Film > Le 5 Leggende
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Autore: DarkshielD    04/11/2013    4 recensioni
Dopo la sconfitta da parte dei Guardiani, Pitch sembra essere destinato a scomparire, dimenticato da tutti, temuto da nessuno. In effetti, al risveglio da un brutto sogno, all’arrivo dell’alba, un incubo può scomparire.
Ma la paura rimane. E spesso, troppo spesso, va ben oltre il timore di trovare un mostro chiuso nell’armadio o sotto il letto, pronto a ghermirci se siamo così ficcanaso da dare un’occhiata.
La paura evolve. Diventa più potente.
Talmente potente da non poter essere più definita semplice paura.
E sarà allora che toccherà ai Guardiani tornare in azione.
Genere: Angst, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: I Cinque Guardiani, Nuovo personaggio, Pitch
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Credo di essere tornata. Scusate per essere sparita per mesi interi senza avviso alcuno ed essere tornata con un capitoletto così misero (ahimè, cinque paginine scarse) ma ho avuto parecchie grane a cui badare, inclusi esami, morte di Microsoft Word e blocchi vari, per cui posso solo dire che mi dispiace molto, ma di più non sono riuscita a fare. Ovviamente questa storia non è stata abbandonata, ormai l'ho iniziata e la mia cara sempai Iryael mi ha convinto a portarla a termine costi quel che costi. Ho ancora una manciatina di capitoli già progettati, l'unico problema ora è scriverli, e per quello posso solo fare appoggio a un ispirazione che va e viene come le pare. Vorrei anche dirvi che ho iniziato in parallelo un altra storia, si chiama Gli Eredi, scritta a quattro mani con ChantyBlack98. Sarei felice se vi fermaste a dare un'occhiata anche a questa storia.

Bene, bando alle ciance. Gustatevi questo nuovo (talmente corto da rasentare il ridicolo) capitolo. ^^

PS: sul serio, mi dispiace per essere sparita e tutto. Il prossimo cap sarà parecchio più lungo di questo, quindi... spero siate ancora interessati alla storia ^^ (??)

Buona lettura!


XIV: Un rifugio



Era di nuovo buio.

Per Sandman, il mondo intero era affogato nelle tenebre.

Ogni qualvolta allungava le mani nell’oscurità, non percepiva nulla. Più si sforzava di vedere, più il buio si faceva fitto, se ciò era possibile.

Faceva fatica a ricordare, la testa dolorante -aveva ancora una testa attaccata al collo? Perché aveva l'impressione che non fosse così- gli impediva di processare le vaghe informazioni che riceveva.

Da quando si era risvegliato, l’oscurità era diventata il suo mondo. E in quel mondo, lui non sapeva. Non sapeva dov’era, se poteva uscire da lì, in che condizioni era, se in quel luogo misterioso aveva ancora potere, visto si sentiva troppo debole. Non sapeva nemmeno se era ancora vivo o meno. Strinse le mani e se le portò lentamente al petto. Serrò gli occhi: non faceva differenza che li tenesse aperti o meno, perché quell’oscurità pareva divorare persino il lieve bagliore che usualmente emanava. In quel momento provò paura, si sentì solo e impotente. E alla sua mente salì un solo pensiero.

Un unico, piccolo desiderio.

Spero stiate tutti bene, ragazzi…

*

La coscienza di June venne lentamente riportata alla realtà da un lieve rollio accompagnato e da un altrettanto debole scricchiolio, come se si trovasse a bordo di una barca.

Aprì gli occhi, la vista si rivelò un po' sfocata. Si sentiva coperta da qualcosa di caldo e avvolgente, e il suo sguardo era rivolto verso quello che intuì fosse il soffitto. Era di legno chiaro, squisitamente intarsiato. June strizzò gli occhi, costringendosi a concentrasi sui dettagli minuti di quell'inatteso spettacolo: le decorazioni rappresentavano onde, nuvole, paesaggi. Riconobbe anche stelle, pianeti, pesci e uccelli dalle forme così bizzarre da sembrare aliene, con piume e scaglie decorate con pietre, mogano e oro, che splendevano nella penombra.

