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Autore: Amethyst10    27/06/2014    2 recensioni
Ophelia all’ amore non ci pensa, non ha tempo, fra lavori part-time, una famiglia da mantenere, l’unica cosa che ricerca è l’equilibrio e si sa che l’amore comporta problemi.
La sua vera passione è la pittura, con cui dipinge i propri dolori e le minuscole gioie, come se già, non fossero indelebili sulla sua pelle.
Ma ora ha solo 24h, per trovare un modo convincente per far cadere la finta confessione, ricevuta da parte di un cyber – bullo, davanti a tutta la classe.
Dal capitolo 3:

- Okay -
Mi accigliai un attimo.
- Come scusa? - domandai.
- Ho detto okay, accetto i tuoi sentimenti -
Sentivo mille occhi trafiggermi, da ogni direzione.
- No - pronunciai solo.
Ero nella più totale confusione. Aveva appena, seriamente accettato la mia dichiarazione? E io avevo appena risolto un problema per ficcarmi in uno più grande, come avevo ben capito?
- Non puoi accettare i miei sentimenti - continuai imperterrita - devi rifiutarmi come hai fatto con le altre. -
Ora era lui a guardarmi con un’espressione aggrottata in fronte.
- Soffri di una doppia personalità o sei semplicemente masochista? - chiese cauto.
- Non ho nessun problema psicologico! - esclamai indignata.
- Davvero? Perché giurerei averti sentito dire che ti piaccio. -
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Capitolo 3

Avevo passato le ore precedenti a pensare, se la scelta che avevo deciso di intraprendere, fosse davvero la più giusta che potessi portare avanti.
Mi sarei confessata e anche se non era una vera confessione, mi sudavano le mani, ero alquanto agitata.
Il cuore batteva a mille, lo stomaco era sotto sopra, e la mia testa mi sembrava leggera e pesante allo stesso tempo.
Non che fossi scossa per le parole che avrei dovuto pronunciare, no, era tutta la missione suicida che volevo portare avanti che rasentava la follia.
Mi sarei dichiarata, e dopo essere stata rifiutata, in modo esaustiente, avrei portato testuali parole a Jonny, se non fosse bastato, non mi sarei arresa, ma non avrei cercato neppure rifugio negli insegnanti, l’avrei affrontato e avrei chiarito la cosa, una volta per tutte.
Il ragazzo, meglio dire il mio bersaglio, era il ragazzo più popolare della scuola, Cole Beckett, famoso per il suo cuore di ghiaccio, oltre che per la sua bellezza, non aveva mai accettato una ragazza in quattro anni.
Si diceva giocasse divinamente a calcio e che il suo sorriso fosse in grado anche di sciogliere i ghiacciai artici.
Non mi ero mai interessata direttamente a lui, le uniche volte che davvero avevo preso in considerazione il suo nome era stato quando mi aveva superato in graduatoria, per via dei voti.
Era successo solo due volte.
Avrei agito all’ora di pranzo, sapevano tutti infatti, persino i muri probabilmente, che in quel frangente di tempo si trovava infondo al corridoio a nord, insieme ai suoi amici. Se una ragazza voleva confessarsi a lui, doveva andare là.
I minuti passavano, Jonny continuava a guardarmi, considerandomi già sua, con ogni probabilità.
Continuavo a fissare l’orologio, sperando più che mai che questo si bloccasse, che un allarme anti- incendio risuonasse o che la terra tremasse sotto i miei piedi.
Ma ciò che accadde, fu soltanto il banale proseguire degli eventi.
La campanella suonò, portando nell’ aria il suono di quel leggero ticchettio metallico, che solitamente ascoltavo con piacere.
Pensavo che l’ansia si sarebbe impossessata di me, invece mi ritrovai sin troppo calma, con le mani ghiacciate, il respiro lieve e normale.
L’ indifferenza era finalmente sopraggiunta, o al meno una facciata di questa, che sarebbe, forse durata, per mezz’ora, per poi sfociare in un irrazionale panico.
Mi alzai dal mio posto, e mi diressi verso il corridoio nord.
Mi sembrava di camminare da ore. Era pieno di studenti, il loro vociare, mi dava sui nervi, poiché loro non dovevano affrontare situazioni come le mie.
Ma in quel momento non volevo sentirmi una vittima, accondiscende degli eventi. Volevo sentirmi bella, spavalda e sicura di me.
Tre aggettivi che in quel momento non mi si addicevano affatto.
