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Autore: Eneri_Mess    26/10/2008    5 recensioni
« Si sono verificati strani casi, in diverse parti del paese. Notizie sparse, che nessuno collega tra loro, ma tutte riguardanti donne e neonati apparentemente morti a causa di tristi incidenti o per negligenza. Alcuni palesemente uccisi da ignoti. Fatti di cronaca che si perdono tra elezioni politiche e sfilate di moda ».
Genere: Azione, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Altro Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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« Gatti selvatici si incontreranno con iene, i satiri si chiameranno l'un l'altro;

vi faranno sosta anche le civette e vi troveranno tranquilla dimora »

 

[Isaia 34-14]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mission 01. Le paure di Maha

 

 

 

Il temporale della sera precedente aveva lasciato dietro sé i rimasugli consumati di cupe nuvolette bigie che, con calma indifferente, si stavano dissolvendo in cumuli color bianco sporco dalla consistenza di lana grezza. Il mite sole sorto quella mattina era pallido e privo di calore, e riversava sui palazzi e sui tetti una luce appena sufficiente a diradare le ombre.

Nelle vie, soprattutto lungo quelle che il sindaco prometteva di riassestare, le pozzanghere infingarde separavano quella che sarebbe stata la solita uniforme massa di individui dediti ad andare ognuno per la propria strada. Le macchine marciavano a velocità sostenuta, incuranti degli spruzzi di acqua sporca che sollevavano, attirandosi le ire e le invettive dei passanti.

Chi invece si sbeffeggiava di entrambe le categorie, zigzagando nell’ingorgo mattutino con l’acceleratore pericolosamente al limite, era un motociclista il cui cappotto rosso sembrava il reale prolungamento della carrozzeria cremisi della Harley che cavalcava. Come fiamme, i lembi della giacca in pelle fendevano l’aria col tipico garrire insistente della stoffa che, unito al rude e seducente rombare del motore, incrementava la già alta adrenalina e spericolatezza del conducente, il cui volto era celato dalla visiera opaca del casco.

« EHI, STRONZO! LA STRADA NON E’ TUA! » urlò qualcuno al suo indirizzo, ma per tutta risposta il Cacciatore si esibì in una spettacolare impennata che attirò l’attenzione dei presenti, tanto che si udì distintamente il rumore di un tamponamento da parte di chi era troppo preso a fissare l’evoluzione del mezzodemone per preoccuparsi di frenare.  

Con un’ulteriore presa del gas, il motociclista filò lontano dai clacson impazziti e dalle grida incavolate di quanti avrebbero perso metà della giornata bloccati nel traffico.

 

 

La fine della periferia si aprì davanti a Dante in un’immensa distesa pianeggiante di campagna umidiccia e scolorita. La grande strada secondaria che portava verso la frazione lì vicina era occupata quasi del tutto nella carreggiata d’ingresso alla città, mentre in uscita il Cacciatore di Demoni poté mantenere la stessa invariata folle velocità, raggiungendo in metà del tempo previsto la piccola Coltrade.

Costretto a rallentare a causa delle strade interne più strette e per l’affluenza di ragazzini suicidi su entrambi i marciapiedi, perse i minuti fino a quel momento guadagnati nel tentativo di non rimanere incastrato tra le poche macchine in marcia – tutte guidate da incompetenti – e di non imbarcare le dozzine di ciclisti che si credevano i padroni dell’asfalto. Seccato, imboccò in fine la strada per cui quella mattina si era svegliato così presto.

Il motore della Night Ros si spense con l’ultimo secco ruggito di una belva che si concede un meritato riposo. Togliendosi dal capo il fastidioso casco, portato per mera utilità, Dante squadrò con una curva contrariata delle labbra la villetta in stile coloniale che spiccava in mezzo a quelle più modeste, ma non meno appariscenti, della larga via suburbana. Non c’era giardinetto non curato, come non mancavano variopinte cassette della posta e due o tre macchine il cui solo specchietto retrovisore sarebbe costato quanto il Devil May Cry.

Ma fra tutte, quella che sicuramente destava più curiosità era la casa a tre piani bianco panna che aveva di fronte. Il solo giardino attirava da sé lo sguardo dei transitanti della zona.

