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Autore: Leo    07/12/2013    1 recensioni
Silent Hill - 1997
Dio è morto. Sembra un trattato di filosofia, ma qui è successo per davvero. Dio è morto, l'ha ucciso lei. Lei, che ora non dovrà più nascondersi. Lei, che ora dovrà tornare a casa. Lei, che ora non ha più nessuno. Sembrava solo uno stupido gioco, fin'ora; ma tutto cambia quando torni a casa e ti accorgi che non era un sogno, che è davvero finita, la tua vita è finita. Già, Cheryl, come potrai vivere ora senza tuo padre che ti protegge?
Genere: Avventura, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cybil Bennet, Douglas Cartland, Harry Mason, Heather Mason
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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         Seconda parte - Portland

 

Aprì gli occhi sentendo il freddo del vento sotto i piedi nudi. La prima cosa che riuscì a vedere fu il grigio del cielo. Una coltre di nubi si spostava velocemente nell’aria, coprendo ogni colore e raggio di sole. Tutto ciò che vedeva era il grigio.

Si sollevò a sedere, spostando lo sguardo dove poteva. Riconobbe i marmi, le croci piantate nel terreno, la terra scavata. Poi rivolse lo sguardo sul suo corpo. Non solo i piedi, era completamente nuda sotto il vento che la faceva rabbrividire. Era una sensazione sgradevole.

Istintivamente cercò di coprire le sue nudità, e si guardò intorno per vedere se era sola. Al tatto si accorse di essere fredda, troppo fredda; sembrava che non riuscisse a generare calore, ma nonostante quel freddo anomalo non si sentiva male fisicamente, a parte uno strano fastidio alla schiena. Cercò qualcosa per coprirsi, ma tutto quello che aveva intorno erano lapidi e mausolei. Niente vestiti, niente persone, niente impronte attorno a lei. Niente. Solo nubi e vento. Non un suono giungeva alle sue orecchie.

Si alzò poco convinta, tenendo la schiena ricurva sia per l’imbarazzo che per il freddo, continuando a guardarsi attorno frastornata. Prese a camminare senza una direzione precisa, superando le tombe, a volte con la terra fresca scavata ancora visibile, altre volte completamente ricoperte d’erba e di umidità.

Qualche goccia cominciò a colpirle il viso e le spalle. Erano gocce freddi, gelide, e a volte scivolavano lungo la spina dorsale, o tra i seni coperti solo da un braccio, provocandole un fastidioso brivido. Questo le fece accelerare il passo, per cercare una copertura. Ma i mausolei erano tutti serrati da catene o da pesanti portoni che non si muovevano di un millimetro nonostante gli sforzi, per cui continuava a camminare furiosamente in ogni direzione, finché una porta aperta non catturò la sua attenzione. Era una struttura molto grande all’apparenza, e dall’alto dei cornicioni alcune statue si affacciavano come fossero a guardia dell’ingresso. E forse una delle due aveva una lancia tra le mani…non riuscì a preoccuparsi troppo della forma di quelle sculture, e si infilò all’interno senza troppi complimenti.

Dentro il buio prese il sopravvento. Era in un corridoio, molto largo, ma in compenso anche molto lungo. Lungo le mura c’erano nomi e volti che si affacciavano, altri defunti, altre tombe. Jimmy Stone, Stefan Boyle, Gerard White, George Rosten, Kayle Butler, Angela Orosco, Maria Hofstader, Leon Carray, Eugene Kennedy. Li leggeva ad uno ad uno, mentre percorreva tutta la navata, camminando lentamente. Incrociò in alcuni punti dei vuoti, e sotto un altro loculo aperto c’era una barella di quelle che si usano per trasportare le bare, leggermente sbilanciata a causa di una rotella mancante.

I nomi continuavano a susseguirsi ai suoi occhi: Angel Proud, Skyler Whitman, Eddie Dombrowski, Miriam Locane. Quel corridoio sembrava non finire più. Poi lo stupore. Harry Mason. La foto era dannatamente reale. Si vedevano anche i pochi capelli bianchi che erano apparsi con gli anni, e il suo sorriso composto. Avvicinò le dita al marmo, passandole sopra le lettere di ottone fredde, ripetendo il nome a bassa voce. Non stava piangendo, non sentiva niente, era come svuotata dall’interno, e come non riusciva a provare calore, così non provava sentimenti in quel momento. Solo i suoi occhi che passavano sul marmo gelido insieme alle mani tremanti.

