa che continua
a pulsarmi, il volto rosso, riapro gli occhi solo quando sento Seth adagiarmi
piano su un letto morbido. Dalle palpebre semi-chiuse, spio la stanza in cui mi
trovo con il cuore in gola e la sua anonimità mi rassicura sul fatto che non
sia quella di Raissa. C’è solo un letto, una libreria vuota ed una finestra
piccola, la cui luce è coperta però da delle tende pesanti e scure, cosa che
rende la camera in penombra.
“Mi dispiace Herm…” la voce di Seth mi sorprende, provocandomi un piccolo
sussulto che reprimo raggomitolandomi di più su me stessa, una parte di me
registra che si è seduto alle mie spalle, una mano contratta sul lenzuolo “Non
avrei dovuto arrogarmi il diritto di parlare al tuo posto con Danny… ero stato
zitto fino a quel momento… e poi non ce l’ho fatta più…”. Il materasso trema
sotto il peso di una risata amara e nervosa che non gli appartiene e che mi
spinge, improvvisamente, a considerare tutto dimenticato. Così, come nulla,
come rugiada al sole. Quella che era arrabbiata con Seth… quella era sempre la
Hermione che non si sentiva così spenta e fiacca, tutt’un tratto. Quella che
poteva rimproverare tutti e non sé stessa. E adesso, invece… io sento che non
posso fare più niente del genere. Mai più. E poi… sembra dispiaciuto,
sinceramente. Lui posso perlomeno provare a perdonarlo, sentendomi anche
sincera, e non solo in colpa come con tutto il resto.
“Tranquillo…” sussurro con un filo di voce, voltandomi su un fianco per
guardarlo in viso, ha un’aria da bambino dispettoso che mi spinge persino ad un
lievissimo sorriso “A tuo modo avevi ragione, anche se avrei voluto avere il
tempo e il modo di decidere quando e come dirgli tutto…”, la mia voce risuona
acidula e sfiancata, presagisco che, così facendo, Seth penserà che ce l’ho
ancora con lui. Quindi completo con il più convincente dei toni che mi esce: “Non
sono molto razionale al momento… e mi dispiace anche di quello che ti ho detto…
che sono sola e tutto il resto… so che non è vero… è ingiusto verso te, Pansy e
Dean. In ogni caso, fosse anche solo per Alex, era giusto che lui sapesse la
verità…”.
“Sì…” conferma Seth, tormentando la coperta con le dita e sospirando in
modo rumoroso come a darsi forza “Però poi… l’ho sentito parlare di Raissa… e lì ho capito che magari anche tu avevi ragione. Che non era il caso adesso di sapere
anche questo… Pansy ha ragione, io non sono padre… e non posso sapere come è
perdere un figlio. Non avrei dovuto premere perché tu avessi anche questo
carico sulle spalle, adesso. C’era tutto il tempo di chiarirti con Danny…”, il
tizzone ardente che esplode come sempre al ricordo della prigionia di Alex, mi
raggiunge anche nella quiete narcotica che mi annebbia, ma mi limito ad annuire
con il capo, mentre Seth ancora sorride triste, dicendomi: “E’ stato Kevin a
farmelo capire… noi… un giorno vorremmo diventare genitori, adottare dei
bambini…”, Seth si stringe nelle spalle e mi sembra piccolo piccolo
mentre mi parla di quella fantasia dolce, mi avvicino a lui e gli poggio con
tenerezza la mano su un ginocchio. Seth me la stringe e continua: “E Kevin mi
ha detto che un figlio viene prima di tutto, prima persino di te stesso… e mi
ha detto che, se non ero stato in grado di capirlo con te ed Alex, forse non
ero pronto ad essere papà...”, stringo le labbra e sospiro a fondo, Kevin mi ha
fatto decisamente migliore di quella che sono come tendono a fare tutti, ma non
ho energia per controbattere, mentre Seth prosegue: “Mi ha fatto riflettere …
ed allora ho capito che aveva ragione… e che io, in realtà, non era a te che
pensavo… era a me che pensavo…”.
Aggrotto le sopracciglia, non comprendendolo, la mano nella mia è sudata e
fredda di quella confessione e mi chiedo se non sia la giornata dell’egoismo
universale. Seth pigola piano, trattenendo le lacrime: “Danny è stato il mio primo
amore… e non lo dico con malinconia o con tristezza, ormai, lo sai bene… ma
nella mia testa, quando ho rinunciato a lui, l’ho fatto per te, per quella che
credevo il suo grande amore, per quella che era il suo destino… quel pensiero
non è mai andato via, nemmeno quando siete scomparsi… e si è rafforzato quando
ho visto Alex…”, fa una pausa, sofferta, lunga, la sua mano nella mia trema e
io cerco di non dare adito alle lacrime che stanno esplodendo sinistre sotto le
palpebre abbassate “… volevo che parlaste, perché ero convinto che con Raissa
fosse una magia delle vostre. Ero
certo che lei l’avesse ingannato, circuito o incantato. Ed invece era la più
normale delle cose… e questo ha fatto più male al mio vecchio orgoglio ferito,
che a te… per questo, Herm, ti chiedo scusa…”.
“Non devi farlo…” dico piano, con un sospiro tremulo, sistemandomi meglio
sul letto “Sia quel che sia… era la cosa giusta dirgli che cosa era successo…”,
prendo fiato e continuo ancora con un filo di voce “… e stasera… gli dirò anche
di Alex… se sul resto potevo avere dubbi… su questo, devo cercarne di non
averne… è di mio figlio che si parla. Ha diritto ad avere suo padre…”. Spiego
anche sommariamente la questione del ciondolo a Seth e del sangue di Draco,
cosa che ha solo indirizzato la mia scelta. E Seth sussurra, stringendomi
ancora la mano: “Vedi che io il padre ancora non lo posso fare? Io adesso me ne
andrei e basta… ed invece tu stai giustamente pensando ad Alex…”, sorride
intenerito e mormora: “Sei una mamma eccezionale…”.
Nego con il capo e mi schernisco con vergogna, quando in realtà sto solo
annaspando dalla volontà di urlare che non è vero, che se lo fossi stata mio
figlio sarebbe ancora qui, che se lo fossi stata avrei fatto ben altre scelte
negli anni e forse qui sarei arrivata con ben altro spirito, che quello
dell’innamorata ferita. Ma non dico nulla, ci vorrebbe troppa forza che non ho
e Seth controbatterebbe, mi darebbe contro.
E non avrebbe mai ragione… mai.
Seth mi dice, alla fine, di riposare, così da recuperare le forze per il
confronto che mi aspetta stasera e di non preoccuparmi di nulla, Dean sta
organizzando tutto per un’eventuale incursione e comunque stiamo aspettando che
Harry ci faccia sapere qualcosina di più, magari da Helder. Mi accarezza la
fronte e si chiude la porta alle spalle. Scivolo in un sonno nervoso ed
inquieto, dove ogni volta che mi addormento mi sembra di tradire Alex e di
stare perdendo tempo, ed allora penso a che cosa fare, a come organizzare la
sua fuga, a come salvarlo. Ammassando strategie, il sonno mi colpisce di nuovo,
a tratti, facendomi ripiombare in un denso e colloso riposo che non mi calma,
ma mi agita solamente, prostrandomi di immagini cupe e sanguinose, accompagnate
da una litania infernale di cui non distinguo le parole. Se poi penso a cosa
dire a Draco, a come spiegargli che il bambino di cui ho parlato fino ad ora, è
anche suo… allora, la possibilità di dormire si allontana ancora di più,
maciullando le mie articolazioni. Devo avere davvero la febbre, in fondo.
Non so esattamente a che ora mi risveglio, la gola secca ed il respiro
corto, sentendo qualcosa di diverso: non mi sono neanche accorta di essermi
addormentata, la sensazione di calore non è passata, così come quella maledetta
sensazione di stanchezza paralizzante. Però avverto la presenza di qualcuno nella
stanza, quindi, ricordandomi che indosso ancora il vestito della mattina, mi
copro pudicamente con il lenzuolo. Forse perché una parte di me ha già capito
chi si è seduto sul letto accanto a me, e questo ha portato il mio cuore
decelerato ad assumere un ritmo quasi normale. Quando sento una carezza lenta e
dolce sulla mia testa, come se fosse fatta ad una bambina ammalata, respiro a
pieni polmoni l’odore dello sconosciuto, che già so chi sia, sebbene ho gli
occhi chiusi, serrati. Tabacco. Cuoio.
Aghi di pino.
È un odore quieto, fresco, tranquillo, che rende la mia febbre più
sopportabile, che mi assolve e perdona, che mi protegge e capisce. E mi fa
piangere, sebbene stia ancora fingendo di dormire. Inutilmente. Perché se è
come sempre, se va tutto come sempre… Ilai già sa che sono sveglia, già sa che
non ho mai dormito, già so che forse non ci riuscirò mai più.
“Mi hai lasciato sola…” sussurro, gli occhi sempre chiusi, alla mano che mi
accarezza la fronte e che d’improvviso si ferma, immota, colpevole, vinta. Un
sospiro un po’ più forte, un brivido sulla schiena, il ricordo di un bacio, poi
lui riprende ad accarezzarmi con lentezza, non voglio che smetta e non lo fa,
mentre mi risponde pacato: “Non l’ho mai fatto… né mai potrei. Ero qui fuori…
non mi pareva il caso di stare in casa di Malfoy, senza uno specifico invito…”.
Non penso che Pansy e Dean abbiano avuto bisogno di un invito, ma capisco che
cosa voglia dire Ilai. È qualcosa di ben diverso: è accettazione che lui sia
qui, adesso, a far parte della mia vita in questo modo così strano e fatalista.
Dubito che Draco riuscirebbe a formulare un invito in quel senso… come non
penso che lo farei mai io, al contrario.
“E adesso, allora, che cosa è cambiato?” chiedo con un filo di voce, non
aprendo ancora gli occhi.
“Seth…” mormora Ilai laconico, facendo una pausa “Mi ha visto in giardino…
e mi ha detto che dovevo essere qui… con
te… e che con Malfoy ci parlava lui… non volevo ancora, ma ha insistito…”.
Sorrido mio malgrado, ripensando alle parole di Seth del pomeriggio e
ricordandomi di quanto può essere convincente o assillante, se ci si mette. Comprendo, in sottotesto, anche altro: Seth
non aveva mai accettato il legame che io avevo con Ilai. Mai, perché era
convinto che io e Draco appunto ci appartenessimo. Se si è convinto, noto con
una spina lacerante in petto, vuol dire che non lo pensa più.
Mi muovo velocemente nel letto, avvicinandomi con improvvisa risoluzione ad
Ilai, pur restando distesa nel letto. Poggio la testa sulle sue gambe, lo sento
irrigidirsi sorpreso e sento, persino nel buio della stanza e delle mie
palpebre chiuse, il suo sguardo di ghiaccio nero soppesare la mia reazione. Poi
qualcosa si fa più leggero, più vischioso e più caldo assieme, e giurerei di
averlo sentito sorridere. Si incaglia quel sorriso dentro di me, in un punto
morbido nel petto, e sorrido timidamente a mia volta, ringraziando il buio.
“Ti hanno detto del ciondolo di Tatia?” chiedo senza preamboli, affondando
il viso sulle sue ginocchia.
Ilai sospira ancora piano, ed annuisce, confermandomi anche che sa di Draco
e del fatto che dovrò dirgli di Alex.
“E’ la scelta giusta… e lo sai anche tu…” la sua voce tintinna nel buio,
causandomi un altro brivido lungo la schiena e di nuovo la dimensione di quello
che sta per accadere mi frastorna ancora. Tremo, mentre mi sforzo di annuire ad
Ilai, che naturalmente si accorge di questo. Lentamente, dolce come sempre è
stato, si china su di me, mi stringe per i fianchi e mi solleva seduta con
facilità, come se fossi davvero una bambina piccola. Ho ancora un capogiro, ma
si smorza quando sento il torace di Ilai reggermi saldamente, mentre mi ha
sistemato in braccio a lui e mi ha chiuso con le sue braccia. Poggia la guancia
sulla mia fronte, mentre mi raggomitolo contro di lui, e poi mi sussurra:
“Andrà tutto bene… mi hai capito? È suo figlio, ti aiuterà… e non sarai sola in
questa storia…”.
Una scossa elettrica lungo la schiena mi fa aprire velocemente gli occhi,
mentre sollevo il collo, rivolgermi a quel buio caldo che so essere lui: “Non
sono mai stata sola… tu… ci sei stato tu…”.
“E non è servito a granché…” ride amaramente, il cuore che mi diventa
minuscolo “Non ho salvato te… non ho salvato tuo figlio… non ho vendicato
Tatia… e quel che è peggio è che…”, Ilai tace a disagio, le sue braccia tremano
ed improvvisamente la testa mi gira daccapo: “Continua… ti prego…”.
“Perché?” mastica amaro, muovendosi nervosamente e sistemandomi meglio tra
le sue braccia, il cuore mi annega in una melassa condensata, sentendo la sua
voce scoraggiata “Perché, Hermione? Fino a che punto, uno può ammettere che
tutto quello che ritiene giusto, vero e corretto… tutto quello che sa che dovrebbe fare… poi,
semplicemente, non lo fa… non lo riesce a fare, perché ogni fibra del suo corpo
lo spinge da una parte diversa, ed adesso… io… non ci dovrei nemmeno pensare,
dovrei solo andarmene via da qui e basta…”, quel pensiero mi immobilizza, mi fa
trattenere un singhiozzo e mi spinge ad aggrapparmi alla sua camicia con le
dita, mentre mormora con tono disperato: “Io devo andarmene da qui, Hermione…”.
