Storie originali > Fantascienza
Segui la storia  |       
Autore: tortuga1    27/11/2013    1 recensioni
Gli uomini e le donne sono spesso lontani pur vivendo vicini, così tanto da avere difficoltà ad incontrarsi. Pensando a questo mi è venuta l'idea di SPLIT, una storia ambientata in un futuro possibile, nella quale uomini e donne sono stati separati per un esperimento che aveva il fine di salvare l'umanità dall'estinzione. Ma qualcosa non è andato per il verso giusto, e alla fine del viaggio uomini e donne non si sono più incontrati...
La storia comincia così, nella comunità di sole donne che ha colonizzato come previsto il pianeta Terra Due, e da secoli ormai ripete un rituale di clonazione.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

XIV.

 

Emily è distesa sul divano rustico, con gli occhi chiusi. Flavia sta suonando per lei il secondo movimento della Patetica. Ascolta le note limpide e non riesce a rilassarsi, a dimenticare il dolore e l’umiliazione. Un mondo imperfetto e inutile, dove tutto si ripete all’infinito, senza speranza. Forse sarebbe meglio rinunciare a continuarlo, un mondo così. Si mette seduta soffocando un gemito, la schiena le duole, e certo, sarà questa la sua croce, l’artrosi deformante che alla fine la costringerà quasi immobile in un letto. Così è successo a Flavia, così inevitabilmente succederà a lei.

- Basta, Flavia. Non mi fa effetto.

- Va bene. – Flavia spegne il campionatore, d’inverno anche il suo assorbimento minimo può mettere in crisi l’impianto elettrico di casa. – non devi pensarci più. È finita, finita, capisci?

- Non è finita. Continuerà finché qualcuna di noi resterà viva. Tutto uguale. Mi sembra d’impazzire, non lo sopporto più.

- Ma sei stata tu a dirmi che non tutto era perduto, ti ricordi?

- Forse anche questa è una favola. Quella testa dura di Ester, è stata lei a convincere Emily che c’era ancora speranza, che dovevamo ricordare. E lei le ha creduto…

- Ester… ma quando?

- All’inizio. Non l’Ester che hai conosciuto tu, la prima Ester. Ma in fondo non fa nessuna differenza, proprio nessuna. Forse era solo pazza, impazzita in quella merda di stanzino. E loro… – rabbrividisce e stringe forte le braccia intorno al corpo – loro volevano farlo di nuovo. Per fortuna Paula le ha convinte.

- Ma tu non ci credi più? Non ci credi più nella squadra segreta?

- Era una cosa da bambine. La squadra segreta. Il medico, l’ingegnere, il pilota, l’artista e le esperte di energia e comunicazioni! Che stronzata.

- Eppure tu quando eravamo bambine non ci hai detto che era una… sciocchezza.

- Ci credevo anch’io, quando ero bambina! Ma forse era solo un gioco. Un modo di illudersi. – si prende la testa fra le mani e chiude gli occhi. Dio, come si sente vecchia. Sente la mano di Flavia, piccola e dolce, sulla spalla irrigidita. La fa sentire meglio.

- Io ci credo ancora. Mi fa bene crederci. – Emily raddrizza la schiena dolorante e cerca di sorridere. Il visetto di Flavia, serio e determinato, sembra darle coraggio.

- Forse hai ragione tu. È terribile non credere a nulla, non aspettarsi nulla.

- Senti, Emily, tu non mi hai detto mai cosa doveva fare la squadra, tu lo sai?

- Qui sta il punto. – Emily sospira e si alza in piedi. Non riesce a stare ferma, ma non trova nessun sollievo muovendosi nello spazio ristretto della stanza. Si avvicina alla finestra e guarda il paesaggio bianco, la neve non cade più ma ci sono quindici gradi sotto zero. – non sappiamo cosa deve fare la squadra! Questo mi sembrava bello e misterioso quando ero piccola, poi ho cominciato a pensare. Una squadra che non sa cosa fare non serve a niente! Che assurdità, non ti sembra?