June si alzò lentamente, guardandosi attorno, un po’ incantata e un po’ confusa: si trovava in una stanza di medie dimensioni dal soffitto alto, le pareti di legno chiaro e oro, lavorato in modo da sembrare sabbia incrostata fra i pannelli. L’unica fonte di luce della stanza era composta da una lampada dai pannelli di madreperla, situata su un abat-jour in stile rococò. A June venne quasi da sorridere da quanto tutto quell’insieme appariva pacchiano. Infine abbassò lo sguardo su di sé: si accorse di essere seduta su uno scintillante cumulo di sabbia dorata. Indossava il suo piumino azzurro ghiaccio, che ora era strappato in alcuni punti e macchiato di fango sul fianco e sui gomiti, e si chiese come mai. Come mai fosse ridotto così, visto che trattava quel piumino sempre con il massimo riguardo, visto che era il suo preferito. Le ricordava gli occhi di Jack.

Alzò una mano e si tastò cautamente il volto: il lato sinistro era dolente e un po’ gonfio, la tempia aveva un taglio. Un paio di ciocche erano sporche, incrostate di una sostanza nerastra e friabile.

Sangue?

June si tirò i riccioli scuri con una sensazione di disgusto misto a orrore mentre qualcosa, nella sua testa, parve punzecchiarla. Una memoria in attesa di essere richiamata dall’abisso.

Le ci volle qualche secondo per capire.

Poi trattenne il fiato, e sentì lo stomaco stringersi in una morsa dolorosissima.

Sandy!

Ora ricordava.

Gli Incubi, la fuga, la battaglia… quella donna. Si portò entrambe le mani al volto. Si lasciò sfuggire un singhiozzo, e le lacrime le pizzicarono gli occhi, minacciando di uscire. Sandy l’aveva difesa, protetta, le aveva detto di fuggire, e lei invece era rimasta ad intralciarlo. Non era nemmeno riuscita ad aiutarlo quando ne aveva bisogno, quando quella donna l’aveva aggredito. A malapena era riuscita a difendere sé stessa…

E ora cosa gli era successo? Che fine aveva fatto? Dov’era? Era vivo, stava bene? Oppure…

June non riuscì nemmeno a formulare l’ultima frase che aleggiava minacciosa nella sua mente, e si prese la testa fra le mani, affondando le unghie nello scalpo.

Oppure era morto.

Si sforzò di respirare. Non doveva farsi prendere dal panico, non poteva farlo. Non le era permesso, non dopo quello che aveva fatto, e il cui prezzo Sandy si era ritrovato a pagare per la sua stupidità, ma le risultò estremamente difficile mantenere una almeno vaga parvenza di calma.

Questa è tutta colpa tua.

Doveva fare qualcosa.

Dirlo agli altri. Subito.

Con un balzo, June saltò in piedi, e cercò freneticamente fra la sabbia il suo arco e la sua faretra -miracolosamente rimasti intatti dopo quanto passato- e corse fuori dalla stanza, alla ricerca di una via d’uscita da quel luogo misterioso.

Non si accorse del largo nastro si sabbia che si staccò pigramente dal cumulo su cui si era risvegliata, e la seguì nella sua corsa disperata.

*

Il luogo misterioso in cui si ritrovava si rivelò essere un’enorme imbarcazione –se gli oblò erano una qualche indicazione- dalla quale non era possibile uscire.

O meglio, si corresse June, era possibile uscire da lì. L’ostacolo più grosso era costituito da quello che somigliava a un’enorme nastro di sabbia che le bloccava l’uscita ogni volta che ne trovava una.

- Per FAVORE! – gridò la giovane, quasi sull’orlo dell’isteria; - Io devo andare ad aiutare! Lasciami andare! – tuttavia, le sue preghiere si dimostrarono inutili.