So che ha ragione, so che non ha torto, so che è ingiusto che io lo
trattenga qui per questo senso di bisogno che ho maturato nei suoi confronti e
che non so spiegare. So che dovrei avere la mente libera e il cuore sgombro per
riflettere su quello che davvero provo per lui, senza che mi si frapponga la
rabbia, la disperazione, la rivalsa, il dolore. So che probabilmente dovrei
proteggerlo per Tatia e mandarlo via, concedergli di salvarsi, e so forse
adesso per la prima volta che quest’uomo era di un’altra che mi ha aiutato da
un’altra vita ed un altro mondo, e che io sto ringraziando cercando di
insinuarmi nel ricordo che ha ancora di lei. È quel pensiero, turpe, immondo e
schifoso, che batte l’apatia e mi spinge a prendere coscienza di me stessa. Con
le mie residue forze, mi alzo in piedi a fatica, tenendomi vicina ad un
comodino. Da fuori non filtra alcuna luce, deduco che sia ormai sera e mi
arrischio velocemente ad accendere la luce di un abat
jour, che ho visto poco fa. Mi abbaglia una luminescenza perlacea e smorta, che
conferisce al viso di Ilai una sfumatura decadente che me lo mostra più fragile
e debole di quanto mi sia mai parso.
Resta seduto sulla sponda del letto guardandomi, mentre resto immobile, in
piedi, davanti a lui, le braccia chiuse sotto il seno a proteggermi e
contenermi. Ilai ha lo sguardo più triste di quando l’ho conosciuto in
Finlandia, ha i capelli spettinati, le labbra rosse e il respiro affaticato,
eppure gli occhi sono vivi, liquidi, intensi, incollati ai miei.
“Hai ragione…” biascico, osservandomi i piedi nudi “Hai ragione… questo… non è giusto… io sono
semplicemente un’egoista… non posso… anzi… non devo… trattenerti qui…”, non
faccio nulla per nascondere la lacrima che mi accarezza la guancia e che muore
nel mio collo, tanto lui l’intuirebbe lo stesso. Ilai stringe le labbra, fa un
verso di gola e bisbiglia: “Tu sei egoista, adesso? Tu?”, si alza in piedi e si
para davanti a me, prima di sollevarmi il viso con due dita e sorridermi mesto,
la luce bianca che disegna ombre scure sotto i suoi occhi che mi appaiono
sempre più stanchi. Non mi sforzo nemmeno di trattenere le lacrime, mentre mi
dice: “Io ti ho baciato, io ti bacerei ancora, io dico una cosa e ne faccio un’altra, io mi impongo di andarmene e resto in
giardino, io mi obbligo a non
toccarti mai più e godo nel fare l’incoerente con me stesso… io… io e basta… che so che sarai per
sempre di Draco Malfoy, eppure tento di strapparti pezzo dopo pezzo a lui…”. Il
cuore mi va in gola, ancora, di nuovo, soffocandomi, il contatto con i suoi
occhi è d’improvviso così destabilizzante, che rimpiango il buio e la stasi
misericordiosa che ci aveva dato.
“Io… non sono più di nessuno… non hai nessuno a cui strapparmi via, se non
me stessa…” piagnucolo, cercando di sfuggire i suoi occhi, Ilai sorride triste
e dice: “Lui è sempre qui, Hermione, non è dall’altra parte del cielo come
Tatia… fino a quando sarà qui, sarai sua per sempre…”. Non so più che dire,
resto in silenzio, mi divincolo dalla sua presa e faccio un passo indietro,
finendo per scontrarmi contro il muro alle mie spalle. Non ce la faccio più a
guardarlo, non ce la faccio più. Il pensiero che se ne vada, che non possa più
rifugiarmi in lui, che non ci sia più… mi
uccide. È bastato un secondo, un solo secondo, e già misteriosamente mi
sono sentita meglio… però, poi, il pensiero di tenerlo qui, ad aspettare… che
cosa, poi? Che mi dimentichi Draco, che possa tornare quella ragazza pura e
semplice che si meriterebbe, che tutto sparisca in una nebbia vorticante di
buone intenzioni? Almeno con lui… non posso e non devo essere egoista.
Il cuore che mi martella in petto, sollevo lo sguardo e dico con un sorriso
tremulo: “Hai ragione, cioè… è giusto che tu vada via… io non sono sola, non ti
devi preoccupare… ce la farò in qualche modo… e poi Raissa e Dimitri vogliono
anche la tua pelle… è meglio davvero che tu vada via… tranquillo… io… starò
bene…”, fingo ancora un sorriso, sperando di rassicurarlo.
Ilai sorride a sua volta, tristemente, poi mi guarda piegando la testa di
lato, e soggiunge: “Non torno in Finlandia… ma prendo una camera in paese.
Quando affronterete Raissa e Dimitri… io ci voglio essere… solo, è meglio che
non resti più qui…”. Lo ripete ancora, come per convincere sé stesso e me, ed
io annuisco daccapo, il vuoto che si allarga nel petto, risucchiandomi, la
mascella tesa nel tentativo di mantenere su questo sorriso spento.
“Certo, hai ragione, lo capisco… vai, non ti preoccupare, starò bene…”
sussurro ancora, poggiando la schiena al muro e cercando di nascondergli il
tremito convulso delle mie gambe al pensiero che davvero se ne vada. Quella
sensazione si acuisce ancora, quando lo vedo estrarre la bacchetta per pronunciare
l’incantesimo di Smaterializzazione, mantengo il respiro fermo e il sorriso
statico e tranquillo, ma so già che appena sparirà, crollerò piangendo, di
nuovo, daccapo, come ormai so fare benissimo. Lui soppesa la bacchetta tra le
mani, la rigira e la guarda come se scottasse, e getta un’ultima occhiata a me,
che ancora trattengo le lacrime, che ancora sorrido, che ancora cerco di
rassicurarlo quando so benissimo che non ce la posso fare. Perché nessuno è
lui, perché è troppo facile stare tra le sue braccia e sentirmi a casa, perché
sarà anche egoista ed inconcepibile, ma sto bene adesso solo se c’è lui.
Eppure, anche solo l’ombra del sospetto pigro che possa volerlo qui solo per
sostituire Draco, mi incatena a questa parete, non facendomi muovere.
“Ciao Hermione…”.
“Ciao Ilai…”.
Ilai ha già sollevato in aria la bacchetta, compiendo la torsione del polso
che lo porterà via da me, ed io mi lascio sfuggire un singhiozzo lento, che
infrange il mio sorriso, che lo spezzetta in mille pezzi, che lo rende un
plastificato retaggio di memorie che non ho più. Con gli occhi sgranati, con
l’espressione persa, con il cuore in gola, vedo Ilai gettare rabbiosamente la
bacchetta a terra, avvicinarsi rapido a me e chiudermi tra il suo corpo e il
muro alle mie spalle, prima di prendermi il viso tra le mani e baciarmi con
tutta la forza e la disperazione di cui è capace. Le sue dita si artigliano
gentili sulle mie guance, giocando poi dolcissime con i miei capelli, mentre le
sue labbra, caldissime come un fiore d’agosto, si poggiano silenti sulle mie,
costernate, distrutte, piegate ed afflitte. Piange nelle mie labbra chiuse, e
piango anche io, non resistendo più, ma restando immobile, atterrita, inerme,
catturata nell’attimo dell’inspirazione, e ritrovandomi improvvisamente senza
fiato, come se annegassi. Cerco di resistere, cerco di impormi di fermarmi,
cerco di comandare il mio corpo di non fare nulla, assolutamente nulla, ma le
mie braccia lo cingono alla vita prima che me ne renda conto, le mie labbra si
aprono ed assaggiano avide il suo sapore, il mio cuore si scontra con il suo
mentre gli volo tra le braccia e la mia mente mi scoppia in mano, suggerendomi
di non smettere di baciarlo. Piango ancora, ed è giusto così, perché lui aveva
ragione, siamo solo capaci di amarci in questo dolore sordo, continuo,
costante, incessante, e se non sento le lacrime sulle sue labbra, sulle mie
labbra, io non lo riconosco, io non so che è lui, io non posso piegarmi a
baciarlo. Perché non è amore questo, come non è amore quello per Draco, ormai.
Io so amare solo mio figlio, adesso: questo ha i contorni malaticci di un
sentimento sbriciolato che la sola cosa che mi è rimasta da dare a qualcuno. Anche
a lui, anche ad Ilai, anche a lui che adoro tanto, che forse avrei amato
persino, che magari potrebbe rendermi felice. Anche a lui.
Non mi basta più, con terrore mi accorgo che baciarlo soltanto non mi basta
più: che voglio averlo dentro, addosso, ovunque, ad annullarmi la memoria ed il
pensiero.
Me la
sono scopata e mi è piaciuto farlo, mi faceva stare bene, mi annullava il
pensiero…
Con un sussulto, mi ricordo le parole di Draco su
Raissa. Siamo uguali, non c’è che dire… sempre a cavare fuori l’anima, da chi
ci sta vicino… chi è mai stato davvero il Serpeverde tra me e lui?
Quando Ilai si stacca da me, non vorrei che lo
facesse: guardo i suoi occhi annebbiati e stanchi, le sue labbra rosse e
gonfie, il segno che senza volere gli ho lasciato sul collo con le dita della
mano nel tentativo di attirarlo più vicino… ed abbasso il viso, la vergogna che
si spande come un manto sulle mie spalle.
“Devo andare, adesso…” bisbiglia lui, che invece è
saldo in sé stesso, non ha cambiato idea, sa che non dovrebbe stare qui. E che
poi mi bacia ancora, piano, da fratello, a fior di labbra. E io gli strappo
ancora altri baci, veloci, rapidi, dolci come caramelle ed amari come veleno,
mentre mi rassicura che, se ho bisogno di lui, potrò chiamarlo in ogni momento.
Ogni parola che dice, gliela soffoco sulle labbra. Ed ho freddo quando si
allontana, quando afferra la bacchetta caduta per terra e quando si prepara a
sparire. Ho un sorriso meno tirato, più tranquillo, reso morbido dalle sue
labbra, che diventa persino sincero, mentre mi guarda serio e dice dolcemente:
“Se esiste anche un solo destino per cui Tatia ha voluto che ci incontrassimo
perché dovessi restare con me… questa sarà l’ultima volta che ti lascio
andare…”.
Con un groppone in gola, annuisco e sussurro: “Se
sarà così… sarò io a non permetterti di andartene più…”. Glielo dico
sincera, onesta, vera come non sono da giorni e come si merita che io sia.
Glielo dico, perché ne sono convinta e con questa convinzione riesco ad
assolvere me stessa e quello che ho appena fatto. Forse, esiste davvero un
mondo in cui, se non appartengo più a Draco, divento sua. Ma se avverrà, se
accadrà, sarà senza tutto questo che mi sconquassa il cuore: sarà con Alex con me
che gli gioca sulle spalle ma che chiama Draco papà, sarà con me che lo bacio
solo perché voglio baciarlo, sarà perché voglio stargli accanto completamente
presente a me stessa, sarà con Draco diventato una memoria innocente e
piacevole nella testa, e non l’incendio boschivo che è adesso.
Sarà con me che amo Ilai ed Ilai solamente, e sarà
con me che mi dico che ho bisogno di lui perché lo amo, e non che lo amo perché
ho bisogno di lui.
Se esiste un solo destino, anche uno soltanto, che
mi vede accanto a lui… mi avrà tutta, senza sconti, per sempre, tersa, limpida
ed immacolata come un bucaneve fiorito.
Nessuno, soprattutto lui con quello che ha passato,
si merita questa versione marcia e lercia di me stessa, che ama ed odia nello
stesso istante, che mente ed è sincera, che ha fede nello spergiuro e che ha le
vene sature di dolore. Nessuno… persino Draco… si merita questa versione di me stessa.
Ilai sorride alle mie parole, ed è anche il suo è
un sorriso aperto, sincero, dolcissimo, onesto. Mi saluta con il palmo della
mano aperto, poi pronuncia la formula di Smaterializzazione e scompare.
La stanza, d’improvviso, sembra così piccola e
vuota che voglio solo uscire da qui. Ritemprata da un nuovo coraggio, persino
da una speranza fioca nel futuro, mi sussurro decisa che devo immediatamente
parlare con Draco, dirgli di Alex e utilizzare il ciondolo di Tatia. Prima
riporterò mio figlio a casa, prima tutto tornerà normale, prima tornerò me
stessa… e prima potrò risolvere tutti questi nodi irrisolti che mi sto
lasciando alle spalle. Nel silenzio della preoccupazione dissolta, potrò
davvero capire se è finita tra me e Draco… e se è iniziata tra me ed Ilai.
La febbre sembra non essersene andata, lo specchio
mi rimanda una mia immagine dagli occhi lucidi e dalle guance rosse come mele
mature, ho il passo ancora traballante e il fiatone, ma decido di scendere
subito di sotto per chiudere la questione con Draco. Il vestito azzurro è
spiegazzato e aggrinzito, quindi decido di cambiarmi velocemente: Seth deve
aver portato qui la mia valigia, perché la trovo ai piedi del letto. Un paio di
jeans ed una canotta bianca, mi fanno sentire più a mio agio, ma il freddo che
mi sento fin nelle ossa a causa delle febbre, mi spinge a poggiare malamente
una felpa sulle spalle. Decido di assecondare immediatamente i residui della
calma che Ilai mi ha lasciato addosso e di cui chissà per quanto tempo non
potrò usufruire, e decido di scendere di sotto immediatamente a cercare Draco.
Apro la porta, percorro il corridoio e scendo le scale, la luce della luna mi
informa che devono essere almeno le otto passate.
Gironzolo un po’, ma in salotto non c’è nessuno, e
nemmeno nelle altre stanze. Alla fine, trovo in cucina Pansy e Seth, seduti
attorno al tavolo ed intenti a sbocconcellare dell’insalata. Charisma si è
addormentata tra le braccia di sua mamma, dorme con un ditino in bocca. E sul
divano poco distante, vedo anche Serenity addormentata a sua volta, i codini
biondi legati con dei nastri azzurri. Per terra, sono sparsi dei giochi e delle
bambole, cosa che mi fa dedurre che devono aver giocato assieme fino ad ora.
