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Autore: Yeelah    11/03/2014    1 recensioni
Kosta non era cambiato di una virgola, stringeva una rosa tra i polpastrelli. Sorrideva mentre Sarah lo osservava da dietro lo spioncino.
-Allora, mi fai entrare o no, petaloùda?- chiese, sfoggiando una voce da uomo, che aveva conservato, però, il tono di quella di un bambino.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO DUE
I tre corsero attraverso il bosco, come avevano fatto all’inizio. In quel momento, però, la vegetazione e il paesaggio non sembravano così accoglienti e invitanti come erano stati fino a qualche mezz’ora prima. Sarah era disperata, sapeva che qualcosa non andava, che era sicuramente successo qualcosa di brutto. Le facevano male i piedi, ma continuava a correre. Giunsero finalmente al villaggio, un mucchio di case di mattoni bianche, alcune ravvivate da qualche vaso di fiori sul davanzale.
La casa di Sarah era leggermente distaccata dalle altre, in una posizione quasi pericolosa, a picco sul mare, arroccata su uno scoglio aguzzo. Era stato suo padre a volerla costruire lì, si sentiva il canto delle sirene, diceva. Una piccola folla si era radunata davanti casa di Sarah, che riconobbe tra tutte quelle persone il padre di Kosta. La bambina si fece strada e varcò il portone. Il piccolo salotto era diventato all’improvviso una stanza d’ospedale. Il dottore del villaggio era chino su una figura distesa sul divano; la madre di Sarah sedeva in un angolo con la testa fra le mani. Sarah rimase un po’ distante e le parve di sentire cose come “Non ce la farà, signora” o “Probabilmente era ubriaco, perché è impossibile cadere da quel punto della scogliera senza essere spinti. Condoglianze.”.
Rosalie assisteva impassibile alla morte di suo marito, mentre fuori il mare urlava e il vento faceva sbattere gli infissi di legno delle case dell’isola. Sarah non riusciva a piangere. Suo padre era sempre stato una figura misteriosa per lei, più di sua madre. Era troppo piccola per capire il significato di quel suo gesto, che avrebbe segnato la sua vita. Al mattino sentì i singhiozzi di sua madre, e per la prima volta guardò il cadavere di suo padre. Sentì una morsa di dolore stringerla da dentro.  Era irriconoscibile. Aveva il cranio fratturato in più punti, il corpo pieno di graffi e lividi. Ma gli occhi, socchiusi, erano rimasti gli stessi . avevano la solita espressione tranquilla. La figlia gli prese la mano, piegandosi su di lui. Le parve di sentire la sua voce che la chiamava, le sue braccia forti che la sollevavano da terra. La tempesta si era calmata. Ora la casa era silenziosa. Sarah si addormentò sul petto del padre, che ormai non risuonava più dei battiti del suo cuore. Sognò i momenti felici che aveva trascorso con la sua famiglia. Una volta avevano raggiunto i nonni materni in Francia, qualche anno. Abitavano in Provenza, in una casa di campagna circondata da un prato di lavanda: sembrava immersa in un lago di sogni, quasi un miraggio in un paesaggio in cui dominavano il lilla e l’azzurro del cielo. La Grecia, Tinos, erano parsi così lontani in quel momento; Sarah era in completa sintonia con la magia di quel luogo.
Si ricordò anche di quando era morta la nonna, la madre di Rosalie.
Rivide, come in un film, sua mamma che piangeva attaccata al filo del telefono, sé stessa che la seguiva fino alla porta di camera sua. Era rimasta lì fuori ad aspettarla tutta la notte, con il sottofondo del rumore dei singhiozzi soffocati in un cuscino.
Sarah non aveva pianto, nemmeno quella volta. Era semplicemente andata sulla spiaggia, aveva scritto sulla sabbia il nome della nonna e aveva aspettato che la marea l’avesse cancellato, così come quella malattia aveva portato via la madre di Rosalie Bernard, sottraendola a questa vita e promettendo di non restituirla. Anche in quell’occasione era stato Kosta a rimanerle vicino, aspettandola qualche passo più indietro, nascosto dietro le rocce. Quando Sarah si era alzata, aveva sentito una parola tra i fruscii delle canne che danzavano accanto alle rocce appuntite. “Petaloùda”, la chiamavano, “Petaloùda, sono qui”. Kosta era saltato fuori dal suo nascondiglio, ed era corso ad abbracciare Sarah. Avevano dormito insieme, abbracciati sotto le stelle. E anche in quell’occasione, Sarah sapeva che il suo migliore amico le sarebbe stato vicino.
 
Si svegliò con Kosta accanto a lei.
-Buongiorno, petaloùda!- esordì lui.
-Kosta … che ci fai qui?-
-Sono venuto per te, lo sai benissimo.- rispose, guardandola negli occhi. Il contrasto tra l’iride marrone e quella azzurra era sempre più evidente, specialmente sotto quella luce mattutina. L’alba illuminava tutta la stanza, la mamma aveva portato dei fiori per preparare la casa per il funerale.
-Quanto … quanto ho dormito?-
-Sono qui da mezzanotte, quindi credo che tu abbia dormito una giornata intera.-
-Mamma?-
-L’ho mandata a dormire. Ho fatto anche un po’ di the, se ne volessi un sorso…- disse, prendendo per mano Sarah e staccandola piano dal corpo ormai rigido del padre.
-Non dovresti preoccuparti sempre per me …-
-E perché no?-
-Dovrebbe farlo mia madre. E invece non le è mai passato per la testa di …-
-Basta, petaloùda, vuoi che ti senta? Sai benissimo che tua madre ti ama.-
Kosta aveva sempre dimostrato una maturità superiore agli altri, e anche in quel momento sembrava un adulto intrappolato nel corpo di un bambino di dieci anni. Si sedettero intorno al tavolo e bevvero il the dalle vecchie tazze in ceramica. Pesca, il preferito di Sarah.
Avevano chiuso la porta dietro di loro, ma il rumore della gente che affluiva in casa passava attraverso i muri sottili.
Kosta sapeva anche che Sarah non avrebbe sopportato di vedere tutte quelle persone venute per salutare una persona per lei tanto importante e tanto insignificante allo stesso tempo. Uscendo, videro il pastore entrare con un paio di chierichetti. Sentirono i pianti di Rosalie e il profumo delle candele usate per le cerimonie funebri.
Andarono alla loro spiaggia, seguendo un viottolo che definiva una collinetta come una spina dorsale. Avevano portato un mazzetto di margherite, un rametto e una vecchia cravatta del padre di Sarah, scavarono una buca sulla sabbia e seppellirono il cimelio. Con il rametto scrissero il nome del padre di Sarah, Markos Gjonkari. Il mare lo cancellò rapidamente portando con sé anche i fiori.
Kosta strinse la mano dell’amica, che osservava la marea portare lontano i ricordi di suo padre.
Si allontanarono dal villaggio, mentre le campane suonavano e una processione di donne vestite di nero sfilava verso la chiesa.
 
Letizia’s corner
Ciao a tutti! In questo capitolo, ho, diciamo, sottolineato la tristezza
che si prova quando qualcuno a noi caro muore. Sarah e Kosta sono
l’ esempio dell’amicizia che tutti vorrebbero avere, spero che piacciano
anche a voi. Recensite, recensite, recensite! Vi  voglio bene :3
  
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