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Autore: alwayswithgreenday    18/03/2014    1 recensioni
Quando dici di essere pronto al peggio, non sei mai pronto veramente.
E questo Frank lo capì quando la sua monotona vita fu bellamente mandata a puttane dall’imminente trasferimento a Belleville, citta del suo tanto odiato cugino, e all’incontro di tre ragazzi del posto. In particolare di uno di essi; Gerard. Che oltre a fargli scoprire nuove verità su se stesso, lo porta a vivere per la prima volta la sua vita sul filo del rasoio.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Avevo un tetto sopra la testa per la notte. Il pranzo abbondante preparato da mia madre nello stomaco. Dei genitori che si amavano  e che a loro modo si sforzavano di apprezzare quel poco che c’era di buono in me. Quattro dollari nella tasca destra sul retro dei jeans. Un’ultima Marlboro nel pacchetto. Indosso la mia maglia preferita. I capelli tagliati come più mi piacevano. Un mp3 funzionante. Una chitarra. E finalmente, qualcosa che si avvicinava ad un amico.
Eppure mi sentivo vuoto. Vuoto ed imprigionato in una gabbia di insicurezze create da me stesso col passare del tempo. Più crescevo più le sbarre della mia cella si inspessivano marcando sempre più evidentemente il confine tra me e il mondo reale.
E come grigie erano le traverse di essa, anche la mia vita ormai si era tinta della medesima tonalità.
Ne nero ne bianco, il perfetto equilibrio tra essi. Ma di equilibrio in me non ce n’era. Ero solo troppo indolente per meritarmi un colore ricco di significato. Tra bene e male, non avrei saputo scegliere. Semplicemente non mi davo la pena di farlo. Di credere in qualcosa.
Ero un vigliacco. Così impaurito dal poter venire anche involontariamente ferito, tradito, umiliato, che mi precludevo io stesso il diritto di vivere.  
E me ne stavo realmente rendendo conto proprio ora, dopo più di sedici anni buttati al vento. Provai rabbia e pena per me stesso. Stavo realmente fuggendo da scuola solo per ciò che era successo poco prima?
La risposta era un ovvio si. Ma ormai ero troppo lontano da lì per poterci ritornare e sinceramente, non avevo nemmeno la più pallida idea di come fossi arrivato sulla strada desolata dove ora mi trovavo. Avevo semplicemente staccato la spina del televisore che mi collegava alla realtà, quella tv davanti alla quale avevo passato tutto il resto della mia esistenza fino ad adesso, pensando che ciò che vi vedevo proiettato al suo interno significasse vivere, ma mi sbagliavo di grosso. Ma non avevo fretta di uscire da quella mia gabbia di apatia per il momento. Quando mi sarei sentito pronto, e l’opportunità di dare una svolta alla mia vita si sarebbe presentata, avrei colto l’attimo. Non potei fare a meno di chiedermi, però, se non l’avessi già sprecata. Se l’occasione, il segno, fosse stato proprio quella strana proposta di Gerard.
Decisi che era meglio tornare a casa, tanto i miei genitori non avrebbero mai scoperto la mia piccola fuga da scuola, si trovavano a lavoro, ed erano fin troppo occupati con esso per degnarsi di controllare le firme sul mio libretto delle giustificazioni.
Tirai fuori dalla tasca le chiavi di casa ed in automatico salii le scale per andarmi a rintanare in camera. Spalancai la grande finestra in fondo alla stanza e chiusi la porta a chiave. Passai quasi tutta la mattinata tra musica, sigarette e qualche stupido gioco per il computer. Scesi per pranzare e me ne ritornai al piano di sopra quasi immediatamente. Cominciavo ad annoiarmi sul serio quando la suoneria del mio telefono si mescolò al ritmo della canzone che stavo ascoltando. Era un messaggio di Ray. Parlava di una certa stazione di treni e di una cosa che dovevo assolutamente vedere. Sembrava piuttosto ansioso all’idea di mostrarmi di cosa si trattava, voleva che lo raggiungessi al più presto e continuava a ripetere che, quel posto, non era poi tanto distante da casa mia.
Quindi mi costrinsi a scendere di casa, chiavi in tasca e sigarette nel giubbotto, e a seguire le indicazioni di Ray che mi aveva appena  inviato sul cellulare.