Un rumore attirò la sua attenzione, come di un cigolio. Non si era accorta di essere giunta alla fine del lungo corridoio. Davanti a lei c’era un’altra barella, sporca di sangue ancora liquido, che gocciolava da una parte formando una piccola pozza a terra. Oltre il carrello in ferro, su un livello rialzato con soli tre scalini, si stagliava, poggiata in verticale, una bara scura, spalancata e vuota, con gli interni in velluto rosso e i cuscini dello stesso tessuto adagiati sul fondo. Alle spalle della bara poteva intravedere un altare in stile cristiano, ma qualcosa non quadrava. Non c’era nessun crocefisso, non un’immagine cristiana in quel posto, e anche la vetrata che si stagliava ora di fronte a lei, oltre l’altare, raffigurava in maniera molto stilizzata una donna. Forse era la Vergine Maria?! Non sembrava, dai colori.

Lentamente si avvicinò alla cassa aperta. Sentì quasi un richiamo, come se il suo posto fosse proprio quello, come se era lì per un motivo preciso. Ora la fitta alla schiena era pungente e localizzata in un punto ben preciso. Si era completamente dimenticata di essere nuda, e ora camminava sicura di sé, verso quei gradini. Non degnò d’uno sguardo la barella insanguinata, su cui il liquido rosso sembrava autogenerarsi, colando copiosamente anche lungo le cinghie penzolanti. Salì lentamente i tre gradini che la separavano dal feretro, e quando ci fu di fronte, sollevò un braccio sporgendosi verso il velluto.

 

Qualcuno l’afferrò. Sentì il braccio bruciare al contatto con la mano che lo stringeva. Si voltò fino a incrociare il volto sorridente e rassicurante di una donna dai capelli corvini, che con un gesto delicato la convinse a girarsi di nuovo verso il corridoio da cui era venuta, dando le spalle alla bara aperta.

“Non ancora” disse la donna con voce suadente che sembrava provenire da un’altra dimensione.

Poi lentamente le si avvicinò, portando l’altra mano verso il suo viso, cingendolo in una carezza. E mentre la mano si posava delicatamente sulla guancia fredda, il dolore alla spalla divenne intenso, lacerante, e si faceva strada nella carne come se questa fosse penetrata lentamente ma inesorabilmente da una lancia. Quando sembrò essere stata passata da parte a parte, portò una mano al seno, in corrispondenza della fitta. E nel momento stesso in cui il dolore sparì, tutto il suo corpo avvampò di calore, le lacrime le riempirono gli occhi e un lamento sommesso fuoriuscì dalla sua bocca. La donna che aveva di fronte, sentendo quel gemito, si avvicinò ancora, abbracciandola, costringendola ad affondare il viso nella sua spalla.

Poi la lasciò andare del tutto, allontanandosi di qualche passo. Il vestito era macchiato di sangue, e le si era appiccicato sul petto, ma la donna sembrò non farci caso. Le fece segno di guardare al suo petto. La mano, intrisa di sangue, ora stringeva qualcosa…

 

…un proiettile…

 

Si voltò verso la bara, e al suo posto poté vedere solo una creatura umanoide con un camice ingiallito e sporco di sangue, che reggeva in una mano una specie di arnese chirurgico. Era molto lungo, e gocciolava sangue fresco dall’estremità; ne era sporco per una buona parte. La creatura lo lasciò andare facendolo cadere sul pavimento, provocando un rumore metallico che si amplificò nell’enorme stanza, rimbombando più e più volte.

I suoi occhi tremavano, ma continuò a guardare l’essere che aveva di fronte, mentre si muoveva convulsamente verso la bara dal quale era uscito, dove rientrò chiudendola dietro di sé con un cigolio.

Poi tutto scomparve nel buio…

 

Spalancò gli occhi azzurri. Davanti a lei Cheryl e Douglas di fronte alla macchina, con la portiera posteriore aperta. Il freddo e la notte la circondavano, sentiva odore di cloroformio addosso alla ragazza che le stava vicino, e tra le mani stringeva una pistola. Aveva avuto quella vertigine per qualche secondo. Sognava? O era dovuto alla tensione del momento? Eppure giurò di sentire ancora quella fitta alla spalla sinistra.

