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Autore: Lelaiah    25/01/2014    1 recensioni
Da diversi anni il genere umano è entrato in contatto con il mondo soprannaturale e la convivenza, nonostante alcuni alti e bassi, sembra essere tranquilla. L'arrivo del branco MacGregor a New York ha creato un grande scompiglio tra gli altri gruppi di licantropi e stuzzicato la curiosità della stampa.
Tutto quello che vuole Evan, figlio dell'Alfa del clan appena arrivato da oltreoceano, è poter vivere la propria vita in pace. Possibilmente evitando la maggior parte dei contatti col padre e ignorando le richieste egoiste della bella ed algida Crystal, sua moglie.
Nella stessa città vive anche Amanda, giovane assistente che condivide l'appartamento con la sorella Frances e il fidanzato di lei, Andrew. La loro vita scorre tranquilla, lontana da qualsiasi coinvolgimento col soprannaturale... almeno fino a quando tutti loro non si ritroveranno nel bel mezzo di un attacco perpetuato da alcuni licantropi di un clan locale.
L'inaspettata trasformazione di Drew porterà questi due mondi ad entrare in collisione. Far collimare stili di vita dissimili sembrerà ancora più difficile quando la città verrà sconvolta da una serie di omicidi, questa volta ai danni della comunità soprannaturale.
Umani e licantropi riusciranno a collaborare? E magari anche ad innamorarsi?
Buona lettura!
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap. 1 Same city, different worlds
Eccomi qui, come promesso :)
In questo capitolo iniziamo a conoscere un po' le vite di Evan e Amanda e delle persone che stanno loro attorno. Ho cercato di fare ricerche il più approfondite possibile su New York (ovviamente nei limiti consentiti da internet XD), ma se dovessi scrivere castronerie ditemelo pure :)
Prima di lasciarvi alla lettura, vorrei ringraziare chi ha deciso di preferire/seguire e ricordare: a quanto pare il prologo era più intrigante di quello che pensassi! Grazie mille!

Bene, ora vi lascio, buona lettura! :)





Cap. 1 Same city, different worlds


-Greg, ti odio. Sul serio.- quasi ringhiò al telefono.
La voce dall’altra parte rise. –Andiamo, Mandy. Volevo salutarti, dato che non ci siamo visti.
Amanda sospirò, scuotendo la testa e cercando al contempo di infilarsi le collant.
-E come mai non c’eri?- gli chiese. Sapeva benissimo la risposta, ma voleva sentirglielo dire.
Per la milionesima volta.
-Lo sai perché…- l’uomo si azzittì per aumentare la suspense. -… perché è nato il mio secondogenito!!- rischiò di trapanarle il timpano destro con quell’urlo.
Ridendo divertita, recuperò le scarpe e si sedette sul letto per indossarle. –A quanto mi par di capire sei molto orgoglioso della cosa.- lo punzecchiò.
-Certo.- si stimò lui.
La giovane si concesse un sorriso, ripensando alla foto che le aveva mandato Gregory. Era diventata zia di uno stupendo scricciolo di tre chili e mezzo, con le guance più tonde che avesse mai visto e la boccuccia sempre aperta in una smorfia.
Era fantastico e suo fratello aveva tutti i motivi del mondo per essere al settimo cielo.
-Sarai un papà stupendo. Ma già lo sai, no? Reese è una bambina adorabile.- raggiunse la cucina e versò la sua dose di caffeina nel latte. Bere caffè nero di prima mattina l’avrebbe resa nervosa come solo un ascensore poteva farla diventare.
Quindi era meglio evitare: ne andava dell’incolumità fisica e psicologica delle sue clienti.
  E di sua sorella.
A quel proposito alzò gli occhi al soffitto, tentando di captare alcuni rumori, ma non percepì nulla. Brutto segnale.
-Greg, ora dovrei andare. Devo svegliare Fran ed evitare di arrivare in ritardo al lavoro.- lo interruppe bruscamente mentre elencava le doti della sua primogenita.
-Non si è ancora svegliata?- chiese, stupito.
-Sai com’è. Tirarla fuori dal letto, alla mattina, era sempre una lotta. Quando mamma ha capito che il mio metodo era più efficace del suo, mi ha passato la palla.- disse, ingollando la sua colazione in quattro e quattr’otto.
Sperò vivamente non le tornasse su durante il tragitto.
Solitamente mangiava sempre con calma, ma quel giorno Gregory aveva stravolto la sua routine mattutina.
Lo sentì ridacchiare. –Usi ancora quel metodo?
-Quale, quello della secchiata d’acqua? No, troppo dispendioso. Mi sono modernizzata.- rispose. Appoggiò la tazza nel lavello ed addentò l’ultimo biscotto, prima di andare in bagno per finire di sistemarsi i capelli. –Greg, devo veramente andare, ora. Mi dispiace.- si scusò, mentre terminava di intrecciare i lunghi capelli neri.
-Ho capito, tranquilla. Buona giornata, sorellina. E vedi di vendere tanti abiti, d’accordo?- la salutò.
-Sarà fatto. Ciao Greg!
Una volta conclusa la conversazione, schizzò fuori dal bagno per indossare la leggera giacca chiara comprata apposta per il lavoro. Lanciò un’occhiata fuori dalla finestra e, appurata la presenza del sole, inforcò gli occhiali.
Gettò il cellulare nella borsa capiente assieme al portafogli ed alle chiavi e uscì. Una volta chiusa la porta con due mandate, mandò un messaggio a sua sorella.
  Sapeva che quello avrebbe innescato la fastidiosa sveglia che le aveva impostato e che, quasi sicuramente, l’avrebbe buttata giù dal letto.
Non attese di sentire le urla di protesta di Frances e s’incamminò lungo le scale.

