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Autore: Shannara_810    25/03/2008    2 recensioni
SWEEP: quando la magia diventa realtà. Piccola storia senza pretese, tratta dai meravigliosi romanzi di Cate Tiernan, che cerca di diffondere nel cuore delle persone la magia di questi libri. Chi, fra coloro che conoscono questa storia, non si è mai chiesto almeno una volta cosa sarebbe potuto accadere se Cal e Hunter fossero cresciuti insieme? Beh, questo racconto vuole proprio tentare di darvi una risposta.
Genere: Romantico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Witch Hunters

Eccomi con il secondo capitolo! Non so con quanta frequenza riuscirò ad aggiornare ma ho approfittato di questo giorno di vacanza per mettermi all'opera. Ringrazio tutti quelli del forum che mi hanno recensito e soprattutto tutte le splendide persone che hanno risposto alle mie innumerevoli domande. Pensavo di alternare il POV dei due fratelli, ognuno dei quali sarà introdotto da un passo del loro Libro delle Ombre. Avendo iniziato la storia con Hunter, questo capitolo è narrato da lui. Perdonatemi se i personaggi non saranno proprio IC. Grazie, ancora.
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Stavamo correndo attraverso la Foresta Nera. Una foresta sempre più fitta che sembrava volerci ghermire con i suoi artigli di legno scheletrici.

Ero stanco.
Il fiato mi usciva dalle labbra come una candida nuvola d'incenso che presto si dissolveva nell'aria gelida come se non fosse mai esistita.

Era buio... era tutto buio.
Prima notte di novilunio del nuovo anno. Nuovo anno almeno secondo gli umani.
Non che questo dovesse contare qualcosa. Per un Cacciatore di streghe non esiste mai pace. Nemmeno in un giorno di festa.
Continuavo a correre nel tentativo di avvicinarmi al mio obiettivo. Rami spogli mi sferzavano sul viso come fruste oscure, graffiandomi il volto pallido. Vecchie radici mi sbarravano la strada, tentando di farmi inciampare.
Ah, il mio nome è Hunter Niall.
Sentivo il rumore di foglie calpestate, ramoscelli venire spezzati. Potevo captare il respiro leggero degli animali ancora in letargo.

Poi solo il silenzio.
La radura doveva essere vicina.
D'un tratto, ho intravisto fra la fitta vegetazione di quelle piante sempreverdi due occhi da fiera scintillare guardinghi. Hmm, doveva essersene accorto anche lui.

La mia tigre... il mio cane da guardia personale.
Mi veniva quasi da sorridere a quell'espressione. Un'espressione che sapevo mandarlo tremendamente in bestia.

Ma era meglio non distrarsi.
Eravamo partiti in quattro per quell'incarico. Un incarico fatto di pedinamenti ed indagini accurate. Ora eravamo giunti alla stretta finale. Presto sarebbe tutto finito.
Avevamo distanziato i nostri compagni già da molto. C'eravamo solo noi due.
Un fruscio sinistro. Prima ancora che potessi reagire, due palle di fuoco magico si sono scontrate a pochi metri da me, lasciando solo terra bruciata al loro passaggio.
"Di là!". Ho urlato ma il mio compagno era già scomparso.
La sfera di fuoco era arrivata da un corridoio semi nascosto dalla vegetazione. L'ultima risorsa di un animale oramai preso in trappola. Mi sono lanciato al suo inseguimento, facendomi strada a forza tra quelle foglie sempre più serrate finché non riuscii a sbucare in una piccola radura.
"Igor McBride, del clan dei Vikroth, ti chiamo a rispondere di fronte al Consiglio Internazionale delle Streghe. Vieni avanti". Il suo tono era glaciale, il suo sguardo proprio quello di una tigre pronta a compiere il balzo finale sulla propria preda.
Sgath... mio fratello.
La preda in questione era una strega dai folti e ricci capelli ramati cui avevamo dato la caccia per due mesi interi.
Igor McBride era stato ritenuto dal Consiglio colpevole di aver utilizzato la stregoneria per fini personali, eliminando ogni possibile minaccia ai suoi affari. Era un imprenditore edile molto famoso nella zona. Famoso per la sua incredibile "fortuna" negli affari.
Coloro che avevano tentato di ostacolarlo erano tutti misteriosamente passati a miglior vita: un attacco di cuore, un incidente stradale...

