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Autore: Shainareth    16/06/2008    3 recensioni
[Mai Otome - anime] «Oh, beh… Anche qui le cose sono sempre le stesse, pare. Purtroppo, mi verrebbe da aggiungere…» sospirò, rivolgendo il solo sguardo al fratello e lasciando volutamente in sospeso il proprio giudizio.
(Sequel di "Equivoci")
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akira Okuzaki, Mai Tokiha, Takumi Tokiha
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Otome? No, grazie!'
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Guerra fredda

 

 

«La città è cambiata molto dall’ultima volta che sono stata qui,» prese a commentare il Rubino dell’Arco di Fuoco, guardandosi attorno, «ma questa casa resta sempre la stessa.» Rivolse uno sguardo pieno d’orgoglio al fratello minore. «E’ più che logico che il nostro popolo ti adori: viste le premesse, diventerai un ottimo Shogun.»

   Seduto ad un’alta scrivania che a prima vista contrastava non poco con la costruzione che noi definiremmo in “stile orientale”, proprio del palazzo reale di Zipangu, Takumi scrollò le spalle. «Non mi pare di fare né più né meno di quel che si aspetta nostro padre.»

   «E’ per questo che dico che la gente ti adora» si congratulò ancora la giovane donna. «Piuttosto, come va il resto?»

   «Grosso modo come al solito. Non ci sono grosse novità.»

   «Prendi regolarmente le tue medicine?» volle sapere, inarcando le braccia sui fianchi come una mamma che si appresta a fare una ramanzina al proprio figlioletto ribelle. O semplicemente distratto, in questo caso.

   «Ah-ah» annuì il ragazzo. «Akira-kun è capace di gettarmele dietro, se le dimentico. Almeno quando riesce a trovarmi per tempo. Altrimenti è costretta a farmele prendere con la forza.»

   «Con la forza?» aggrottò le sopracciglia chiare Mai.

   «Non che io mi lamenti, in effetti» ammise Takumi, divertito, senza però dare ulteriori spiegazioni in merito.

   «Beh, fa bene» sorrise la Otome, soddisfatta. «Ha ragione quando dice che senza di lei saresti perduto.»

   «Niente di più vero» convenne lui.

   Dopo qualche attimo di silenzio, la giovane si chinò in avanti per fissarlo negli occhi, così simili ai suoi, e per domandargli con sfacciata curiosità: «Ci sono stati progressi?»

   L’altro scosse il capo, rassegnato. «Neanche l’ombra. E non certo per colpa mia, questa volta.»

   Mai sospirò, tornando in posizione eretta. «Mi viene da pensare che siate senza speranza…»

   La porta si aprì, scorrendo velocemente sull’intelaiatura della parete ed introducendo così la figura della guardia personale del figlio dello Shogun di Zipangu. La ragazza parve sorpresa per la presenza del Rubino dell’Arco di Fuoco, tanto che rimase sulla soglia più a lungo del dovuto ed il suo signore dovette richiamarla gentilmente al presente. Akira entrò, richiudendo la porta alle proprie spalle ed inchinandosi al cospetto della principessa per scusarsi per l’intrusione.

   Mai sorrise cordialmente. «Ehi, ehi... Cosa sono tutte queste formalità, Akira-kun? Ci conosciamo da una vita, mettiamo da parte questo tipo di cerimonie almeno quando siamo fra di noi, d’accordo?»

   L’altra guerriera ricambiò il sorriso. «Noto con piacere che non sei cambiata affatto.»

   «Oh, beh… Anche qui le cose sono sempre le stesse, pare. Purtroppo, mi verrebbe da aggiungere…» sospirò, rivolgendo il solo sguardo al fratello e lasciando volutamente in sospeso il proprio giudizio.

   Cosa che mise immediatamente sull’attenti la kunoichi, la quale decise di adottare il silenzio come scudo difensivo, specie quando, a conferma dei suoi sospetti, giunse la voce del giovane a rimproverare bonariamente la Otome. Fu solo quando Takumi le domandò cosa fosse quel blocco di fogli che recava con sé, che Akira riprese parola. «Le solite scartoffie da leggere e firmare.»

   «Grazie per avermele portate» rispose il principe, ricevendole fra le mani e dando loro uno sguardo veloce, accompagnato da un paio di indicazioni da parte di quella che era in definitiva il suo braccio destro, prima di allinearle di nuovo battendone i bordi inferiori contro il ripiano di legno della scrivania e di metterle da conto per esaminarle con maggiore attenzione in un secondo momento.

   Mai li fissò con scrupolosa premura e non poté non balzarle all’occhio una nota stonata in quel binomio di “teste vacche” costituito da padrone e serva: checché ne dicesse il primo, qualcosa era successa, tra di loro, anche se la principessa non riusciva a capire se in bene o in male.