  Fortunatamente riuscì a prendere la metropolitana che partiva da Broadway e serviva tutta la zona delle università, compreso il campus della Columbia, dove lei stessa si era laureata.
Come tutte le mattine cercò di trovare un angolino libero in cui potesse respirare, ma fu difficile. I teenagers avevano ripreso le lezioni proprio in quei giorni e non avevano ancora orari prestabiliti, motivo per cui ce n’erano in abbondanza anche sulla corsa delle nove e tre quarti.
Tentò di farsi largo tra due persone, chiedendo permesso con fare non molto deciso.
“Odio la metro!”, pensò una volta riuscita a passare. Si riassestò la giacca ed afferrò il palo di sostegno, concentrandosi su quello che vedeva oltre i finestrini.
Non che le gallerie di cemento che correvano sotto New York fossero interessanti, ma l’aiutavano a distrarsi. Ritrovarsi in spazi piccoli ed affollati non era un granché per una persona che soffriva di claustrofobia sin da piccola.
  Per la fretta aveva dimenticato l’ipod in camera e si era data della cretina per tutto il tragitto da casa alla fermata.
Sbuffando lanciò un’occhiata alle persone attorno a lei e poi al tabellone. Mancavano ancora dieci fermate alla sua meta.
“Un fantastico rientro dalle vacanze, non c’è che dire.”, si disse, appoggiando la fronte contro il freddo acciaio del suo sostegno.
Sperò con tutto il cuore che il lavoro non le volesse riservare altre piacevoli sorprese.


  Per poco non sbriciolò il cellulare che reggeva tra le mani.
David gli aveva appena scritto di quello che era successo dopo che lui se n’era andato per raggiugere il suo nuovo posto di lavoro.
Suo padre aveva fatto la sua comparsa davanti ai media senza degnarsi di coprirsi e la cosa aveva alquanto sconvolto i giornalisti.
  Nonostante la società soprannaturale fosse ormai cosa nota agli umani, questi non erano abituati ai loro comportamenti. E per quanto potessero apprezzare un corpo nudo, per loro risultava comunque strano vederlo esibito con tanta naturalezza.
Per i licantropi era una cosa assolutamente normale, ma sarebbe stato difficile spiegare il perché senza passare per maniaci.
  Come se non bastasse, Dearan aveva fatto il gradasso come suo solito, vantandosi della forza del suo branco. Quello sfoggio di potere sulla pubblica piazza autorizzava gli altri clan a sfidarlo, in modo da stabilire la verità di quanto affermato.
Sarebbe stata una buona notizia, almeno per lui, se solo New York non avesse avuto un sistema di potere totalmente diverso da quello che c’era in Scozia.
Lì i clan non avevano più di cent’anni e si erano costruiti regole di comportamento diverse da quelle dei loro predecessori europei.
Non vigevano quasi mai le successioni patriarcali, ma gli Alfa erano nominati a furor di popolo. Inoltre, i branchi potevano essere formati dagli individui più disparati, senza nessuna esclusione.
  L’unica cosa certa era che non c’erano vampiri.
L’odio tra le due razze era insito nel sangue di entrambe e non sarebbero mai riusciti a combatterlo. Nemmeno volendo.
-Di' ad Alastair di tenere a bada mio padre. Cerchiamo di sopravvivere almeno una settimana nella nostra nuova casa.- scrisse in risposta al messaggio dell’amico.
-Ci proverò, ma non assicuro niente.- fu tutto ciò che riuscì a promettergli Dave.
Sospirò, tentando di calmarsi.
Sperò vivamente che la giornata non finisse peggio di com’era iniziata.
  Quella che aveva davanti avrebbe dovuto essere una delle migliori squadre della sezione speciale dell’ESU di New York, ossia l’Emergency Service Unit.
Era stata creata quando un poliziotto, Richard Rogers, aveva neutralizzato da solo una squadra di spacciatori asserragliati nel loro bunker. Nessuno era riuscito spiegarsi la dinamica dei fatti, fino a quando egli stesso aveva rivelato la propria natura di licantropo, tenuta nascosta per non compromettere la fiducia che aveva instaurato con gli altri membri della squadra.
  Da allora Rogers era a capo dell’Emergency Service Unit For Dangerous Matters, ribattezzata ESUDM. Grazie alla sua disponibilità erano state create cinque squadre, composte da una decina di elementi ciascuna.
E dieci di quei cinquanta elementi ora si trovavano proprio davanti ad Evan.
-Signori, questo è il capitano Evan MacGregor. Da oggi in poi sarà al comando della squadra.- venne presentato dallo stesso Rogers, che si occupava personalmente di introdurre i nuovi membri.
Ci fu qualche mormorio e qualche saluto, a cui il licantropo rispose con un rigido cenno del capo. Sapeva che non era colpa loro se suo padre era un perfetto idiota, ma sorridere sarebbe stato proprio da ipocriti, in quel momento.
-MacGregor, ti lascio a far conoscenza con i tuoi nuovi lupacchiotti.- il comandante gli diede una pacca sulla spalla prima di allontanarsi.
Lo seguì con gli occhi per qualche istante, mandando a memoria il suo odore animale. Era sempre bene riconoscere un lupo col naso, prima di trovarselo davanti. Se si arrivava al contatto visivo e quello che ti trovavi di fronte era un nemico, allora eri spacciato.
-Allora…- lentamente si voltò verso i suoi sottoposti. –Siete quattro licantropi e sei umani. Nessun vampiro, vero?
Una donna dai folti ricci neri si schiarì la gola. -C’è solo un vampiro che lavora nel distretto. E non è un membro attivo, funge più da informatore.- lo informò. Annuì lentamente.
“Niente succhiasangue. Almeno questa mi è stata risparmiata.”, pensò sollevato. –Grazie, tenente.- disse. –Di che branco fate parte?