- Hai detto che dovevamo tenerci pronte. E non fare mai capire che ce la intendevamo fra noi, mai a nessuna. Non basta, questo?

- Basta per delle bambine. Ora io sono stufa di aspettare. Sono stufa di tutto, delle dannate macchine vecchie di secoli, della dannata musica sempre la stessa. Sono stanca, capisci?

- Aspetta… cos’è stato? – il segnale alla porta si ripete, tre colpi cadenzati, una pausa e due colpi brevi. Poi nient’altro. – sono loro! Da quanto non lo facevamo più… – pensa rapidamente, certo, sono passati almeno cinque anni. Erano sei bambine, allora, e avevano tenuto la riunione nella legnaia di Naomi, dove si poteva arrivare dal bosco. Il solito rito, le mani unite in cerchio, l’ordine del giorno fatto di avventure inventate, e poi le ciambelle con il miele di Judith. L’ultima riunione della squadra segreta.

- Dove vi vedete? Ah, già, se il codice non è cambiato tre colpi significa da Tania. E due colpi significa alle quattro. Vero?

- Sì – Flavia sorride contenta, Emily non ha dimenticato, le sembra importante. Sbircia l’orologio digitale – fra meno di un’ora.

- Certe volte penso che sarebbe bello se Dio esistesse. Sarebbe bello poter pregare. – Flavia si avvicina con passo leggero e l’abbraccia stretta. Sente di volerle bene, in modo più acuto e profondo del solito, forse perché le sembra di essere tornata bambina.

- Anch’io prego. Non importa se è una favola. E forse sbagliava Eli, l’autrice delle direttive, a dire che Dio non esiste. È meglio pensare che c’è, e ci aiuterà.

 

La legnaia di Tania è stretta e lunga per adattarsi ad un dosso del terreno. Da un lato la porta di quercia, rivolta verso il bosco per facilitare il trasporto dei tronchetti con il carrello a mano. In fondo un angolo libero, che Tania e Sandy utilizzano per lavorare. Lavoro effimero, perché le direttive non parlano di arte, e tutto quello che non è permesso esplicitamente è proibito. Il loro compito nella nuova società è lavorare nei campi. Le sculture ricavate da piccole pietre o fatte di argilla cruda rimangono in piedi un po’ di tempo, guardate da poche paia di occhi, e poi di nuovo tornano ciottoli e terra. Sandy e Tania non ne soffrono più, ma forse all’inizio non era lo stesso. Per ora, ghiacciata dall’inverno, si erge in fondo alla legnaia una figura di donna nuda in grandezza naturale con la superficie scabra, sembra voler uscire dalla materia ruvida con il viso e un braccio, lisci e perfetti. È stata Sandy a farla con la creta prima del gelo, e ancora non si decide a prenderla a martellate. Le sembra di uccidere una creatura viva.

Coperte dai mantelli le ragazze sono sedute in circolo, su piccoli tronchi di legno. Si guardano tra loro con affetto, mentre in classe fingono quasi di ignorarsi. Sono la squadra segreta.

- Prendiamoci per mano. – Paula prende le mani di Sandy e di Emily, il cerchio si forma e loro si sentono bene, sentono l’energia che scorre da una all’altra, la loro forza che aumenta, perché è la forza di tutte.

- Sono contenta, le nostre riunioni mi mancavano. – Geneviève ha gli occhi luccicanti e vede intorno facce allegre come la sua, solo Paula è pallida e seria, con gli occhi profondamente cerchiati. – a chi è venuta l’idea di ricominciare?

- A me. – Paula sospira e lascia le mani delle compagne. – è venuto il momento che aspettavamo.

- Il momento di fare cosa? – Sandy la guarda ridendo, divertita dal suo tono solenne – inventiamo qualche avventura e poi mangiamo le ciambelle, no?

- No. Tutte voi ricordate quello che c’è da ricordare, no?

- Sì, certo. La missione non è fallita.

- Gli uomini non erano nostri nemici.