Siepi di ortensie e petunie si trovavano disseminate nelle villette di tutta la via in modo geometricamente noioso, senza una grande varietà di colori, che andavano dai toni dell’azzurro a quelli bianchi, con qualche pallido accenno di viola; al contrario, al numero diciassette facevano mostra di sé, invitanti alla vista, diversi tipi di fiori dagli accesi toni rosso-carminio, con qualche appariscente pistillo giallo. Due bei e rigogliosi meli, con rami lunghi e affusolati, che parevano volersi cercare e intrecciare a mezz’aria, erano situati ai due lati del portico, ombreggiando sulla destra una panchina in ferro dipinta come la casa, a sinistra quello che sembrava un tavolo adibito al giardinaggio, con sopra almeno una dozzina di vasi di pianticelle d’ogni genere.

Un occhio attento avrebbe però scorto dell’altro, qualcosa che non era volontariamente nascosto alla vista, ma che in pochi, dopo essersi soffermati sulla bellezza piena e matura del giardino, avrebbero davvero gradito.

Sinistri e inquietanti, agli angoli del perimetro, in mezzo ad alcune aiuole come fossero stati semplici tronchi scuri e lucidi, quattro totem sorgevano statici, e ad una seconda occhiata – forse – buffamente chic. Se fossero stati realmente semplici pezzi di legno da collezionisti fanatici.

Dante entrò facendo scattare la serratura del basso cancelletto. In un attimo, sentì addosso diverse paia di occhi spirituali e sgradevoli presenze a vorticagli intorno come moscerini, ma invisibili, impalpabili e dannatamente intoccabili. Con uno sbuffo irritato, scorse senza dar loro troppo peso gli sguardi dei totem, bagliori rossi accesisi nelle orbite vuole e incavate dei volti oblunghi dai connotati cesellati.

« Siete davvero seccanti » borbottò di pessimo umore, tenendo le mani serrate in tasca perché il desiderio di stringere l’elsa della Rebellion lo stava torturando. Non che un suo attacco con la spada avrebbe sortito qualche effetto contro quelle presenze, in fondo non ostili nei suoi confronti, ma dannatamente noiose.

Si mosse in direzione del portico, costantemente seguito dal corteo di spiriti che infestavano il bel giardino, rimasto composto e silente come se in realtà si trattasse di un quadro impressionista. Neanche col tempo di masticare qualche malaparola all’indirizzo delle presenze fluttuanti, che il mezzodemone si ritrovò sotto la veranda improvvisamente da solo, senza più bisbigli trascendenti e leggeri brividi sottopelle per i contatti ultraterreni.

Corrugando la fronte liscia, il Cacciatore di Demoni premette il citofono, senza tuttavia distogliere lo sguardo dalle tre maschere artigianali che ornavano i lati della porta d’ingresso. Stilizzati e volontariamente deformati, lo fissavano il muso di una iena, i dentini aguzzi di un coccodrillo e, sulla trave superiore, il becco di un’aquila. Dante sorrise loro, ghignando. Una mossa sbagliata da parte sua e finalmente avrebbe avuto un po’ di divertimento. Solo che si sarebbe trovato dalla parte del torto, e non era poi così eccitante combattere contro le entità protettrici della casa.  

Quei pensieri durarono un attimo. Al di là dell’uscio, in ebano, sentì ciabattare rumorosamente prima che la porta venisse spalancata di malagrazia.

Ok, ad aprire non fu chi si aspettava.

Dante si soffermò appena sul volto della ragazzina che aveva davanti, cercando di mettere insieme i pochi ricordi che possedeva di lei. Carnagione color cioccolato, capelli nerissimi stretti in piccole treccine, arroganti occhi verde acqua. Non dimostrava più di tredici anni. Al contrario, la suddetta, dopo aver squadrato dalla testa ai piedi il mezzodemone con espressione corrucciata, si tolse una delle cuffiette del walkman e si voltò indietro, dando poco delicatamente fiato ai polmoni:

« MAMMA! C’E’ IL SIGNORE COI CAPELLI BIANCHI CHE ASPETTAVI! »

Dalla cucina si sentì qualcosa di pesante cadere per terra, seguito da un’imprecazione. Meglio di così non poteva iniziare, pensò il Cacciatore, entrando e lasciandosi sbattere alle spalle la zanzariera e la porta di casa. La tredicenne che aveva fatto gli onori di casa si era defilata prima che i rimproveri della madre potessero raggiungerla.