-Di uno abbastanza vecchio da non voler grane.- fu la risposta. I due si scrutarono per qualche istante, saggiando le rispettive auree. –Capitano.- lei fu la prima ad abbassare gli occhi, facendo un lieve cenno del capo.
Riconosceva la sua autorità in quanto lupo.
Fece per risvolgersi al marcantonio al suo fianco quando l’aria attorno crepitò. Con la coda dell’occhio colse il cambiamento negli occhi di uno dei poliziotti, prima che questo snudasse le zanne e gli si avventasse contro.
-Io non riconosco la tua autorità!- ringhiò.
Riuscì ad attutire il colpo trasformando in parte le proprie mani, ma non ad evitare la scrivania alle loro spalle. I due ci finirono esattamente sopra, distruggendola.
Rotolò sulla schiena, allontanando il licantropo con un calcio piazzato poco sotto la cavità toracica. Quello ruzzolò per qualche metro, ma poi si rialzò, facendo perno su mani e piedi.
A giudicare dalla sua forza non faceva parte della triade a capo del branco, ma non era nemmeno un semplice lupo.
Un Pretendente, quasi sicuramente al ruolo di Gamma.
-Osi sfidarmi?- chiese con voce metallica. L’adrenalina gli scorreva in corpo, ampliando al massimo i suoi sensi e distorcendo il suo timbro vocale.
-Sì.
Scattarono entrambi in avanti e si scontrarono a mezz’aria. L’urto fu talmente violento che fece vibrare tutti i vetri presenti nella centrale.
Quando toccarono terra, Evan aveva una mano artigliata premuta sul petto del suo avversario ed i canini leggermente allungati.
-Riconosci la mia autorità, ora?- gli chiese, soffiandogli sul viso.
Quello restò immobile, supino. Se fosse stato in versione animale gli avrebbe mostrato il ventre come segno di sottomissione.
-Bene.- lo lasciò andare, raddrizzandosi e dandosi una sistemata. –Altre domande?- chiese, guardandosi intorno.
Quasi tutti i poliziotti presenti si erano fermati ad osservare lo scontro, ad esclusione di Rogers e qualche veterano.
-Lo scusi per il suo comportamento: Eric tende ad essere un po’ stupido, a volte.- la lupa di poco prima si fece avanti, dando uno scappellotto sulla nuca al giovane licantropo che l’aveva appena sfidato.
Quella confidenza gli suonò sospetta. –Fate parte dello stesso branco?
-No, ma lavoriamo insieme da due anni, ormai. Lo conosco.- rispose lei, impedendo all’altro di ribattere.
-D’accordo, tenente… Simmons. Lei avrà il compito speciale di sorvegliarlo, almeno fino a quando non gli entrerà un po’ di sale in zucca.- disse. Nel vedere l’espressione di Eric non poté impedirsi di sogghignare, soddisfatto del proprio operato.
-Come vuole, capitano.- fu la risposta dopo un attimo di confusione.
-Non ho bisogno di una balia!- si schermì il giovane poliziotto.
Evan lo freddò con un’occhiata dei suoi strani ed inquietanti occhi. Andavano dal grigio al blu, fino a virare verso il color ametista.  –Ma solo di un po’ di disciplina. Impara a valutare meglio il tuo avversario, prima di attaccarlo.
L’acceso rossore sulle guance del suo interlocutore gli fece capire di aver esagerato. Fece per ritrattare le proprie parole, ma si limitò ad addolcire leggermente il tono ed aggiungere:-E’ una regola fondamentale nel nostro mondo. Ti salverà la vita, in futuro.
-S-sì, capitano.- il mormorio fu così flebile che pensò di esserselo immaginato.
-Rimettiamo a posto questo macello. Poi potremo finire di far conoscenza.- si chinò in avanti ed afferrò alcuni pezzi di legno.
Dopo un attimo d’esitazione, il giovane Pretendente si fece avanti ed iniziò ad aiutarlo con solerzia.
Evan dovette trattenere un sorrisetto, orgoglioso della propria azione intimidatoria.


  Per essere il primo giorno lavorativo dopo le sue due settimane di riposo, stava andando peggio del previsto.
Lavorava da Kleinfeld da due anni e ormai aveva l’esperienza necessaria per destreggiarsi tra la moltitudine di abiti che custodiva il negozio.
  Questo, però, non autorizzava le sue superiori a passarle tutte le clienti più schizzate.
Dovendo trattare con donne in procinto di sposarsi, era importante saper mantenere i nervi saldi ed il sorriso sempre stampato sulla faccia. Non che Amanda fosse una persona impaziente, ma cavoli, a tutto c’era un limite!
All’inizio della mattinata aveva dovuto seguire una sposa che aveva appena scoperto di essere incinta e quindi cercava un abito che non la facesse sembrare una balenottera spiaggiata il giorno delle nozze. Poi c’era stata la regina dell’indecisione e, dopo pranzo, quella con solo due settimane di tempo per comprare il proprio vestito.
  Ed ora c’era lei: la sposa con l’amico omosessuale. A peggiorare le cose il fatto che fosse uno stilista abbastanza affermato e che quindi se ne intendesse di moda.
Per quanto fosse pacifista fin nel midollo, avrebbe volentieri preso ago e filo per cucirgli la bocca. Non aveva smesso di parlare da quando aveva visto la prima proposta e le aveva fatto venire un mal di testa coi fiocchi.
Esistevano due cose in grado di farla diventare intrattabile: gli attacchi di panico dovuti alla claustrofobia ed i mal di testa.
“Rimani concentrata, è solo un cliente. Se ne andrà e non lo vedrai più.”, si disse, cercando di trattenersi. Detestava imbottirsi di medicine e non aveva nessun rimedio omeopatico a portata di mano, quindi avrebbe dovuto sopportare.
-Che ne pensi?- la voce della sposa, Jade, la strappò ai suoi pensieri.