- Quando sarà il momento saremo noi a fare ripartire la missione.

- Noi siamo la squadra segreta.

- Sì, e torneremo a volare! – Geneviève non ce la fa più a trattenersi e grida il suo desiderio.

- Che dici, Geneviève! Questo Tania non me l’ha detto mai!

- Nemmeno Stephy mi ha mai parlato di volare! Che vuol dire?

- Ha ragione lei. – Paula si guarda intorno, le facce delle ragazze stanno perdendo l’espressione infantile di prima, ora sono più serie e attente. – gliel’ho detto io.

- E tu come lo sai?

- Sì, come?

- Cos’hai portato, Ernesta? In quel cestino.

- Le ciambelle. Per fortuna Judith le aveva fatte stamattina.

- E allora mangiamo. Sarà più facile raccontarvi quello che so. – mettono il cestino nel mezzo del cerchio e cominciano a rosicchiare le ciambelle tenute in caldo da una coperta d’argento.

 

Sebastian si ferma un attimo per riposare, il lavoro che sta facendo è troppo pesante per una persona sola, intanto non può ancora aiutarlo nessuno. I servocomandi non funzionano più dato che ha disinserito i collegamenti, e deve trascinare a forza di braccia grandi pezzi di paratia aiutandosi solo con un carrello e un primitivo paranco meccanico. La navetta è costruita in modo mirabile, tenendo conto che è ormai un manufatto antichissimo. Dietro lo scudo anteriore, quello che l’ha protetta dall’impatto con l’atmosfera, nasconde una sorpresa. Quando ha potuto respirare di nuovo liberamente Sebastian ha interrogato in proposito Paula, e si è accorto che nessuno ne sapeva niente. Saranno le solite direttive del cazzo, ma certo, bisognava cancellare qualsiasi rapporto con il passato, e così la comandante non ha detto a nessuna dell’equipaggio che la navetta ha una scialuppa di salvataggio. Un modulo d’emergenza capace di tornare sulla nave madre. Afferra con decisione una putrella d’alluminio e la solleva.

- Aspetta, ti aiuto. – Paula è scivolata silenziosamente nel vano ingombro di rottami e da qualche minuto lo sta a guardare, immobile e assorto. – a cosa pensavi?

- Cosa ne sai… – la circonda con uno sguardo attento, Paula ha le guance accese dal freddo e gli occhi brillano. – e va bene, pensavo che la comandante, quella…

- Elizabeth. Eli.

- Bene, quella Eli era una stronza! Come, non dirvi che la nave madre non è un guscio vuoto, anzi contiene tantissime cose essenziali! Non dirvi che potevate tornare a prenderle!

- Ma tu… mi hai detto proprio tutto? – Sebastian sorride guardandola negli occhi, ma la sua espressione non la convince. – non mi hai ancora detto come faremo…

- Non è il momento. – lascia andare la putrella sul carrello e soffia sulle dita irrigidite dal freddo. – è pericoloso dire tutto. Potrebbero prenderti di nuovo, cercare di farti parlare.

- E se invece prendono te? Pensi di essere più bravo a resistere?

- Certo che no. Ma tu sai cosa fare se mi succede qualcosa.

- No! – Paula attraversa con due passi la distanza che li separa e lo abbraccia stretto. – non deve succederti niente!

- Non mi succederà niente. – Sebastian accarezza lentamente i capelli di Paula, meravigliandosi di come sono morbidi e profumati. Gli sembra così strano sentire vicina, toccare un’altra persona, lui che per tanti anni è rimasto da solo. Quando Paula si avvicina lui si sente stordito e perde completamente la sua sicurezza, quella che credeva impossibile da scalfire.

- Come fai tu a dirlo! Perché sei sempre così maledettamente sicuro di te! Mi fai rabbia! – lo stringe più forte, è così sottile e piatto che può circondarlo facilmente con le braccia, ce ne starebbero due.

- Il vecchio ha pensato a tutto. Per ogni problema ha preparato almeno tre soluzioni, più altre due. Non ti basta? Il vecchio sono io…

- No! Non mi basta. Il tuo dannato vecchio è morto, lo vedi che non ha pensato a tutto?

