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Autore: ___Lilith    06/05/2014    7 recensioni
Marco è un ragazzo solo, emarginato dalla società a causa della sua sessualità.
È il giorno del suo diciottesimo compleanno, a Natale, quando incontra Michael. Il mondo gli sembra diventare improvvisamente un posto migliore.
Qualcosa di quel ricciolino lo colpisce subito. Sembra triste e solo, proprio come lui...
Dal Prologo:
Ed ora si ritrovava da solo. L'unica compagnia che aveva era quella sigaretta, ormai quasi mezza bruciata, che possedeva il magico potere di alleviare un po' il suo dolore.
Fece un respiro profondo, inalando tutto quel fumo tossico che creava una bolla irrespirabile intorno a lui. Solo così riusciva a sentirsi meglio.
Un fruscio, un lieve spostamento d'aria intorno a lui, attirò la sua attenzione. Voltò lievemente la testa di lato e quasi sobbalzò quando notò che una figura snella e riccioluta si era seduta accanto a lui.
Se ne stava immobile, con una bottiglietta di birra nella mano destra e il resto della confezione nella sinistra. Nella penobra riuscì a intercettare lo sguardo del ragazzo. Era puntato verso il nulla, su un punto imprecisato davanti a loro.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo. Venticinque dicembre.





Marco si strinse meglio nel suo giubbotto. Si aggiustò la sciarpa e infilò le mani congelate nelle tasche. Erano ore ormai che camminava senza meta. Il vento freddo pungeva contro il suo viso, le gambe doloranti chiedevano riposo.
Si guardò intorno. A pochi metri da lui avvistò una piccola panchina vuota. Si avvicinò e si sedette. Sfilò il suo fedele pacchetto di Malboro dalla tasca posteriore dei jeans. Estrasse una sigaretta e la accese. Se la portò alla bocca, lasciando che il fumo tossico penetrasse nei suoi polmoni per offuscare almeno un po' il dolore e la solitudine che provava.
Puntò lo sguardo verso la strada di fronte a lui. Era quasi totalmente deserta. Ad illuminarla c'era solo la luce fioca di un lampione e le piccole lucine degli addobbi natalizi posti sulle abitazioni circostanti.
Non c'era anima viva intorno a lui. Solo qualche macchina sfrecciava rapida sull'asfalto, probabilmente in ritardo per il cenone.
Era la notte di Natale. Un giorno di festa per quasi tutti, ma ancor più importante per Marco. Quel 25 dicembre compiva 18 anni.
Ed era da solo, terribilmente e dolorosamente solo. I suoi genitori, felici per la maggiore età raggiunta dal loro figlio, avevano però ricevuto quel giorno la notizia peggiore che potessero dargli. Marco aveva deciso di raccontare loro della sua vera sessualità. Un'idea che però si era rivelata non molto geniale.
Aveva detto si suoi genitori di essere gay. Sua madre era scoppiata in una fragorosa risata, dicendo: -Marco smettila con questi scherzi- ma, quando aveva visto l'espressione seria sul viso di Marco non mutare in una divertita e ironica, aveva capito che il figlio non stava affatto scherzando.
Il padre lo aveva trafitto con lo sguardo. Quei due occhi così simili ai suoi, quasi identici, come affermava spesso la madre, erano carichi di astio. Le sue due iridi color cioccolato lo guardarono come se quello non fosse suo figlio, come fosse un estraneo, un lebbroso, una persona malata da cui star lontano. E quello sguardo gli fece male, davvero troppo male.
Provò un truce dolore al cuore. Fu come se quegli occhi lo avessero colpito al petto e lo avessero ferito, come due lamine di metallo appuntite scagliate contro il suo cuore.
Si portò una mano sulla sinistra del suo petto. Era soprattutto la delusione che aveva dato al padre a fargli male. Lui, il fagottino che aveva stretto tra le braccia la prima volta, il ragazzino col quale vedeva la partita la domenica pomeriggio, ma che a Marco in realtà non era mai interessata molto, l'uomo al quale aveva insegnato come corteggiare una ragazza, si rivelava essere uno "stupido frocetto", come egli stesso lo aveva chiamato.