Rialzò gli occhi per capire se la ragazza si stesse rivolgendo a lei o a Brody, il suo accompagnatore.
Quando capì che la domanda era rivolta a lei, raddrizzò le spalle e fissò il riflesso della sua cliente allo specchio. –Be’… questo colore non si sposa benissimo con la tua carnagione. Preferisco il secondo che hai provato.- riuscì a sfoggiare un sorriso cortese.
-Mhmm… tu credi? Brody?- la sua interlocutrice si voltò di tre quarti, rimirandosi sulla superficie riflettente.
-Ti allarga i fianchi.- fu diretto in modo disarmante.
La bocca di Jade cadde verso il basso in un’espressione di totale shock. Subito rimpiazzato da sdegno. Raccolse le gonne, impettita e si riavviò in camerino.
Amanda roteò gli occhi senza farsi notare e la seguì, chiudendosi la porta alle spalle. –Tu cosa ne pensi?- chiese.
-Che è uno stronzo!- sbottò quella.
“Permalosa, la ragazza.”, pensò, trattenendosi dal commentare ad alta voce. –Non mi sembrate molto in sintonia.- dovette osservare.
Al che la sua sposa le lanciò un’occhiata spaventata, a cui lei non seppe dare spiegazione, e poi si lisciò le pieghe del corpetto. Preferì non indagare, lasciandole un po’ di spazio.
Si stava occupando di risistemare alcuni vestiti dentro le proprie custodie quando sentì un singhiozzo. Si voltò, perplessa e domandò:-Jade, tutto ok?
La giovane scosse la testa, tentando di frenare il flusso di lacrime. Mandy allungò una mano dietro di sé e le porse la scatola di fazzolettini presente in ogni camerino. Le lacrime erano all’ordine del giorno, in quel posto.
-Io… io non so se posso sposarmi…- farfugliò.
La donna si accigliò. –Come? Perché non riesci a trovare l’abito? Ma vedrai che…
-No, non è per l’abito!- la interruppe. –E’ per Brody!
-Per Brody?- ripetè, ancora più confusa. Era andata in crisi solo per la bocciatura dell’abito?
Le si avvicinò, tentando di stabilire un contatto visivo, ma la ragazza rifuggiva il suo sguardo. Le parve di vederle le guance rosse, ma pensò fosse dovuto allo sfogo. –Non posso aiutarti se non mi dici che sta succedendo…- mormorò, tentando di rassicurarla.
Le aveva fatto scoppiare il mal di testa, ma non voleva vederla in quello stato. Non quando stava cercando l’abito per il suo giorno più bello.
Inaspettatamente Jade le gettò le braccia al collo e l’abbracciò stretta, rischiando quasi di soffocarla. Amanda ricambiò in ritardo, vistosamente a disagio.
  Le ci voleva molto tempo per raggiungere un grado di confidenza tale per farsi abbracciare in modo così sentito da qualcuno. Era estremamente riservata con chi non conosceva e questo la portava ad essere un po’ schiva.
-Sono andata a letto con Brody.- finalmente ecco svelata la verità.
-Be’, ma lui è omosessuale, quindi non vedo dove sia il problema. Cioè, c’è un problema, ma si può risolvere, no?- le disse. “Un tradimento. Questo mi mancava, oggi.”, pensò.
Scuotendo nuovamente la chioma bruna la sposa sciolse l’abbraccio, la guardò negli occhi e sussurrò:-Lui non è gay.
“Ops.”, fu l’unica cosa che riuscì a pensare. –Forse è il caso che vi lasci qualche minuto per parlare, d’accordo?- le propose.
L’altra annuì, asciugando gli ultimi residui di pianto dalle guance.
Amanda aprì la porta ed invitò Brody ad entrare al posto suo. Gli fece un sorriso d’incoraggiamento e poi si allontanò.
Raggiunse il salone, approfittando di quella inaspettata pausa per cercare di riprendersi dall’emicrania.
-Ehi, Amanda, che fai qui fuori? Hai già venduto?
Smise di massaggiarsi le tempie ed alzò lo sguardo, incontrando il viso sorridente di Vivian. –Oh, Vi, ciao.- le sorrise brevemente. –No, sono in pausa.
-Crisi da cartellino?- tirò ad indovinare.
Scosse la testa: il prezzo dell’abito non c’entrava. –Peggio.
-Oddio, cioè?- le si avvicinò, curiosa oltre ogni dire.
Con fare cospiratorio si sporse verso di lei e sussurrò:-Non posso dirtelo.
Al che Vivian mise il broncio ed incrociò le braccia al petto, mostrandole il proprio disappunto. Sapeva quanto fosse pettegola e non le andava di rivelare a tutto lo staff che sua sposa aveva un problema di fedeltà.
-Rispetto la sua privacy. Dovresti farlo anche tu.- la riprese.
-Ah, sempre la stessa storia! Sei troppo bacchettona!- brontolò, allontanandosi. Vivian era una ragazza molto simpatica, ma era veramente troppo curiosa. Non avrebbe mai rischiato di ubriacarsi con lei nei paraggi, chissà cosa avrebbe potuto scoprire.
Attese qualche altro minuto, sperando che la situazione si fosse risolta, poi si avviò verso il proprio camerino. Stava per abbassare la maniglia quando avvertì dei rumori sospetti provenire dal suo interno.
Si bloccò con la mano a mezz’aria, per poi arrossire subito dopo ed allontanarsi con uno scatto.
“Oddio!”, pensò distogliendo lo sguardo.
-Mandy… che succede?- si sentì chiedere all’improvviso. Sobbalzò, per poi voltarsi.
-Gabrielle, mi hai spaventata!- esclamò.
-Ho visto.- ridacchiò la nuova arrivata. Poi si focalizzò sulla porta. –Problemi?