Due sigarette dopo, e se fossi andato avanti a fumare in questo modo avrei avuto più nicotina che sangue in corpo, arrivai alla stazione di Belleville.
Lo riconobbi subito, se ne stava li ad aspettarmi, poggiato allo stipite della porta d’ingresso. Braccia conserte e piede a battere ripetutamente a terra un ritmo che solo lui conosceva, impaziente di vedermi arrivare.
Mi avvicinai senza che neanche se ne accorgesse, tanto era preso ad osservare dalla parte opposta a quella dalla quale venivo io, sbuffando rumorosamente e aspettando di vedermi comparire all’orizzonte.
-Si può sapere che c’è di così imperdibile in questa fogna di posto? Si sente La puzza di piscio persino da qui fuori.- constatai schifato  e con voce acuta, tanto da far spaventare Ray e farlo voltare verso di me.
Un sorriso enorme gli divampò sul viso tondo.  –Sta zitto e seguimi.-
Che poi, seguirlo, era un parolone, diciamo che mi trascinava per la manica. Mi ero ormai abituato ai modi rozzi di Ray. Varcammo l’entrata, superammo due senza tetto rannicchiati su di una panchina, costeggiammo il binario tre e arrivammo in quella che supponevo fosse la rimessa. Scese dalla banchina sul vialetto di ghiaia posto tra un binario e l’altro e mi tirò  giù con se.  Sembrava sempre più emozionato. Finalmente si decise a mollarmi il braccio, poi si inginocchiò a quattro zampe ficcando la testa sotto il vagone.  –Si può sapere che diavolo stai fac..- ma lui mi interruppe quando, alzandosi a fatica e tenendo qualcosa tra le braccia, si voltò verso di me. – Non è bellissimo, Frank?-
Un musetto adorabile mi si piazzò ad un millimetro dalla faccia, e no, non era affatto quello di Ray, bensì quello di un cucciolo di cane, simile ad un labrador, dal pelo bianco sporco e infeltrito e che nonostante la macchia di grasso che gli sporcava la punta dell’orecchio sinistro e il corpicino un po’ smunto per la mal nutrizione, era il meticcio più bello che io avessi mai visto. Provai una sensazione inspiegabile nel vederlo. Continuavo a fissare i suoi movimenti scattosi ed energici mentre si dimenava tra le mani del mio amico. D’istinto tesi le braccia, senza proferire parola, limitandomi ad incurvare le labbra in un sorriso con la dolcezza più spontanea che avrei mai potuto dimostrare.
Lo sentii come rilassarsi al mio tocco cosa che mi invogliò ad avvicinarlo ancora di più a me e ad accarezzarlo con estrema cautela per farlo sentire a proprio agio e non spaventarlo.
Grazie a quella piccola sorpresa inaspettata ora riuscivo a distinguere un po’ di colore tra le venature dell’acciaio della mia gabbia impenetrabile di insicurezze ed apatia. Provavo un vero e proprio sentimento gratificante nel sentirmi così apprezzato da quell’animaletto che ora si tirava su con le zampette, poggiando quelle anteriori sul mio petto per avvicinarsi al mio viso e leccarmi dolcemente la guancia. Arrossii a quel gesto così tenero e, se possibile, il mio sorriso si allargo ancora di più.