« Escitene con un altro urlo del genere, Dalila, e vedi come ti faccio passare questo atteggia- oh » la sgridata si interruppe quando la donna, intenta a pulirsi le mani sul grembiule, giunse nell’ingresso, costatando che ad ascoltarla c’era soltanto il mezzodemone. Sorrise improvvisamente, con calore. « Ciao! » 

Forse Dante si sarebbe concesso un saluto altrettanto affabile. In fin dei conti, Maha era una delle poche persone che per lui più si avvicinava a un’amica, dopo essere stata una buona compagna di bevute e di piccanti nottate in gioventù. Ma questo accadeva più di quindici anni prima.

« Non voglio nemmeno pensare a quanto tempo è che non ti fai vivo. Sei rimasto il solito pigro perdigiorno » l’accusò bonariamente Maha, scuotendo la testa e di conseguenza le finissime treccine, tenendo le mani ferme sui fianchi.

Come prima, Dante avrebbe risposto, a tono, se non fosse stato che la sua attenzione, dall’arrivo della donna, fosse stata catalizzata dal suo ventre. Decisamente rotondo.

Finalmente un ghigno, che si figurò più come una finta smorfia sdegnata, si aprì sul volto del mezzodemone.

« Ti sei lasciata incastrare di nuovo dal tuo principe, baby? »

Il suo tono e il suo sguardo accattivanti indussero la futura partoriente a guardarlo per qualche lungo istante, prima di scoppiare a ridere con voce argentina e melodica, senza un apparente motivo.

Si avvicinò a Dante, ondeggiando appena per via del pancione, e riprese a guardarlo dall’alto in basso, stampata sul viso un’espressione birichina. Con un dito affusolato, dalla pelle morbida e scura come cacao, accarezzò il lieve strato di barba che il Cacciatore aveva lasciato crescere sotto il mento. Parve compiaciuta.

« Ricordo un ragazzino poco più giovane di me che si divertiva a fare lo spaccone spericolato e l’esibizionista – le sue palpebre si assottigliarono appena sugli occhi verde acqua, sempre divertiti – un bamboccio che di punto in bianco mi chiese se ero all’altezza di una notte di fuoco con lui. Un modo di sedurre discutibile ».

Il sogghigno di Dante si adeguò a quel bizzarro gioco di ricordi. Oh sì, anche lui aveva chiari in testa quei momenti, che con una donna bella come Maha avrebbe replicato seduta stante, se quindici anni non fossero passati a cambiare le cose.

Il dito della padrona di casa picchiò affettuosamente sulla punta del naso di Dante, riportandoli entrambi al presente.

« Ora che non ho più l’età per ricevere certe avance – sospirò fintamente a malincuore – mi tocca sperare che il mio vecchio latin lover si faccia vivo, oltre che per lavoro, anche per due chiacchiere ».

« Così va il mondo dolcezza » si strinse nelle spalle Dante.

Maha lo guardò stralunata, prima di agitargli davanti alla faccia lo stesso dito di prima in segno negativo.

« Ah-ah, signorino, manco per niente. Così gira il tuo di mondo, razza di ghiro affetto da bradipismo acuto! »

Scoppiò subito a ridere, di nuovo cristallina, prima che lui potesse replicare. La risata si sciolse pian piano, mentre la donna teneva una mano aperta sul pancione, come a sorreggerlo, e con l’altra si appoggiava al braccio di Dante, visibilmente più a suo agio.

Con un ultimo singulto, Maha riprese il controllo di sé.

« Vieni, ho la tua signora bruna che ti aspetta di là ».

Detto questo, fece strada attraverso il salottino arredato con mobili in vimini scuro,  imbottiture e i tendaggi chiari, proseguendo in un corridoio con almeno quattro porte, fino alla stanza che dava sul retro del giardino. Lo studio di Maha.

La porta scivolò sui cardini senza un rumore, sebbene sembrasse vecchia di almeno due secoli. Sul legno opaco erano stati incisi disegni che avrebbero avuto bisogno di una lunga e paziente occhiata per essere decifrati. A Dante tuttavia bastò varcare la soglia per avvertire la sottile elettricità che permeava l’ambiente. Incantesimi di protezione.