Al che Amanda non poté fare a meno di arrossire. –Ehm…
Gabrielle si avvicinò con piglio deciso e, dopo un breve ascolto, spalancò di colpo la porta, cogliendo i due sul fatto. –Signori, vorrei ricordarvi che questo è un negozio d’abiti da sposa, non un hotel. Vi prego di uscire, risolvere i vostri problemi e, una volta fatto, fissare un nuovo appuntamento.
Riuscì a dire il tutto rimanendo seria e mostrando il suo miglior sorriso professionale. Chiunque si sarebbe accorto della velata minaccia nascosta nelle sue parole e, a quanto pare, sembrò capirlo anche la coppia, che si rivestì in fretta e si affrettò ad andarsene.
-Da non credere.- sbuffò, passandosi una mano tra i capelli castano chiaro, dal taglio scalato.
-Grazie.
La donna si voltò verso l’amica. –Figurati. Ma dovresti avere un po’ più polso…- le fece notare.
-E piombare in camerino per interrompere due che stanno copulando?! Forse con una crisi di panico e due emicranie in atto!- replicò, scoppiando a ridere subito dopo.
-Già, non sei il tipo.- Gabrielle si aggregò.
Risero per un altro po’, poi si diedero un contegno e riassunsero un’aria professionale. Amanda si sistemò l’orlo della camicetta e poi disse:-Chi mi aspetta ora?
-La signorina Parker.- fu la risposta. Gabbie era una direttrice vendite formidabile, sempre organizzata. E una delle persone che la conoscessero meglio al mondo, dopo i suoi fratelli.
-D’accordo, vado ad accoglierla.- sorrise.
-Meglio, perché mi sembrava un po’ impaziente.- commentò.
Mandy sospirò. –Tutte a me le pazze, oggi, eh?
 

  Stava finalmente tornando a casa dopo il primo, stressante giorno di lavoro quando il cellulare vibrò nella tasca dei suoi pantaloni.
Lo ignorò e raggiunse la sua moto nera come la notte. Fece scorrere gli occhi sulla carrozzeria per accertarsi che nessun lupo avesse lasciato la propria marcatura e poi gettò una gamba oltre la sella, accomodandosi poco dopo.
  Si sistemò in modo da aver la moto ben salda tra le cosce e finalmente estrasse il cellulare.   David l’aveva convinto a modernizzarsi, dato che doveva rimanere al passo coi tempi ed essere un lupo moderno.
Di qui il motivo per cui ora si ritrovava a strisciare il pollice per sbloccare lo smarthphone e leggere quel benedettissimo messaggio.
Fece scorrere rapidamente gli occhi su quelle poche parole. Rimase a fissare lo schermo interdetto e le rilesse nuovamente.
“Che significa abbiamo due grossi problemi?”, si chiese, accigliato. Cioè, c’era quasi sempre qualcosa da sistemare all’interno del branco, ma nulla che portasse Dave a mandargli un messaggio del genere, ripetuto per ben quattro volte.
Premette il tasto di chiamata ed attese che l’amico rispondesse.
-Alla buon’ora!- brontolò quello.
-David, che succede?- chiese, andando dritto al sodo.
-Brutta giornata?
-Che succede?- ripetè nuovamente, mantenendo la voce ferma. Non gli piaceva ripetersi né girare attorno alle cose.
Lo sentì sbuffare. –Non hai letto giornali o guardato i notiziari locali, vero?- gli domandò per contro.
Si accigliò ancora di più. –No. Ma se si tratta di mio padre posso immaginare cosa ne sia venuto fuori.- disse. Non si sarebbe scomposto, dato che non era la prima bravata del suo caro genitore.
-Anche.- rispose dopo un’esitazione Dave.
-La smetti di girarci attorno?!- finì per sbottare. Se era vero che l’apatia era l’unico sentimento che mostrava al padre (e la maggior parte delle volte anche nella vita matrimoniale), era altrettanto vero che David era l’unico in grado di tirargli fuori una qualche emozione. E tra quelle c’era l’impazienza.
E dire che non era mai stato una persona impaziente… ok, forse non lo era per certe cose, ma per altre decisamente sì.
-Va bene, va bene! Che caratteraccio che ti ritrovi.- sbuffò, infastidito. –Abbiamo già cinque lettere di sfida da parte dei branchi della Grande Mela.- rivelò.
Evan prese la notizia con filosofia. –Avevo giusto bisogno di sgranchirmi un po’.
-Se non ti conoscessi direi che questa era una frase da spaccone. Il problema è che è la pura verità.- replicò il suo interlocutore.
-Hai altro da dirmi?
-Sì.- disse solo.
-Devo tirarti fuori le parole di bocca?- lo minacciò.
Lo sentì sospirare. –Sono sicuro che la notizia non ti piacerà per niente.- ammise, titubante. Non capiva perché doveva esser sempre lui il latore di brutte notizie. Ah, sì, giusto: era l’unico che Evan non avrebbe sbranato.
-David Rockbell, per favore. Ho veramente bisogno di una doccia calda per non tornare da uno dei miei sottoposti e prenderlo a pugni.- lo pregò, massaggiandosi le tempie. A fine giornata il vero piantagrane del suo nuovo gruppo di lavoro non si era rivelato Eric, ma lo spocchioso Marcus, un licantropo grande quanto un armadio e con un marcato accento canadese.
-D’accordo. Dopo mi racconterai, eh!- disse, tentando di blandirlo. All’ennesimo incitamento decise di sganciare la bomba. –Crystal ha fatto un annuncio ufficiale.
-Riguarda una delle sue sfilate?- domandò, non capendo dove fosse il problema. Conosceva bene le manie di protagonismo della moglie, nulla di nuovo.