E così lo aveva cacciato di casa.
-Non sei degno di essere mio figlio- gli aveva detto, sbattendogli in faccia la porta. Non gli aveva dato neanche il tempo di prendere la sua roba.
E ora si ritrovava senza casa, senza amici, senza famiglia, senza alcun posto dove stare e con pochi spiccioli in tasca. Non aveva più nulla ormai.
L'unica cosa che sapeva di possedere era il suo cuore, dato il profondo dolore che provava dentro il petto. Ma ormai anche quello era distrutto, fratto a brandelli dai suoi stessi genitori.
Non aveva neanche un amico. Claudia, sua migliore amica dal primo giorno delle elementari, lo aveva abbandonato qualche mese fa, quando, dopo avergli rivelato tutto l'amore celato per anni nel suo cuore per il ragazzo, lui l'aveva rifiutata, senza darle una spiegazione concreta. Non lo aveva fatto perché era brutta, anzi con i luinghi capelli biondi e due giganteschi lapislazzuli al posto degli occhi era una delle ragazze più desiderate da qualsiasi uomo etero, ma lui aveva orientamenti sessuali decisamente diversi. Non aveva mai avuto il coraggio di parlarle della sua omosessualità, così l'aveva lasciata andare via per sempre.
Ed ora si ritrovava da solo. L'unica compagnia che aveva era quella sigaretta, ormai quasi mezza bruciata, che possedeva il magico potere di alleviare un po' il suo dolore.
Fece un respiro profondo, inalando tutto quel fumo tossico che creava una bolla irrespirabile intorno a lui. Solo così riusciva a sentirsi meglio.
Un fruscio, un lieve spostamento d'aria intorno a lui, attirò la sua attenzione. Voltò lievemente la testa di lato e quasi sobbalzò quando notò che una figura snella e riccioluta si era seduta accanto a lui.
Se ne stava immobile, con una bottiglietta di birra nella mano destra e il resto della confezione nella sinistra. Nella penobra riuscì a intercettare lo sguardo del ragazzo. Era puntato verso il nulla, su un punto imprecisato davanti a loro.
-Natale...- bofonchiò. Portò il boccale della bottiglietta di birra alle labbra e mandò giù un sorso. -Che inutile festa.-
Marco continuò ad osservare in silenzio quello strano ragazzo.
Bevve un altro sorso poi, come se solo in quel momento si fosse accorto della sua presenza, si voltò verso di lui.
Gli porse la birra, come a volergliela offrire. Marco la afferrò e bevve metà del liquido rimasto, poi la restituì al proprietario.
Tornò a rivolgere lo sguardo verso qualcosa che sembrava vedere solo lui. E Marco tornò a guardarlo incuriosito.
Il riccio si passò una mano tra le onde spettinate dei suoi capelli.
'Ha un bel profilo' pensò Marco. Aveva dei lineamenti fini, leggermente disegnati, con un delizioso e piccolo nasino e delle sottili labbra a forma di cuoricino.
La curiosità gli stava opprimendo lo stomaco. Voleva sapere per quale motivo quel ragazzo fosse lì e non a festeggiare il Natale. Forse era un'anima sola anche lui.
Bevve un altro sorso di birra. -Inutile- ripetè.
-Perché?- ebbe il coraggio di chiedergli Marco.
-Che senso ha festeggiare se non hai nessuno con cui farlo?- rispose. Notò che aveva un accento straniero, forse inglese, e ipotizzò che non fosse italiano.
Marco abbassò la testa, puntando gli occhi sulle diadora grigie che aveva ai piedi.
-Anche tu sei solo?- chiese con un flebile sussurro.
-Ora sì- fece ancora un altro sorso, -da un paio di ore più o meno.-
-Anche io- disse. Finalmente forse aveva trovato qualcuno che lo capisse. -Cosa è successo?-
-Love- rispose, accennando alla sua lingua originale. -Una delusione d'amore.-
-Ah...- borbottò. 'Non è gay' dedusse Marco.