-Gli piaci!- asserì euforico Ray. – L’abbiamo trovato io e Mikey oggi dopo scuola, lo stavo accompagnando a prendere il treno per andare ai suoi corsi di basso nella cittadina ad una fermata da qui. Ma siccome quel caga sotto ha il terrore dei cani e ciò implica che ha paura anche di questo piccolo batuffolo,- spiegò mentre accarezzava la testolina pelosa del cucciolo –ho deciso di tornare qui a riprenderlo. E chi meglio di te per prendersi cura di questo scricciolo?- Terminò con un barlume di speranza negli occhi. Mi stava chiedendo, supplicando più che altro, di farlo stare da me. Ma per me sarebbe stato un problema non da poco tenerlo nascosto a mia madre. Ci pensai su un attimo, se non altro il nasconderlo avrebbe aggiunto un pizzico di pericolo alla monotonia della mia vita tra le mura di quella casa. Perché di pericolo si trattava davvero. Mio padre, al contrario di me, odiava ogni creatura dotata di un pelo morbido e di un faccino adorabile e ci avrebbe messo davvero poco a farmi trovare le valigie e la chitarra sul pianerottolo di casa per poi cambiare la serratura. Annuii inconsciamente e questo Ray lo prese come un si definitivo. Lo sentii esultare per poi chiedermi  – Come hai intensione di chiamarlo?-
Non riuscii a pensare ad altro che al colore di cui quella piccola bestiolina aveva tinto le pareti della mia cella, alla dolcezza dei suoi occhi che erano riusciti con un solo sguardo d’intesa a far sbocciare nel mio arido campo di sconforto, un germoglio di mandorlo. Col tempo sarebbe potuto diventare un albero grande e forte, avrebbe ricoperto le proprie fronde dei boccioli più belli, coloriti di un rosa tenue, sarebbe fiorito alle porte della primavera, o avrebbe potuto spezzarsi con la tempesta, prima ancora di aver ben conficcato le radici nel terreno, ma la sua sorte era nelle mie mani. Il capire di avere la possibilità di salvare una vita mi dava speranza. La speranza che un giorno avrei potuto essere salvato anche io. Gli occhi di quel cucciolo ne erano colmi: speranza, fiducia e fedeltà. Mi sarebbe stato accanto ed io avrei fatto lo stesso.
Ci saremmo salvati a vicenda. Avremmo affrontato la tempesta. Avremmo reso fertile insieme il terreno inospitale della mia apatica vita. Saremmo fioriti come mandorli, superando il gelo dell’inverno.
-Almond.- sorrisi, guardando il muso del mio nuovo animaletto clandestino.
-Almond? Ma che orrore di nome è?- domandò - Bah, se a te piace.- sbottò il ragazzo di fronte a me alla fine.
Ma lui che ne poteva sapere di tutta la storia legata a quel nome?
Lasciai Almond a terra e lo vidi guardarsi in torno curioso. –Puoi sempre chiamarlo Allie, se non ti piace Almond.- Sbuffai seccato, cercando di non dargliela vinta ridendo a quel suo commento. – Dio, che nome gay. – scoppiò lui poi in una risata fragorosa.
Allie gironzolava tra i piedi di Ray, mordendogli i lacci delle converse semi distrutte e tirandoli verso di se, strattonandoli, divertito dal suo giochino improvvisato. D’un tratto lo vidi smettere di dimenarsi spensierato. Si pietrificò all’istante, puntando lo sguardo attento oltre lo spessore delle gambe del riccio. Vidi il terrore balenare nei suoi occhioni color cioccolato e a mia volta mi irrigidii. Cercai di individuare cosa stesse fissando e poco dopo capii. Un imponente pastore tedesco se ne stava seduto a pochi metri da noi, tenuto al guinzaglio dalla pettorina della polizia. In effetti quel posto non dava l’aria di essere un luogo tranquillo, mi sembrava ovvio che ci fossero dei controlli. Ma il mio cane non sembrava dello stesso avviso, lo sentivo guaire per vederlo indietreggiare sempre più spaventato dalla figura statuaria dell’altro trattenuto dal poliziotto. Poi, scattò di corsa verso la banchina dalla parte opposta a quella su cui noi eravamo. D’istinto mi fiondai all’inseguimento del cucciolo, cosa che sembrò insospettire il poliziotto che vidi avvicinarsi a noi, mentre io continuavo a correre dietro ad Allie cercando di non farlo finire sotto le rotaie dei treni. Avevo il cuore a mille, mi sentivo come una madre sull’orlo di un tracollo nervoso causato dagli innumerevoli spaventi che il figlio le faceva prendere. Non diedi retta ne all’uomo che mi intimava di fermarmi, ne a Ray, che cercava disperatamente di far capire all’agente che non stavo sfuggendo alla sua perquisizione, ma che mi era semplicemente fuggito