- E invece sì. – la bacia leggermente sulla guancia, pensando a come sarebbe bello baciarle la bocca, ma ancora non l’ha fatto. È stata lei ad insegnargli a dare i baci, uno schiocco leggero delle labbra sulla pelle dell’altro. Che strano, in diciotto anni ne aveva fatto a meno e invece è così bello. Come sentire il calore della carne pesante, quando lui l’abbraccia e la stringe e la vorrebbe sempre più vicina. Però non c’è tempo. Si allontana a fatica da lei, conservando un po’ del suo calore, e cerca di frenare il respiro ansante. Paula gli fa l’effetto di un combattimento con la macchina. – dai, aiutami. C’è un sacco di lavoro da fare.

- Certo, Sebastian. – Paula indossa un paio di guanti da lavoro e prende un serrabulloni elettrico. Con un lieve fruscio sfila via i bulloni da un segmento di paratia, e poi insieme a Sebastian lo trascina in un angolo del locale. Attraverso la breccia si vede la coda del modulo d’emergenza, la bocca dei tre retrorazzi allineati, lucidi come nuovi e alti quanto lei. – senti, Sebastian… il tuo nome è troppo lungo, posso chiamarti… Seb?

- Che idea. Credo che questa cosa è già successa.

- Già. Senti, Seb, ma come farà a partire? Questo modulo non dovrebbe essere in cima ad un razzo? Ne abbiamo parlato, io e le mie amiche…

- A proposito, com’è andata?

- Bene, non mi aspettavo niente di meno. Siamo la squadra segreta.

- Sono onorato di farne parte – Sebastian s’inchina correttamente, imitando i cavalieri del sedicesimo secolo.

- Non prenderci in giro, noi facciamo sul serio.

- E io mi sento seriamente onorato. Tu sei la persona più in gamba che abbia mai conosciuto, in assoluto.

- Mi prendi ancora in giro! Io sono la sola persona che hai conosciuto!

- Hai ragione… – Sebastian allunga una mano e afferra Paula per il polso, lei si avvicina senza distogliere gli occhi dai suoi. – senti, volevo dirtelo prima… – le sfiora la pelle delicata del collo e la sente rabbrividire, lo stesso brivido che percorre la sua schiena. Sempre così, con lei, gli sembra che lei provi le stesse cose che prova lui. – io vorrei tanto…

- Che cosa… – la bocca di Paula è vicinissima, sente il calore del suo alito, si avvicina ancora e le bacia le labbra. Le sente morbide, cedere al lieve risucchio delle sue, e poi muoversi per aderire meglio, e schiudersi.

- Questo. È… – questa volta è Paula a baciarlo, stringendogli la nuca. Ancora le labbra si schiudono, e le loro lingue s’incontrano. – Sebastian si allontana di colpo, è rosso in viso e gli manca il respiro. – è troppo…

- Cosa ti succede… – Paula si avvicina ancora e lo spinge contro il metallo della paratia. Ha il viso confuso, non imita più i modi del dannato vecchio, che lei immagina un noioso micidiale. Lo bacia di nuovo con gli occhi chiusi, si sfila i guanti e gli accarezza la schiena dura, la sua mano segue il contorno dei fianchi sottili e si ferma di colpo sul davanti. – ma cosa…

- Non è niente. – Sebastian scivola di lato e le rivolge le spalle. – è che… mi vergogno.

- Ma di cosa… – Paula lo abbraccia da dietro, e di nuovo cerca con la mano. È una cosa… strana. – dimmi cos’è. Sei malato?

- No. Per favore, non toccarmi…

- Ma perché no… – Paula si sente attratta e incuriosita dalla strana cosa che ha toccato, è sicura che prima non c’era. Sebastian si allontana di nuovo. – almeno dimmi che ti succede.

- Io… – parla senza guardarla ma sente che invece lei lo sta squadrando senza pietà. – e va bene, te lo dico. Ho… voglia di te.