   Sentendosi osservata con insistenza, Akira alzò gli occhi purpurei su di lei. «Ehm… Akira-kun, non ti ho ancora chiesto come va…» si sentì domandare.

   La ragazza tornò a chinare le pupille sul suo signore. «Diciamo che potrebbe andare meglio» lanciò quindi il primo dardo.

   Cogliendo quello sguardo e quella insinuazione, la Otome ebbe conferma ai suoi sospetti. «Akira-kun, se hai bisogno di un aumento di stipendio, non hai che da dirlo» la sfidò Takumi con un sorriso quasi dispettoso sulle labbra. Altra nota stonata, si rese conto Mai.

   La kunoichi si irrigidì, arrossendo. «Se volessi una paga migliore, prenderei la qualifica di Otome» ribatté, quindi, cercando di nascondere il tono seccato. «Sempre che il mio signore non desideri diversamente.»

   «No, non lo desidero» replicò lui con stoica impassibilità di fronte a quel nuovo affondo. «Sarebbero una spesa per lo Stato ed uno sforzo da parte tua assolutamente inutili, visto anche il fatto che prima o poi dovrai dare degli eredi a tuo padre.»

   Il rossore sul viso di Akira non parve sfumare, anzi. «Ti ho già detto che sono pronta a rinunciarvi per il bene del Paese.»

   Takumi sorrise. «E’ proprio per il bene del mio Paese che lo dico» ribatté, zittendola e lasciandola completamente disorientata. Dopotutto, cosa c’entravano i suoi eventuali figli con il futuro benessere di Zipangu?

   Pur sentendosi di troppo, e costretta a mordersi l’interno della bocca per non esplodere in una risata poco gentile nei riguardi della guardia, Mai si sentì in dovere di suggerire a fil di voce: «Io ve l’avevo trovata, la soluzione…»

   Ed il miracolo avvenne. Una luce bellissima ed abbagliante, scaturita da quelle parole rivelatrici, spazzò in un attimo le nubi che oscuravano i neuroni della kunoichi, impedendone le sinapsi. Dunque, quel che le aveva fatto alcune settimane prima il suo signore… altro non era che una proposta di matrimonio?!

   Incredula, la ragazza volse di scatto la testa verso di lui, che ora la fissava con aria innocente, come a dire “Che altro, se no?”, in attesa di una qualche reazione. Reazione che non tardò a venire, perché Akira divenne paonazza, chinando lo sguardo davanti a sé, mortificata al punto da sentire il bisogno di piangere. La persona di cui era innamorata praticamente da sempre l’aveva infine chiesta in sposa, e lei? Lei gli aveva risposto…

   La voce di Takumi giunse quasi ovattata alle sue orecchie. «Quando gliel’ho ricordato, non molto tempo fa, mi ha urlato contro, dandomi dello stupido.»

   Mai rise per non piangere. «Non oso immaginare in che modo tu glielo abbia chiesto…» commentò, portandosi una mano alla testa con fare sconsolato.

   «Nel modo più onesto e delicato, si intende» parve scandalizzarsi l’altro per tale mancanza di fiducia.

   «Oh, non ne dubito, ma…» Gli occhi chiari della principessa si posarono misericordiosi sulla fanciulla, trovandola sull’orlo delle lacrime. «A giudicare dalla sua reazione, direi che non sei stato esplicito, quella volta.»

   «Puoi dirlo» trovò la forza per rispondere la kunoichi, ora infuriata, i pugni ben stretti lungo i fianchi. «Non fa altro che parlare in maniera equivoca, al punto che…» Tacque, troppa la vergogna.

   «Perché, cosa le hai detto?» volle sapere Mai, tornando a rivolgersi al fratello, a metà fra la curiosità ed il desiderio di voler mettere pace tra i due.

   «Soltanto che mi sarebbe piaciuto mettere in pratica il consiglio che ci venne dato quel giorno al Garderobe» si difese il giovane, iniziando però a sentirsi un po’ in colpa per il tormento dato all’amata.

   «Ma quel giorno ne avete avuti diversi, di consigli!» gli fece notare sua sorella, battendo le mani davanti a sé, per poi giungerle a mo’ di disperata preghiera, ed alzando gli occhi al cielo con fare sconsolato. «A cominciare da quello di Shizuru, per finire a quello di Nao!»

   «Appunto!» riprese parola Akira, tremendamente stizzita, ma forte di quella nuova complicità femminile. «E dal momento che siamo entrambi della stessa opinione sulla faccenda delle Otome…»

   «…tu hai ben pensato che fossi il tipo da proporti di diventare la mia amante» concluse per lei Takumi, quasi senza vergogna alcuna, mandandola ancora una volta a fuoco.