-No. Riguarda il rinnovo delle promesse matrimoniali… con un grande secondo matrimonio, fatto per i media.- la sua voce andò scemando man mano che gli rivelava i particolari. Alla fine si ritrovò muto, in attento ascolto.
Poteva sentire il respiro di Evan, bloccato da qualche parte all’altezza del petto.
-Capisco.
E dopo quello la conversazione venne interrotta.
David si mise le mani nei capelli, temendo che l’amico sarebbe arrivato a casa come un tornado e avrebbe fatto saltare alcune teste.

-Ben tornato, amore.
Evan le lanciò un’occhiataccia in grado di incenerire all’istante qualsiasi cosa potesse essere considerata suscettibile di combustione. –Cosa significa?
-Cosa?- chiese lei, facendo la finta tonta.
Approdati nell’era moderna, Crystal aveva ben presto capito che fingere di rientrare nel cliché della “modella bionda e stupida” le sarebbe stato utilissimo, soprattutto nel mondo del lavoro. In verità sapeva come usare il cervello ed era anche parecchio calcolatrice, il tutto grazie ai preziosi insegnamenti di papà Forbes.
Essere figli di licantropi ti toglieva l’innocenza, poco ma sicuro.
-Crystal, non tirare la corda. Perché quell’annuncio?- le chiese. Il più delle volte le lasciava fare quello che voleva, compreso portarselo in giro ai party e mostrarlo al mondo come fosse un trofeo. Ma se c’era una cosa che lo mandava fuori di testa era sapere che le persone avevano agito alle sue spalle.
Per un tradimento del genere valeva la pena di rispolverare un po’ il vecchio e aggressivo Evan.
Lei allora si alzò, scavallando le lunghe gambe e si ravviò i capelli con noncuranza. –Andiamo, cosa vuoi che sia?- brontolò.
-A parte un’invasione della privacy?- domandò, suonando gelidamente ironico.
-Sono una modella, Evan. Vivo per avere i riflettori puntati addosso.- gli ricordò con piglio deciso. A quanto pareva era una cosa che voleva portare fino in fondo.
“Non ho voglia di discutere.”, pensò, chiudendo per un attimo gli occhi. Se solo pensava alla tanto meritata doccia che lo aspettava si sentiva male. Aveva veramente bisogno di staccare la spina: anche gettarsi nel lago di Lochness sembrava un’opzione più appetibile del parlare con la sua calcolatrice ed egocentrica compagna.
-Vuoi un altro matrimonio? Fantastico. Io sarò lì a fare la mia parte, come un perfetto manichino.- tagliò corto.
-Non chiedo di meglio: è proprio così che ti voglio.- commentò lei, incrociando le braccia al petto.
Si confrontarono per qualche istante, in silenzio, occhi negli occhi. Alla fine lui se ne andò sbattendo la porta della camera da letto.
Scese rapidamente le scale e raggiunse in fretta la zona in cui abitava David.
Entrò senza nemmeno bussare, cogliendo l’amico in piena crisi da lavori manuali. La sua entrata ad effetto mandò all’aria i progressi dell’ultima mezz’ora e si beccò un colorito vaffanculo da parte dell’inglese.
-Prendo a prestito il tuo bagno.- disse solo.
Quello fece per protestare, ma non gliene lasciò il tempo. Prima l’acqua calda, poi gli strepiti di Dave ed infine tutto il resto.
Se fosse rimasto del tempo avrebbe pure dormito.


  Quando aprì la porta del proprio appartamento e se la richiuse alle spalle, Amanda si sentì in pace col mondo.
 Aveva passato le due settimane di ferie a casa dei genitori, nella loro stupenda fattoria in Kansas e si era liberata di tutto lo stress lavorativo accumulato durante l’anno.
Purtroppo quel mondo di verdi praterie e stupendi tramonti era stato abbandonato a causa del rientro a New York. Nonostante avesse imparato ad amare quella città, le sembrava sempre troppo artificiale per i suoi gusti: lei amava la natura, non le gabbie di cemento.
  A volte era insofferente verso la più piccola cosa e, durante il tragitto verso casa, si era sentita proprio così. Per cui aveva affrettato il passo e preso la prima metropolitana disponibile, sperando di arrivare il più presto possibile e crogiolarsi sotto il getto dell’acqua calda.
Lasciò cadere la borsa sul divano e si tolse i tacchi, dolorante.
Poi, camminando sulle punte dei piedi e canticchiando un motivetto tra le labbra, si chiuse in bagno. Attese che lo scaldabagno facesse il suo dovere e poi s’infilò sotto il getto, sospirando beata.
  Si concesse tutto il tempo del mondo, fino a quando le sue mani non iniziarono a chiedere vendetta, ormai completamente raggrinzite. Solo allora uscì ed indossò una canotta ed un paio di leggins.
Fece per dirigersi in cucina, intenzionata a prepararsi qualcosa di buono per cena, quando il campanello suonò.
Si voltò verso la porta, perplessa e poi andò ad aprire.
-Mandy, per fortuna che sei a casa!- esclamò sua sorella, gettandole le braccia al collo.
Cercò di farla staccare, ancora più confusa. –Fran, che ci fai qui?
E fu in quel momento che comparve Andrew, sul viso un’espressione da cane bastonato. –Mi dispiace, Amanda, ho provato a fermarla…- iniziò, dolente.
-Ho fatto saltare il forno.- concluse per lui la fidanzata. Lei sgranò gli occhi e la fissò letteralmente sconvolta.
-Cos’hai fatto?!- strillò, non potendoselo impedire. Sicuramente quell’urlo era stato udito in tutto il condominio.
Frances si staccò ed annuì. –Sì… volevo cucinare qualcosa per me e Drew, ma… devo aver sbagliato qualcosa.- ammise, entrando nell’appartamento senza essere invitata.