Le autorità umane da tempo sospettavano un suo coinvolgimento ma non c'erano mai state prove.
Per noi, invece, era tutta un'altra storia.
Igor ha emesso un gemito sconfitto ma il suo persecutore non si è lasciato intenerire.
"Vieni avanti!" Gli ha intimato nuovamente.
La strega si è inginocchiata al suolo coperto di neve mentre il rubino dell'athame di Sgath luccicava, carico di potere, tracciando un rettangolo di luce azzurrognola sul suo corpo.

Igor ha urlato e si è come piegato in due, intrappolato in quella luce.
Occhi di tigre si sono posati su di me in una muta richiesta ed io ho risposto con un lieve cenno.

Mi sono avvicinato a loro, estraendo una catena d'argento dalla tasca del mantello: il braigh.
Non appena Sgath glielo ha infilato, legandolo con le braccia dietro la schiena in modo che non potesse più fuggire, le urla di quella strega hanno sovrastato tutto. Erano agghiaccianti.

Ho sentito i peli delle braccia drizzarsi per l’orrore e diversi uccelli alzarsi in volo spaventati.
Purtroppo il nostro compito non era ancora concluso.
D'un tratto, un lieve mormorio si è levato alle nostre spalle. Gli altri due cacciatori ci avevano finalmente raggiunti.

Ma non importava. Avevo ancora un lavoro da fare.
"Igor McBride hai invocato dei taibhs per rafforzare i tuoi affari ed eliminare tutti i tuoi rivali?".
L'uomo singhiozzava e gemeva senza sosta. A contatto con l'argento del braigh, la pelle dei suoi polsi si è riempita di terribili piaghe rosse.
Sgath ha strattonato la corda, stringendola ancora di più.
"Hai invocato dei taibhs per rafforzare i tuoi affari ed eliminare tutti i tuoi rivali?". Ho ripetuto ancora, la mia voce gelida e implacabile in un pallido tentativo di imitare quella di Sgath.
"Si". Ha risposto finalmente l’accusato con un flebile sussurro.
"Hai offerto in cambio la loro vita?".
"Sì". Ha mormorato ancora.
Mi sono voltato verso gli altri due cacciatori che ora erano fermi vicini a noi, i loro sguardi severi fissi su quella scena.
"Evan Fitzpatrick, hai bisogno di altre spiegazioni?". Era una domanda inutile ma sapevo di dover rispettare il rituale.
"No". Ha mormorato il cacciatore dai capelli fiammeggianti. Aveva poco più di vent'anni ed era sempre stato un ragazzo dal sorriso contagioso.
"Colum O'Hara, sei convinto?".
"Si". Ha sussurrato l'altro. Era un uomo piccolo e tozzo, dalla chioma corvina ed un collo quasi inesistente.
Mi sono girato per un attimo verso mio fratello, senza aggiungere altro. Sgath mi ha risposto con un semplice cenno del capo. Era abbastanza.
"Ora ce ne occupiamo noi, ragazzi".
Colum ha preso il capo del braigh dalle mani di Sgath con un lieve sorriso sul suo viso stanco. Mio fratello glielo ha porto senza mai fiatare. A quel punto si è voltato senza far rumore, avviandosi nella notte come una fiera finalmente sazia.
"Il Mastino Woodbane ha colpito ancora". Una voce ha sghignazzato in un tono abbastanza alto affinché Sgath potesse ancora sentirlo. Lui, però, non si è fermato e ha continuato per la sua strada.
Ha continuato a camminare in quel modo tutto suo, quasi come se tutto il peso del mondo gravasse sulle sue spalle.
Il Mastino Woodbane.

