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Autore: Kiki Daikiri    18/05/2008    3 recensioni
Che buon profumo, profumo di pioggia.
Butto a terra il cappellino, lasciando che l’aria mi passi tra i capelli.
Ogni volta che me li tocco provo una strana sensazione… per quanto sia già passato un anno, ancora non mi sono abituato ai capelli corti.
I miei bei rasta appartengono al passato, quello stesso passato che mi sta spingendo a salire sul parapetto del balconcino in questa deprimente camera d’albergo.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Grazie a tutte per i commenti, mi hanno fatto davvero molto piacere ^_^
Ecco il penultimo capitolo:


 
Capitolo IV
The sixth floor
 
Applausi, coriandoli su me come pioggia di ironia, occhi e bocche piangenti ma felici, ancora urla, ancora applausi.
Come ogni volta, lancio il plettro su quella spaventosa folla, così che una mano sconosciuta possa afferrarlo e che qualcuno possa tornare a casa dicendo “Tom mi ha sorriso tutto il tempo, si, proprio a me, e alla fine del concerto mi ha lanciato questo! Poi mi ha anche fatto l’occhiolino!”
Illuse.
Compatendole esco dalla scena, rimpiangendo i bei giorni delle mie canzoni, cantate da diecimila voci, cantate da quella ossessione che ora mi sembra fosse dolce malattia rispetto a questa.
Cammino lungo i corridoi  dell’albergo: ecco la stanza che cercavo… ecco la stanza 483.
È vuota e aperta, non è come quella di tanto tempo fa, in Spagna, ma per me andrà bene lo stesso.
Spalanco la finestra che da sulla strada e per un attimo mi godo la brezza d’inizio autunno.
Che buon profumo, profumo di pioggia.
Butto a terra il cappellino, lasciando che l’aria mi passi tra i capelli.
Ogni volta che me li tocco provo una strana sensazione… per quanto sia già passato un anno, ancora non mi sono abituato ai capelli corti.  I miei bei rasta appartengono al passato, quello stesso passato che mi sta spingendo a salire sul parapetto del balconcino in questa deprimente camera d’albergo.
Guardo verso il basso, le luci mi ammiccano di rimando, attraendo come calamite il mio paio di Sneakers bianche, nuove di zecca.
Mi pare di svuotare ulteriormente il mio cuore da quell’ultimo briciolo di umanità rimastami.
A che scopo conservare la vita se poi non si ha nessuno con cui condividerla? A che scopo?
Sono stato tante cose nella vita: Tom Kaulitz von Tokio Hotel… Tom Kaulitz dei gemelli Kaulitz… Tom Kaulitz von Mystified… e ora?
Ora che in questa stanza non c’è nessuno oltre a me, ora che sono solo Tom, mi rendo conto che io non sono nessuno.
“cosa ho fatto? Che cazzo ho fatto!” singhiozzo nel nero.
Sorrido senza motivo, mentre una lacrima mi precede nel grande salto.
Ho sempre creduto di sapere quale fosse il mio destino, eppure non l’ho mai saputo.
Mi rendo pian piano conto che tutto quello che volevo, tutto quello di cui avevo bisogno, era quell’ultimo briciolo di umanità che avevo appena scacciato dal mio cuore.
E forse di un fratello.
La vita è così vuota. Solo un salto la può riempire.
La caduta dal sesto piano è una strana sensazione: ti senti così leggero, come se tutti gli organi ti avessero abbandonato, rimanendo su quel parapetto. Eppure mi sento anche molto pesante, tutte  le colpe e i rimpianti che mi premono contro gli occhi.
Quando me ne libero è già troppo tardi.
 A cadere dal sesto piano ci si impiegano solo pochi secondi… poi è buio.
 