il cane. Almond sparì dietro il penultimo vagone, aveva la coda tra le gambe e le orecchie basse per la paura. Fortunatamente nella rimessa, non vi erano treni potenzialmente pericolosi, perciò mi rilassai un momento, rallentando appena il mio passo e regolarizzando i respiri. Delle voci maschili mi giunsero alle orecchie facendomi alzare il sopracciglio per la sorpresa. Tra il penultimo vagone e l’ultimo c’era  un piccolo spiazzo formatosi nella ghiaia tutta intorno alle rotaie. Era da li che proveniva quel bisbigliare continuo e l’odore inconfondibile di una qualche droga dall’odore pungente. Il cane era a pochi metri dalla svolta in cui si trovavano quei ragazzi e , il fato volle, che , attirato da tutte quelle voci , a suo parere rassicuranti, Allie girasse proprio in quel punto. A mio malgrado mi sentii in dovere di seguirlo, nuovamente, ignorando quel pizzicore alla bocca dello stomaco, che identificai come sintomo premonitore di guai. –A..Allie?- azzardai con voce tremante. Sentii il chiacchiericcio, stupito e timoroso nel sentire una voce estranea alle proprie, arrestarsi. Mi avvicinai ancora di più alla svolta, quando dai piedi del vagone vidi tirarsi in piedi una figura, purtroppo, a me molto familiare. Lo vidi guardarmi fisso, poi oltrepassarmi con lo sguardo che notai cambiare notevolmente. Dapprima, quando incrociò il suo sguardo col mio lo vidi irrigidirsi, il suo volto teso in un espressione tra il sorpreso e il disgustato, poi quando guardò alle mie spalle mutò in terrorizzato, ansioso. Tornò di nuovo a posare gli occhi su di me, la sua espressione, se possibile, era ancora più deformata dall’odio e dall’ira. Non capii esattamente a cosa fossero dovute quelle occhiatacce fino a quando – Buttate tutto, cazzo! Hanno avvertito la polizia!- lo sentii sputare agitato per poi vederlo rintanarsi nuovamente nello spazio di poco prima,per poi riemergere da li sotto e fuggire via a gambe levate. Ora ne ero certo, era convinto che fossi stato io a portare lì la guardia per incastrarlo. Sentii alle mie spalle le grida intimidatorie del poliziotto che ora aveva sguinzagliato il grosso pastore tedesco. Abbaiava furentemente, ringhiava digrignando i denti, mentre lo vedevo scattare all’inseguimento di quei ragazzi molto meno veloci di lui. Fortunatamente per loro riuscirono a scavalcare in fretta la rete di filo d’acciaio che divideva la rimessa dalla strada e riuscii a vederli scappare in fretta, disperdendosi nel traffico di Belleville. Il cane continuava a latrare senza sosta a due passi dalla rete di recinzione , finché il suo padrone, con un fischiò, lo riportò alla pacatezza meticolosamente professionale che aveva all’inizio. Riuscii a recuperare il cucciolo, che, a causa di quel trambusto, si era paralizzato dietro la ruota del vagone, tremando. Con il cucciolo tra le braccia, mi diressi verso il punto in cui mi ritrovavo, non prima di essere stato fermato per un tempo che parve infinito dal poliziotto. Mi chiese per quale motivo fossi scappato in quel modo se non avevo nulla da nascondere, perché il mio cane non aveva il guinzaglio, come mai mi trovassi da quelle parti, se avessi riconosciuto chi fossero le persone nascoste dietro il vagone. Anche se si trattava di quel coglione di Ryan, preferii tenere la bocca chiusa con l’agente su quanto avevo visto, negando tutto alle domande che mi poneva sui rapporti tra me e quei ragazzi. Dopo circa un’ora riuscii a sbarazzarmi di quell’uomo in divisa e raggiungere nuovamente Ray, che era rimasto li fino a quel momento. Sapeva che non portavo con me alcun tipo di droghe e che ero alquanto bravo a recitare e a fare la parte del bravo ragazzo, da quando nei pomeriggi di noia, avevo cominciato a raccontare quanto fossi bravo a riuscire a non farmi mai beccare con l’odore di fumo addosso dai miei, perciò non si era neanche scomodato a venire in mio soccorso, non ce ne sarebbe stato bisogno, lo sapevamo entrambi.
Ce ne andammo ognuno verso casa propria, io con il cucciolo chiuso nella giacca per proteggerlo dal freddo. Arrivai davanti casa mia, decisi di passare dalla porta sul retro per non far accorgere nessuno della presenza di Almond. Non appena però girai l’angolo mi sentii schiacciato dal pericolo incombente. Riconobbi nel mio sguardo, l’espressione che poco prima aveva plasmato il musetto di Allie in una maschera di terrore.