-And you?- chiese, -Perché sei solo?-
Cercò rapidamente una scusa abbastanza plausibile. Non poteva di certo dirgli che era omosessuale, sarebbe scappato via e lui aveva tanto bisogno di un po' di compagnia in quel momento.
-Love- mentì, imitando il suo accento. Al riccio scappò un piccolo sorrisetto.
Bevve l'ultima goccia del liquido di quella bottiglietta, poi ne scartò altre due dalla confezione che aveva nell'altra mano. Gliene offrì una.
-Prendila- disse, -aiuta, credimi.- Marco fece come il riccio gli aveva detto e la prese. La stappò ed iniziò a bere.
-Comunque io mi chiamo Michael Holbrook Penniman Jr., piacere- si presentò, porgendogli una mano.
Il ragazzo la strinse, pensando che però quell'immenso nome non avrebbe mai potuto ricordarlo.
-Marco Mengoni- disse.
-Io sono libanese e vengo da Londra.- Aveva intuito bene, non era italiano.
-E che ci fai in Italia?-
-Mi sono trasferito per seguire il cosiddetto 'amore'- rispose, scrollando le spalle. -My love was italian.- Si scolò in pochi secondi tutta la bottiglietta, poi alzò gli occhi verso il cielo. Quella sera era particolarmente scuro. Grosse nuvole grigie coprivano la luna e le stelle, rendendo il cielo blu ancora più tenebroso.
-Sta per diluviare- disse Marco. In lontananza si vedevano fasci di luci elettriche che squarciavano il cielo e si sentivano i rimbombi dei tuoni che preannunciavano un violento temporale.
Le prime gocce cominciarono a cadere su di loro.
-Oh perfect- bofonchiò sarcastico il riccio. -Ho la macchina laggiù- indicò un auto blu a pochi metri da loro, -vuoi un passaggio?-
'Se solo avessi un posto in cui andare, accetterei'.
-No, grazie- rifiutò.
-Why?-
-Abito qui vicino- mentì. In realtà viveva più in periferia, ma non ci sarebbe comunque tornato a casa. Non poteva.
-Allora io vado- disse, sorridendogli. E, con la sua immensa luce, quel sorriso squarciò l'aria scura che li circondava. -Bye bye Marco.-
-Ciao Michael.- Il riccio si voltò e si diresse verso la sua auto. Marco lo osservò, mentre le gocce di pioggia picchiavano su di lui.
Si infilò nella macchina e partì. Marco la seguì con lo sguardo, finché non scomparve svoltando a destra al primo incrocio.
C'era qualcosa in quel ragazzo che lo attirava. Non sapeva perché, ma aveva ancora impresso davanti agli occhi il suo bel faccino incorniciato da quell'ammasso di ricci ribelli. E dovette ammettere che era davvero molto carino.
Il tonfo di un tuono che rimbombò nella quiete dell'aria circostante fece ridestare il ragazzino dai suoi pensieri.
La pioggia iniziava a scendere su di lui con un flusso più pesante.
Si guardò intorno, in cerca di un posto dove ripararsi. A qualche isolato di distanza da lui intravide l'insegna luminosa di un motel. Decise che per quella sera sarebbe andato più che bene. Con i soldi che aveva raccimolato prima di andar via avrebbe potuto sopravvivere non più di qualche giorno.
Cominciò a correre sotto la pioggia, tentando di schivare le gocce d'acqua rifugiandosi di tanto in tanto sotto i balconi che sporgevano sul marciapiedi.
Raggiunse il motel in pochi minuti e si precipitò dentro. Al bancone c'era un vecchio uomo con una barba lunga e i capelli bianchi. Gli si avvicinò.
-Buonasera- lo salutò.
-Benvenuto- disse cordiale l'uomo. -Posso aiutarla?-
-Mi serve una stanza per stanotte.-
-Certo- contrasse le labbra in un piccolo sorriso, facendo comparire delle rughe marcate ai lati della bocca. Si girò e, grattandosi la barba, prese una chiave.
-Singola va bene?- gli chiese.
-Sì.-
Si voltò e gli porse la chiave. -Ecco a te.-
Marco la prese e lesse il numeretto scritto sopra. Era nella stanza numero 6.