Tom Kaulitz girò l’angolo nel vicoletto, buio e seminascosto.
In tasca teneva il suo piccolo tesoro bianco, incellophanato e ben protetto.
A quell’ora Bill sarebbe sicuramente già stato sulle sue tracce, pronto a perquisirlo e fargli l’ennesima scenata.
Nel cupo silenzio della notte, il rumore dei passi sull’asfalto bagnato rimbombavano come rimproveri nelle orecchie di Tom.
Ogni centimetro corrispondeva a un ulteriore senso di colpa.
Un improvviso, concitato e affannoso parlare attirò la sua attenzione.
Accelerando l’andatura nella direzione dalla quale sembravano provenire le voci, Tom giunse a un incrocio tra due stradine piastrellate. Solo un lampione morente illuminava la terribile scena che gli si parava innanzi.
Bill Kaulitz giaceva a terra: un ragazzo corpulento stava seduto a cavalcioni sul suo corpo,trattenendogli le mani e premendolo sgraziatamente in una morsa che doveva essere una specie di bacio.
“Che brava puttana che sei, ragazzo”
Il burbero aggressore spingeva una mano dei boxer di Bill, lasciati in vista dai jeans aperti, mentre un altro uomo osservava la scena dall’esterno, evidentemente in attesa del proprio turno.
I due non parvero accorgersi della nuova presenza così, Tom, superato l’iniziale momento di paralisi, scattò in direzione del più grosso, quello che stava addosso a suo fratello.
Bastò un unico pugno dell’altro per mandare il chitarrista ko, con il labbro gonfio e sanguinante.
Approfittando di una momentanea tregua, Tom alzò lo sguardo verso l’assalitore, supportato ora dal suo socio.
Rimase basito alla scoperta che, effettivamente, quel volto non gli era affatto nuovo “Frank!? Sei tu?”
L’uomo, che era rimasto fino ad allora fermo ad assistere alla scena, sembrò riscuotersi dal torpore, così che, stiracchiandosi le braccia, scandì:
“Tom, Kaulitz… ebbene…paradossalmente, era proprio te che volevo.”
Il suo ghigno sinistro fece rimpiangere al chitarrista i pugni in faccia di poco prima.
“Frank…io…”
“Mi hai molto deluso, Kaulitz. Tre ottime dosi e ancora non mi hai pagato”
Poteva succedere qualsiasi cosa in quella situazione, Tom avrebbe potuto scappare, ma la vista di suo fratello, steso a terra, gli occhi sbarrati dal terrore e il trucco sciolto sulle guancie, gli diede la forza per aprir bocca.
“Pagherò! Giuro… io… li ho i soldi, ho solo bisogno di un attimo per evadere la sorveglianza dell’albergo e poi…”
“Non ti sei più fatto vedere… hai trovato qualcun altro per la roba forse?”
“No.. io…”
“Shhh… shhh…. Non fa niente… Non sei più in debito, Tom”
“I..in che senso?”
“Tuo fratello ha pagato per te” una luce strana nei suoi occhi, malizia e una buona dose di cattiveria.
“E piuttosto bene…” aggiunse l’altro. La risata dello stronzo fu peggiore di qualsiasi schiaffo mai ricevuto.
Prima ancora che Tom potesse dire o fare qualsiasi cosa, i due tipacci montarono su una moto rossa, per poi partire nel buio.
E così Tom rimase li, i pugni stretti in una morsa disperata e la mascella serrata.
Con un balzo felino fu al fianco di Bill, passandogli una mano tremante sulle guancie… ma il fratello lo respinse, si sollevò, e, barcollando, si incamminò lungo il vialetto.
“Bill… stai bene? Bill…”
Che cosa stupida da chiedere. Come poteva stare bene?
Senza pensarci ancora, gettò le braccia al collo del gemello più piccolo, lasciando che si sfogasse.
“Merda… merda merda merda”
Ripeteva Bill tra i singhiozzi isterici, cercando di allacciarsi i jeans, appiccicosi di liquido bianco estraneo. Ma, appena Tom tentò di aiutarlo, il fratello gli si appese alla maglietta, graffiandogli, incidendogli il petto per tutta la sua lunghezza.
Il chitarrista restò lì, nel piccolo vicolo solitario, bersaglio immobile e silenzioso di quella giusta rabbia.

Riapro gli occhi, lentamente. Le ciglia sono leggermente appiccicate dal sonno e faccio una fatica incredibile a mettere a fuoco i colori attorno a me.
Qualche mattutino raggio di sole filtra tra le imposte alla mia finestra, impregnando di primavera la stanza.
“Dove sono?” penso.
“A casa” risponde una voce conosciuta, al mio fianco… non mi chiedo come mai possa sentire quello che passa per la mia mente intorpidita, perché la gioia di quel sorriso è troppo disarmante.
Dietro ai suoi capelli neri e folti spunta un cappellino da baseball… Gustav!
Riesco a fatica a tirarmi a sedere, giusto in tempo per vedere il viso allegro di Georg fare capolino nella camera semi illuminata, portando una vassoio stracarico di ciambelle.
“La colazione!” esclama, versando a me e a mio fratello una tazza di caffè con latte.
“Moritz! Hai di nuovo lasciato le mutande della tua groupie nel mio letto!” rimprovera Gustav. Moritz, così chiamiamo Georg ogni volta che ci fa arrabbiare. Ridono e scherzano davanti ai miei occhi, come un tempo.
Raccolgo un po’ di coraggio, poi riesco finalmente a dire quello che penso, che penso da quasi due anni a questa parte “Mi siete mancati, ragazzi.”
“Forza Tom, mangia.. il concerto è tra solo due ore!”
“Che bello, un concerto! ma allora… i TH si sono riuniti?” chiedo speranzoso.
Bill sorride più di tutti… non lo vedo così felice da un sacco di tempo. È bellissimo quando sorride, molto più bello di me.
Ma una nube scura passa ora al di fuori della finestra, un monsone. Le ombre nella stanza si allungano e si distorcono.
“Ci hai fatti preoccupare, Tom…” improvvisamente tutte le espressioni attorno a me si fanno corrucciate, quasi ansiose.
“Io…” la caduta dal sesto piano mi investe come un treno in corsa:
“Come è possibile? Come mai sono vivo?”
Ho quasi paura a chiederlo… tutto questo è troppo bello per essere ver… e proprio mentre lo penso, mi tocco i capelli, tocco i lunghi rasta di Tom Kaulitz von Tokio Hotel.
E capisco.
Provo ad aggrapparmi a questo sogno, provo a non scivolare nella realtà, ma tutto è inutile. Vedo per l’ultima volta ancora il volto che amo più in assoluto e comincio a gridare: non voglio perderlo, non di nuovo, non ora che abbiamo fatto pace. Ma lui mi fissa, senza muovere un dito, con quella sua nuova espressione severa, quasi accigliata.
“Bill…. Non lasciarmi… Bill… Bill… ti voglio bene! ... Bill…”
 

 
   
 
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