*

Quando si ritrovò bloccata una quinta volta, fu quando aveva notato l’ennesima porta che apparentemente dava verso l’esterno. Si era lanciata verso la libertà, solo per ritrovarsi invischiata fino al collo nella sabbia.

Letteralmente.

Alla fine si arrese, esausta sia fisicamente che mentalmente. La sua 'gabbia' parve accorgersene, e dopo pochi secondi si allentò.

June, accorgendosi in tempo del dettaglio, colse la palla al balzo: balzò fuori dalla sua trappola con un'agilità di cui si sorprese lei stessa, e si lanciò verso la maniglia, afferrandola e spalancando la porta, e saltando nel vuoto.

...Libera!

Poi, in pieno salto, si accorse del fatto che la sabbia era proprio sopra di lei. Poté far poco a parte lanciare un urlo soffocato quando gli cadde addosso con tutto il suo peso. Quando riuscì a tirare fuori la testa e pulirsi gli occhi dai granelli si accorse di non essere più in trappola. Il nastro di sabbia si era sciolto, e ora le stava fluttuando pigramente intorno, tracciando morbide volute dorate.

June non capì.

Alzò lo sguardo, notando un luccichio dorato dietro di sé, e scoprì di essere appena fuggita da...

- Woah! -

Sembrava un galeone, ma diverso da tutti quelli che aveva visto ed immaginato in tutta la sua millenaria vita. Era immenso, June non riuscì a decidere quanto era lungo, ed era tutto dorato. Sui tre altissimi alberi erano spiegate enormi vele di tessuto semitrasparente, finemente decorato, mosso da un debole vento. Ogni superficie era finemente decorata e caratterizzata da linee gonfie ed eleganti. Le solcava accanto procedendo a passo d'uomo, pacifico e silenzioso, simile ad una gigantesca balena.

June non poté far altro che rimanere ad ammirare quello spettacolo a bocca aperta, sbalordita. Poi la sua attenzione venne catalizzata da qualcosa che proveniva dal basso, sotto di lei. Guardò sotto di sé: il galeone in quel momento stava solcando il cielo sopra un immensa distesa di alti alberi, perlopiù conifere, ed era giunto in prossimità di una radura. E, proprio sulla radura, June intravide delle figure nere agitarsi, impossibili da distinguere con quel buio. Ma alla giovane la poca luce fornita dal galeone bastò.

Sbarrò gli occhi nel riconoscerle.

*

Le spaventose correnti che dominavano il regno delle Ombre si permisero un ultimo, violento scossone prima di ributtare i suoi viaggiatori nella dimensione da cui erano venuti.

Pitch riuscì con molta fortuna ad atterrare in piedi, anche se il suo intero corpo protestò lo stesso per l'atterraggio violento, ma i suoi compagni di disavventura non furono altrettanto fortunati, finendo col cadere, per la maggior parte, malamente di faccia. Pitch si voltò, una mano stretta sulla spalla ferita che continuava impietosamente a sanguinare, e osservò gli altri: sembravano tutti a posto, chi più chi meno.

North lo era di sicuro. Jack e Calmoniglio avevano entrambi un bel po' di tagli e lividi addosso, e il sacco di pulci sembrava lì lì per rimettere a causa del viaggetto scomodo, ma le loro condizioni in generale erano normali.

Tra gli yeti c'era un ferito che necessitava di cure immediate.

Pitch si voltò, digrignando i denti e cercando di pensare più rapidamente e lucidamente possibile: dovevano trovare immediatamente un rifugio.

La sua amata caverna era inagibile, al palazzo di North non si poteva tornare -in quel momento stava probabilmente bruciando, consumato dagli incendi appiccati dagli Sputafuoco-, di Sandy non se ne parlava -e a Pitch parve strano il fatto che quella peste gialla non si fosse ancora presentata.

Nella lista rimaneva Dentolina, e fu allora che l'Uomo Nero si accorse anche della sua assenza. Rumorosa e appariscente com'era, era impossibile per lui non averla notata. La fatina era parecchio impegnata, certo, ma quando si trattava di combattere l'aveva sempre vista in prima fila nell'eterna lotta contro gli Incubi...