“Herm!” Seth si alza subito in piedi, premuroso,
avvicinandosi a me e sfiorandomi la fronte con il palmo della mano “Hai ancora
la febbre?”. Sorrido rassicurante e rispondo che credo che sia scesa un
pochino, Pansy alle spalle di Seth, mi guarda indecifrabile ma
impercettibilmente sembra allentare la tensione delle spalle.
“Dove sono gli altri?” chiedo velocemente,
sedendomi accanto a Seth che mi porge subito da mangiare.
“Dean credo che sia andato a svaligiare una
farmacia… per comprare del magnesio, o che so io…” risponde svogliata Pansy,
punzecchiando con la forchetta un pomodoro “Se avessi saputo che doveva
trasformarsi nella versione maschile di Nonna papera, gli avrei detto che ero
incinta a moccioso sgusciato fuori…”. Roteo gli occhi con espressione
fintamente partecipe, rendendomi conto che adesso Dean sarà semplicemente
elettrico, avendo saputo della nuova gravidanza della moglie. Certo, Pansy la
liquida bruscamente, ma lo splendore terso che ha assunto il suo sguardo, lei
non lo può negare e nascondere. E per fortuna, non può nemmeno vederlo, così da
non vergognarsene o da cercare di sottrarlo agli altri. Charisma, nel sonno, fa
una buffa risata e si accoccola meglio contro il petto della madre.
Chissà
se Alex ha avuto un incubo stanotte… mi caccio a forza un’altra
manciata di insalata in bocca, lottando con il solito impulso di rimettermi a
piangere.
“Chi ha i denti e non ha il pane…” mormora Seth,
mettendo su un broncio “Io non ho coccole da nessuno da settimane…”. La sua
espressione mi spinge a ridere sommessamente, Seth mi guarda felice e lieto che
abbia sorriso alla sua piccola battuta: sono davvero felice che possiamo
tornare a guardarci così.
Pansy però prende la mia risata come se gli stessi
dando manforte, magari lamentandomi anche della mia di astinenza da coccole,
e difatti blatera, agitando la mano con aria truce: “Green, tu hai un fidanzato
da qualche parte o mi sbaglio? Quindi non farei propriamente il delirio
tragico… e tu Granger, vogliamo parlare del tuo tozzo di pane russo? Mi
sa che hai i denti ed anche la pagnotta…”.
“Non dire sciocchezze…” arrossisco fino alla punta delle
dita dei piedi, nascondendomi dietro la frangetta di capelli mentre continuo a
mangiare.
“Ah bè sì certo, il taglio sul labbro da bacio
alla “come se non ci fosse un domani” te l’ha fatto Seth in un accesso
tardivo di mascolinità post adolescenziale…” asserisce tagliente Pansy, mentre
io in imbarazzo mi strofino le labbra con il palmo della mano in modo febbrile,
ricavandone una piccola striatura rossastra. Seth ridacchia del mio imbarazzo,
sghignazzando, lo minaccio brandendo una forchetta e asserendo: “E comunque… il
tozzo di pane, insomma, Ilai, accidenti a te… se n’è andato…”.
“Herm!” squittisce Seth deluso, alzandosi in piedi
e facendomi sobbalzare “Ma allora dillo che hai maturato uno spirito di
contraddizione nei miei confronti! Che ti ho fatto, eh? Te l’ho mandato persino
in camera così che… potesse farti provare il suo sfilatino!”.
“Possiamo smetterla con queste metafore da
panificio?!” biascico sempre più violacea e con la temperatura corporea che
minaccia di arrivare a 45 gradi centigradi, non credendoci nemmeno che lo stia
facendo questo discorso “Sebbene io ed Ilai volevamo…”.
“… strapparci i vestiti di dosso…”.
“…usarci come farmaco per la castità
pluriennale che ci accomuna…”.
“Questa è bella, Pans!”.
“Esercizio, Green... tra qualche anno ci arrivi
anche tu…”.
“Dicevo…” continuo, massaggiandomi con le
dita le tempie e controllando il mio viso congestionato “… sebbene io ed Ilai
ci siamo avvicinati molto in queste settimane, al momento non era giusto che
lui stesse qui… quando la situazione tra me e Draco…”, devo prendere fiato per
proseguire: “… non è poi così chiara… e poi, io devo parlargli di Alex adesso,
lo sapete… ed al momento è meglio che mi concentri solo su questo…Ilai l’ha
capito ed ha deciso di allontanarsi… lui…” divento rossa in viso ancora,
ricordandomi il bacio che mi ha dato solo pochi minuti fa, e non so più in
grado di continuare.
“… lui ti vuole molto bene…” completa Seth con un
sorriso tenero e dolce, accarezzandomi la testa fraternamente, ed io annuisco,
stringendomi nelle spalle.
“E te lo meriti Granger…” sottolinea Pansy,
sistemandosi meglio Charisma tra le braccia così da nascondermi il suo viso, la
guardo sconcertata per la sua gentilezza rude, mentre prosegue: “Tutti, persino
tu, ti meriti qualcuno che si prenda cura di te, adesso… e so che il tuo nobile
spirito Grifondoro si rivolterà nel senso di colpa… ma non devi alcuna fedeltà
a Draco, se non quella di madre di suo figlio… non contorcerti nell’olio
bollente…”.
“Non lo sto facendo…” sorrido quietamente,
guardandola.
“Lo so… sei più simile a te stessa di quanto tu non
sia stata da settimane… tutta tesa a fare la cosa giusta… e se è merito
di Radcenko, allora… deo gratias
per l’addio alla tua te stessa martire…”. In modo inconsapevole, mi viene
da sorridere ancora, non so per quale motivo, ma l’approvazione di Pansy
ultimamente per me è diventata la più importante. Non so se la considero
strettamente una mia amica, ma forse è proprio per questo che so che, quando
sbaglio, non avrebbe alcuna remora d’affetto a farmelo notare, come invece
accade con Seth, Dean o Ilai. Perciò, anche se a lei non lo dirò mai, capisco
che sto facendo la cosa giusta solo se me lo dice lei. E considerando che cosa
siamo state fino a qualche anno fa, questo è davvero il vertice dei paradossi
che conosco da quando mi sono innamorata di Draco.
Mi ricordo improvvisamente di lui e quella tenue
sensazione di sicurezza tiepida si raggela come ghiaccio rappreso. Fingendo
indifferenza e riprendendo a mangiare, chiedo pacata: “E… Draco… dov’è?”.
“Ah bè, certo… nella scaletta della giornata da ritorno
al passato, adesso viene la paternità tardiva…” bofonchia Pansy con un
sorrisetto sardonico, guardandomi di sbieco “Malfoy non potrebbe aver avuto
giornata peggiore di questa… e io l’ho visto quando ha preso gli orecchioni e
la varicella assieme, nella stessa giornata… non era una bella e mistica
visione…”. Quando però aggrotto le sopracciglia, in attesa, chiedendole in modo
alquanto palese ed impaziente dove diamine sia andato, Pansy sospira e borbotta
qualcosa sottovoce che non riesco ad intendere, prima di aggiungere: “Dopo
l’illuminante chiarimento con la sottoscritta… il quale per inciso si è
concluso con le pareti del salone immacolate e non sporche di sangue, cosa che
è il massimo possibile adesso… Seth ha pensato bene di parlare a Draco della
necessità che Radcenko stesse qui… un momento epico… da poema
cavalleresco…”, a quelle parole Seth gonfia il petto tronfio di sé stesso, ma
distinguo una lieve sfumatura verdastra sul suo viso, cosa che mi fa ragionevolmente
assumere che non sia stata esattamente una passeggiata corredata di gelato
parlare con Draco di me ed Ilai. Gli do comunque una pacca sulla mano, alla
quale Seth mi restituisce un’occhiata soddisfatta, mentre Pansy conclude con
tono indifferente: “Alla fine il drago, geloso marcio della sua
principessa mezzosangue di cui non ammetterebbe mai di essere ancora stracotto,
è andato da qualche parte a sbollire la sua rabbia… ma penso che stia per
tornare… insomma, è sempre la sua di casa, anche se tecnicamente desideriamo
sfrattarlo ad ogni piè sospinto…”.
Una parte di me, nemmeno così piccola come potrei
fingere, ha un singulto tremulo alle ultime parole di Pansy: è una parte
adolescenziale, acerba, imberbe, ancora strettamente legata a Draco come uomo
che amo, e non come padre di mio figlio, la sola cosa a cui riesco a pensare
adesso. Sentire la supposizione per cui lui potrebbe essere ancora innamorato di
me mi fa arrossire e tremare il cuore come se fosse fatto di cera. Non credo
che passerà mai questa sensazione, non abbiamo smesso di amarci per scelta e
convinzione, limando odio e rabbia giorno per giorno. È stato più simile ad un
aborto spontaneo, doloroso, terribilmente acuto e di cui portiamo ancora i
segni e le tracce addosso, come tagli di sangue nella carne. Difficilmente un
giorno dismetterò l’abitudine di sussultare sentendolo nominare, oppure di
sobbalzare parlando di lui, o anche di sperare che tutto possa tornare a posto,
specie considerando che sono la mamma di suo figlio e sarà sempre mia fantasia
che Alex possa avere i suoi genitori assieme. Figuriamoci se posso
improvvisamente, adesso, smettere di sentire il cuore in una centrifuga se
penso a lui.
Per fortuna, almeno, ho imparato a nasconderlo:
difatti, quando mugugno che spero che si spicci a tornare, Seth e Pansy
annuiscono partecipi, non accorgendosi del tremito della mia voce, percettibile
solo alle mie orecchie. A quel punto, finito di mangiare, Pansy porta Charisma
in una camera al piano di sopra, mentre Seth fa lo stesso con Serenity, dopo di
che decidiamo di organizzare al meglio il piano contro i Karkaroff, definendo
delle linee guida, almeno fino a quando non tornano Dean e Draco. Ci sediamo in
salotto, io con una tazza di tisana che ha l’effetto di calmarmi e di cercare di
snebbiare la mente da tutte le cose che potrebbero andare storte, ferendo Alex
o peggio. Quando però la tristezza minaccia di sopraffarmi, Pansy fa una
battuta divertente o Seth mi stringe meglio la coperta sulle spalle, così da
non farmi prendere freddo dato che la febbre non accenna a scendere, ed allora
mi sento un pochino meglio. In ogni caso, ad ogni rumore proveniente
dall’esterno e che potrebbe tradursi nel ritorno di Draco, mi scopro ancora
vogliosa di prendere tempo prima di dirgli di Alex e sospiro di sollievo quando
capisco che non è lui, affannandomi nella testa per trovare le parole giuste.
Non so davvero se esistano queste fantomatiche parole giuste… anzi… di minuto
in minuto, credo di capire che non ci sono parole giuste tra me e Draco, da
quando ci siamo conosciuti. Non ci sono mai state. Ergo, sarà meglio che
nemmeno ci pensi… dovrà venire da sé. A costo di prendergli il sangue a forza,
sibilando solamente che mi serve il sangue del padre di mio figlio. Almeno
glielo avrò detto… parlare di come agire con i Karkaroff, paradossalmente, è
più semplice. Il mio istinto da ex Capo degli Auror prende il sopravvento,
rendendomi più fredda e lucida, mentre analizzo la situazione. Non sappiamo
dove sono nascosti, quindi in ogni caso dobbiamo aspettare che siano loro a
contattarci, non possiamo pertanto studiare il terreno di scontro e capire bene
come affrontarli. Ho solo alcune cose chiare e nette in mente. Primo, usare il
ciondolo solo in presenza di Alex, quindi arrivata nel loro nascondiglio. Non
posso rischiare che il suo potere non sia sufficiente, se Alex fosse lontano da
esso. Secondo, Dean, Pansy e Seth ovviamente restano qui. Non esiste che li
metta in pericolo in alcun modo e se questo non è un problema per Seth, che sa
di essere d’impiccio essendo babbano, e per Pansy, che è consapevole di dover
restare fuori a causa della sua gravidanza, non sarà ugualmente semplice
convincere Dean, ma spero che in questo sua moglie sia più persuasiva di quanto
potrei essere io. Ed arriviamo all’ultimo ed ovvio punto: con me dovranno
venire Ilai e Draco, se non altro perché dovrò fingere in qualche modo che li
ho uccisi, altrimenti Dimitri non mi farà nemmeno avvicinare ad Alex. Senza
contare che Ilai non rimarrebbe mai fuori da questa storia… e dubito che lo
farà anche Draco, specie quando saprà che Alex è suo figlio. Ovviamente, è
questo il punto maggiormente difficile da sbrogliare al momento: se so che,
sciolto Alex dall’assimilazione con Dimitri, potrei tentare di fuggire o di far
fuggire almeno lui, affidandolo o a Draco o ad Ilai, so che sarà difficile
farli collaborare pacificamente assieme, vista la situazione complicata di me
con ognuno dei due. E, punto non trascurabile, non so praticamente come
inscenare la loro morte. Dimitri e Raissa sanno qualsiasi cosa, scoprirebbero
subito falle ed inganni di pozioni o incantesimi anche ben congegnati. Sanno
tutto quello che è stato scritto da uomo, me l’ha detto Dimitri… come trovare
qualcosa di sconosciuto a loro? Mi lambicco il cervello per ore attorno a quella
domanda, ma non ne vengo assolutamente a capo. E non vale nemmeno l’aiuto di
Dean quando ritorna, lo sguardo acceso, carico di integratori per Pansy che
riprende a sbuffare. Quando Seth inizia a sbadigliare e Dean ingiunge a Pansy
di andare a letto, che “le neo-mamme devono dormire almeno sette ore a
notte”, cosa che gli fa guadagnare una rispostaccia acida sul “se
dormissi sempre sette ore a notte, adesso non sarei proprio incinta”,
capisco che dobbiamo rimandare la questione a domani. Penso di chiamare Helder
ed Harry per chiedere il loro aiuto: la prima ha sottomano il più grande
patrimonio non scritto, ossia quello degli Empatici, ed il secondo ha accesso a
fonti che sicuramente io non conosco, come i centri di sperimentazione di
pozioni. Saluto Dean, Pansy e Seth, rassicurandoli e dicendoli di andare
tranquillamente a dormire, mentre io mi stendo sul divano in salotto, scossa
dai brividi della febbre che sicuramente ha ripreso a salire. Ma devo aspettare
Draco, non c’è verso di rimandare a domani.