Le quattro pareti che delimitavano il lucido parquet erano nascoste da una lunga scaffalatura, alta fino al soffitto, che correva in circolo da un lato dell’uscio all’altro. In ogni ripiano, da quello più basso, che conteneva ampi cassettoni con pomelli cesellati, a quello più alto, erano stipati ogni sorta di libro, boccetta colorata o, all’apparenza, cianfrusaglia. Diverse maschere tribali, fissate ai margini congiunti di ogni scansia, dominavano la scena come le telecamere di un caveau, seguendo con le orbite vuote ogni singolo movimento.

Al centro della camera si trovava un’enorme scrivania, massiccia e anch’essa finemente elaborata nei minimi dettagli. Il piano era ingombro, ma in ordine, di ogni sorta di oggetto, di cui molte piccole statuine grottesche, altri volumi, qualche rotolo di pergamena, e quelli che sembravano amuleti di perline, con lacci spessi di pelle e pendenti in legno, metallo e cuoio. C’era un profumo pungente che aleggiava nell’aria, una fragranza in fin dei conti rilassante che sapeva di unguento.

Il mezzodemone, tuttavia, per quando l’ambiente risultasse tranquillo, non si lasciò ingannare, e avvertì nitidamente altre presenze aggirarsi e – non c’era nemmeno da scommetterci – controllarlo attentamente.

Intanto Maha, che appariva calma e pacifica nel suo ciondolare involontario, raggiunse un armadio e tirò giù da una delle mensole una valigetta di acciaio delle dimensioni di una scatola per scarpe, che depose sulla scrivania prima di lasciarsi scivolare sul morbido cuscino della poltrona dallo schienale alto e rigido dietro ad essa. Sorrise a Dante, facendo scattare le chiusure del coperchio.

Anche il Cacciatore piegò le labbra, ma in un sogghigno compiaciuto, rientrando in possesso della sua amata Ebony senza troppi preamboli. Strinse la mano sul calcio dell’arma, rigirandosela soddisfatto davanti gli occhi concentrati a riconoscerne ogni dettaglio. Era come nuova.

La padrona di casa rise sotto i baffi, poggiando i gomiti sulla superficie lignea e intrecciando delicatamente le dita affusolate, sfiorando col mento il polso sinistro mentre fissava il mezzodemone.

« Le prestazioni del tamburo sono state migliorate, come quelle della molla di recupero: la velocità del proiettile è aumentata e il rinculo è stato ulteriormente smorzato » spiegò la donna, borbottando ogni parola alla stregua di una litania che sembrava essersi imparata a memoria. Fu il turno di Dante di farsi scappare due risate all’indirizzo della ex-compagna, sedendosi a modo suo su una delle sedie davanti la scrivania. « La struttura è stata rifatta completamente con una lega più resistente… » concluse lei pensierosa, fissandolo mentre continuava a rigirare la pistola, e la gemella Ivory, tra le mani, stravaccato come se si trovasse al Devil May Cry.

« Un lavoretto niente male » commentò l’altro con un fischio, lanciandole un’occhiata che una qualsiasi donna avrebbe interpretato come un invito esplicito. Peccato che Maha lo conoscesse bene, e sapesse altrettanto bene che in quel momento il Cacciatore di Demoni aveva in testa solo le sue due letali dame. Corrugò la fronte, sciogliendo gli angoli della bocca in un nuovo sorrisetto saputo e condiscendente.

« Mi è passata la voglia di sapere come hai ridotto quella pistola a un colabrodo » disse, più a se stessa, ma allo stesso tempo mossa da una certa curiosità. Da quando Ivory ed Ebony erano nate, non avevano quasi mai avuto bisogno di una manutenzione così pesante come una totale ricostruzione. In fondo, erano le migliori armi che suo marito avesse mai sfornato alla D.E. Industry, benché lavorasse per il governo e quei modelli fossero per un privato.

Dal canto suo, Dante smise di giocherellare, tornando a fissare Maha con una certa serietà. La donna non ci mise molto a indovinare l’argomento, notando come l’aria di fosse, impercettibilmente, addensata.

« Mi è capitato tra i piedi un mezzodemone impazzito » iniziò il Cacciatore senza alcun preludio, il tono che per una volta non sembrava oscillare su nessun sentimento particolare. Neutro.

L’espressione di Maha si assottigliò appena, come gli occhi, fattisi attenti.

« E’ stato lui a ridurla – e levò la pistola nera – in quel modo ».