Sua sorella la seguì con lo sguardo per poi far segno al ragazzo di entrare. Prese un respiro profondo e poi chiuse la porta. –Bene. Io non so come tu abbia potuto far esplodere il forno, ma tant’è. Volete che vi prepari la cena?
-Sarebbe magnifico!- Fran battè le mani, entusiasta. Nonostante fosse la figlia di mezzo, era lei quella più viziata, in famiglia. Non che fosse una cattiva persona, per carità, ma non riusciva a fare quasi nulla da sola.
  A parte studiare.
Lo studio era un’attività condivisa da tutta la famiglia che, nonostante la grande fattoria da gestire, vantava ben cinque lauree in cinque campi diversi.
Emergendo dai propri pensieri, Amanda si affrettò a raggiungere la cucina. Recuperò tre tovagliette americane e le passò alla sorella, chiedendole di apparecchiare il tavolino sotto la finestra.
Quando aveva visto per la prima volta l’appartamento, aveva deciso che avrebbe consumato i propri pasti sotto l’infisso, dato che da lì si godeva di una buona vista su uno dei piccoli parchi del quartiere. Hamilton Heights era una delle più interessanti ed affollate zone di New York; non era la migliore ma nemmeno la peggiore: le piaceva e adorava l’atmosfera intima che si respirava nelle vie laterali alla grande arteria di Broadway Avenue.
Bastava poco per isolarsi dai rumori della città… be’, in alcuni casi ci voleva un po’ più di fantasia, ma lei non ne era a corto.
-Vuoi una mano?- le chiese Andrew, offrendosi volontario.
-Come?- si riscosse. –Oh… magari, grazie. Potresti recuperare tre bistecche dal freezer?
Lui annuì ed aprì lo sportello, tirandone fuori poco dopo una confezione di carne. La mise sotto l’acqua per scongelarla ed attese altre istruzioni. –Che intendi cucinare?- s’informò.
-Braciole alla birra ed erbe aromatiche. Nulla di complicato.- spiegò. –A questo proposito… vado a recuperare le erbe.
Attraversò l’ampio open space adibito a zona giorno e poi scavalcò il davanzale della finestra, atterrando sul piccolo ballatoio della scala antincendio. Come ogni edificio sopra i tre piani della Grande Mela, il suo palazzo era dotato dell’immancabile e molto americana serpentina di ferro che collegava esternamente tutti i piani.
E che consentiva ai ladri di intrufolarsi nelle case altrui col minor sforzo possibile.
Si sporse in avanti e staccò qualche fogliolina dal piccolo giardino aromatico che coltivava lì fuori. Una volta fatto tornò in casa e schizzò verso la cucina.
-Come mai così arzilla?- le chiese sua sorella, sbirciandola dal divano. –E’ successo qualcosa di bello al lavoro?
Lei le lanciò un’occhiata. –Lo sai che cucinare mi mette allegria. Mi rilassa.- le ricordò.
-Oh, giusto. Mi chiedo perché tu non sia già sposata e con due figli.- bofonchiò, tornando a sprofondare tra i morbidi cuscini.
Lei arrossì violentemente. –Fran… lo sai che…- balbettò.
-Sì, che stai aspettando l’uomo della tua vita dopo quel coglione di Wayne.- si rispose da sola.
-No, non è per quello! Ho solo ventidue anni!- sbottò.
Frances comparve da dietro lo schienale del divano. -E allora?
-Amanda, non darle retta e prenditi i tuoi tempi.- le disse Andrew. A volte si chiedeva come quello stinco di santo potesse sopportare la sua sorellona. Ma poi si ricordava delle sbornie moleste del ragazzo e tutto tornava: si prendevano cura l’uno dell’altra. E lo facevano da quattro anni, ormai.
Gli dedicò un sorriso e poi prese fuori una bottiglia di birra. –Bene, iniziamo la preparazione.- disse, accendendo il gas.


-Van, che ne dici di uscire a mangiare qualcosa? Mi stai rompendo l’anima con quella tua aria da lupo nero.- fece David, esasperato.
Aveva lasciato all’amico il tempo necessario per sbollire sotto la doccia, approfittandone per terminare il modellino di cui si stava occupando prima del suo arrivo.
Essere un architetto ed avere delle consegne era dura, anche per un licantropo. Ma non era il lavoro ad ammazzarti, erano i clienti. E le loro stupide richieste fuori da ogni logica umana.
Evan spostò lentamente lo sguardo su di lui, tentando di contenere la propria aura. –Va bene, andiamo.- acconsentì finalmente.
-Vuoi mangiare come un umano o come un lupo?- s’informò l’amico, indossando la giacca.
L’altro sembrò pensarci su per un po’, ma alla fine disse:-Lupo.
-D’accordo.
Uscirono in fretta, senza dare nell’occhio. Poi, una volta fuori, mutarono nella loro forma animale e corsero verso il Great Swamp National Wildlife Refuge. Nonostante fosse area protetta ed interdetta ai cacciatori, nulla impediva loro di farvi una bella battuta di caccia.
D’altronde erano licantropi e molte leggi umane non si applicavano nel loro caso.
Schizzarono oltre la recinzione, atterrando silenziosi sul terreno umido. Gli animali della riserva fuggirono dinanzi ai due predatori, nascondendosi come meglio poterono.
  Gli odori arrivavano alle loro narici quasi con rabbia, sovraccaricando i loro sensi sviluppati.   Evan, il pelo dai riflessi bruno rossastri, arricciò leggermente il labbro, esaltato. David, una freccia d’argento bluastro al suo fianco, scosse l’enorme testa.
“Proprio non capisco perché non ti sfoghi e spacchi il muso a tuo padre.”, disse.
“Perché farei il suo gioco. E poi non ho voglia di aver a che fare con lui.”, rispose l’amico, saltando un tronco morto.
“Tu sei tutto matto.”, commentò, infrangendo la superficie piatta di una pozzanghera.