Crollo di nuovo in un sonno fragile ed instabile,
ogni rumore mi fa rizzare in piedi e la febbre peggiora le cose, dandomi la
sensazione di essere sospesa su un vulcano di lava bollente, sebbene i brividi
di freddo non mi lascino in pace. Nel buio, ogni ombra nasconde un nuovo
terrore per Alex, una nuova ansia al pensiero di non trovare una soluzione o di
non riuscire a parlare con Draco. Poco prima dell’alba, fiaccata e distrutta
dai dolori alle articolazioni e dalla sensazione di essermi ridotta come un ramoscello
secco e bruciacchiato, mi appisolo lievemente, scivolando in un sonno nero e
privo di sogni che non mi riposa, ma mi agita soltanto. A calmarmi, giunge solo
una carezza fresca sulla mia fronte, che ha l’effetto di placare la mia
angoscia, la luce dorata che preme contro le mie palpebre chiuse e sudate. È un
tocco delicato, lieve, dolce… come il battito delle ali di una farfalla. Ed è
umido, bagnato, infinitamente rilassante e corroborante sulle mie tempie
bollenti. Morbido, soffice… nessuna mano potrebbe esserlo, è sicuramente un
asciugamano imbevuto d’acqua fresca, che corre lungo le vene del mio sangue a
portarmi refrigerio. Respiro profondamente ad occhi chiusi, mentre passa lungo
i miei zigomi e giunge a bagnarmi anche le labbra secche e spaccate dal delirio
della febbre. Non apro gli occhi, non so se sia perché non ci riesco, o perché
non voglio: ed in quel momento che un sospiro più forte, da annegata, sospinge
un profumo familiare nelle mie narici, giungendo a farmi capire che non apro
gli occhi perché non posso.
Perché, sebbene tutto di me spinga a forzare la
resistenza degli occhi serrati, so che nel momento in cui li aprissi, Draco
smetterebbe di prendersi cura di me così.
Varrebbe la pena anche solo per vedere i suoi occhi
grigi fissi su di me, non furiosi, non arrabbiati, non colmi di livore… ma solo
di quel residuo di tenerezza melodiosa che aveva per me, anche sbiadita,
scolorita, sporca, contaminata, ma ancora straordinariamente vera e presente.
Basterebbe anche solo questo, pure se si allontanasse subito, comprendendo che
non sto dormendo, ma che sono sveglia.
Mi basterebbe.
Ma violerebbe le regole non scritte tra me e lui,
quelle per cui tutto quello che ci nuota nel cuore davvero, può avere forma
solo di tocchi, di sguardi, di fruscii, da poter negare l’attimo dopo.
L’attenzione solerte che ha adesso per me, se fossi cosciente o pensasse che lo
sia, me la tributerebbe solo se fosse certo al mille per mille che io non la
userei come arma contro di lui. E questa mancata ritorsione è accaduta solo
dieci giorni della nostra vita assieme, quando ci siamo così fusi l’uno
nell’altra da generare un bambino.
Sono troppo orgogliosa per ammettere che respiro
davvero, adesso che mi sfiora così. Sono troppo arrabbiata per convincermi che
ha sempre l’odore più buono del mondo. Sono troppo addolorata per svegliarmi e
sorridergli grata, come se non fosse accaduto nulla. E lui è troppo orgoglioso,
arrabbiato ed addolorato a sua volta per leggere meglio il mio respiro
affannato, per fare un gesto meno cauto che mi costringa a dismettere la
recita, per dire il mio nome con prudenza affinché possa accorgermi di tutto. Si
limita a picchiettare con solerzia la mia pelle con la stoffa bagnata, come se
non fosse capace di fermarsi, come se in fondo fosse normale farlo, come se non
ci fosse altra scelta. Lo sento sospirare a tratti, allontanarsi e bagnare
nuovamente il tessuto, per poi tornare a me con nuova cura, diligenza ed
attenzione. Ad ogni tocco, la mia pelle assetata ne domanda ancora e, ad ogni tocco,
conosce fame e sete nuove, al punto che comprendo ben presto, con un brivido,
che non ho necessità di quella acqua seppure piacevole. Ho ancora e sempre
necessità che sia lui a farmi questo. Non dovrei, e lo so bene, ma non posso
evitarmi di abbandonarmi a questo gesto semplice eppure perfetto.
Che è affetto ed interesse… sebbene sia ad occhi
chiusi. Gli occhi aperti, la luce, il sole, la vita ci ricorderebbero troppo,
così da non poter essere più naturali e sinceri come eravamo ere fa.
Il buio, il sonno, la luna, la febbre, la
stanchezza, gli occhi chiusi… sono la coltre insincera, dove ci concediamo
sprazzi di passato per nasconderci al presente.
Draco si prende tutto il tempo del mondo per
rinfrescare il mio viso, piano, con gesti misurati e premurosi, prima che
ancora lo senta sospirare e sussurrare, la voce bassa che fatico a sentire: “Tu
e Radcenko non avete bisogno di alcuna mia benedizione…”, sobbalzo, rendendomi
conto che era perfettamente cosciente che fossi sveglia, eppure mi serro nelle
spalle e non accenno ad aprire gli occhi, mentre prosegue: “Dubito che ne
avresti mai avuto bisogno… e dubito che tu ne abbia bisogno adesso… so di
Raissa, so di Dimitri, so tutto… e non posso convincerti ad accettare che io ti
aiuti per tuo figlio… se hai bisogno di andare via, fosse anche con lui… fallo
e basta. Ma fallo presto… sai come va tra me e te… come va sempre tra me e
te…”, sospira ancora profondamente come per prendere fiato e sussurra: “Non
possiamo mettere a posto quello che è stato. Eppure fingeremmo di
dimenticarcene così da trattenerci l’uno nella vita dell’altra… e poi… alla
prima occasione…”.
“… verrebbe tutto fuori daccapo… lo so…” completo
io al suo posto, triste, riaprendo finalmente gli occhi e trovandomelo davanti,
chino su di me, il fazzoletto bagnato ancora in mano, i capelli biondi
spettinati e gli occhi grigi slavati dalla stanchezza. Si siede goffamente per
terra, accanto al divano, la testa reclinata all’indietro, guardando il
soffitto con espressione distratta, prima di annuire.
“Forse doveva andare così…” sussurro piano,
fissando un punto imprecisato alle sue spalle, per fermare le lacrime sotto gli
occhi.
“No… non doveva andare così…” dice lui deciso,
forte, stringendo i pugni anche se non mi guarda ancora “E’ andata così per i
Karkaroff… non posso credere che non ce l’avremmo fatta…”, il suo sguardo torna
d’improvviso nel mio, fiero, lucido, spavaldo, mentre aggiunge lapidario: “Io e
te… quelli che siamo stati, allora… ce l’avremmo fatta…”.
Annuisco, non sapendo se lo faccio solo per fargli
intendere che l’abbia sentito, oppure perché sono d’accordo con lui: cosa
importa, in fondo? Lui non mi perdonerà mai per Ilai. Io non lo perdonerò mai
per Raissa. Chi se ne frega di quelli che eravamo… ormai non ci siamo più,
ugualmente.
“Non che importi, adesso…” riprende, facendo
nuovamente scivolare lo sguardo lontano da me e prevedendo il filo dei miei
stessi ragionamenti “Credo che quella parte di me… di noi… sia morta e sepolta,
ormai… è rimasto solo… il padre di Serenity. E quello che farei per lei… e la
madre di Alex…e quello che tu faresti per tuo figlio… tutto filtra da questo.
Persino i sentimenti che ho per te, e quelli che tu hai per me… o mi sbaglio?”.
Annuisco ancora, dicendomi intanto che in realtà qualcosa di diverso c’è. E
passa tutto da quello che lui farebbe per mio figlio… per suo figlio. La
consapevolezza che le cose stanno prendendo una piega più definitiva di quelle
che dovrebbero avere, mi frastorna d’improvviso, facendomi sentire spossata.
Sto salutando intimamente Draco, ma in realtà io non posso ancora farlo, forse
non potrò mai, perché è il papà di Alex. Ma lui non lo sa, non lo sa ancora, mi
sta giustamente rescindendo dalla sua vita… e non posso permetterglielo, non
ancora. E non c’entra il sangue di cui ancora ho bisogno… c’entra Alex, il mio
bambino. Qualsiasi cosa accada, comunque vada tra me e Draco, Alex ha bisogno
di suo padre. L’ho capito tardi… ma l’ho capito.
“Io devo parlarti… c’è ancora una cosa che devo
dirti…” le mie parole mi esplodono in gola, mentre mi tiro ritta a sedere,
rompendo la quiete mesta che ci attorniava. Draco sussulta, si rimette dritto e
mi guarda in attesa. Ho la gola secca, ma improvvisamente so esattamente che
cosa dire. Non penso a me stessa, non penso a Draco. Penso solamente a nostro
figlio. Penso che ha bisogno di suo padre. Penso che non voglio e non posso più
essere da sola a fargli da genitore. Penso che tutto questo è così
maledettamente giusto, a così tanti livelli, che ormai non posso nemmeno
concepire l’ombra di un dubbio. Il mio sguardo, che si era inconsapevolmente
abbassato sulle mie mani chiuse sulle ginocchia, ritorna alto e cerca gli occhi
di Draco, mentre dischiudo le labbra.
Ma non trovo i suoi occhi, bassi dove erano prima,
mentre lui era seduto di fronte a me. Si è alzato in piedi, guarda un punto
alle mie spalle, stringe i pugni e serra la mascella. La febbre rallenta e di
molto, i miei riflessi, perché di primo acchito non capisco che diamine stia
guardando: devo persino sbattere le palpebre un paio di volte, per snebbiare la
vista. Poi comprendo che sta guardando il camino spento alle mie spalle e
mastico maledizioni sottovoce: proprio adesso doveva essere contattato da
qualche amico suo? Io e il tempismo abitiamo decisamente in due dimensioni
spazio temporali parallele.
Sto già per alzarmi e togliere il disturbo, pronta
a tornare dopo, quando lo sguardo di Draco torna nel mio, ed è torbido, teso,
preoccupato.
E lì, con un brivido che nulla ha a che vedere con
la febbre, mi volto piano su me stessa. Nel camino non è comparsa una testa
fiammeggiante, come accade in tutte le comunicazioni tra maghi. È invece
comparsa una nebbia perlacea, dalla consistenza più densa del mero fumo, che
sta rapidamente invadendo la stanza. Preoccupata mi tiro su a sedere, coprendo
il viso con una mano e temendo che si tratti di qualcosa di tossico. Cinque
secondi dopo, ne ho la conferma. Ma non si tratta di una tossicità che concerni
direttamente i miei polmoni… riguarda, invece, un alto grado di dannosità
valevole per la mia intera persona, i miei affetti, la mia anima, il mio corpo,
il mio passato, presente e futuro. La nebbia assume la consistenza netta di un
muro, e le fogge di una superficie rettangolare, quasi come se si trattasse di
un televisore: splende di un bagliore smunto ed intermittente, ronzante, finché
vortica in modo sinistro, materializzando due figure che assumono progressiva
definizione.
Traballo su me stessa, reggendomi in piedi ed
aggrappandomi al bracciolo del divano, gli occhi che mi si fanno lucidi. Mi
mordo le labbra, trattenendo le lacrime, che non so se siano d’ansia, di
preoccupazione, di dolore, di irritazione dovuta alla nebbia o di febbre. Poco
importa, non le devono vedere lo stesso. Draco, alle mie spalle, fa un passo
verso di me, mi afferra per un gomito e quasi mi costringe a stare dritta,
mentre le figure mi appaiono finalmente limpide. Lo ringrazio mentalmente,
mentre lascia cadere il braccio, dopo essersi sincerato che potessi stare in
piedi da sola.
“Buongiorno tesoro…” la voce disgustosamente roca
di Dimitri mi fa accapponare la pelle, mi chiudo nelle spalle per impedire che
se ne accorga. Ha un aspetto più florido del possibile, sembra ben nutrito,
riposato e sereno. Tutto il contrario di come sto io… e solamente a causa sua e
di sua sorella. Lei, come di consueto, non parla, ha la mascella serrata e lo sguardo
rivolto ostinatamente su di lui.
“… e buongiorno anche a te, Malfoy…” sogghigna
Dimitri, un tetro scintillio nei beffardi occhi chiari, Draco si irrigidisce
ancora di più “Non nego che avrei avuto maggiore soddisfazione a trovarti già
in perenne posizione orizzontale… ma almeno possiamo darci agli ultimi
convenevoli…”, Dimitri fa una studiata pausa ad effetto prima di aggiungere
biecamente: “Non c’è bisogno di ringraziarmi per essere riuscito in ciò in cui
fallivi da anni… ossia uccidere gli assassini della Greengrass… ed anche per
averti tolto di mezzo l’altra Greengrass… non nego di aver tratto anche del
piacere personale da entrambe le situazioni…”. Draco non risponde, resta
immobile, non posso guardarlo in viso, ma la tensione che emana il suo corpo la
sento persino io che sono davanti a lui.
“Dov’è Alex?” chiedo terrorizzata, guardando
Dimitri con odio puro, stringendo le palpebre “Che cosa gli hai fatto?!”.