La bruna non replicò subito, registrando le parole e riflettendo, poiché si trattava di una questione delicata. Era già molto raro, quasi un evento unico, imbattersi in una creatura per metà umana e per metà demoniaca… se questa poi dava segni di squilibrio, la faccenda poteva evolversi in qualcosa di molto, molto pericoloso. Non erano tanti quelli che prendevano seriamente in considerazione le potenzialità di un mezzosangue.

Dante ne era la prova.

« Ha creato problemi? »

Il Cacciatore fece spallucce, dissimulando l’iniziale gravità della storia.

« A parte tentare di fare una strage in un buco per tossico dipendenti, sbavando in giro che anche lui voleva la “madre”... no, niente di speciale » disse, sottolineando la pacatezza degli eventi con un gesto noncurante della mano guantata.

Maha allentò la tensione, respirando a fondo. Tuttavia, il mezzodemone riprese subito a parlare.

« L’unico problema » cominciò di nuovo, lento e senza alcuna vena ironica « è che non ci sono stati altri problemi, dopo ».

Lo sguardo di ghiaccio di Dante fissò, con apparente disinteresse, la reazione sul viso della donna, che rimase contraddetta.

« Ti sbagli » fu di fatti la sua risposta, mentre scrollava la testa mora a occhi chiusi, umettandosi le labbra.

Il Cacciatore inarcò le sopracciglia, curioso. Ma prima di lasciarla continuare, intervenne ancora.

« Stai per dirmi com’è che hai triplicato la presenza di spiritelli in ogni angolo della casa? »

« Ti sei interessato alla cronaca ultimamente? » domandò di rimando Maha, senza alcuna ombra di divertimento. Stava dritta con la schiena, quasi irrigidita, tenendo entrambe le mani sul ventre avvolto dal grembiule e dalla stoffa rubino del vestito pre-natal, rifinito a mano con perline e ricami in stile africano.

Dante le scoccò un’altra intensa occhiata, prima di gesticolare ancora al vuoto, in un chiaro segno negativo. Era il lavoro che veniva da lui, mica il contrario; e di certo non si sarebbe messo a spulciare le pagine di un giornale in cerca di persone bisognose dei suoi servigi. La TV, dal canto suo, si era definitivamente scassata sotto le sue manate aggiusta-tutto. Quindi, di quello che era successo nel mondo, a lui non erano giunte voci.

Con un altro sospiro, in parte vibrante di una preoccupazione malcelata, la padrona di casa raccolse le idee per esprimersi chiaramente.

« Si sono verificati strani casi, in diverse parti del paese. Notizie sparse, che nessuno collega tra loro, ma tutte riguardanti donne e neonati apparentemente morti a causa di tristi incidenti o per negligenza. Alcuni palesemente uccisi da ignoti. Fatti di cronaca che si perdono tra elezioni politiche e sfilate di moda ».

Non una sillaba fu percorsa da altro sentimento se non da un’angosciata serietà. Maha disse tutto senza staccare lo sguardo da quello del mezzodemone, a malapena conscia della crescente inquietudine che le strava facendo contrarre le dita sul pancione.

Quest’ultimo non replicò, lasciando continuare la donna.

« Nessuno – tornò a ripetere – sta vedendo questi eventi in prospettiva. O meglio, può osservarli da un’ottica diversa che non sia quella della “normalità”. Ma c’è qualcosa che si agita nell’aria, ed è una chiara minaccia al nostro mondo ».

« Maha, » sussurrò Dante con uno sguardo indecifrabile « la gravidanza ti rende paranoica ».

La suddetta lo fulminò con un’occhiata, prima di tornare a scuotere la testa, massaggiandosi la fronte con una mano. L’aveva pensato anche lei, all’inizio. Coincidenze. Talvolta era difficile distinguerle da segnali in realtà chiari e tangibili. Era vero che quello che avvertiva intorno, nell’aria, non era nulla di concreto, ma labile e fittizio, tuttavia il suo sesto senso la stava mettendo in guardia. E Dante – disse a se stessa – era uno sciocco a comportarsi da scettico come al solito. Se oltre al fumo non vedeva anche l’arrosto, nulla aveva valore per lui. Uno sciocco, si ripeté, mentre lo guardava alzarsi per andarsene.

« Non tenermi il muso bellezza » celiò il Cacciatore all’indirizzo dell’espressione sostenuta mostrata dalla mora. « Terrò gli occhi aperti. Promesso » continuò, prima di aggiungere fintamente a malincuore. « Si trattasse anche solo di qualche Strige in vacanza ».