Era così che lo chiamavano nella comunità wicca. E questo era anche uno degli epiteti più piacevoli con il quale era definito.
Mi sono voltato di scatto verso la persona che sapevo aver fatto quella battuta idiota: Evan. Se avessi potuto incenerirlo con lo sguardo a quest'ora sarebbe già morto.
"Lascialo in pace". Ho sibilato.
"Oh, avanti, Hunter. Quel ragazzo mette i brividi a tutti. Se non fosse tuo fratello, potrei anche pensare che...".
Evan non ha avuto il tempo di completare quella frase. Senza rendermene nemmeno conto, gli ho sferrato un pugno in pieno viso, lasciandolo steso a terra e seguendo le tracce di mio fratello.
"Cazzo...". Evan si è portato una mano al viso, dove una lieve ombra violacea già cominciava a fare la sua bella comparsa.
"Sta zitto, moccioso". Lo ha rimproverato il vecchio Colum. "Hanno fatto il loro lavoro e lo hanno fatto molto bene. Quindi sta zitto e lasciali stare".
Ho sentito dei gemiti mentre Igor veniva fatto alzare. "Muoviti tu. Il Consiglio deciderà cosa fare".

_*_*_*_*_*_

Com'era previsto Athar mi stava aspettando con impazienza.

Athar, la mia biondissima e serissima cugina, se ne stava appoggiata allo stipite della porta di quella piccola cucina. Potevo già pregustarmi la sua bella ramanzina per aver fatto tardi.
Con Athar nei paraggi, non mi sono mai sentito un uomo adulto.
Il Consiglio aveva affittato per noi una piccola casetta fuori città, in un paesino quasi sconosciuto al limitare della Foresta Nera.
Mentre noi trascorrevamo le nostre giornate seguendo le tracce di Igor, Athar si occupava delle faccende domestiche, preparandoci i pasti e rammendando i nostri abiti. Qualche volta, andava giù in paese per fare delle domande in giro. Un modo come un altro per aiutarci.
"Dov'è?" Le ho chiesto, spegnendo sul nascere ogni sua lamentela.
Athar si è limitata ad indicarmi con il pollice le scale, intuendo perfettamente a chi mi stessi riferendo.
Mi sono tolto il mantello bagnato di neve e l’ho appoggiato sull'appendiabiti vicino al camino, prima di iniziare a salire le scale che conducevano al piano superiore.

Mi sentivo stanco. Tutte le emozioni di quella giornata ora tornavano prepotentemente a farsi sentire nello stesso momento. Se non mi fossi sorretto al corrimano, sarei crollato di colpo. Ne ero sicuro.
"Digli che la cena è quasi pronta. La cattura è andata bene, non dovrebbe fare così". Detto questo, Athar mi ha lanciato un asciugamano con cui ho iniziato subito a frizionarmi il capo.
Ho sospirato, prima di passarmi una mano fra i miei capelli color del grano ancora umidi. Volevo solo farmi una bella doccia calda e dormire per almeno un secolo.
Il piano superiore era completamente al buio, avvolto in un silenzio quasi spettrale.
Sgath... o meglio, Calhoun.

Mio fratello maggiore.
Sei mesi ed un universo intero a dividerci.
Per citare una frase che mia zia Shelagh soleva ripetermi da bambino, noi due siamo come l'aria e il fuoco. Per quanto io sia limpido e trasparente, Cal è un concentrato di energie che non riesce mai a trovare pace. Sempre alla ricerca di qualcosa. Sempre tormentato da uno spettro cui non riesco a dare un nome.
Cal... Cal, per me, è un mistero senza fine.

Schivo, taciturno, con quello sguardo magnetico che ti sa leggere dentro. Uno sguardo inquietante che dà l'impressione di sapere sempre cosa ti passa per la testa.
Cal.

Non ci sono parole per descriverlo bene. Non credo che siano state ancora inventate.
Da bambini, ricordo che era sempre additato come quello strano, quello diverso. L'unico Woodbane puro in una congrega di Wyndekell.
Ora sono sicuro che vi starete chiedendo come questo sia possibile. Vedete, io e Cal condividiamo solo il padre. Sua madre, la sua vera madre, era stata la prima moglie di mio padre: una donna malvagia, assetata di potere e votata all'uso della magia nera.