“Nulla Granger, credimi…” mi rassicura malevolo
Dimitri, guardandomi di sbieco “Ho reputato che il miglior modo per far vivere
ad Alex questa esperienza, fosse che non la ricordasse affatto… quindi tuo
figlio dorme da quando l’abbiamo… prelevato… e come ben ricordi, siamo
una sola cosa adesso… domani sera lo saremo definitivamente… quindi, se mangio
io, puoi star certa che ne trae anche lui giovamento…”. Un piccolo sospiro mi
cattura i polmoni, effettivamente la sola cosa buona di questa dannata
assimilazione è che se Dimitri sta bene, sta bene anche Alex. E quel bastardo
sembra stare benissimo: quindi anche il mio bambino sta bene. E se sta
effettivamente dormendo come dice… non si sarà nemmeno reso conto di nulla. E
spero che non se ne renda conto mai… fino a quando non sarò andata a prenderlo…
“Quindi Granger, non essere noiosa…” blatera
Dimitri con un gesto noncurante, come se stesse scacciando una mosca molesta,
poi, ispirato, soggiunge: “Qui, sta succedendo qualcosa di sommamente più
interessante e a cui darei la priorità al momento…”, non capisco di che
diamine stia parlando, finché non mi rendo conto che Raissa si è stretta nelle
spalle ed ha sollevato lo sguardo lievemente. Un brivido mi fa trasalire,
mentre mi volto leggermente e guardo alle mie spalle. Draco ha lo sguardo fisso
su di lei, gli occhi di acciaio che la trapassano da parte a parte,
l’espressione dura.
“Tu… hai fatto tutto questo… a me?” l’intimità
di quella domanda è peggiore di tutte le illazioni fatte mentalmente su di
loro, peggio persino delle risposte poco filtrate che ha dato alle mie domande.
La confidenza dei pronomi personali, il tono accorato ed incredulo di Draco
che, davvero, non ha mai pensato che quella donna potesse fargli del male… mi
hanno comprendere in modo fulmineo e poco delicato quanto si sia fidato di lei
e quanto ci abbia tenuto a lei. È come uno spiraglio di una vita che queste due
persone hanno condiviso per cinque anni: il respiro di questa casa,
d’improvviso, sa ancora pesantemente di giorni trascorsi assieme, a spartirsi
poca gioia e moltissima sofferenza, mischiate tutte assieme tra le lenzuola
della camera da letto. Mi sento estranea, terzo incomodo, cerco di farmi
piccola in questa confidenza sussurrata tra queste due persone, mentre Dimitri
ridacchia ed io non so nemmeno dove guardare. Alla fine è lui che guardo,
Dimitri, perché lui è responsabile anche di questo, anche di farmi stare qui in
questo momento, anche di quest’ondata di fuoco liquido che mi scioglie le
viscere, inducendomi al pianto.
Draco, senza esitazione alcuna, prosegue con tono
spento e volutamente basso, come se stesse cercando di arrivare a qualcosa di
ben diverso dalle mere orecchie di Raissa: è come se, a suo modo, stesse
cercando di farla rinsavire, ragionare, tornare in sé. Ed ancora sento caldo,
un rovente e vorticante incendio allo stomaco. Sa di poterselo permettere,
Draco. Sa che lei lo ascolterebbe. Ovviamente, spero che lo faccia, spero che
l’ascolti… ma qualora accadesse… avrei ancora una prova ben diversa da un mero
rapporto fisico tra loro. E questo, nonostante tutto, farà sempre un male
dannato dell’inferno.
Eppure lo lascio fare, chiudo gli occhi, cerco
quasi di sparire come se non li volessi disturbare: ho imparato troppo, in
poche ore, per permettermi recriminazioni cretine da donna innamorata che mi
allontanino ancora di più da mio figlio.
“Tu hai permesso che lui me la portasse via…”
pronuncia affannato Draco, non un solo muscolo lascia intendere che stia
guardando me e non lei, mi stringo ancora nelle spalle, il fuoco che si placa
un pochino, sentendolo ricordarsi di me “Io mi sono fidato di te, da subito… e
tu mi hai consolato, aiutato. E sapevi che lei… sapevi che Hermione stava
rischiando la vita, e tutto quello che era nelle mani di tuo fratello…”, Draco
abbassa ancora di più la voce, ringhiando: “Se le fosse successo qualcosa, se
oggi non fosse stata in grado di essere qui, se l’aveste uccisa come avete
fatto con la moglie di Radcenko…”, fa una pausa voluta, forte, tonante che ha
l’effetto anche di gelare Dimitri, ma Draco scuote il capo come a ricacciare
indietro quei pensieri in un punto oscuro dentro, non prima di aver gettato uno
sguardo confuso nella mia direzione, come ad accertarsi davvero che io sia qui.
Tento un timido sorriso con gli occhi, ma lui volta subito il viso altrove,
riprendendo: “… avevate un debito con me. Tu avevi un debito con me… e l’hai
saldato, allontanando da me la sola persona che avesse mai contato fino a quel
momento nella mia vita…”, ancora rabbrividisco e mi serro nelle spalle, il
calore che non so se sia febbre, che mi toglie il fiato e mi azzera la
salivazione.
“Ed adesso…” soggiunge stoico Draco, sibilando
freddo “Per me non fate alcuna differenza… entrambi... lasciate libero il
bambino…prima che vi pentiate tutti e due di esserti mescolati alla mia
stramaledetta esistenza…”. Dimitri, ovviamente, non si scompone, ridacchia
beffardo e sta per aprire bocca, ma Raissa finalmente solleva lo sguardo, gli
occhi verdi corrono prima al mio viso, ritraendosi disgustati, e poi vagano su
quello di Draco, mentre aggiunge, ignorando la sua minaccia: “Fino ad una
settimana fa… fino a pochi giorni fa… non avrei mai voluto chiamare
Dimitri indietro dalla morte falsa, che si era imposto…”, parlano come se non
ci fossimo, Dimitri non ne pare disturbato, sghignazza e basta, guardandomi;
io, in compenso, non riesco a stare ferma con i piedi, la febbre che rende i
miei movimenti fin troppo lenti “… ed anche se l’avessi fatto… tu e Serenity
dovevate restare fuori…”. L’aria assente di Raissa torna improvvisamente fin
troppo presente, mentre soggiunge digrignando i denti: “Ma lei si è presa Ilai…
me l’ha portato via… i-io ho visto come la guardava… Ilai la guarda come
guardava Tatia, come non ha mai guardato me, con quell’ansia di uccidersi pur
di proteggerla…”, mi stringo nelle spalle, distolgo il viso, come se lei
potesse leggerci anche il modo che ha avuto Ilai di baciarmi. Non so se sia lo
stesso che aveva con Tatia, e nemmeno mi interessa, ma non vorrei mai che lo
intuisse. Draco, alle mie spalle, segue le mie manovre in silenzio, lui che
invece difficilmente posso ingannare. Il mio sguardo corre un secondo nel suo,
ma è lui a distoglierlo per primo, tornando a Raissa che riprende a parlare:
“Ma ho visto anche come lei guardava lui… e come guarda ancora anche te… se non
fosse la puttana che è, se si fosse accontentata solo di Ilai… tu almeno
saresti stato salvo… ed invece vi vorrebbe entrambi, quella cagna…”, ancora
Raissa parla come se io non ci fossi, non mi do pena di rispondere ai suoi
patetici insulti, mi basta sapere dove diamine sia mio figlio, ma se non
finiscono sto discorso inutile, non posso ovviamente saperlo “… ed io non posso
lasciare che abbia né te, né Ilai… si consolerebbe con il superstite,
l’aiuterei persino a scegliere… ed invece così non avrà nessuno dei due… come
non vi avrò io…”. La rabbia ovviamente mi raggiunge nonostante il velo della
prudenza, della disperazione e della febbre, costringendomi a mordermi
l’interno della guancia nervosamente, finché non sento il sapore del sangue in
bocca. È come benzina sul fuoco quel tono ferrigno sulla lingua: i pugni chiusi
lungo i fianchi, mi ritrovo ad urlare stremata prima di rendermene conto: “E tu
per punire me, accetteresti anche di ammazzare la persona che dici di amare? E
quella con cui hai vissuto per cinque anni? Ed ammesso che ciò non ti convinca…
che cosa diamine c’entra mio figlio, sua figlia?! Sei stata con Serenity per
cinque anni… ed adesso la priveresti di suo padre?! Che razza di persona
sei?!”. Draco alle mie spalle, raggela, come se avessi detto troppo, cosa che
mi fa chiedere se non abbia esagerato. Ma, dopo, la pressione gentile che fa
con due dita sulla mia schiena mi fa rabbrividire di sollievo.
Dimitri chiude le braccia al petto, divertito,
osservando in tralice la sorella, come ad aspettarsi la prossima battuta nel
dramma che stiamo mettendo in scena per suo esclusivo divertimento. Raissa non
si scompone minimamente, ha un’aria folle ed allucinata che non le ho mai
visto. È come se davvero avesse perso ogni cognizione del reale. Sussurra solamente:
“Se Serenity resterà sola… sarò io a farle da madre… come in fondo Draco
voleva…”, le dita di lui, sulla mia schiena, tremano piano, come se
d’improvviso e finalmente abbia capito con chi diamine abbia a che fare. I suoi
occhi perdono la sfumatura quieta della diplomazia che aveva assunto, perdono
ogni accenno tenero di affetto verso quella donna e si spalancano nervosamente,
comprendendo quanto i Karkaroff abbiano in comune tra loro. Qualsiasi ostacolo
ai loro obiettivi, deve morire… e, in modo diverso, sono io il loro obiettivo. Lui,
Ilai, Alex e persino Serenity… sono inciampi trascurabili. Saranno soddisfatti
solo quando sarò distrutta, marcia, morta, ma di Dimitri. La mano di Draco
abbandona la mia schiena, si serra a pugno e resta sospesa lungo il fianco.
“… e in quanto al bambino…” prosegue Raissa
monotona, come se stesse semplicemente organizzando una gita al mare “Te lo
potrai pure tenere, Granger… se fai esattamente quello che ti abbiamo
chiesto…”. Per un folle e sconsiderato attimo, mi immagino in un castello nero,
colmo di morte ed odio, a crescere mio figlio assieme a Dimitri. È la cosa più
orribile e sciagurata che abbia mai immaginato, non posso pensare che ci
credano sul serio. Ma è così e me ne dà conferma Dimitri cinque secondi dopo,
aggiungendo casuale: “Il bambino, poi, non è nemmeno fastidioso… credimi,
Granger, mi sono anche ricreduto sul tuo moccioso, sembra un bambino
intelligente e sveglio… era decisamente più odioso quando era nel tuo grembo,
con quella stramaledetta barriera magica… ma non ci conoscevamo ancora, adesso
siamo una cosa sola… andremo davvero d’accordo…”.
“Sei ancora più pazzo di quanto non pensassi se sei
arrivato persino a concepire una cosa del genere…” mormoro a denti stretti,
facendo un passo che spero suoni come minaccioso, sebbene nella febbre è molto
più traballante di quello che vorrei “Mi riprenderò mio figlio… e la farò
finita con voi due, una volta per tutte…”. Dimitri ovviamente non si scompone,
scuote il capo come farebbe un fratello maggiore che deve sempre sopportare i
capricci della sorellina e mormora con voce annoiata: “Domani sera,
l’assimilazione diventerà definitiva… a meno che tu non mi porti i cadaveri di
Radcenko e Malfoy… ed allora finalmente sarà finita sul serio…”. Digrigno i
denti, nella testa rincorro già la soluzione al problema di ingannarlo sui
corpi di Ilai e Draco e divento cieca e sorda del mondo circostante, al punto
che non mi accorgo subito che è calato uno strano ed inquieto silenzio nervoso,
di cui non capisco l’origine e il motivo. Sollevo lo sguardo nebuloso e mi
rendo conto che Raissa è ferma, immobile, gli occhi sbarrati ed incuriositi: ha
persino un singulto sinistro di gioia, che le trasfigura il viso di una luce
cattiva che subito mi dà i brividi lungo la schiena. Dà una gomitata quieta a
Dimitri, che segue la direzione del suo sguardo, e sorride a sua volta,
divertito, stupito, autenticamente felice. Aggrotto la fronte, non capendo e,
sebbene tenti di seguire la direzione del loro sguardo, non mi sembra che ci
sia granché di nuovo nella stanza. Poi Dimitri scoppia a ridere senza ritegno,
ottenendo di farmi ancora di più innervosire, così che automaticamente apro
bocca per vomitargli addosso una serie di insulti e bestemmie, che però mi
muoiono in gola. Perché lui, con calma e divertimento, mentre persino Raissa si
trattiene dallo scoppiare a ridere, dice perfido: “Sai che c’è, Granger? Voglio
essere generoso… portami solo il cadavere di Radcenko…”, lo guardo senza
capire, comprendendo che deve essere successo qualcosa che, nel delirio della
febbre, mi è evidentemente sfuggito. Mi sento così idiota che sto quasi per
chiedere il perché, ma poi di istinto, guardo la schiena di Draco, grata che
lui possa essere in salvo e possa restare fuori da questa storia. E gelo su me
stessa.
La sua schiena è contratta, la maglia appare sudata
e ha i pugni stretti così forte lungo i fianchi, che piccole gocce di sangue
franano al suolo. Sto già per correre verso di lui, quando un’aura di colore
nerastro attorno al suo corpo mi avvisa che probabilmente non riuscirei a
toccarlo. Sembra… elettricità pura. Che diamine sta succedendo? Gli hanno
fatto… qualcosa? Ma non ho visto nulla, non gli hanno nemmeno rivolto la
parola… è lui… che sta reagendo, così. Ma a cosa, diamine? Non c’era già abbastanza
da essere furioso? Ripercorro mentalmente le ultime fasi della conversazione,
cercando qualcosa che non so, ed arrivo alla soluzione nello stesso momento in
cui Dimitri, prima di sparire, sibila dolciastro: “Non ti perdonerà mai,
Granger… tanto vale che resti vivo ad odiarti per sempre…”.