« Evita di sprecare il fiato » gli consigliò lei, tagliente, alzandosi a sua volta per salutarlo, ignorando il gesto del mezzodemone che la invitava a rimanere seduta.

Dante ghignò. L’aveva fatta incavolare. Un tempo ci sarebbe scappata una scopata di quelle ad alto voltaggio, da lasciare i segni sulla pelle. In quel momento una maledizione, forse, ma di quelle che pure i principi infernali avrebbero gradito scansare.

Quando si trovarono di nuovo uno di fronte all’altra, separati dal ventre gonfio di lei, Maha sciolse l’espressione irrigidita per pura forza di volontà. Era tesa per una serie di motivi diversi, tra cui quei dubbi che le stavano rendendo sempre più difficile mantenere il controllo e la stabilità psichica che la sua “dolce attesa” richiedeva. Si concesse di stirare le labbra in un sorriso sincero e un po’ stanco.

« Stavo pensando che forse dovresti lasciarmi anche l’Ivory, così che Amiri possa migliorarla come la gemella » disse, senza tuttavia dare corpo al tono, come se avesse pronunciato una qualche futilità. Iniziava a desiderare di sdraiarsi e riposarsi.

Il Cacciatore ponderò qualche attimo la proposta, prima di estrarre dalla fondina la pistola bianca, soppesarla, e lasciarla sulla scrivania. In fondo, se in quelle ultime settimane c’era stata una calma così piatta da risultare mortalmente monotona, qualche altro giorno senza una delle sue punte di diamante dal grilletto rapido non avrebbe significato un gran cambiamento di routine. Dormire, pizza, dormire.

« Ma invece di aspettare un mese, passa prima a riprendertela. Sai che Amiri da la precedenza alle tue manutenzioni ».

« Forse perché non vuole che gironzoli attorno alla sua sexy mogliettina? » la prese in giro il mezzodemone guardandola con un’espressione eloquente e interessata allo stesso tempo.

Dopo un fugace momento di disorientamento, un accenno di risa, trasformatosi presto in una vera e propria risata, sbrogliò definitivamente il malumore della donna, che dovette appoggiarsi di nuovo all’ex-compagno per non perdere l’equilibrio.

« Come tu » cominciò Maha, passandosi le dita sugli occhi « riesca ancora a considerarmi sexy in queste condizioni... »

« Il tuo principino continua a temere che io possa portarti via, un po’ come ai vecchi tempi » sogghignò Dante, guardandola, di nuovo, con qualcosa di enigmatico nelle iridi chiare.

La padrona di casa lo fissò a sua volta, per lunghi secondi. Sorrise poi di una dolce nostalgia, tuttavia serena.

« Voi uomini siete tutti uguali » disse semplicemente, sporgendosi un poco sulle punte dei piedi per raggiungere la guancia del mezzodemone con le labbra. La sua pelle era fresca, quasi fredda, come sempre lo era stata. Una mano, grande e salda, era posata sul suo fianco ammorbidito dalla gravidanza, ma senza alcuna ombra di possesso. Quindici anni erano realmente passati.

« E tu rimani una provocatrice » le sussurrò all’orecchio con aria saputa, aspirando involontariamente il suo profumo esotico.

Ma Maha non lo stava ascoltando. Ancora aggrappata con entrambe le mani alle sue spalle, schiacciando con una lieve pressione il pancione contro il suo stomaco, fissava con occhi seri e penetranti qualcosa dietro di lui. Quando poté scorgere chi li aveva interrotti, il Cacciatore sbuffò ampliamente, voltandosi con la mano già armata della seducente Ebony.

Gli spiriti protettori della casa erano in fermento, ma… confusi. Tuttavia, si chetarono immediatamente a un gesto della padrona di casa, il cui viso si stava inspiegabilmente tranquillizzando.

« Me la ricordavo diversa, la tua bionda » celiò la donna bruna, priva di una reale nota di divertimento. Stava studiando l’intrusa, senza tuttavia guardarla con ostilità o timore, sebbene si mantenesse semi nascosta dietro il Cacciatore.