A nessuno è mai piaciuto parlare di lei, a mio fratello per primo. Non ha mai voluto parlarmi di com’era stato vivere con lei. E i suoi silenzi hanno sempre lasciato che la mia immaginazione galoppasse verso le torture più indicibili.
Alle volte, tremo al pensiero di come sarebbe potuto divenire se fosse rimasto con lei. Ma, grazie all'intervento della Dea, non è stato così.
Cal è venuto a noi in una notte di tempesta, due anni dopo la misteriosa scomparsa dei miei genitori. Avevo all'incirca dieci anni all’epoca e vivevo con i miei fratelli presso una congrega di Wyndekell, dal fratello di mia madre.

È stato portato dal vento il giorno di Samhain, accompagnato solo da un Cacciatore amico dei miei genitori e da una lettera indirizzata a mio zio proprio da parte di mia madre.
Avrei saputo cosa quella lettera dicesse per intero solo anni dopo. C’erano troppe cose che un bimbo di dieci anni non avrebbe mai dovuto conoscere.
Zio Beck, però, quel giorno me ne lesse l'ultimo passo. Un passo che non potrò mai e poi mai dimenticare.
"Giomanach, abbi sempre cura di questo tuo fratello perduto, di questo figlio sconosciuto che la Dea mi ha donato. Proteggilo come proteggeresti Alwyn o Linden. Prendetevi sempre cura l'uno dell'altro, figli miei".
E così è stato da allora. Ci siamo presi l'uno cura dell'altro anche se, a volte, non è stato facile. Anche se, alle volte, sono stato accecato dall'odio più oscuro nei confronti di questo mio fratello dagli occhi di tigre.
Cal, tuttavia, non me ne ha mai voluto e ha continuato a vegliare su di me in silenzio, come aveva sempre fatto.
Ho spalancato la porta della sua stanza. Lui era lì, seduto sul bordo del letto, a fasciarsi un fianco nella più completa oscurità.
La sua cicatrice. Quella che mai ha voluto mostrarmi e che lo avvertiva ogni volta di un pericolo. Il suo campanello contro il male mi ha sempre detto, scherzando.
Un campanello che sembrava sanguinare ogni volta che veniva in contatto anche con la sola aura lasciata dalla magia nera.
"Stai bene?" Gli ho chiesto, avvicinandomi piano.
"Perché non dovrei?". È stata la sua laconica risposta dopo un lungo silenzio.
"Calhoun". Calhoun, lo chiamavo così quando volevo con insistenza una risposta che lui non voleva darmi.
"Ahi, ahi. Cosa ho fatto stavolta?". Ha replicato con noncuranza, come se lo squarcio che gli sanguinava su un fianco fosse un dettaglio del tutto trascurabile.
Si è rinfilato la camicia scura, alzandosi dal letto e parandosi di fronte a me. Anche al buio, i suoi occhi scintillavano.
"Non dovresti dar peso a quello che ti ha detto Evan". Gli ho sussurrato. Quello stupido dava sui nervi anche a me. Non ho mai capito perché il Consiglio si ostinasse a mandarcelo dietro.
"Non do peso a cosa mi dicono gli idioti come Evan già da molti anni, fratellino".
Fratellino e con questo sapevo che il discorso era chiuso.
"Su, muoviti. Sto morendo di fame". Cal mi è passato davanti, dirigendosi verso il piano inferiore.
"Cal...".
"Siamo Cacciatori, Giomanach. Non c'è spazio per stupidi sentimentalismi in questo lavoro. Lo so io e lo sai tu. E poi, Evan è un idiota".
Non ha aggiunto altro.
Cal sarebbe continuato ad essere un mistero per me. Un enigma complicato di cui desideravo ardentemente possedere la chiave. Forse solo Alwyn riusciva a capirlo davvero.
Eravamo Cacciatori, i cacciatori più giovani dell'intero Consiglio.