Non ebbe il tempo di portare a termine quel ragionamento, che il filo dei suoi pensieri venne interrotto da un grido proveniente dall'alto.

Alzò lo guardo e vide una luce chiara. Sulle prime l'aveva scambiata per la luna, perciò non le aveva prestato più attenzione del dovuto. Ad una seconda occhiata comprese di essersi sbagliato, e anche di parecchio. Quella luce, dorata e calda anziché bianca e asettica, non era affatto la luna.

Era un galeone. Uno galeone dorato per giunta, che solcava pigramente l'aria sopra di loro, sospinto da un vento inesistente che gonfiava le sue vele semitrasparenti, e che ricordava in maniera raccapricciante le creazioni di Sandman. E, davanti ad esso, volando a tutta velocità verso di loro e seguita da quello che somigliava ad un nastro di sabbia dorata, c'era...

- June?! - esclamò Jack alle spalle di Pitch.

All'udire la voce del giovane Guardiano, June si fermò di colpo, e rimase a galleggiare a mezz'aria a un paio di metri da loro. Jack vide lo sguardo di June spostarsi freneticamente su tutti i presenti, sui loro lividi e sulle loro ferite, e vide il suo labbro inferiore tremare.

I suoi occhi si riempirono improvvisamente di lacrime. Poi, nel silenzio di tomba della radura, proruppe in un singhiozzo soffocato.

- June?... - Jack non poté crederci. L'aveva sempre, sempre vista sorridere, e la conosceva da centinaia di anni. E, quando vide quel viso lentigginoso storcersi in una smorfia di dolore e rigarsi di lacrime, semplicemente non poté credere ai suoi occhi. Ignorando le esclamazioni di sorpresa degli altri a quello spettacolo inatteso, Jack fece qualche passo avanti, muovendosi come un'automa. Si librò in aria andando a raggiungere June e, senza proferire parola, la strinse in un abbraccio.

June sussultò a quel contatto improvviso, rimanendo paralizzata per qualche istante, il fiato sospeso.

Poi si riscosse, e cercò di liberarsi da quella stretta.

- J-Jack! - esclamò all'improvviso, quasi urlando, e riuscendo finalmente a spingere via lo spirito, allontanandosi da lui. Anche Jack si allontanò di poco dalla giovane, scioccato dalla sua reazione. Calmoniglio e North si scambiarono un occhiata incredula, così come fece una coppia di yeti un metro dietro di loro. Pitch corrugò la fronte, fissando la ragazzina, percependo la sua paura.

- Jack, hanno preso Sandy! - gridò lei, il respiro reso irregolare fra i singhiozzi. Era prossima all'isteria.

Jack sgranò gli occhi.

- Cos...? -

Hanno preso Sandy.

Non credeva alle sue orecchie. Certo, Jack non aveva visto Sandy intervenire nella battaglia a palazzo, ma questo non significava assolutamente nulla...

- Stai... stai scherzando, vero? Chi è stato? -

June fissò Jack, che ora la guardava con un espressione di shock misto a spavento, e si mise le mani fra i capelli.

Non riusciva più a controllare il respiro.

- QUELLA DONNA! - gridò – E' stata lei! Ci ha attaccati all'improvviso, assieme a degli Incubi grigi. È tutta colpa mia se hanno preso Sandy, se l'hanno ferito, sono stata d'intralcio Jack, non sono riuscita ad aiutarlo, io... - il resto della frase si perse nella felpa di Jack: lo spirito del Gelo la tirò a sé e la strinse di nuovo in un abbraccio a cui stavolta June non riuscì a sfuggire. Jack sentì i singhiozzi scuotere violentemente le sue esili spalle, rendendola incapace di respirare regolarmente. Le accarezzò leggermente la testa riccia e la schiena. Sempre continuando a stringerla la guidò dolcemente verso terra, dove i due vennero immediatamente raggiunti da North, Calmoniglio e gli yeti. June non riuscì più a trattenersi e scoppiò a piangere, stringendosi finalmente all'amico. Jack, continuando ad accarezzarla, alzò lo sguardo verso gli altri, trovando le sue stesse emozioni riflesse sulle facce degli altri: confusione, disperazione, dolore, e uno schiacciante senso di impotenza.

