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Autore: Trick    07/01/2014    2 recensioni
«Il mondo non è diviso in brava gente e Mangiamorte».
Raccolta di drabble, flash-fic e one-shot di mediocre pretesa spudoratamente a caso.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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*
La donna della sera, Angelo Branduardi
Arthur Weasley
442 parole

Il silenzio è strano.
Non in sé, non proprio il silenzio, ma il silenzio lì, nel giardino che abbraccia la Tana... quello sì che è strano. Si convince che tutta quella stranezza abbia qualcosa di sinistro e si spinge sulla sedia a dondolo sotto alla veranda costruita da Charlie l'estate prima con un po' meno decisione.
Ah, l'età... Arthur la conosce bene, l'età.
Ne ha sentito ogni morso, dai più febbrili ai più stentati, da quelli che possono spingere un uomo a fare a pezzi il mondo fino a quelli che ti fregano sul più bello, e allora il mondo te lo ritrovi addosso e non puoi proprio farci nulla.
È sopravvissuto a un ammirevole numero di sventure e difficoltà – e anche quello è strano, perché Arthur non è un eroe, non è nemmeno mezz'eroe e viene proprio da chiedersi come abbia potuto sopravvivere con tanta destrezza. Forse è per quello, si spiega: non era un eroe, lui, e quella guerra si era mangiata un eroe dopo l'altro.
Non lui, non Arthur.
Ad Arthur era stata concessa la possibilità di guardare i propri figli diventare padri – e piangere il figlio perduto, la più ingrata concessione. La vita era fatta di morsi buoni e morsi cattivi: quello era stato il peggiore. Lo teneva ancora stretto fra i denti, perché il boccone era troppo amaro per essere spinto in gola.
E Molly... Arthur dondola ancora e sorride al cielo sereno e ai ricordi dei morsi che ha potuto dare alla moglie nel corso della vita.
Qualcuno leggero dietro al collo, qualcuno per scherzo, qualcuno per passione. Tutti con amore, non uno meno degli altri.
Molly gli aveva confidato che se a sedici anni le avessero detto che avrebbe trascorso tutta la sua vita a Ottery St.Catchpole fianco a fianco con quel matto di Arthur Weasley, ne avrebbe riso per settimane, per mesi, per anni, senza poter credere a una sola parola. Ma poi, aveva aggiunto con infinito affetto, era diventata semplicemente la più meravigliosa delle avventure che avrebbe potuto desiderare.
C'era stata solo lei, solo Molly, anno dopo anno, figlio dopo figlio... lei prendeva chili mentre lui perdeva i capelli.
Li aveva persi tutti, ormai.
Non gli restavano che un paio di spessi occhiali di corno, una casa strana e silenziosa aggrappata alla più bella collina del mondo e una sedia a dondolo vuota accanto alla propria.
È triste, ma Arthur sorride lo stesso.


*
Camminare tre passi avanti e uno indietro
Fred Weasley
parole

Non si è mai posto il problema di diventare adulto. Nemmeno una volta, anche sua madre non smetteva di parlare di doveri e responsabilità e serietà e di un sacco di altro cose che Fred ha ascoltato mentre pensava a tutt'altro.
Il primo passo per diventare adulti si rileva estremamente semplice.
La scuola non fa per noi – ne erano così convinti da farla quasi esplodere – e via, Fred se ne vola lontano e ride fianco al fianco con George, mentre i rimbrotti della madre si mescolano al frastuono del loro negozio di scherzi.
Il secondo passo per diventare adulti è un po' più lungo, ma ce la fa lo stesso.
E che ci vuole, dopotutto? Ridi che ti passa: Fred ne ha fatto il suo stile di vita. Sì, gestire il negozio nel bel mezzo di una guerra è un problema da adulti, perché hai sempre il rischio di vendere una Merendina Marinara a un Mangiamorte e poi ti tocca sgombrare il corpo, e sì, è dura... ma Fred tiene stretto. Scherza anche se è dura davvero, anche se George ha paura quanto lui e ride quanto lui, e la paura resta nascosta dal botto dei fuochi d'artificio. I rimbrotti di sua madre ora gli mancano.
Il terzo passo per diventare adulti lo fa quasi cadere, ma se la cava comunque.
L'eventualità di restare senza George non era contemplabile. Non c'era, non esisteva, era semplicemente qualcosa alla quale non riusciva a pensare. La notte in cui rischia di perderlo gli fa esplodere il cuore e i polmoni e i reni e tutto ciò che poteva esplodere, ma non vuole pensare che sì, ehi, si sente romano ma quell'idiota è quasi morto.
Non esiste proprio. Non è che non vuole pensarlo: è proprio che non ci riesce.
È quando si sbaglia e va indietro che diventare adulti diventa impossibile.