Probabilmente quello che provavo doveva essere alla pari di 1/100, di quello che aveva provato Maria Antonietta, nell’ incamminarsi a testa alta al patibolo. Solo che lei senz’altro era bella, risaltava sicura di se stessa e sapeva a che conseguenze sarebbe andata incontro.
Sarei voluta tornare in classe di corsa, ma ormai ero arrivata al vicolo cieco.
Vi erano impilati diversi banchi, in modo disordinato, accatastati gli uni sugli altri, e su questi vi erano gli amici di Cole e Cole stesso.
Erano intenti a mangiare, a ridere e chiacchierare.
Una fila di nove ragazze, mi si prospettava davanti, la maggior parte di queste era accompagnata da un supporto psicologico, un’amica.
Alcune avevano lettere d’amore in mano, che consegnavano per poi scappare via. Anche io ci avevo pensato, ma non avrei avuto un’immediata risposta, per cui, anche se era un’alternativa più semplice, vi avevo rinunciato.
Notai che le ragazze che si dichiaravano in modo diretto, venivano prima guardate attentamente, dopo che si erano presentate, e non ricevevano mai un sonoro no, o una risposta sbrigativa. Come se ricercasse in loro qualcosa.
Sapeva rifiutare con tatto, constatai.
Avevo ascoltato cinque perfette negazioni.
Poteva bastare, mi ero fatta un’idea di come avrei potuto rispondere a tono a Jonny.
Stavo quindi per fare dietro front, quando la ragazza prima di me scappò via, prima che potesse dir qualcosa.
Così mi ritrovai davanti al bersaglio.
Mi ritrovai ad osservarlo.
Aveva zigomi alti, capelli di un nero così intenso da risaltare blu alla luce del neon, occhi chiari, che s’ intravedevano tra i ciuffi disordinati, e lunghe ciglia.
La sua corporatura era magra, ma si scorgevano le forme dei muscoli, che si era forse procurato giocando a calcio.
Le labbra erano di un rosso non troppo carico, ma che avrebbe di certo fatto invidia a qualsiasi ragazza.
Una mano reggeva un succo di frutta, mentre l’altra pareva riprodurre, sul legno, il ritornello di qualche canzone, che però non riconoscevo.
Sapevo che lui mi stava squadrando a sua volta.
E poi i nostri sguardi giunsero a incrociarsi, inevitabilmente.
I suoi occhi erano di un’indefinibile tonalità verde-castano.
Mi rivolse un tenue sorriso. E io mi riscossi, ora toccava a me.
<< Mi piaci >> dissi semplicemente, immaginandomi di parlare con un pomodoro, intento a darmi lezioni di samba e norvegese allo stesso tempo, per riuscire a non imbarazzarmi, o assumere ridicole espressioni.
<< Hmm >> rispose soltanto.
<< Non so neppure il tuo nome >> sentenziò chinando la testa da un lato, senza però smettermi di studiarmi. Per un attimo mi parve un gatto.
Giusto, le altre avevano dato una breve descrizione di se stesse, quasi si trovassero a un provino, come se avrebbe potuto far la differenza.
<< Mi chiamo Ophelia >> vidi di aver catturato completamente la sua attenzione, anche se non mi spiegavo come, andai avanti << frequento la quarta A, la mia materia preferita è storia … >> non sapevo che altro aggiungere, non volevo cadere nel banale, certo, ma non volevo neppure rivelare tutto a un perfetto sconosciuto.
Per fortuna venni interrotta.
<< Okay >>
Mi accigliai un attimo.
<< Come scusa? >> domandai.
<< Ho detto okay, accetto i tuoi sentimenti >>
Sentivo mille occhi trafiggermi, da ogni direzione.
<< No >> pronunciai solo.
Ero nella più totale confusione. Aveva appena, seriamente accettato la mia dichiarazione? E io avevo appena risolto un problema per ficcarmi in uno più grande, come avevo ben capito?
<< Non puoi accettare i miei sentimenti >> continuai imperterrita << devi rifiutarmi come hai fatto con le altre. >>
Ora era lui a guardarmi con un’espressione aggrottata in fronte.
<< Soffri di una doppia personalità o sei semplicemente masochista? >> chiese cauto.
<< Non ho nessun problema psicologico! >> esclamai indignata.
<< Davvero? Perché giurerei averti sentito dire che ti piaccio. >>
L’avevo detto certo, ma non per diventare la sua ragazza, decisi di cambiare tattica.
<< Perché io? Scommetto che ogni giorno vengono a dichiararsi a te persone più belle e intelligenti. In più mi era parso di capire che tu non accettassi realmente nessuna. >>
Infatti se no non sarei venuta qui, conclusi tra me e me.