La nebbia si dirada come era nata, spegnendosi con
le risate sguaiate di Dimitri e Raissa: ma il gelo nella stanza non passa,
l’aura di Draco non passa, i suoi capelli ondeggiano di potere nero come se
fosse immerso nell’acqua. Non riesco a guardargli il viso, non so che
espressione abbia, terrorizzata mi rendo conto che forse non lo voglio sapere. Mi
sta facendo autenticamente paura, davvero… e cerco immediatamente di farmi
vicina, di parlare, di spiegare. Ma lui, con un solo singolo e flessuoso
movimento della bacchetta, dopo aver pronunciato un irato: “Silencio!”,
tronca la mia voce in gola. Ricado seduta al suolo per il forte contraccolpo
dell’incantesimo, stringendo una mano sul collo: non ha mai usato un incantesimo
contro di me, mai. E mai, con quella voce… come si trattenesse dall’uccidermi.
È quello, forse, a lasciarmi seduta inerme al suolo, senza tentare la benché
minima reazione, senza provare a forzare l’incantesimo. Non saprei nemmeno che
dire.
Ormai… nemmeno importa più.
Dimitri
ha accennato che ero incinta di Alex quando ero nel suo castello... cinque anni
fa…
Draco, davanti a me, la bacchetta quasi spezzata
tra le dita nervose, pronuncia un altro feroce incantesimo che fa sollevare la
carta da parati della parete di fronte, che esplode in mille pezzi, soffiando
polvere sul mio viso. Sulla parete, dietro la carta spezzata, emerge un
ritratto dalla cornice antica e rovinata: una donna dall’aspetto nobile, gli
occhi azzurri stropicciati dal sonno e una lunga massa di capelli corvini.
Draco le si rivolge inquieto, la voce tenuta faticosamente normale dal tono di
voce urlato che vorrebbe sputare fuori: “Nonna! Il tuo quadro… il tuo quadro a
Grimmuald place… accanto all’arazzo dei Black… voglio che tu vada lì! Gli
ultimi nomi dell’albero genealogico… leggimeli!”. Quella che adesso ho
riconosciuto come la nonna materna di Draco, Druella Rosier, sparisce dopo aver
fatto un vezzoso inchino, lasciando la cornice vuota. Attonita, cerco di
liberarmi dall’incantesimo, perché non posso sopportarlo, non posso sopportare
che accada così, non posso permettere che succeda così… e dovrei essere io,
adesso, a togliergli i dubbi, persino quello infamante che, cinque anni fa, ero
incinta di un altro uomo. Piango ed apro la bocca come uno stupido pesce rosso
in una boccia, Draco che non si gira e volta affatto, lo sento solo digrignare
i denti nell’attesa, come se li stesse per spaccare. Si muove solo quando mi
vede alzarmi in piedi, e tentare di arrivare verso di lui: rapido, letale,
veloce, mi costringe con un altro movimento della bacchetta al suolo, facendo
esplodere una scarica di luce violetta contro il mio petto. Le mie costole
tremano affannate, il fragore attira anche gli altri, li sento scendere le
scale ma Draco, furioso, gli occhi ciechi, pronuncia un Colloportus
così forte, che la porta sembra quasi staccarsi dai cardini. Finalmente lo
guardo in viso: grosse gocce di sudore gli imperlano la fronte, le pupille sono
dilatate e ricacciano l’aura grigia verso il fondo degli occhi, le labbra sono
violacee e serrate, il respiro convulso, i capelli biondi ancora ondeggiano di
potere represso. Mi getta una sola singola occhiata, mentre giaccio inerme ai
suoi piedi, tenendomi il petto dolorante con una mano, e non è pena,
dispiacere, dolore o confusione. È solo rabbia, disgustata, livorosa,
rancorosa, che mi farebbe a pezzi, se potesse. Nemmeno quando pensava che fossi
l’omertosa complice dell’omicidio dei suoi, o di Helena, mi guardava così… e
scopro che fa così male, da farmi desiderare di morire all’istante, in sfregio
persino ad Alex, in sfregio al mio orgoglio, in sfregio a tutto. Piango
disperata, senza poter emettere un solo suono, l’incantesimo che mi blocca
anche a causa della febbre, ed ogni parola si putrefà nella faringe,
trasformandosi in una cascata di odiosi cristalli di sale che scartavetrano la
gola, facendola sanguinare di offesa e di umiliazione, oltre che di sofferenza
e tristezza.
Quando Druella Rosier torna, ha anche lei
l’espressione disgustata: guarda il nipote con astio, tenendosi un fazzoletto
ricamato sulle narici come se avvertisse un fetido odore di fogna.
“Di chi sono gli ultimi nomi, nonna?!” scoppia
Draco come se non ne potesse più, il vaso sul tavolino accanto a lui esplode in
mille pezzi, mi proteggo il viso dai frammenti di vetro.
“Di traditori del loro sangue, di feccia, di
mezzosangue che inzozzano la nostra purezza di stirpe…” piange Druella,
guardando biecamente Draco che, ansimando, urla di nuovo, incendiando la tenda:
“Di chi sono i nomi?!”. Druella sembra spaventata, assume un colorito bianco ed
esita, poi, terrorizzata, sputa fuori due nomi, prima di sparire nel paesaggio
bucolico alle sue spalle.
“Teddy Lupin, nipote di quella sciagurata di
Andromeda… ed Alexander Leo Malfoy, nipote della mia piccola Cissy… e figlio
tuo e della Sanguesporco Granger…”.
Tutta l’aria, tutto l’ossigeno viene succhiato via
dalla stanza, sostituito da un qualcosa di acquoso, viscido, denso come gli
abissi di un oceano morto: qualcosa che rallenta i movimenti, qualcosa che
rende tutto soffuso ed oscuro ai miei occhi, qualcosa che fa pulsare
dolorosamente un punto fiammeggiante sopra il mio seno sinistro. Ed allora,
forse, non è solo l’aria che manca, non è solo il cervello che annaspa,
chiedendo qualcosa che non ha più e che probabilmente non avrà mai – l’aria
limpida, serena, pulita, come se tutto fosse a posto - : forse allora, è il
tempo stesso che se ne vola fuori, assieme alla vita, al delirio
dell’esistenza, alla cognizione di chi siamo e di che cosa vogliamo, divento
piatta come un foglio di carta, devitalizzata come un embrione abortito, secca
come una foglia d’autunno. Tutto si atrofizza, tutto resta immoto per qualche
secondo, amaro come un limone mangiato in modo improvvido e sleale, che
annienta il senso del gusto per sempre.
Una nuvola abbatte il sole, lo cancella, le pareti
si rivestono di piombo e sembriamo chiusi dentro una cassaforte in fondo al
mare, come l’esperimento di un mago escapologo.
Ma fuga non c’è: è la fine, perché la
fine si annuncia, bussa, sparge segni come semi al vento che ti soffiano in
viso, costringendoti a chiudere gli occhi. E se anche non vedi, senti e sai,
lo sai che alla fine stai arrivando, perché il cuore si fa pesante tra
le costole, diventa d’improvviso così rovinosamente greve che ti schizza fuori
il poco respiro che raccatti in una stanza che sa di piombo e di acqua sporca.
Io, questa fine l’ho costruita pezzo dopo pezzo, l’ho ricamata come la
tela di un arazzo da guardare con spasmodica attenzione tronfia, calibrando il
colore di ogni filo e recidendo ogni fibra che mi tenesse ancorata a qualcosa
che stridesse con la fine stessa. Da quando sono entrata qui, l’avrei
voluta mia questa fine, l’avrei voluta tenere stretta tra le mani così
da conoscerne foggia e forma e non poterla confondere con null’altro, né con
una pausa di riflessione, né con un moto di pigrizia emotiva, né con un spasimo
di orgoglio funereo. L’avrei voluta decisa e spontanea, ineluttabile eppure
convinta, con quell’ombra soffusa di speranza che solo il tempo sa risolvere e
rivoltare, rivelandola come un retaggio d’abitudine o un autentico investimento
nel futuro. Ma io, che sono quella dell’essere responsabili delle proprie
azioni, quella che ponteggia sul libero arbitrio, quella che “se vuoi
qualcosa, la fai”, quella de “le coincidenze non esistono”, ecco
quella… mi ritrovo a subire la fine, senza che l’abbia innescata, senza che
l’abbia vista arrivare. E la subisco anche fisicamente perché resto seduta per
terra, senza voce, il labbro spaccato. Debole, sconfitta e vinta che, se ci
fosse Dio, gli chiederei il motivo di tante elaborate punizioni e se mi
rispondesse che ne avrò ricompensa, direi che ricompensa e premio non c’è.
Perché tutto mi è tolto, tutto mi è rubato come se io non me lo fossi nemmeno
dovuto drappeggiare addosso, che forse vivo la vita di un’altra ed allora me la
strappano pezzo a pezzo.
Forse vivo l’amore che doveva essere di Helena,
forse vivo la maternità che doveva essere di Tatia: quindi, adesso, se le
vengono a prendere con gli interessi.
E
allora strappatemele tutte, dannate streghe, ed è all’inferno che marcite perché
nessun Dio potrebbe volere questo: strappatemi via ogni goccia stupida di amore
per quest’uomo, fate che ne abbia emorragia, tiratemelo fuori dal sangue, dal
petto, dall’anima, dal respiro, dal fiato, dal ricordo, e fate un lavoro
certosino, preciso, lungo, accurato. Strappatemelo dalle unghie, che non mi ci
aggrappi più, che non diventi amicizia, stima, tenerezza, imbarazzo, perché
deve bruciare come l’inferno che vi brucia, perché solo così abbiamo pace,
odiandoci ed uccidendoci. E strappatemi l’amore di madre, perché mio figlio merita
tutto, merita altro che non sono io, e di errori ne ho troppi, decine, migliaia
di cui presentare il conto. E sarà salato, salatissimo… ed allora che sia salvo
mio figlio, il mio bambino, ma che non sia con me, che vi prendiate tutto di me
e io che possa restare involucro nella terra, a dormire, a riposare finalmente,
a giacere illibata e vergine in una tomba di nulla, perché è troppo sfiancante
andare avanti, ed in questo corpo forza non ce n’è più. Me l’avete drenata dal
corpo: ed allora… adesso… posso riposare ora?
L’orgoglio, per primo, ha subito la fine: non mi
riesco ad alzare da terra, non mi sforzo di parlare, guardo solo le mie
ginocchia, provando solamente ad escludere dalla mia mente che cosa possa
provare Draco. Non sapevo ancora che parole avrei usato, probabilmente avrebbe
avuto comunque un colpo... ma avrei cercato ogni balsamo per lenirlo. Posso
odiare il Draco che amo e che mi ha sostituito tre mesi dopo che ero sparita…
ma non avrei mai odiato il padre della cosa che amo di più al mondo. Ma lui,
adesso, non ha avuto alcuno schermo: la verità è stata fango, limo, sabbia,
buttate in faccia a schiacciargli il fiato, accompagnate poi da una turba di
pensieri neri che posso solo intuire. Con la coda dell’occhio, mi accorgo che
Draco, d’improvviso, ha ripreso a muoversi come un animale in gabbia, l’aura
ghiacciata che ancora gli gravida attorno, i pugni serrati lungo i fianchi ed
un’espressione stralunata che non gli ho mai visto. I nostri amici continuano a
bussare alla porta, ma non raggiungono le sue orecchie. Misura a grandi passi
la stanza, pazzo, feroce, animalesco, ripetendo tra le labbra: “E’ mio
figlio. E’ mio figlio. E’ mio figlio”. E, ad ogni passo, ad ogni
invocazione, ad ogni movimento dei piedi, prende qualcosa che infrange
violentemente al suolo: un vaso colmo di peonie bianche e rosa, una cornice con
una foto di Serenity, un soprammobile di un viaggio a Londra… un ricordo, uno
slancio di passione, un monito di tenerezza, un singulto di perdono: rovinano
pezzi di vita sul pavimento, infranti dalla sua furia cieca, e non faccio nulla
per spostarmi dalla loro traiettoria. Distrugge tutto di quella vita serena, da
rivista d’arredamento, che tanto avevo invidiato entrando qui: come se
bruciasse su una pira quello che è stato fino ad ora. Sembra godere nel
calpestare frammenti e pezzi di carta, finemente, fino a ridurli ad una polvere
sottile ed apparentemente innocua. Si porta spesso le mani nei capelli, si
morde il labbro, calcia con violenza sedie e tavoli, ma mai guarda verso di me.
Perché
ora è il sangue che ti spinge: il sangue del padre, vero?
Chi
abitava in questa casa, nonostante tutto, era sempre Danny Ryan: magari più
tranquillo, riconciliato, felice. Ma di quel riflesso, tu hai preso in prestito
sembianze di calma, che non hai mai posseduto ed, alla fine, avevi fatto così
finta di essere lui che lo sei diventato sul serio. Avevi la sua mente tersa,
banale, concentrata su un oggi patinato di gioia rafferma. E ci hai creduto sul
serio: hai appeso foto di un passato che potevi ignorare, hai cresciuto una
bambina, ti sei persino detto che andavi avanti perché stavi con Raissa. Poi
sono entrata io… e sei tornato Draco, il mio Draco, che ha il cuore spremuto
dall’amore e che cerca di mettere a tacere con l’ironia sbruffona; che confonde
l’odio con l’adorazione, che di me tutto odi e disprezzi, e tutto poi ami e
idolatri. E Draco conosce gelosia, passione, rabbia, e le mescola tutte
assieme, in un calderone che ucciderebbe altri, ma non smuove te, che hai il
cuore allenato a sopportare il quadruplo delle reazioni umane. Draco, lui sì, che
poteva anche accettare che oggi fosse la fine… perché in fondo è generoso come
nulla, e mi avrebbe lasciato andare. Io amo Draco, disprezzo Danny Ryan… ed
odio Malfoy. Ed ora, io ti ho fatto tornare Malfoy, quello che magari tu stesso
eri convinto che non ci fosse più… ma invece c’era, è un legame che si nutre di
placenta ed orgoglio genitoriale, rinsaldandoti alla stirpe marcia che ti porti
dentro.