*
«Se stai andando all'Inferno, fallo a testa alta», Winston Churchill
Alastor Moody
241 parole

Era poco più di un ragazzo sbarbato quando aveva combattuto per la prima volta. L'oscura magia di Gellert Grinderwald aveva incendiato ogni angolo dell'Europa magica, straziato e messo in ginocchio decine di migliaia di persone... c'erano solo fiamme, e grida, e gente morta.
Alastor non era morto.
Alastor era rimasto in piedi per chiedersi cosa avesse vinto.
La guerra, si era risposto. Ho vinto la guerra a testa alta.
Era un uomo forte e vigoroso quando aveva combattuto per la seconda volta. I nefasti seguaci di Lord Voldemort aveva messo a ferro e fuoco ogni dimora magica della Gran Bretagna, torturato e ucciso decine di migliaia di persone... e di nuovo le fiamme, le grida, la gente morta.
Alastor non era morto nemmeno in quell'occasione.
Alastor era rimasto in piedi per chiedersi cosa avesse vinto – di nuovo.
Forse la guerra, si era risposto. Ma ho visto ognuno dei miei ragazzi morire a testa alta.
Era anziano e logorato da mille battaglie quando aveva combattuto per l'ultima volta. Lord Voldemort non sapeva perdere, non voleva morire... e le fiamme continuavamo a divorare le persone, i sogni e i buoni propositi e tutto ciò per il quale era rimasto in prima linea per tutta quell'eternità di vita.
Resta a testa alta, ma cade verso il basso.
Non ha il tempo di chiedersi cosa possa aver perduto questa volta... spera e basta che qualcuno, da qualche parte e in qualche tempo, vinca davvero.


*
Prompt dimenticato (eh, succede)
Remus Lupin, Sirius Black
187 parole

«Tu credi nel Paradiso?».
Remus solleva lo sguardo dalla Gazzetta del Profeta. Per un attimo Sirius si illude di poter rivedere l'espressione sorpresa del ragazzino che l'amico era stato un tempo.
Non c'è sorpresa. C'è solo l'espressione grave dell'ombra di un uomo stanco.
«Mia madre lo avrebbe di certo voluto».
«La mia mi avrebbe voluto vedere dritto all'Inferno. Questo è sicuro».
Il silenzio pesa fra di loro quanto il tempo che è trascorso a dividerli, a cambiarli, a scolorirli.
«In tanti vorrebbero vederti all'Inferno, Padfoot».
Il fantasma di un sorriso sarcastico che si scioglie nel nulla.
Sirius sogghigna.
«Vorrei assistere alla scena, sai? Sirius Black che va all'Inferno». Solleva il calice in un brindisi muto. «Oh, Remus, amico mio... lo farei con stile».
Remus lo guarda senza aggiungere altro. Vorrebbe dirgli che per quella sera ha già bevuto a sufficienza, che ha già sputato abbastanza sentenze velenose e sollevato fin troppi tetri ricordi... ma alla fine cambia idea.
«Primadonna» lo deride divertito. «Non sapresti morire in silenzio nemmeno se ti tagliassero la lingua...».

Era solo un Velo, avrebbe ripensato Remus qualche settimana più tardi.
Silenzioso.
Ordinario.
Triste.


*
Kink: scrivania, What-If ambientata dopo DH
Remus Lupin, Minerva McGranitt (Remus/Tonks)
356 parole

Aveva trovato Rodney Smith di Corvonero e Cindy O'Donovan di Tassorosso nascosti nello sgabuzzino delle scope del quarto piano e si era sentito in dovere di rimproverare entrambi, ma non era stato affatto facile evitare di far trapelare il mezzo sorriso divertito che gli era affiorato sulle labbra.
I suoi studenti tendevano a dimenticarlo con facilità, ma anche Remus Lupin, professore di Difesa Contro le Arti Oscure e Direttore della Casa di Grifondoro, aveva avuto diciassette anni.
Diciassette anni, gli ormoni impazziti e compagne di scuola con gonne sinceramente troppo lunghe per poter soddisfare i primi morsi della libido di un adolescente. Era stato Sirius a spiegargli dello sgabuzzino del terzo piano per la prima volta e Remus, il Prefetto che non avrebbe dovuto per nessunissima ragione dargli ascolto, ci aveva condotto Livia Wood.
Essere beccato dalla professoressa McGranitt era stato oltremodo imbarazzante, ma a più di vent'anni di distanza tutto ciò che era rimasto di quell'esperienza era una sincera risata. Talvolta ne avevano riso insieme.
Ha un mezzo sorriso sulle labbra mentre risale le scale dell'Ufficio della Preside.
«Buongiorno, Minerva».
Lei inarca appena un sopracciglio, ripiega con estrema cura il giornale che sta leggendo e lo appoggia alla scrivania molto lentamente, nota Remus con preoccupazione. Intreccia fra loro le lunghe dita – lentamente, e Remus ha un pessimo presentimento – lo fissa severa – molto severa, e Remus smette di sentirsi un professore e ripiomba nello sgabuzzino con Livia Wood.
«Ehm... sì, lo so» inizia con tono affabile. «Rodney e Cindy hanno trasgredito almeno a una mezza dozzina di regole della scuola, ma...». Scuote una mano a mezz'aria e scrolla le spalle. «Andiamo, Minerva, hanno diciassette anni. Ricordi quando io e Livia Wood--?».
«Sì, mi ricordo» lo interrompe perentoria.
Apre il primo cassetto, ne estrae una piccola pallina di tessuto di un accesissimo rosa e gliela lancia. Remus la afferra al volo, la dispiega e si lascia scappare un gemito. Mentre si gratta imbarazzato la nuca, Minerva sospira.
«L'hanno trovata gli elfi domestici sotto la tua scrivania... a giudicare dall'assurda tonalità, credo che tua moglie abbia dimenticato la propria biancheria nel tuo ufficio, Remus».
   
 
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