La figura pompata poggiata con la schiena contro il muro di casa mia non poteva che essere quella di Ryan. Ormai era inutile scappare, mi aveva inchiodato con un solo sguardo, rendendomi incapace di proferire parola o muovere un solo passo.
Capii che per me era finita nel momento esatto in cui lo vidi spegnere col piede la sigaretta lasciata cadere a terra poco prima da lui stesso e vedendo comparire un ghigno sinistro a sfigurargli la faccia. Mi stava aspettando.
Con quel poco di buonsenso che mi rimaneva, decisi di far scendere dalle mie braccia Almond, che prontamente si andò a rintanare nel ripostiglio degli attrezzi.
 Sapevo cosa mi aspettava, si leggeva nei suoi occhi, mi sentii come se stessi per essere giustiziato e riconoscessi negli occhi della folla quel sadico piacere nel sapere di stare per assistere all’esalazione del mio ultimo respiro. Così, come un uomo che va verso il patibolo, mi avvicinai al mio, Ryan.
-Vuoi, cortesemente, darmi un valido motivo per non farti fuori?- Ringhiò forte lui a denti stretti, sforzandosi di avere un tono calmo, iniziativa che abbandonò subito, lasciando che la sua voce si incrinasse in un verso agghiacciante e grottuale.
-Ryan, ti.. ti giuro che è stato un incidente, non ti avrei mai fatto una cosa simile.- cercai di apparire il più tranquillo possibile, sarei morto mantenendo almeno un po’ della mia dignità. –Che cazzo ci facevi lì? Mi stavi seguendo per caso? Una specie di vendetta da psicopatici per farmi finire al fresco?- Questa volta non tentò neanche di apparire tranquillo. La voce sempre più arrochita dall’agitazione.
Mh, devo ricordarmi di passare all’anagrafe. Cambiare il mio cognome in Stalker. Frank the stalker, sia mai che ci girino un film. Sorrisi amareggiato ai miei stessi pensieri.
-Cazzo Ryan, stai sfiorando il patetico.- Asserii schietto. Ma a lui sembrò non importare poi tanto della mia sincerità, ricompensandola poco dopo sbattendomi forte contro le mura di casa. Stringeva saldamente i lembi della mia giacca, mi teneva in pugno. Era a circa mezzo millimetro dalla mia faccia quando mi chiese retorico un –Non pensi che tu non sia nella posizione adatta per darmi del ‘patetico’?- E ora avrei voluto davvero saper difendermi, spiegargli la situazione, chiedergli scusa per quel madornale susseguirsi di sfortunatissime coincidenze, supplicarlo di lasciarmi andare. Ma non ebbi il tempo di fare nulla di tutto ciò perché aggiunse – Sai, Frank… io mi considero felice, tutto sommato. Ma da quando tu hai messo piede qui, parecchie ‘sorprese’ si stanno presentando, senza invito, alla mia porta.-  A quanto pare vivere adagiati nella propria zona di comfort era un difetto genetico.
-Ma, la polizia. Quello si che è stato un colpo basso.- Potevo calcolare la portata del suo sangue nella vena che pulsava sulla sua fronte, tanto era vicino a me. La sua presa a stringersi sempre più forte sulle mie spalle. E in quel momento, a detta sua, mi restituì il colpo altrettanto basso, sferrandomi una ginocchiata ben assestata che mi mozzò il fiato. Caddi a terra, imprecando. Mi ripresi poco dopo, era ancora lì, mi rialzai a fatica con l’aiuto del muro. Aveva la mascella serrata e pugni chiusi talmente tanto forte da far impallidire le nocche, mentre non distoglieva lo sguardo truce da me neanche per una frazione di secondo. –Diciamo che questa è la lezione che nessuno ha mai avuto il coraggio di darti. Prendilo come un favore, cugino.