Il mestiere più ingrato dell'intera comunità wicca. Quando ho deciso di entrarvi a far parte, Cal mi ha seguito senza esitare. A nulla sono valse discussioni e litigate e zuffe. È stato irremovibile. Nonostante abbiano cercato di fermarlo, di mettergli i bastoni tra le ruote, lui ce l'aveva fatta. Li ha battuti tutti.
Il Mastino Woodbane che non molla la presa finché non ha raggiunto il suo obiettivo.
Ancora oggi, nonostante tutto, viene additato come quello differente. Un Woodbane, come se questo possa spiegare in pieno quell'organismo complesso e chiuso che è Cal. Lui sembra non darci peso eppure io soffro per lui.
Cacciatori...

Io sapevo perché avevo voluto farlo... per Linden. Per espiare il crimine di non essere riuscito a salvarlo. Cal non doveva sacrificarsi con me.
Quando gli ho detto come la pensavo, la sua risposta mi ha gelato il sangue nelle vene. Non sono state tanto le sue parole, quanto il tono con cui le aveva pronunciate.

"Ho un debito da ripagare. La mia vita ha valore solo per saldare quel pegno. Ho già perso un fratello, Giomanach. Non ti permetterò di farmene perdere un altro".
Un debito... non ho mai saputo a cosa si riferisse e lui non ha toccato mai più quell'argomento.
Eravamo Cacciatori, eravamo partner, eravamo fratelli. Avremmo condiviso quel destino ingrato insieme. Questo era tutto ciò che dovevo sapere.
Quando zia Shelagh è venuta a conoscenza della nostra decisione, mi ha rivolto un sorriso triste. La fiamma di Sgath avrebbe continuato ad ardere senza sosta fino al giorno in cui avrebbe incontrato o l'acqua che lo avrebbe contenuto, oppure si sarebbe consumata senza via di scampo. È stato un avvertimento arcano quello della zia.
"Giomanach!". il mio nome mi ha riscosso da quelle tristi riflessioni.
Athar e Sgath erano già a tavola. Lui stava leggendo il giornale, sbocconcellando qualcosa controvoglia mentre lei lo rimproverava di continuo.
Il mio sguardo si è posato d'improvviso su di una busta sigillata con l'effige del Consiglio. Un nuovo incarico, ho letto rapido tentando di contenere i miei pensieri: una giovane strega a Widow's Vale, negli Stati Uniti. Un enorme potere.
"Cos'è quella faccia?". Mi ha chiesto Athar. Ero un  libro aperto per lei. Non aveva senso mentire.
"Preparatevi. Domani si parte per Widow's Vale". Mi sono seduto anch'io, iniziando a mangiare qualcosa.
"E dove sarebbe?". Ha domandato mia cugina, un pò acida. Detestava spostarsi da un luogo all'altro senza sosta, ma era stata una sua scelta quella di seguirci per "vegliare su di noi".

Athar non aveva un carattere facile ma quella sera era anche peggio del solito.
"Lasciala stare. E' stata piantata un'altra volta". Ohh, ecco.
Athar gli ha mollato una gomitata ma gli occhi di Cal hanno assunto quella loro strana luminosità che voleva dire che stava ridendo. Lui è fatto così: ride con gli occhi.
"USA. Pare che sia una giovane non ancora iniziata con un potere sorprendente. Un potere come non si è mai visto prima, almeno fin dai tempi di Belwicket".
Al suono di quel nome occhi di tigre si sono spalancati di colpo.

Belwicket: la Congrega Woodbane che aveva rinunciato alle forze del male. Il modello di vita che mio fratello ha scelto di adottare.
"Io ho finito".
Senza aggiungere altro, Cal si è alzato di colpo tornandosene in camera sua.
"Hunter...".
Ho scosso la testa e Athar ha taciuto. Ben altro mi stava dando pensiero in quel momento.
Una volta sentita una porta di legno sbattere, le ho rivolto un’espressione colpevole. Avevo mentito a mio fratello. O, meglio, gli avevo taciuto un particolare importante sulla nostra missione.
"Selene è a Widow's Vale". Ho detto d’un fiato, mentre lo sguardo inorridito di mia cugina passava da me a quelle scale deserte.
Selene Belltower... la madre di mio fratello.
  
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