<< Non capisco >> disse lui dal canto suo.
<< Bene allora siamo in due >> sentenziai sollevata, era tutto un malinteso.
<> ribadì indicandosi, tanto per essere sicuro che capissi << e io ho risposto che per me, va bene, vorrei che tu, diventassi la mia ragazza. Ora tu non dovresti, non so, essere …felice >> constatò dubbioso.
Dovevo farmi coraggio, non stava davvero accadendo.
<< ma io non sono felice, perché sono venuta qui >> dissi indicando il luogo con un ampio gesto << per essere rifiutata, non per diventare la tua fidanzata >>
Avevo parlato con calma e voce pacata, persino James avrebbe afferrato il concetto.
Sentii qualche suo amico scoppiare a ridere.
<< Ehi Cole >> esclamò uno << mi sa che sei tu quello che è stato rifiutato >>
Altre risate.
Cole, dal canto suo se prima aveva lo sguardo confuso, ora era scoppiato a ridere come gli altri.
Aveva una bella risata, pulita, spensierata.
A quel pensiero mi ricordai che ancora avevo una lunga giornata, prima di poter tornare a casa e dipingere, più di dodici ore.
Sospirai, stavo perdendo tempo, non avevo ancora mangiato e dovevo parlare con Andersen e chiudere lì la faccenda, prima che diventasse di dominio pubblico, più di quanto già non fosse, e ingestibile.
Feci per andarmene, ma lui mi afferrò il polso.
<< Dove credi di andare? Io sono serio >> dichiarò, continuando a guardarmi.
Di nuovo silenzio.
<< Allora rispondi alla mia domanda >> dissi senza sottrarmi al sua sguardo, che pareva cercar di intravedere la mia anima, talmente era profondo.
Lui mi guardò un attimo interdetto.
<< Perché io >> chiesi allora nuovamente.
Parve pensarci un attimo, come se fosse indeciso se dirmi la verità o no.
<< Perché sei carina? >> provò.
Non mi stava dicendo la verità.
<< Hai visto come sono vestita, come sono i miei capelli, qualsiasi ragazza che era in fila era più “carina” di me >>
<< Probabilmente anche quella era una tattica per riuscire a ricevere un rifiuto da parte mia >>
Non risposi.
<< perché sei intelligente? >> ritentò.
<< in che posizione ero a fine quadrimestre in graduatoria? >> domandai sondando il terreno.
Lui si guardò in torno, come in cerca d’aiuto, ma non arrivò nessun suggerimento.
<< decima? >> si arrischiò.
<< seconda >> dissi liberandomi dalla sua stretta.
Lui rimase un attimo sorpreso, per poi sorridere.
Quando sorrideva aveva le fossette.
Non era il momento di pensare a questo!
<< Vedi sei intelligente >> rispose lui vittorioso.
<< e tu un bugiardo >> decretai liberandomi dalla sua stretta.
Un coro di fischi accompagnò il mio passo svelto, verso l’altro corridoio.
Una parte di me avrebbe voluto arrischiarsi a stare ancora lì, con lui, un’altra voleva solo sfuggire al suo sguardo.
A metà strada, orami certa di esser fuori pericolo, quasi saltai quando sentì le sue parole appena sussurrate al mio orecchio.
<< hai lo stesso nome dell’amante di mio padre >>
Mi girai, constatando, che il ragazzo che aveva davvero pronunciato quelle parole, fosse realmente Cole.
Restai a guardarlo, un poco imbarazzata, per la sua vicinanza e confusa dalle sue parole, che da un momento all’ altro aspettavo lo facessero scoppiare a ridere, indicandomi che si trattava di una presa in giro.
Non potei però constatare i miei sospetti, ma anzi il mio grado di stupore non fece che aumentare, dato che le sue guance iniziarono a sfumarsi di alcune graduazioni di rosso.
Quindi o era un bravissimo attore, o mi stava dicendo la verità, anche se non capivo come potessi far parte io di quest’ ultima. Decisi di mettere le cose subito in chiaro, cercando in tal modo di non creare nuove voci che portassero il mio nome.
<< Non sono l’amante di tuo padre, non so cosa tu abbia sentito sul mio conto, ma… >>
<< Lo so che non sei lei >> m’ interruppe lui.
<< Okay, allora se si tratta solo del mio nome, credo che la maggior parte delle ragazze, comprese quelle che in questo momento ci stanno osservando, farebbero carte false per essere la tua ragazza e credo che se tu le chiamassi in altro modo, chiedendolo ovviamente prima a loro, non ammetterebbero repliche >>
Detto questo mi ritrovai a sorridere, sorridere al fatto che avevo avvalorato pienamente la mia tesi e avevo respinto un ragazzo, con tatto, pensai.