E, sopra a tutto, coscienza del fatto che stavano perdendo una guerra contro le tenebre.

Pitch non mosse un muscolo, rimanendo in disparte, limitandosi ad osservare quello spettacolo. Era scosso non meno degli altri, soprattutto per quella notizia. L'aveva compresa appieno, meglio di quanto avevano fatto Guardiani in quell'istante.

Sandy è nelle grinfie di Crysis, e il suo destino è ignoto. Potrebbe essere morto.

Il pensiero non gli portò gioia come aveva sempre immaginato. La sua nemesi era probabilmente morta. Ma l'informazione non causò nessuna emozione in lui. Solo... vuoto.

Aveva creduto di aver ucciso Sandy una volta, e ancora ricordava la folle esaltazione provata nel prevalere su quel potere che aveva da sempre rappresentato il suo opposto e suo nemico. E ricordava lo sgomento e l'orrore nel vederlo risorgere, più potente di prima.

All'epoca, quando aveva trionfato, aveva vagamente considerato l'ipotesi che Sandman potesse tornare, ma l'aveva scacciata: errore che in seguito era risultato fatale ai suoi piani. Ora la storia si ripeteva, solo con una piccola variazione.

Stavolta Sandy era caduto sotto i colpi di un nemico molto più potente e spietato di Pitch. Un nemico che poteva corrompere da dentro, e al cui potere non era ancora sfuggito nessuno.

Il re degli Incubi strinse le labbra sottili ed alzò lo sguardo al cielo, posandolo sul galeone dorato che li sovrastava, simile a un gigante silenzioso.

Tu non puoi morire per così poco. E soprattutto, non puoi morire per mano sua.

*

Dopo diverse ore che parvero un eternità, all'orizzonte nero, seguendo il profilo delle vicine montagne, comparve una linea sottile di un blu sbiadito, giunta a preannunciare l'alba. June non era sicura di quanto tempo aveva passato sul ponte del galeone, seduta su uno dei barili, lo sguardo fisso nel vuoto. Non doveva essere passato poi molto: si era offerta di dare una mano a medicare gli yeti feriti, e il suo corpo cominciava solo adesso ad accusare la stanchezza data dal movimento e dalle emozioni della giornata. Sospirò, chiudendo gli occhi.

Poi qualcosa di morbido e leggero di posò sulle sue spalle. Riaprì gli occhi sorpresa, scoprendo di avere sulle spalle una coperta di piles gialla, e vide un Jack non meno stanco sedersi su una cassa accanto a lei. Guardava anch'egli l'orizzonte ancora scuro, e aveva sulle labbra un lieve sorriso, che svanì subito. June non proferì parola, distogliendo lo sguardo e tornando a fissare l'orizzonte. Nessuno dei due disse nulla.

Poi Jack parlò: - Sono felice che tu stia bene. - disse piano. - Io... mi dispiace per quello che hai passato. Avrei voluto essere lì ad aiutarvi tutti e due. Mi... dispiace. - disse con voce esitante.

La verità era che non sapeva che dire. Si sentiva devastato, non solo per quello che era successo, ma anche per quello che aveva visto. Per Sandy, per gli altri Guardiani, per June. Era la prima volta che la vedeva piangere, l'aveva sempre creduta troppo forte per queste cose.

June non sorrise, sentiva che persino i suoi muscoli facciali erano troppo stanchi e congelati per compiere un qualche movimento, il so cuore troppo pesante per battere ancora. Tuttavia, al sapere che Jack era accanto a lei, che non la odiava dopo le notizie che lei gli aveva portato, dopo i fastidi e i guai che gli aveva causato, sentì che un po' del peso che le schiacciava l'anima svanire.