- Tutto qui? – Paula ride divertita e cerca di avvicinarsi, mentre Sebastian indietreggia. Non per molto, è costretto a fermarsi in un angolo. – ma tu mi hai, sono qui. Che c’è di strano?

- Non vuoi capire. Ho… voglia per davvero. Voglia di…

- Di che? Di baciarmi di nuovo? – ormai non può sfuggirle, si avvicina lentamente e protende le labbra, le sente gonfie e calde come se le avessero dato uno schiaffo.

- Sì, di baciarti! – l’afferra bruscamente per le spalle e la bacia schiacciandola contro di sé, ha voglia di penetrarla con la lingua, lei si apre per riceverlo e gli parla con piccoli deliziosi movimenti della bocca. Come la prima volta che l’ha toccata, Sebastian si sente leggero, le sue mani esplorano la pelle sottile intorno alla vita, e poi si fanno strada sotto la tuta, cercando la carne. Lui sa com’è fatto quello che sta cercando, però la sua scienza non gli serve a niente. I peli morbidi del monte di Venere, umidi di sudore, e poi la regione del sesso, con tutte le parti che lui ha studiato e per tante volte ha guardato nelle immagini di una morta, e ora invece eccolo qui, un fiore parlante umido e caldo, non importa come si chiamano i petali, non lo ricorda più.

- Cosa… stai facendo… – Paula s’interrompe ansando, lo sa benissimo cosa sta facendo, e le sembra perfettamente giusto. È completamente diverso dalle tante volte che si è toccata da sola, senza sapere bene a cosa pensare. Si abbandona nelle braccia di Sebastian e anche lei cerca la sua carne, la trova. – e questo…

- No! Non toccarlo così… – all’improvviso la strana cosa che ha afferrato si mette a pulsare, e poi schizza qualcosa di caldo e viscido che le riempie la mano. Sebastian continua a toccarla, senza smettere di baciarle la bocca, le guance, gli occhi. Le piace quando le bacia gli occhi. Paula si muove più in fretta contro la sua mano, e poi sente il calore al centro delle cosce aumentare, riempirle il ventre, costringerla a gemere e poi abbandonarsi senza forze. Si appoggia anche lei alla paratia e guarda con curiosità la crema biancastra che ha in mano, manda un odore acuto che non le dispiace.

- Cos’è questa… cosa?

- Sono io. – Sebastian è sudato e stravolto, ma sembra più calmo e respira regolarmente. – questo è il mio… seme.

- Vuoi dire che questo…

- Non volevo che succedesse… così. Ti fa schifo, vero?

- Ma no! Non mi fa schifo. Solo mi è sembrato… strano.

- Ora finiamola con queste sciocchezze, abbiamo perso abbastanza tempo. – Sebastian la guarda freddamente e le volta le spalle. – dobbiamo continuare a lavorare. Te la senti?

- Sì… mi sento un po’ stanca ma ce la farò.

- Bene. – Sebastian con la faccia impassibile afferra un grosso pezzo di paratia e lo appoggia sul carrello. – allora datti da fare.

- Mi… lavo le mani, prima.

- Bene. – una trave d’alluminio raggiunge rumorosamente il segmento di paratia.

- Allora vado. – Paula reprime l’impulso di lanciargli contro un grosso bullone e raggiunge la piccola toilette. La roba viscida va via senza difficoltà e sparisce nello scarico. Alla fine le mani tornano come prima. Si guarda allo specchio e si trova sciupata e pallida, con le occhiaie profonde. È furiosa contro Sebastian, anche se non sa esattamente cosa rimproverargli. Cos’ha fatto di tanto antipatico? Torna a testa bassa a prua, la breccia è più grande e Sebastian lavora come un assatanato.

- Quando verranno le altre?

- Solo quando saremo pronti. È pericoloso riunirci tutte in un posto sorvegliato come questo.

- Peccato non poterci far aiutare.