   «Non è questo il punto!» scattò la ragazza, offesa a sua volta perché accusata di mettere in discussione l’integrità morale dell’amico. «Ma tu avevi appena finito di ciarlare a proposito di dormire e di fare il bagno insieme, e… e poi… hai ripreso molto alla larga il discorso fatto al Garderobe, e… e…» e la voce le venne meno, troppo confusa dalla valanga di emozioni che l’avevano assalita. Insomma, alla fine era anche colpa di lui, se non aveva afferrato subito la cosa, per la miseria! Cosa accidenti ci voleva a parlare chiaro sin dall’inizio, senza perdere tempo in chiacchiere risultate più nocive che altro?!

   Takumi sospirò pazientemente, si levò in piedi e l’avvolse fra le braccia, sperando così di darle quel minimo di calore che potesse in qualche modo calmarla, almeno per quel che serviva per farla smettere di tremare per l’ansia ed il nervosismo. «Stavo solo ricordando di quando eravamo bambini» la rassicurò, mentre lei si aggrappava con entrambe le mani al suo kimono in un goffo modo di ricambiare l’abbraccio. «Perdonami se ti ho involontariamente messa in imbarazzo.» Il giovane la sentì tirare su col naso. «Lo sai che è la mia specialità, purtroppo, quindi non avresti neanche dovuto dubitare delle mie intenzioni.»

   «Io non dubito di quelle, ma della tua intelligenza!» fu la risposta che divertì Mai, al punto che questa volta la Otome non riuscì a trattenere una risatina.

   «Ora, da bravi, non ricominciate a litigare» si raccomandò, lieta che quella guerra fredda fosse giunta a termine per lasciare spazio ad un futuro decisamente più roseo. «Takumi, prendi coraggio e falle una proposta chiara e precisa. Akira-kun, cerca di mettere da parte la timidezza e sii gentile con lui, dandogli una risposta civile e priva di insulti, almeno per una volta.» Ma dal momento che nessuno dei due giovani spiccicò più parola, finalmente anche alla principessa sovvenne l’improvvisa consapevolezza di avere mancato in qualcosa, mettendosi così in lizza con i presenti per la palma d’oro al tatto e all’acume. Si batté quindi una mano sulla fronte. «Giusto, meglio che ne discutiate con calma da soli» stabilì, impacciata, muovendosi per lasciare la stanza. Prima di chiudere la porta, però, aggiunse: «Takumi, resto nei paraggi: nel qual caso la cosa dovesse risolversi poco pacificamente, lancia un urlo, intesi?»

   «Ma tua sorella mi ha presa per una selvaggia?» borbottò Akira, risentita, continuando a nascondersi contro la spalla del suo signore anche dopo che la Otome fu uscita.

   «Le ho detto che sei capace di lanciarmi contro le medicine, se dimentico di prenderle.»

   «Questo non è vero!» protestò con enfasi, prima di ricordarsi che era stata davvero sul punto di farlo non più di cinque giorni prima, salvo poi dover rinunciare per accorrere in aiuto del giovane, in preda ad un serio attacco.

   «Mi dispiace» mormorò Takumi, passandole le dita fra i capelli sottili per carezzarle la nuca e stringerla di più a sé. «Ma, se ci pensi, è l’unico modo che ho per ricevere i tuoi baci.»

   Di nuovo, la ragazza avvampò da capo a piedi. «Parola mia,» iniziò a rimbeccare, profondamente indispettita, senza però avere la minima voglia di divincolarsi, «sei l’unico sulla faccia del pianeta capace di urtare fino all’inverosimile i miei nervi.»

   «Posso prenderlo come un incoraggiamento a chiederti in moglie?»

   «Taci, idiota» la sentì farfugliare lui, in modo così adorabilmente imbarazzato che non gli riuscì di trattenersi dal ridere e dal posarle un bacio sul capo, mentre Akira si aggrappava maggiormente al suo kimono, a dimostrazione che le sue azioni rispecchiavano il suo cuore più delle sue parole.







Purtroppo sono due settimane che Lanfranco è entrato in sciopero, e visto che la mia creatività è al momento messa a dura prova dal mio precario stato emotivo e psicologico attuale, ho creduto opportuno di dover comunque cogliere al balzo l'opportunità di scrivere due righe qualora mi se ne fosse presentata l'occasione. Non so neanche se ne è valsa la pena e se questa shot è un degno sequel delle altre tre che trattano dell'argomento, quindi spero voi siate così gentili da farmi eventualmente sapere la vostra opinione in merito o quantomeno da segnalarmi eventuali errori e sviste.
Ringraziando come sempre tutti i lettori, mi auguro di cuore di potervi presto regalare una storia migliore.
Shainareth





  
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