Lo ringraziò e, dopo aver pagato, si diresse verso le scale.
Una volta salito al piano superiore, percorse il breve corridoio leggendo sopra lo stipite delle porte il numeretto che c'era inciso. Quando trovò la stanza numero 6, infilò la chiave nella serratura e questa, dopo due scatti, si aprì.
Non era nulla di speciale. Era una stanzetta piccola, con un letto al centro, un comodino e un armadio.
Si levò il giubbino zuppo d'acqua e lo appoggiò ai piedi del letto, poi si stese sul materasso senza cambiarsi, non avendo nient'altro con sé al di fuori di quei pochi soldi che aveva in tasca.
Cercò di addormentarsi, ma il ricordo dello sguardo deluso di suo padre continuava a tormentarlo. Spostò allora la sua attenzione su qualcos'altro e la grossa testa riccia del ragazzo che aveva incontrato poco prima occupò la sua mente.
Un piccolo sorriso si fece largo sulle sue labbra. 'Era proprio carino però' pensò. 'E buffo' aggiunse. Almeno aveva scoperto che non era l'unico ad essere solo il giorno di Natale.
-Tanti auguri a me- disse, mentre guardava fisso il soffitto ingiallito della camera.

A causa dell'alto tasso d'alcol che aveva ingerito, Michael per poco non si scontrò contro un palo della luce mentre tornava nel suo appartamento. Quando arrivò, tirò un sospiro di sollievo. Era vivo e non aveva ammazzato nessuno. Poteva considerarsi più che fortunato.
Scese dall'auto e fece una piccola corsa per raggiungere la porta. La aprì e si rifugiò al caldo nella sua stanza.
Si spogliò e asciugò quel suo ribelle ciuffetto riccio che, bagnato dall'acqua piovana, sembrò non voler proprio stare al suo posto.
Arrendendosi all'idea che non sarebbe mai riuscito a dare un aspetto decente ai suoi ricciolini, si catapultò sul materasso.
Quell'enorme letto a due piazze sembrava così grande ora che c'era solo lui.
Poggiò una mano sulla parte vuota e la accarezzò come se ci fosse qualcuno. Davide se ne era andato, e non sarebbe più tornato.
Ma lui lo amava e non riusciva ad immaginarsi la sua vita senza il ragazzo. Quei suoi grossi occhioni verdi, i suoi capelli biondo cenere, le sue carnose labbra rosse erano impressi nella sua mente e da lì non sembravano voler andar via.
Ma se Davide lo aveva lasciato era solo colpa sua. Lo aveva tradito. Era stato solo un bacio rubatogli dal suo migliore amico, ma lui lo aveva ricambiato.
E ora se ne pentiva. Sapeva che Davide non lo avrebbe mai perdonato e lui non poteva dargli torto. Lo avrebbe fatto anche Michael se fosse stato al suo posto.
Prese il cuscino sul quale riposava solitamente il compagno e lo strinse forte. Ci immerse la testa dentro e respirò a fondo il profumo di Davide ancora intriso sul tessuto.
'Quattro lunghi anni buttati al cesso' pensò, mentre le prime lacrime bagnavano le sue soffici guance.
-Domani tornerò a Londra- disse. Non poteva rimanere nell'appartemento che avevano comprato insieme se non voleva che il dolore che provava dentro di sé distruggesse quel che ne era rimasto del suo povero cuoricino.




#MySpace
Ciao carissimi lettori,
So già cosa state pensando: 'È tornata di nuovo ?! Già ?!' Eh sì, sono ritornata con una nuova storiellina su questi due cucciolotti.
Ultimamente ho molta ispirazione, quindi date la colpa al mio stupido cervellino se sono ancora qui u.u
Vabbè ora passiamo alla storia. Lo so che non è niente di che e la trama fa un po' schifo, ma mi è venuta in mente in un momento di depressione e ho creato questa mezza schifezza u.u
Lascio a voi ulteriori commenti (saranno sicuramente critiche) su questo piccolo prologhetto ;)
A presto :*
Un bacio, _Lollipop_96
  
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