- detto questo ghignò malvagiamente. Si scagliò contro di me, gettandomi di nuovo a terra. Sentivo il suo corpo pressato sul mio, tentavo di reagire come meglio potevo, riuscendo con un po’ di sforzo, a levarmelo di dosso. Questa mia presa di potere parve infastidirlo ancora di più. Così, quando costatai che era riuscito di nuovo a prendere le redini della situazione, accusai il primo suo pugno scagliatosi sulla mia faccia. Poi arrivo il secondo, che mi assestò dritto nello stomaco, dalla sua posizione di dominio, a cavalcioni sul mio bacino. Ed ecco il terzo, il quale finalmente riuscii a schivare, facendogli sbattere a terra il pugno serrato e facendolo gemere dal dolore, guadagnando un po’ di tempo per riuscire finalmente a sgattaiolare via dalla sua ferrea presa. L’adrenalina che avevo in corpo in quel momento mi aveva attutito il dolore dei suoi colpi, facendomeli incassare abbastanza bene. Riuscii a sovrastarlo e ad assestargli un pugno sul naso, che cominciò a sanguinare di lì a poco. –Mi stò pentendo di non aver dato i tuoi dati all’agente. Quasi quasi domani faccio una capatina in commissariato.- sbottai, un ghigno a stagliarsi sul mio volto. Sentivo il sangue scivolarmi nella bocca, mescolandosi alla mia saliva. –Fossi in te non lo farei, ragazzino.- asserì mio cugino nel assestarmi l’ennesimo pugno, che anche se indebolito per colpa della sua scomoda posizione, andò comunque a segno, colpendomi di nuovo in faccia. A quel punto anche l’adrenalina cominciava a non fare più effetto e il dolore cominciava a propagarsi sul mio viso, quindi decisi che era giunto il momento di darsela a gambe levate. Spinsi di nuovo Ryan a terra e mi districai dal suo ‘abbraccio’ mortale, mi diressi velocemente nel capanno degli attrezzi recuperando Almond per poi fiondarmi verso casa di Ray.
 
-Dio santo, ma che cazzo ti hanno fatto?!- commentò l’afro sbigottito e sull’orlo di una crisi di nervi, quando mi vide presentarmi alla sua porta in quello stato. Si scostò, lasciandomi entrare, e non degnandomi di salutare nessuno, tanto meno il padrone di casa, mi accasciai sul divano vuoto della sala, facendo scendere Allie dalle mie braccia esauste. Cominciai a raccontare tutto ciò che mi era accaduto, fermandomi saltuariamente, imprecando per il dolore che mi procurava la ferita sul labbro nel parlare. Ad ogni particolare che aggiungevo lo vedevo irrigidirsi e stringere sempre più forte le dita attorno alle ginocchia, quasi cercando di trattenersi dall’esplodere. La trovai una cosa carina che si preoccupasse tanto per la mia incolumità, ma ero davvero troppo a pezzi per riuscire anche solo a spostare gli angoli della bocca e rivolgergli un sorriso grato.
Lo sguardo di Ray alla fine del mio ‘interminabile’ racconto si velò di rassegnazione. -Non cambia mai, eh.- Da quella frase pronunciata con amarezza intuii che non era la prima volta che Ryan si sfogava su qualcuno di sua conoscenza. Lo si avvertiva anche solo nella pesantezza dell’aria che l’episodio di oggi era stato solamente la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, la scintilla che si trasforma in un incendio, l’ultimo granello di sabbia sceso a segnare la fine dello scorrere degli istanti di tempo. Lo vidi poi alzarsi e avviarsi verso la cucina passandosi stancamente una mano tra i riccioli spettinati, lasciandomi solo nel salotto di casa sua disteso, con i vestiti macchiati di sangue, sul suo divano costoso.
Beh, almeno adesso non avrei potuto dire di sentirmi vuoto, ero fin troppo pieno.. di botte.
*SPAZIO AUTRICE*
Saaalve gente, ho aggiornato con il capitolo più lungo che avessi mai scritto in questa ff!
Ammetto di averci messo un gran colpo di scena, che darà, realmente una scossa alla monotonia della
vita di Frank.
Spero di non avervi deluso troppo, care/i.
Ho aggiornato in una settimana e mezza, che sfora un po' il limite prefissato di una settimana netta,
ma vi prego, cercate di capirmi, faccio pur sempre un liceo e siamo sotto un periodo di verifiche CwC
ANNNNYYYYWAY, SONO STATA FELICISSIMA NEL RICEVERE QUELLE SPLENDIDE RECENSIONI!
sarei davvero felicissima di sapere anche questa volta cosa ne pensate. 
Ne approfitto per salutare tutte le persone nuove che hanno iniziato a leggere questa storia, e per ringraziare tutti colore che continuano
a seguirla e che hanno voglia di sapere come procederà la storia. 
Un bacione,
Gee. x
  
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