“Proprio come te.”, fu la risposta.
I due si scambiarono un’occhiata e poi si separarono, seguendo ognuno una pista diversa.
Lasciarono che le loro prede tentassero la fuga, tenendo il loro passo senza problemi. Avere una velocità due volte superiore a quella di un normale lupo consentiva ai licantropi di catturare praticamente qualsiasi cosa si muovesse su quattro zampe.
  E anche su due, se necessario.
Quello non voleva dire che uccidevano le persone a sangue freddo, non erano come gli uomini lupo dei vecchi telefilm in bianco e nero. Anche se qualche volta, nel bel mezzo della luna piena, c’era stato qualche incidente.
Ma era più probabile che facessero fuori un vampiro o un licantropo avversario, invece che un umano. Si dice non svegliare il can che dorme, giusto? Ecco, la loro politica era sostanzialmente quella.
  Evan scartò bruscamente a destra, tagliando la strada al cervo a cui stava dando la caccia. Il povero animale emise un bramito di terrore e saltò all’indietro, abbassando al contempo la testa.
Ringhiò, piantandosi sulle quattro zampe. La sua preda aveva voglia di opporre resistenza e lui aveva bisogno di sfogarsi.
“Che le danze abbiano inizio.”, pensò.


  Un ululato in lontananza interruppe bruscamente l’allegro chiacchiericcio.
Amanda sollevò la testa dalla sua fetta di cheesecake, la forchetta a mezz’aria. Lanciò un’occhiata perplessa ai suoi due ospiti e poi si avvicinò lentamente alla finestra.
In cielo brillava la luna, ad appena un quarto del suo ciclo.
-Be’… non so voi, ma a me risulta ancora strano pensare che là fuori esistano i personaggi di Twilight.- commentò Frances, rabbrividendo leggermente.
-Non sono pericolosi.- tentò di tranquillizzarla il suo fidanzato.
-Sarà… ma è dura abbandonare secoli di pregiudizi.- ammise Amanda, tornando a sedersi sul divano.
Il mondo degli umani era entrato a contatto con quello soprannaturale da appena cinque anni e risultava ancora strano, per molti, sapere di camminare a stretto contatto con licantropi e vampiri.
-Personalmente preferirei incontrare un licantropo.- disse Andrew. –I vampiri mi sembrano creature più subdole.
-Tu credi? Perché sono freddi, pallidi e tutte quelle cose lì?- ragionò Frances, appoggiando la forchetta sulla lingua e tenendola in equilibrio.
Il ragazzo si strinse nelle spalle. –Possibile.
-Ho saputo che è arrivato un nuovo branco, in città.- buttò dopo un po’. Due paia di occhi si puntarono su di lei, stupiti. –Non lo sapevate?
-Quando mai ho tempo di guardare la tv, a lavoro?- le fece notare la sorella, divertita.
-E io sono sempre in acqua, ricordi?
Andrew lavorava come istruttore di nuoto presso una delle numerose piscine di Manhattan, mentre la sua anima gemella si guadagnava da vivere come fotografa freelance. Da quando Amanda aveva iniziato il suo lavoro da Kleinfeld, però, si occupava principalmente di matrimoni.
Chissà perché.
-In ogni caso, giusto qualche giorno fa è arrivato questo grande branco. Dalla Scozia. Avete presente quel grande cantiere a Staten Island?- li guardò.
-Sì… stavano costruendo una villa enorme, se non sbaglio.- ricordò il giovane.
Lei annuì. –Loro vivono lì. E pare che la cosa abbia agitato un po’ le acque, qui a New York.- concluse, fiera delle proprie informazioni.
-Vuoi dire che agli altri branchi non piace l’idea di avere nuovi vicini?- domandò la sua sorellina.
-Esattamente. Non so come funzioni, ma sono territoriali come i lupi. Quelli veri, intendo.- si mise in bocca l’ultimo pezzo di dolce, gustandoselo appieno. –Cristo, Mandy, questa torta è favolosa! Dovresti darmi la ricetta!
Drew le lanciò un’occhiata decisamente scettica. –La ricetta. Ad una come te? Meglio di no.- rifiutò subito. Alla linguaccia della fidanzata scoppiò a ridere, scompigliandole i capelli. –Che ne dici di andare e permettere ad Amanda di riposarsi un po’?
Frances lanciò un’occhiata all’orologio che aveva al polso. –Mhm… sì, meglio. Abbiamo già disturbato abbastanza.- considerò, alzandosi.
-Lo sapete che mi fa piacere passare del tempo con voi.- disse loro la diretta interessata. Non voleva che si sentissero in dovere di andarsene perché, se non dormiva per almeno otto ore, rischiava di dare di matto.
Non era una cosa così grave.
-Non voglio ritrovarmi con una sorella ringhiante.- replicò Fran, la mano già sulla maniglia della porta.
La mora arrossì leggermente, sorridendo di riflesso. Se ripensava a tutti i guai che le aveva fatto passare alle superiori si sentiva oltremodo imbarazzata. –Buonanotte, ragazzi. Grazie della serata.- li salutò.
-Grazie a te per aver salvato il mio stomaco da morte certa.- Andrew le fece l’occhiolino, spingendo la fidanzata oltre la soglia.
Amanda li sentì battibeccare lungo le scale, dopo che l’ebbero salutata.
Rise e buttò i piatti di plastica nel pattume. Riordinò rapidamente e poi si avviò in camera, insonnolita.
L’ultimo pensiero che formulò, prima di addormentarsi, fu che non aveva mai incontrato un licantropo di persona.



N.B.: L'ESU è un'unità speciale delle forze armate di New York mentre, come si può ben intuire, l'ESUDM è una mia invenzione, in modo da poter mettere in luce la nuova collaborazione tra soprannaturali ed umani.
  
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