Chiuse gli occhi, sentendo le lacrime minacciare di scendere per l'ennesima volta.

Poi, si sentì stretta da due braccia forti e gelide come il ghiaccio dell'Antartico, e un mento un po' appuntito poggiarsi sul suo scalpo.

Fu allora che le lacrime tornarono a scorrere sulle sue guance.

Per quanto si sentisse un mostro ad ammetterlo, stava un po' meglio, ora.

*

La notte era calata da poco sulla foresta. Era un luogo cupo, silenzioso, con alberi altissimi dai rami così fitti che la luce non era in grado di penetrarli ed arrivare a terra.

Una figura chiara vagava tra quei tronchi secolari. Aveva una pelle di un pallore cadaverico, quasi grigiastro, i capelli erano neri, lunghi e scompigliati, con qualche ciocca grigia. Indossava un abito lungo, largo e scuro, talmente sporco e rovinato da aver perso il suo colore originario, arrivando ad assumere una tonalità simile ad un nero verdastro, dagli orli marcescenti. Dal suo collo pendeva un bizzarro cappio di corda nera, spessa e pesante, che sembrava infinito, o almeno così la figura credeva.

Aveva provato a togliersi quel pesante accessorio, ma per qualche ragione non ci era riuscita. Ogni volta che ci provava, la corda si stringeva al suo collo, impedendole di rimuoverlo, per tornare alla sua larghezza originale quando abbandonava tale intento. La figurina lo aveva trovato un fenomeno assai curioso. Si era poi guardata intorno e, incuriosita dal cappio e dalla sua spropositata lunghezza, aveva deciso di trovarne la fine. Prese a tirarlo, ma la corda non finiva mai. Allora decise di seguirla per scoprirne l'origine, ma questa dopo un po' spariva e, dopo essersi persa più volte tra gli alberi, abbandonò anche quest'ultima intenzione.

Dopo aver lasciato perdere le indagini sul cappio, la figurina decise di fare una passeggiata e di esplorare il luogo. Era tanto, tantissimo che non aveva l'occasione di uscire fuori, vagare in un oscurità che credeva essere la sua casa, ma che non aveva mai visitato perché aveva trascorso tutta la sua lunga -era lunga? Non era in grado di calcolare il trascorrere del tempo in fondo, e le tenebre eterne della foresta non glielo permettevano- esistenza intrappolata in una grande quercia maledetta da un sigillo.

Si era chiesta molte volte perché era stata intrappolata -o forse ci era direttamente nata? Si chiese- in quell'albero, ma ora che era libera tutte quelle domande non avevano più importanza.

Una fanciulla era arrivata, una fanciulla bella come un fiore e terrificante come il guardiano posto a difesa del sigillo, e l'aveva liberata.

La figurina, libera e terrorizzata dalla sconosciuta, era fuggita quando aveva scoperto che le sue catene erano state misteriosamente spezzate, e non aveva avuto il coraggio di tornare finché non aveva scoperto che la sua misteriosa liberatrice se n'era andata.

Ora che era più calma, si rese conto che non l'aveva ringraziata, e se ne rammaricò. Ma non sapeva dov'era andata, e non poteva di conseguenza seguirla. L'unica cosa che le rimase da fare era vagare senza meta, esplorando quel luogo grande e silenzioso con la meraviglia di una bambina.

Infine giunse sulle sponde di una grande distesa d'acqua. Sapeva cos'era: un lago.

Non ricordava di aver mai visto l'acqua, se non quando pioveva e le gocce cadevano sulle foglie e poi sul suolo con un ticchettio ritmico, aiutando la terra a far crescere l'erba e le piantine nuove, però per qualche ragione sapeva com'era fatto un lago, e forse anche un mare.

Non aveva mai visto il mare.

Si avvicinò piano all'acqua, affascinata da quella distesa liscia e nera, parzialmente distratta dal biancore candido e soffice della neve che giaceva per terra. Anche la neve era uno spettacolo assai raro per lei.