E,
sebbene padre lo sei già… Serenity non è tua. E’ libera di amarti o no… è
legata non dal sangue, ma dall’amore… e quello è Draco.
Di Alex
avresti avuto prima dell’amore, sangue, orgoglio, rispetto… ti avrebbe fatto
nascere padre come padre nacque Lucius Malfoy.
Purosangue,
traditore, fariseo, becero doppiogiochista… che del sangue vive e del sangue,
ora, ha un riflesso sconfessato e scoperto per caso. È il sangue che chiama
adesso.
Sei un
Malfoy, a cui hanno tenuto nascosto un figlio.
Non c’è
essere più pericoloso, cattivo ed imprevedibile nell’intero Universo.
Repentinamente, Draco si ferma immobile nella
stanza e scoppia a ridere in modo così stridente e folle, da farmi accapponare
la pelle. Si piega in due, ma intanto continua a calciare oggetti sparsi.
Non ho
paura, di lui. Non devo averne.
Ancora non mi guarda, si rivolge all’aria stantia
che ci circonda, come se non esistessi, come se fossi evaporata qualche istante
fa e lui parlasse ad una sgradita ospite lontana della memoria: “Non ha detto
la sua età. Non l’ha descritto. Non ha detto nemmeno il suo nome completo… Leo
fa persino di secondo nome…”, ancora gli sfugge una risata astiosa,
denigratoria, che vede in quel piccolo gesto che io volevo come legame, solo un
ulteriore beffa a suo danno. Difatti commenta: “Il contentino, certo…”,
insegue frotte di pensieri lugubri, mentre ancora fa avanti ed indietro: “Ne ha
parlato da quando è entrata qui, non voleva che l’aiutassi, voleva che stessi
lontano da… da mio figlio…”. Quell’aggettivo possessivo, lo pronuncia
con voce dolente e tremante, è un delirio incosciente, un rantolo da ubriaco
che conosce sintassi scomposta e pause nevrotiche. Ha perso completamente il
controllo… lui, che il controllo non lo perde mai. Rabbrividisco ancora, mentre
prosegue con voce più sottile, guardandomi in tralice, una smorfia di ribrezzo
che gli deforma il viso: “Sei stata furba, eh, Granger? Peccato che Karkaroff
abbia parlato… peccato, davvero… avrei pensato per sempre che tuo figlio fosse
davvero solo tuo, fosse davvero una scopata occasionale…”, la sua voce
improvvisamente si alza di tono, chiude i pugni e mi affronta a muso duro,
gridandomi contro: “Me lo avresti tenuto nascosto per sempre, vero?! L’avresti
persino spinto ad odiarmi, perché mi facevo quella che l’ha rapito, vero?!”,
frustrato, afferra la bacchetta e la punta nella mia direzione, tremo come se
davvero temessi che possa uccidermi, mentre invece si limita ad urlare
minaccioso: “PARLA, dannazione!”. Un’ondata di calore mi avvolge la gola,
mentre riacquisto l’uso della parola. Lo guardo come non credo di averlo mai
guardato, perché mai nella vita, sin dalla preistoria di Hogwarts e sin dai
tempi della guerra, ho associato tanti aggettivi negativi e terrorizzanti sulla
sua persona. Mi sforzo mentalmente di rintuzzare orgoglio e coraggio, come
farei di una brace addormentata punzecchiata con un bastone: cerco vie e strade
inesplorate, sentieri impervi che mi facciano risorgere me stessa da questo
involto tremolante che sembro essere diventata. Ma non c’è verso: non posso
richiamarmi alla ragazzina di scuola, che intimamente riteneva di essere
migliore di lui per merito e destino; non posso appoggiarmi all’eroina di
guerra, che magnanima accettava supponente un traditore che veniva dalla sua
parte; non posso nemmeno rifarmi alla donna innamorata che mai avrebbe permesso
che lui mi parlasse ed usasse così, perché quella donna l’ho talmente
seppellita ed uccisa per far posto solo alla mamma di Alex, che ormai non so
manco dove sia. E la donna che non sa che prova per Ilai, è ancora
maledettamente debole, perché brandisca quel sentimento nebuloso come una spada
ed un bastone ed un sostegno. C’è solo la madre di Alex, adesso, e quella,
senza suo figlio, basta un alito di vento per spezzarla e portarsela via.
La mia voce, pigolante, gracchiante, terribilmente
somigliante al peggiore dei miei peggiori incubi, squittisce, mentre cerco a
fatica di alzarmi in piedi: “I-io… io te lo stavo dicendo… poco fa, ricordi… ti
ho detto che ti dovevo p-parlare…”. Sono parole nate deformi, nate già
handicappate, quando escono dalle mie labbra, e suonano come suonerebbero degli
sgraziati fracassi prodotti da utensili inutili. E difatti Draco, lo sguardo
cieco di furia, non perde un secondo per interrompermi, contraddicendomi. La
sua voce non è come la mia, è dura, forte, urlata, come mai è stata.
Il
padre di Alex e Draco Malfoy non hanno quasi nulla in comune. Stessa cosa per
la madre di Alex ed Hermione Granger.
Forse…
non torneremo mai noi stessi.
Chiudo gli occhi inconsciamente, mentre Draco mi
urla addosso: “Quando, eh? Quando? Dieci minuti fa? Sei qui tra ventiquattro
stramaledette ore… ed abbiamo parlato di tutto, DI TUTTO, tranne che di questo…
mi sono dovuto sentire per ore le menate su te e Radcenko, Weasley, Thomas o
chi cavolo ti fai al momento! E non ti è passato per la testa di dirmi che il
figlio di cui parlassi, era anche mio?! Dovevi dirmelo appena entrata! Ed
invece no…”, si ferma, prende fiato, si massaggia stanco la tempia e riprende,
la voce più malevola: “E’ stata tutta elusione continua, ci hai girato attorno,
ecco che cosa cazzo mi stavi tenendo nascosto, ecco che cosa evitava di dire
Seth, Pansy… hai costretto anche a loro a mentirmi!”.
“Non dire sciocchezze!” qualcosa di me stessa
rispunta fuori, come un raggio di sole nell’abisso nero dell’oceano, ma è
ancora poco, ancora poco, ancora gracchia insopportabilmente la mia voce “Sapevano
che era una scelta mia, che ero io che dovevo…”.
“Fare, cosa? Eh? Cosa?! Dirmelo quando ti
aggradava, dirmi che mio figlio è in pericolo e io non so nemmeno di avercelo
un figlio?!” è senza controllo, senza freno, mi interrompe ancora e so che ha
ragione, so che avrà sempre ragione “T-tu… mi hai guardato negli occhi, hai
detto di essere sincera… e non mi hai detto tutto questo?! Tu dovevi tornare da
me cinque anni fa, appena hai scoperto di aspettare il mio di figlio!”. Si
avvicina minaccioso a me, il volto trasfigurato dall’ira che sembra la maschera
cattiva di un demone da teatro, colma di rosso e nero e di lineamenti
luciferini, rabbrividisco e gemo, come se temessi ed aspettassi il colpo
fatale. Ma lui mi afferra per le spalle, mi scuote violentemente, la febbre mi
fa sentire tutto triplicato e mi fa a pezzi il cuore, sbriciolandolo del tutto.
Grida a muso duro, ad un bacio dal mio volto: “Nessuno ti dava il diritto di
scegliere per il mio di figlio!”.
È quella improvvisa vicinanza che quasi mi sveglia,
mi tramortisce, mi acceca: pensare che, quando due persone sono così vicine,
quando si sono amate, si colma il sangue del desiderio di un bacio. Lo scopro
ancora nel fondo di me stessa, è simile ad una piccola fiammella rosata che mai
sarà spenta, nemmeno da questa conversazione. È come afferrare il filo e
procedere a ritroso fuori da un labirinto, recuperando ad ogni passo ed
ostacolo superato, una parte di me stessa, di lui e di quelli che siamo stati
assieme. Recupero ricordi e forza d’improvviso, tanto per persino la febbre mi
sembra sopportabile, diventa una carezza fresca. Io ho cresciuto mio figlio,
nostro figlio, nell’amore: quello che ho dato a lui, quello che lui ha dato a
me, quello che gli ho sempre detto che l’ha forgiato. Dentro di me, per mesi,
hanno battuto due cuori, come se davvero si volesse triplicare e moltiplicare
l’amore. Il mio è un cuore piccolo, rugoso, colmo di imperfezioni e rughe. Il
cuore di mio figlio era ed è, dentro di me, luminoso, chiaro, circondato da
un’aura di fiducia smisurata nel mondo e nella vita, da un’allegria scanzonata,
da una sorridente vivacità. Ora, adesso, lo sento ancora nel ventre quel
battito lontano. Ed esso mi riporta sulla retta via, come l’ago di una bussola:
l’amore che ispira anche solo il ricordo di un bacio, nutrendosi di un’ostile
vicinanza… l’amore che fa battere due cuori nello stesso corpo fallace di una
donna… è lo stesso amore che ha messo al mondo quel figlio, che Draco adesso
rivendica come suo. L’amore non sbaglia mai. Furia e fuoco nelle ossa, ammetto
con me stessa di aver potuto sbagliare come amante, come moglie finta, come
donna imperfetta… ma non come mamma. Ho strattonato ogni parte di me stessa per
essere la migliore delle madri, ed il migliore surrogato di un padre.
Posso accettare il rimprovero alla mia me stessa
innamorata, quella che tiranneggia quest’uomo, quella che non perdona che sia
stato con un’altra, quella che nutre sentimenti confusi per Ilai, quella che
non è mai sicura e che odia ed ama assieme, e posso condannarla per aver
prevalso quando sono entrata qui dentro, e per avermi tappato la bocca nel
parlare con Draco… se lui mi rimprovera di non avergli detto di Alex appena
sono entrata, ha ragione. E ne avrà sempre. Non avrò mai sufficienti scuse a
riguardo. Ma non può nemmeno osare fiatare su questi cinque anni. Una sola
imperfezione non cancella quella che sono stata per cinque anni: non cancella
che un minuscolo frammento di merito nel modo in cui sia venuto su mio figlio,
sia anche mio. Non cancella che mio figlio sia cresciuto sereno e felice, per
quanto era possibile, sebbene sostanzialmente prigioniero. Non cancella che io,
adesso, sempre… farei qualsiasi cosa, anche morire, anche uccidere, anche
rinunciare a lui, per averlo in salvo.
La colpa dell’amante, non cancella le scelte della
madre.
Nemmeno se provasse a cancellarle il padre di mio
figlio. Specie se mi rimprovera di non essere tornata cinque anni fa.
Finalmente la mia spina dorsale torna dritta,
raddrizzo la schiena, le guance si asciugano e il coraggio risorge, mostruoso e
terribile. Lui mi guarda sbattendo le palpebre, in questo infinito gioco di
parti di teatro sembra Draco per un attimo, e non più Malfoy, gli occhi sono
meno neri, e più grigi, meno grigi e più azzurri. Mi divincolo dalla sua presa sulle mie spalle,
lo guardo socchiudendo gli occhi ed urlo a mia volta, la voce adesso finalmente
somigliante alla mia: “Mi hai sentito almeno quando ho parlato, prima?! Hai
capito che cosa diamine mi è successo?!”, glielo chiedo davvero come se davvero
non avesse capito, e lui davvero per un attimo sgrana gli occhi, ci sono tante
dimensioni del non dire e del solo sentire tra me e lui, che è autentico
stupore che si mescola all’ira nei suoi occhi. Questo rende la mia voce più
bassa mentre proseguo, ma non meno amara, confondendosi con un accenno
indistinto di pianto: “Scusami tanto se mentre ero imprigionata nel castello di
Dimitri, non ti ho potuto immediatamente chiamare per appendere il fiocco
azzurro dietro la porta… l’ho scoperto nella peggiore delle maniere, buttata in
una cella polverosa, con un ragazzo che avevo condannato all’immobilità accanto
e con il pensiero di dover partorire lì… e se ben ricordo, non credo nemmeno
che avessimo propriamente programmato la cosa…”, lo sguardo di Draco si tinge
di qualcosa di caldo e tiepido, che però fa scomparire immediatamente sotto le
palpebre, mentre mi affanno a continuare: “E scusami se i primi tre mesi della
mia gravidanza fossi in coma, in Italia, non propriamente in grado di prendere
telefono e carta da lettera e scrivere ad una persona che, peraltro, era
scomparsa per tutti…!”. Abbasso il viso, frenando il rigurgito da innamorata
che lo accuserebbe ancora di essere andato a letto con Raissa quando io ero in
coma ed incinta, poi, quando sono certa di stare ferma con le parole sgradite,
continuo a voce ferma: “E scusami ancora se ho pensato prima di tutto ad Alex,
lasciando che crescesse in Italia, fino a quando non sapessimo che fosse al
sicuro… e nonostante tutto vedi come è andata…”, devo ancora distogliere lo
sguardo per impedirmi di piangere, aggiungendo casuale: “Astoria voleva per sé
il figlio di un Malfoy, era assurdamente convinta che tu l’avresti voluta
indietro se ti avesse fatto credere di aver partorito lei Alex… credi che io
potessi tornare con questo pensiero? Credi che l’avrei messo in pericolo… per,
cosa, poi? Non avevo nessuna certezza, nessuna garanzia che tu…”, le parole si
sfaldano e vengono seguite da un silenzio pesante che odio, perché è colmo di
ogni sciocca speranza lercia che avevo di mettere su una vera famiglia, quando
l’avessi trovato. Lo rompo questo silenzio odioso, tornando a guardarlo e
gridando a pugni chiusi: “Ho pensato solo a proteggere mio figlio!”.