“Aiutala ad entrare velocemente!”

La voce di Douglas sembrò ridestarla, ma il fastidio non si attenuava, anzi, con il passare dei secondi diventava sempre più forte e bruciava come una ferita in cui la carne viva fosse stata coperta di sale. Stava per obbedire alle parole di Douglas, quando tutto il dolore si spostò strisciando come un serpente dalla spalla al collo distribuendosi su tutta la spina dorsale. Si voltò, seguendo un istinto ben preciso, quasi come se non fosse più padrona del suo corpo e cominciò a guardare nel buio, sforzando gli occhi, spostandoli velocemente da una parte all’altra. Quel gesto attirò l’attenzione dell’uomo accanto a lei, che incuriosito cominciò a guardare anch’egli nella stessa direzione. Ma tutto sembrava tacere, non un’ombra, non un suono.

Douglas si voltò nuovamente, cercando di mantenere il sangue freddo. “Cybil! Non perdiamo tempo, sali in macchina e andiamo via!”

Ma Cybil continuò a puntare il suo sguardo dritto nel buio, verso una siepe che costeggiava il palazzo. Puntò la pistola ed esplose un colpo. Lo scoppio prese alla sprovvista Cheryl, che d’istinto si lanciò all’interno dell’auto cacciandosi la testa fra le mani e stringendo con forza gli occhi. Anche Douglas fu stupito, ma mantenne il sangue freddo e puntò a sua volta la pistola nella direzione del colpo sparato da Cybil. Tuttavia non c’erano segni della presenza di qualcuno nella traiettoria del proiettile. Tutto rimase immobile e in silenzio per qualche secondo. Poi Douglas fece di nuovo cenno a Cybil di entrare in macchina, ma invece di sedersi sul sedile posteriore dove ora Cheryl stava completamente sdraiata, entrò davanti, tenendo ancora la pistola puntata fino a quando non vide entrare anche Douglas al posto del guidatore; a quel punto chiuse finalmente la portiera, e l’auto si avviò nella notte.

 

…un venticello fresco batteva su quella siepe. Qualche foglia era stata strappata dalla furia del proiettile. Una figura si levò lentamente dal basso, strusciandosi contro i rami per uscire dal suo nascondiglio e imbrattando tutto con il suo sangue…

 

“Si può sapere a cosa miravi prima?!”

Douglas sembrava molto arrabbiato. D’altronde c’era stato troppo rumore, e un proiettile in più significava comunque un rischio maggiore per tutti. C’era però da domandarsi dove fossero finiti tutti mentre quella ragazza sparava all’impazzata con un revolver calibro 45.

Cybil non rispose immediatamente, ma rifletté su ciò che aveva appena vissuto. Sentiva ancora qualche brivido lungo la schiena, ma si attenuavano man mano che l’auto si allontanava da quel posto. I suoi occhi azzurri fissavano insistentemente la pistola, con il cane incandescente per le esplosioni subite. I pensieri correvano forte, si ritrovò a pensare ai colpi mancanti…tre in totale su un caricatore da otto. Era ancora sicura di poter affrontare un’altra emergenza come quella, ma aveva bisogno di proiettili.

Cheryl, sul sedile posteriore, si era raddrizzata, e guardava dal lunotto se qualcuno li stesse seguendo. Spostava lo sguardo dalla strada che si lasciavano alle spalle a quella che stavano per percorrere, mentre un vortice di pensieri affollava la sua testa. Si sentiva ancora intontita per il cloroformio, e tutto quello che era successo in quella notte era per lei ancora un mistero. Improvvisamente abbassò la testa con rassegnazione.

“Non saremo mai al sicuro, vero?”

Douglas cercò di guardarla dallo specchietto retrovisore. Tutto ciò che riuscì a vedere furono i ciuffi biondi da cui si poteva intravedere un’ormai preminente ricrescita corvina che si affacciava dalle radici. Avrebbe voluto rassicurarla, ma tutto quello non aveva senso neppure per lui. Era sicuro di aver colpito una ragazza davanti a quel portone, e non aveva visto altre persone. Cybil non aveva parlato, sapeva che c’era qualcun altro insieme a quella donna, ma non sapeva chi fosse, e che fine avesse fatto, anche se poteva immaginarlo, visto che sia Cybil che Cheryl erano ancora vive e vegete, e che Cybil in particolare fosse armata.