Mi girai e mi diressi in classe, senza più voltarmi.
L’ insegnante ancora non c’era e l’aula era piena con due terzi degli studenti.
Andersen invece era lì confabulava con altri due studenti che non conoscevo.
Andai da lui, non ero esattamente calma, ma ero determinata e convinta, che potevo farcela. Avevo dieci minuti prima che le lezioni riprendessero.
<< Mi dispiace, ma non posso essere la tua fidanzata >>
Lo vidi sollevare gli occhi da quello che pareva un netbook.
<< E hai trovato un modo per convincermi? >>
<< Credo che un tipo come te non riscontrerebbe fattori concordanti nel suo carattere nel mio, che per questo non potremmo andare d’accordo.
In secondo luogo, credo di riuscire ancora a capire quando un ragazzo mi piace, e anche se non provo questi sentimenti in questo momento verso qualcuno non vedo perché debba abbassarmi a uscire con una persona che non ricambio. Senza contare poi che questo individuo ha già anche chiarito di essere solo interessato al mio corpo. >>
Non emise una sola parola per almeno dieci secondi, poi si alzò e con falcate ampie ma lente, mi raggiuse, seppure non distassi che pochi metri da lui mi sembrava che stesse mutando.
Letteralmente, più si avvicinava più si ingrandiva la sua ombra su di me, e il suo aspetto pareva prendere una piega sinistra e cupa.
Ma i suoi occhi ridestavano maggiormente in me una paura, lontana, sopita nel mio cuore da anni, che avevo giurato a me stessa che mai avrei rivisto.
Avrei preferito mille insulti, che nell’ udire il suo respiro gorgogliante avvicinarsi.
Era avvolto come da una cappa di tanfo, l’aspro sudore e l’alito pesante per via del pranzo, cominciarono a nausearmi, inconsapevolmente, indietreggia, mostrando paura.
Quel solo passo, mi portò nella abisso più nero, in cui mai avrei voluto risprofondare.
Andai a colpire un banco dietro di me.
Vidi il suo sogghigno prender forma sul suo volto.
Gli occhi grandi come aghi, bramavano un contatto, che ripugnante, arrivò strisciando lungo il mio braccio e risalì sino alla spalla.
Dovevo restare lucida, le miei corde vocali sembravano impossibilitate dall’ emettere un qualsiasi suono, e un nodo pesante e doloroso era nato proprio a dimostrarlo.
Vidi una via di fuga sulla destra, e cercai di scansarmi in quella direzione per andare alla porta.
Lui afferrò il mio braccio e iniziò a torcerlo, riportandomi con uno strattone, nuovamente intrappolata tra lui e il banco.
<< Lasciami >> cercai di urlare, ma t quello che mi fuoriuscì dalle labbra pareva più una supplica.
<< Tu sei mia, l’unica ancora non l’ha capito sei tu, che ancora opponi una così stupida e ridicola resistenza. >>
Con una mano teneva ora entrambi i miei polsi dietro di me, in una presa tanto dura, da provocarmi dolore, a ogni movimento che provavo a fare.
L’ altra mano invece, si era insinuata sotto i miei vestiti, superando l’altezza dell’ombelico.
Questa volta riuscì a urlare.
Nessuno dei miei compagni si girò nella mia direzione, era come se non fossi lì.
Era come se per loro non esistessi.
Le lacrime iniziarono a solleticare e farmi prudere gli occhi, quasi stessero anch’ esse cercando di far la loro parte nella lotta che stavo portando avanti.
Mi ritrovai a pregare, mentre, sotto di lui, cercavo di tirargli colpi con le gambe, ma con scarso successo.
Mi stava slacciando il reggiseno.
Stavo entrando in panico.
Il mio corpo non voleva muoversi come comandavo. Si stava paralizzando.
I miei occhi cominciavano, di nuovo, a perdere i contorni degli oggetti che mi circondavano, mostrandomi forme sfocate, allungate.
Le vecchie ferite del mio cuore riemersero in tutta la loro forza, provocandomi un dolore al petto, radicato nel mio passato
Una porta in lontananza si aprì.
C’era una sorta di scompiglio nell’aria.
Un profumo, che oggi avevo già avuto modo di sentire.
Cole.
Come un principe su di un cavallo bianco era arrivato. L’ unico problema stava nella semplice costatazione che non era il mio principe.

 







 
   
 
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