- Forse è meglio così. Possiamo restare di più da soli. – Paula stringe le labbra notando che lui non ha fatto nessun commento, bastava dire sì, è vero, o qualcosa di simile. Invece niente, il bastardo continua a lavorare senza alzare lo sguardo, il sudore gl’inzuppa la tuta troppo corta.

- Parlami di loro. Dimmi che tipi sono.

- T’interessano, vero? – la voce di Paula è aspra e stridente. – e dimmi, quale ti piace di più?

- Cosa vuoi che ne sappia, non le ho mai viste…

- Come, tu non controllavi tutte le telecamere della nave? Non ascoltavi i nostri discorsi? Non stavi a goderti la scena mentre mi torturavano? Sei un bastardo!

- Io credo di averle viste tutte, le tue amiche, prima o poi sono capitate a portata delle telecamere. Ma non so quali sono, quelle della squadra. E meno che mai ho potuto capire come sono fatte.

- Eh già, per capire come sono fatte devi toccarle, come hai fatto con me! Toccarle… lì. Ammettilo, stronzo! È questo che vuoi!

- No! – Sebastian appoggia un grosso cavo sul carrello già ingombro e si avvicina. Paula non fa in tempo a ritrarsi, sente le sue mani sulle spalle. – io sto bene solo con te. Tu sei stata… selezionata per me, e io per te.

- Che balle! E io dovrei credere a queste stupidaggini! La selezione e tutto il resto… io sono sicura che tu…

- Che io? Avanti, dillo.

- Che tu non senti niente per me, ecco, l’ho detto! Tu mi hai… usata. È questa la parola giusta. Ti servo per i tuoi piani, e anche per spruzzare fuori quella schifezza. E poi quando hai finito, ti asciughi le mani con la tuta e finisce lì.

- Ho… davvero fatto così?

- Sì, ti sei asciugato le mani sui pantaloni sporchi, e poi mi hai voltato le spalle. E io invece…

- Che stupida sei. – Sebastian la costringe ad avvicinarsi e la stringe, la preme contro il suo petto. – noi non dobbiamo… fare quelle cose. Non è ancora il momento, capisci? Ho sbagliato io, ti chiedo scusa.

- E chi lo dice che non è il momento? Tu? Il comandante in capo che detta le nuovissime direttive?

- È stato lui. Il vecchio. Mi ha detto che è pericoloso lasciarsi andare finché non siamo ancora al sicuro. Ha detto che è importante.

- Ma tu invece… – lo respinge con le braccia e si appoggia alla parete opposta del locale – sei stato tu a cominciare. Tu mi hai baciata – indica la bocca, la sente ancora gonfia – qui. E poi mi hai toccata. Mi hai…

- Hai ragione, è colpa mia. Non dovevo farlo, ma lo desideravo troppo. E poi ho pensato che forse era meglio…

- Meglio cosa? – ha perso quell’espressione indifferente che le faceva rabbia, è rosso e confuso, lo preferisce così.

- Ma sì, fare come consiglia il vecchio.

- Ah, c’è sempre il dannato vecchio, fra noi. – Paula cerca di non sorridere, anzi prova una smorfia maligna.

- Beh, sì. Mi ha detto cosa fa piacere ad una donna…

- Ah, anche questo ti ha insegnato?

- Solo un paio di sessioni dedicate ai rapporti umani, niente in confronto a tutto il resto. Non riuscirò mai ad imparare tutto, non c’è tempo.

- Però queste le hai studiate bene. Ora sai cosa fa piacere ad una donna, eh? – sente di aver colto nel segno, è sempre più rosso, però il suo sguardo è dolce, sincero.

- Scusami. Ho fatto esattamente il contrario di quello che ha detto il vecchio. Si vede che ha funzionato.

- Funzionato a cosa? Lo sai che stavo per romperti la testa con un bullone?

- Ah sì? – lentamente il rossore svanisce e lo sguardo si fa più insistente, lei sa esattamente dove la sta guardando… – però dopo avresti dovuto curarmi.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantascienza / Vai alla pagina dell'autore: tortuga1