Draco, quando mi volto, ha un singulto deciso negli
occhi chiari che non intendo appieno e non intendo subito: per un attimo sembra
rammarico, rimorso, e sono sensazioni tutto sommato dolci, retaggio restio di
un amore che forse ancora prova per me. Ma anche in lui, l’amante ha vita da
farfalla: dura un battito d’ali e muore. Il padre è più forte. Serra la
mascella, acquisendo altre cose che gli avevo omesso come la minaccia
costituita da Astoria, ma evita ulteriori recriminazioni. Il torto di non
avergli detto di Alex assorbe tutto, tanto lo ritiene grave. Infatti si limita
a guardarmi con ferocia, masticando: “Hai pensato, nella tua contorta e
discutibile maniera, a proteggere nostro figlio… smettila immediatamente
con questa smania di possesso”.
La rabbia scaccia la diplomazia ed il tatto, ed improvvisamente
esplodo, senza il benché minimo controllo, ringraziando che Alex non sia qui
adesso, ringraziando che posso urlare contro quest’uomo che di mio figlio ha
solo sangue ed occhi, ma nulla del suo cuore, della sua gentilezza, di quel
battito regolare che mi batte nel ventre. Lascio che il fiume di parole mi
dreni e mi lasci esanime, ma che mi impedisca di implodere in me stessa: “Smania
di possesso?! Ma ti senti?! Sei padre da quanto, cinque minuti, e già ti vuoi
immischiare in quella che è la sua vita, le mie scelte, le mie decisioni?! Io
l’ho cresciuto, io gli ho insegnato a camminare, a parlare, a leggere… io ho
fatto di tutto perché non soffrisse, perché sapesse di avere un padre che non
poteva stare con lui… perché non ti odiasse, ma anzi chiedesse di te, ti
volesse bene, ti cercasse…”, ogni parola che mi ero arenata dentro, ogni mezza
verità che avevo prima scioccamente taciuto, adesso, diventa piena, completa,
assoluta, mentre ancora piango sotto il suo sguardo indecifrabile: “Ho avuto
Ron vicino per cinque anni, e potevo anche non tornare mai più… eppure mai ho
permesso che pensasse a lui come padre, perché eri tu suo padre, sei tu suo
padre… non permetterti di giudicare le mie scelte, le mie decisioni, riguardo a
MIO figlio, non te lo permetto! Specie tu che…”. Ancora mi devo trattenere per
non vomitare fuori quello che penso, per lasciare ancora fuori lui e Raissa, ma
stavolta purtroppo lui se ne accorge e mi ingiunge duramente, fronteggiandomi: “Io
che? Io che? Dai finisci, finisci… io che mi sbattevo Raissa?! Io che mi sono
fatto per cinque anni quella che l’ha rapito? Questo stai dicendo, questo?! E
dai, sputalo fuori, aggiungiamoci altro schifo a sto calderone che siamo
diventati io e te… perché questo siamo diventati io e te… uno schifo…! Quello
che adesso tu hai magicamente reso me e tutto quello che siamo stati…”.
“Io?!” sbotto sconvolta, guardandolo ad occhi
sbarrati, mentre Draco, come se di nuovo la rabbia minacciasse di sopraffarlo e
tentasse un rimedio qualunque, inizia a camminare nervosamente per la stanza,
avanzando tra frammenti di vetro e cocci vari, non guardandomi più in faccia: “Tu,
sì, tu… tu ci hai reso questo schifo. Tu… con queste tue scelte… ma il
bello… è che io non sono migliore di te. Io ho scelto in questi anni, ho
fatto una scelta per salvare mia figlia, per tenermi Serenity… ho tenuto qui
Raissa, per salvare mia figlia… e così ho condannato Alex, perché se avessi
buttato per strada quella dannata stronza, tutto questo non sarebbe successo…”,
si accascia stancamente su una poltrona, d’improvviso spossato, vecchissimo, le
mani tra i capelli, la voce un rantolo scomposto: “Io avevo un figlio, e non lo
sapevo. Un figlio, dannazione, un Malfoy…”. Solleva lo sguardo verso di me, ed
è inespressivo, immobile, sembra che stia parlando di un articolo di giornale
sciocco, ma invece mi fa la peggiore delle confidenze, come se la sputasse
fuori biecamente. Già so che non lo dirà mai più, già so che lo negherà sempre,
già so che questo momento io me lo dovrò cancellare, lo so dai suoi occhi
spenti, come se li avessero cavati da un’altra persona ed attaccati sulla sua
faccia. Sussurra piano, assurdamente sincero: “Io, Serenity la amo con tutto me
stesso… è mia figlia. Ma non hai pensato che sia un dolore continuo per me
guardarla? Non hai pensato che è la prova continua che Helena ed Amos sono
morti per colpa mia? Non ci hai mai pensato che Serenity è la prova continua
che lei… che Helena… non ha mai davvero scelto me? Non fa male questo… dopo
anni non fa quasi più male. È come un fastidio, ecco, che nessun bene che provi
per quella bambina cancellerà mai, perché questo sono, Granger, sono abietto ed
egoista, e quando sono altruista, non lo sarò mai del tutto…non ci hai pensato
mai, vero? Ovvio, non sia mai che tu ci pensi…”, ride tra sé e sé in modo
amaro, si scompiglia i capelli, chiude gli occhi prima che ci distingua una
pagliuzza di lacrime al loro interno “Ma Alex… sarebbe stato mio figlio, senza
alcuna remora, ricordo, rancore. Con il mio cognome, con la mia storia addosso,
con il mio sangue… mi avrebbe pulito, purificato, asciugato dalle mie colpe…
avrei amato meglio Serenity attraverso di lui, perché avrei capito che potevo
essere padre senza fare da surrogato ad uno che ho tradito…”. Non so quando ho
iniziato a piangere, non so quando sia accaduto, me ne accorgo solo quando
Draco si alza in piedi, recupera il suo viso normale, quello stravolto
dall’ira, e mi si para davanti di nuovo, ormai lontano dalla sua confessione:
“Adesso me ne rendo conto, dannazione, è sempre stato così maledettamente
ovvio… l’altra sera, quando mi hai visto… ti ho ricordato lui, non è così? Mi
somiglia pure, non è così?”.
Esplode la mia voce in singhiozzi, destinata ad
avere nella vita un solo paio di occhi tempesta alla volta: “E’ tuo figlio…
è ovvio che ti somigli…”.
Draco è come se implodesse ed esplodesse assieme,
poi i pezzi si rinsaldano in una forma confusa che ha almeno il pregio di
tenerlo assieme. Respira profondamente un paio di volte, chiude gli occhi ed è
come se si trattenesse ancora dal piangere, dall’urlare, dal farmi del male,
dal fare qualcosa di stupido. Nel suo viso passa una considerazione nuova, un
lampo di luce, lo seguo ancora singhiozzando. Poi la sua voce torna calma,
stentorea, tranquilla e chi conosce Draco Malfoy sa che si dovrebbe solo
fuggire a questo punto: “E quindi mi ami e mi odi, vero? Radcenko non c’entra
un cazzo… è questo che odi di me, vero? E’ questo che non sopporti? Che abbia
condannato nostro figlio. Questo ti fa schifo, vero? Benvenuta nel mio mondo,
benvenuta nello schifo che mi hai riversato addosso… perché diamine sei venuta
a cercarmi?”, non lo so, oggi me lo sto chiedendo anche io… l’Italia poteva
durare per sempre, diceva Harry. Perché davvero non è durata per sempre? Perché
non sono rimasta lì, con Ron come marito, Alex accanto e lui incastonato nel
cuore, al punto che nessuno me l’avrebbe portato via? “Io non potrò mai
perdonarti. Mai. Perché tu mi hai fatto scegliere chi dovevo condannare tra i
nostri figli. E questo non lo potrò mai perdonare a me stesso. Se anche lo
salvassimo, se anche ce la facessimo… io non potrò mai perdonarti… né perdonare
me stesso…”, lo schifo, eccolo qui, lo schifo. Avevi ragione, l’hai sempre
avuta: ci siamo fatti a pezzi in tanti di quei modi, in tante di quelle vite ed
Universi che ormai sembrava l’abitudine. Ed invece questa farà più male, perché
non c’è niente che ci riporti a posto, nulla, ed anche di quel legame che ci
unisce, nostro figlio… noi lo faremo a pezzi. Pansy aveva ragione, tutti
avevano ragione, io stessa anni fa avevo ragione. “Io non sono mai pentito
di niente. Di niente, quando si trattava di te, Dio santo, che sei sempre stata
così perfetta, così meravigliosa, che persino ora, persino adesso… persino poco
fa… ti ho detto che era finita, ti ho detto che doveva andare così… ma ero
convinto, certo, sicuro… che in fondo ce l’avremmo fatta, una parte di me l’ha
sempre pensato… e se fossi entrata qui dentro, un giorno qualunque, un giorno
qualsiasi, un giorno pure che avessi avuto moglie, figli, cane e casa di proprietà,
e mi avessi detto che volevi stare con me… io avrei mandato sempre e tutto a
fanculo, pur di averti anche altri cinque secondi, fossi pure entrata quando
avessi avuto novant’anni e dieci giorni da vivere davanti…” la cosa più
bella, la cosa più bella… dimmela daccapo, dimmela sempre, dimmela per sempre…
perché non me l’hai detto subito? Perché me lo dici adesso? Subito, avrebbe
fatto ogni differenza, subito ti sarei volata tra le braccia, legittimata a
strapparti da ogni vita che non fosse la nostra. Ed adesso, invece, tu me lo
dici solo per ferirmi, me lo dici solo perché io sappia che cosa ho fatto, che
cosa ho distrutto, che cosa ho ucciso, così mi odi e ti odi per sempre “Da
quando ho scelto di amarti, perché sì, io ho scelto di amarti… mai, mi sono
pentito di niente. Ed adesso, come ho scelto di amarti, io scelgo di odiarti…
sia maledetto il giorno in cui sei entrata al Petite peste, sia maledetta
Helena che ti ha portato da me, sia maledetto tutto quello che è stato tra me e
te… e non hai idea dello schifo enorme, immenso che provo… a pensare di avere
un figlio con te…”, è questa la fine, l’autentica fine: annunciata, temuta,
stroncata, mangiucchiata, ricacciata, assaporata, e poi ancora rinnegata,
seviziata, violentata, aspettata, accettata, abbracciata, baciata. Eccola la
fine, è qui in questa frase, in questo momento, in questi occhi estranei, in
questo che stai per dire, nella cattiveria che ci metterai, nel freno molle che
era amore ed è morto, nell’ira che sgorgherà in me, nella minaccia che farai,
nel singhiozzo che risponderò, nelle dita che tremeranno, nelle labbra che si
graffieranno. Eccola la fine: come un cerchio che si chiude, e di cui l’inizio
è lontano. Ne vedo ancora l’inizio, ma forse è per poco, forse è ancora un
attimo prima che vibri il colpo fatale, la cosa peggiore che tu possa dirmi e
che mi pieghi del tutto, quella che io ormai veda come imperdonabile. L’inizio…
che è una saracinesca con una bambina sorridente. O forse è una richiesta di
scuse affrettata dentro la tenda di pronto soccorso. O forse è lo sfrecciare di
un treno rosso, mentre ho undici anni. O forse… non c’è mai stato inizio… solo
fine, tante di quelle fini, incanalate una dietro all’altra a separarci.
Era più
facile stare divisi, odiarci… che amarci.
Ecco che
oggi diventa più facile: forse farà bene ad entrambi, amore mio. Gli inizi,
ogni inizio… ha fatto così male, che ce lo siamo cuciti addosso per non
perderlo di vista.
Questa
fine, questo gridare… scivola come olio sull’acqua.
Facile.
Le parole che ci scambiamo a questo punto, dopo
questo interminabile secondo, sono cattive, dure, fanno schifo. Non sono mie.
Non sono sue.
“… ma è mio figlio… è un Malfoy… e io lo riporterò
indietro… è stata solamente colpa tua… non hai protetto nostro figlio, e la
pagherai anche per questo… dovevi tornare da me cinque anni fa… e ce l’avremmo
fatta, l’avremmo salvato… la vera sciagura di Alex è avere te come madre e me
come padre, l’abbiamo condannato entrambi… ma rimedierò, a costo di andarmene
all’altro mondo…”.
“Io non ho condannato mio figlio! Non l’ho fatto! E
cosa credi, che me ne starò qui ad aspettare che tu distrugga la vita di mio
figlio?!”.
“Invece sì, te ne starai proprio qui…! E quando questa
storia sarà finita, quando l’avrò salvato… mio figlio verrà qui, da me… e te lo
potrai sognare di rivederlo per almeno altri cinque anni…”.
“CHE COSA?! Non puoi togliermi Alex!”.
“Posso e lo farò… credi che mettere al mondo un Malfoy
sia una cosa normale?! Sarà pure un Mezzosangue, ma è l’ultimo di una casata
nobile… e la madre non conta niente, non conta nulla… sarà mia decisione quando
e come farti rivedere mio figlio… io… non ho visto mia madre per due anni e
mezzo da bambino… e si sopravvive benissimo…”.
“Non puoi farmi questo”.
“Mi ci hai costretto tu… tu dovevi tornare da me
cinque anni fa…”.
Queste parole non sono nostre.
Ma non sono nostre nemmeno le parole che, dopo uno
scoppio di tuono, ci fanno tacere.
Sono le parole della sola persona che ci potrebbe
salvare, quella che mi ha salvato sempre.
Sono le parole di Helder, spuntata nel soggiorno,
dopo aver fatto saltare la porta.
… ma le sue parole non sono parole di salvezza.
“Ed ecco come muore l’unica speranza di salvare
Alex…”.
Sono parole di fine.