I suoi passi erano leggeri e non lasciavano impronta alcuna, ma lei sentiva il freddo e il bagnato su cui stava camminando. Giunta alla sponda, si sporse a guardare.

Una forte luce inondò i suoi occhi, e la costrinse a coprirsi il viso con le mani cianotiche.

Quando le abbassò, un nuovo spettacolo si parò davanti a lei: sul lago nero c'era della luce. Alzò lo sguardo al cielo, e vide delle nuvole grigie, oltre le quali faceva capolino la luna. Era grande e bianca, e la figurina rimase ad ammirarla, meravigliata.

Quando era ancora intrappolata nell'albero, certe notti aveva l'impressione che la luna le parlasse, ma lei non aveva mai capito cosa le dicesse. La sentiva sussurrare parole inintelligibili, e aveva una voce calma e rassicurante. Quelle rare volte, lei era felice, e cercava di ricambiare parlandole a sua volta, ma senza ricevere risposta.

Si portò entrambe le mani alle orecchie, e cercò di aguzzare l'udito: magari ora che era libera la luna le avrebbe parlato di nuovo, e stavolta lei l'avrebbe capita.

Ma la luna non parlò.

La figurina abbassò le mani e lo sguardo, delusa. La luna era un po' come un amica per lei, e il suo silenzio la rendeva triste. Ma non ebbe tempo di imbronciarsi, che vide qualcos'altro. C'era qualcosa, anzi qualcuno, sulla sponda opposta del lago. La figurina dall'abito scuro strizzò gli occhi, osservandola: sembrava un ragazzo.

Un ragazzo alto e magro, dimostrava non più di sedici anni, o almeno così lei credeva, ed indossava una bella armatura che sembrava fatta d'argento e platino, decorata con motivi sinuosi e impreziosita da perle, opali e diamanti. Il ragazzo stesso sembrava fatto di nebbia, simile a un respiro nella notte, o alla nebbia mattutina. Il suo viso era bianco e magro, incorniciato da corti capelli candidi come la neve, i suoi occhi erano di un azzurro chiarissimo, e somigliavano a zaffiri. Guardava la figurina con un sorriso gentile.

La figurina fece un piccolo passo indietro, sorpresa, ma sorrise anche lei. Per qualche ragione quel ragazzo le ricordava tanto la luna, e questa cosa la rallegrava.

Poi, con un balzo leggero, il ragazzo si librò in cielo ed atterrò al centro del lago, e con un altro salto arrivò vicino alla figurina dalla chioma nera.

Sempre con quel sorriso, le fece un piccolo inchino, e si posò una mano sul cuore.

Io mi chiamo Nightlight.

La sua voce era un sussurro gentile. La figurina lo trovò un nome meraviglioso.

Anche lei si portò una mano sul cuore, e aprì la bocca.

Ma non ne uscì nessun suono.

La richiuse, e si guardò la mano cadaverica che aveva posato sul petto, rendendosi conto di una cosa: non ricordava il suo nome. Non riusciva nemmeno a parlare.

Rialzò lentamente lo sguardo, disperata, e vide Nightlight in piedi di fronte a lei. Sorrideva ancora. La figurina si tolse la mano dal cuore, e se la portò ai capelli, rendendosi conto di quanto erano in disordine.

Chissà cosa starà pensando di lei...

Nightlight tese una mano verso di lei. La figurina la guardò interrogativa. Nightlight le fece un piccolo cenno con la testa, indicando la luna.

Lei non capì, ma non si fece troppe domande. Titubante, allungò una mano esile, che lui strinse con dolcezza. Sembrava grigia tra le sue dita, che erano bianche come la neve. Si sentì imbarazzata, ma anche curiosa.

Si sentì sollevare, farsi più leggera, e guardò giù: si stava alzando in aria. Non credeva di esserne capace.

Nightlight le prese anche l'altra mano, e tirò la figurina a sé.

La Luna mi ha detto che volevi parlarle.

Io sono qui per portarti da lei.





  
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