“Non ti preoccupare Cheryl. Finché restiamo uniti non ci potranno fare nulla”

Non suonava molto convinto, pensò in mente sua. Ma poté sentire uno sbuffo che poteva essere assimilato a un sorriso.

Cybil era ancora immersa nei suoi pensieri. Aveva dei ricordi sfocati, forse aveva sognato ad occhi aperti, ma il dolore che aveva provato era così reale, e quella pulsione…perché aveva sparato? E a cosa? L’istinto l’aveva costretta a premere il grilletto, ma razionalmente in quella direzione non c’era nulla, nemmeno un’ombra. C’era una sola spiegazione, ma doveva avere conferma.

“Cheryl, dimmi una cosa…”

La voce di Cybil era incerta, tanto che aveva preso alla sprovvista la ragazza, che in ore di racconto non aveva mai sentito quella voce così flebile, ma era sempre stata ferma e sicura.

“Quando gli incubi sono cominciati…quando hai visto quei mostri…quando sei stata a Silent Hill…ti è mai capitato…non so, di agire per istinto…di avere delle premonizioni che ti hanno salvato la vita?!”

Cheryl strabuzzò gli occhi. Per qualche istante regnò il silenzio più assoluto.

“…è questo che ti ha fatto sparare quel proiettile? Un istinto?!”

Douglas voleva vederci chiaro: quella donna si stava comportando in modo troppo strano. Ed era così concentrato su Cybil che non si accorse dei movimenti di Cheryl, che ora si rannicchiava sempre di più, e si teneva la testa fra le mani. Stava ricordando qualcosa che sperava di poter cancellare per sempre, una sensazione distruttiva.

“Ricordo…” esitò. “…il luna park. L’otto volante. Ricordo che avevo già sognato quel momento al centro commerciale, e cercai di impedire che il sogno si avverasse. Ma dopo tutti i miei sforzi, quel…coso…me lo ritrovai davanti comunque. Era poco prima di incontrare Douglas con quella ferita.”

Douglas ascoltava in silenzio. Lui ricordava pochissimo di quel mondo in cui, suo malgrado, aveva passato quasi un giorno intero. Tutto ciò che di contorto e mostruoso aveva visto, affrontato, a volte ucciso, tutto era sparito dalla sua mente se non le sensazioni che aveva provato. Il che era frustrante.

“Ma c’è di più. Io sapevo che stava arrivando. Era una sensazione bruttissima, più si avvicinava e più sentivo dei dolori ovunque, le costole, le gambe, il collo, ogni osso del mio corpo fremeva e bruciava tutt’attorno. Quando intravidi le luci da lontano il dolore aumentò ancora e sentivo il mio corpo completamente paralizzato, come se non riuscissi più a controllarlo. E poi, contro ogni mia volontà mi lanciai nel vuoto…Il buio non mi permetteva di vedere nulla e per me sotto i binari c’era il nulla più assoluto, eppure dopo neanche un metro di caduta incrociai quella biglietteria e ci svenni sopra. Non so per quanto…”

Ci fu un momento di silenzio assoluto, rotto solo dal motore dell’auto che si allontanava nella notte, senza una direzione precisa.

“Ma non fu l’unica volta. In altre occasioni dei dolori mi hanno costretto a fermarmi e a prendere delle decisioni che sembravano del tutto prive di senso…ho ucciso un mostro che stava nascosto nell’acqua putrida di una fogna con un phon acceso, perché sentii i polmoni fare fatica a contrarsi, e il respiro si fece affannoso non appena mi avvicinai al ponticello di metallo. Non sapevo che era lì, c’erano degli indizi, ma nulla di certo.”

Cybil non disse una parola per tutto il racconto. Tremava leggermente, complice il fresco affrontato con una sola maglietta leggera addosso. Ma la curiosità vinse la paura.

“Hai creduto di vedere qualcosa prima che succedesse?! Un…sogno, o qualcosa di simile?”

“Forse…una volta giurai di essere stata trascinata per le gambe per chissà quanto tempo…”

Douglas non riusciva più a fare silenzio.

“Insomma, mi spiegate cosa sta succedendo? Cosa sono queste storie?”

Ma Cybil aveva qualcos’altro in mente. Voleva mostrare tutto.

Il racconto si doveva concludere!

“Douglas, sii gentile. Prendi l’autostrada. Andiamo a Portland”

 

  
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