« Già, anche io » replicò Dante, senza puntare la pistola, trovando l’idea inutile dato che aveva capito di avere a che fare con qualcosa di sostanzialmente inconsistente. « Ma forse tu sai dirmi cos’è che mi perseguita da ieri sera? »

Intanto, la biondina dagli occhi color delle viole rimaneva ferma e silente a ridosso della porta, le dita intrecciate e abbandonate placide in grembo, e un’espressione curiosa seppur assente sul pallido viso minuto. Sembrava stesse aspettando che i due terminassero di discutere.

Maha si concesse ancora un minuto, prima di dar voce alla propria conclusione.

« Niente di più di un’anima » rispose, lanciando uno sguardo al mezzodemone, che ricambiò inarcando le chiare sopracciglia.

« Le anime non hanno una forma definita ».

La donna si spiegò meglio: « Si tratta di una proiezione. Il suo corpo deve trovarsi in stato vegetativo da qualche parte ». Rifletté un attimo, per poi continuare. « Le streghe sono capaci di astrarsi in questo modo. O meglio, un ristretto numero può riuscirci, e devono essere sicure che qualcuno si prenda cura del loro corpo nel frattempo ».

Il cipiglio del Cacciatore palesava il suo scetticismo nel considerare quella biondina pelle e ossa una strega tanto potente da poter compiere quanto appena descritto.

Si volse di nuovo a fissare la presenza che, a differenza di entrambi, non aveva mai scostato lo sguardo dai due o mutato espressione.

Fu nell’improvviso silenzio che le pallide labbra di quella sottospecie di fantasma di schiusero, come la sera precedente, parlando con una cadenza che intorpidiva i sensi:

« La sua casa sprofonda nella morte, ed il seguirla porta alle ombre. Tutti coloro che la seguono non possono tornare, e trovare ancora le vie della vita ».

Non ci furono luci inattese e abbaglianti ad accompagnare la sua scomparsa. Come era arrivata, così aveva abbandonato la stanza, lasciando Dante e Maha alla pari di due ebeti a fissare uno spazio irrimediabilmente vuoto.

« La strofa di un canto ai defunti e un passo biblico » mugugnò il mezzodemone, riponendo Ebony nella fondina e occhieggiando la brunetta al suo fianco, persa nei propri pensieri. « Ucci ucci, sento odor di cristianucci? »

Maha non aveva la forza di mandarlo a quel paese, ma ponderò seriamente di accollargli alle calcagna un paio di spiriti vendicatori quando, una volta alla porta d’ingresso per i saluti definitivi, il Cacciatore le baciò l’angolo della bocca prima di defilarsi in un turbinio cremisi.

Qualcosa le diceva che l’avrebbe rivisto prima di quanto pensasse.

E prima di quanto suo marito avrebbe preferito.  

 

 

To be continued?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

WOW! Cinque commentini e davvero un caloroso benvenuto :D Grazie mille a tutti!

Rieccoci nell’angolino (s)parliamo della fanfic, senza salamelecchi e preamboli XD

La citazione iniziale è tratta da Isaia e, se non ho capito male, dalla visione che annuncia la distruzione di Israele. Purtroppo non sono ferrata molto in materia biblica, ma mi sto documentando quanto posso! Comunque questa citazione verrà spiegata più avanti! :P

Entrando nel capitolo, ho già introdotto uno dei personaggi spalla, la mammina Maha, un tempo una ragazzaccia che adorava divertirsi con o senza la compagnia del nostro mezzodemone, prima di mettere la testa apposto e sposarsi con il maritino Amiri e avere Dalila. (evviva gli alberi genealogici!) Come si sarà capito, sia Maha che Amiri sono di origine africana: lei è una sciamana, mentre il marito è a capo delle D.E.Industry (Desert Eagle), industrie e laboratori per la progettazione di armi governative. Dato che da sempre si sa che Ebony&Ivory sono state progettate da Dante stesso, ho voluto creare il fabbro che gliele ha realizzate.

Ora le note sui nomi. Al solito, i miei personaggi portano quasi sempre nomi che significato qualcosa, un vizietto che non mi tolgo XD Maha vuol dire “begli occhi”, intesi come ammalianti; Amiri è “principe”, e Dante lo prende appunto in giro chiamandolo principino; Dalila, a dispetto dei suoi modi garbati, significa “gentile”, un bel controsenso XD

Dieci punti a chi indovina da cosa deriva il nome Coltrade XD

La moto di Dante è un’Harley Davidson della serie Night Rod. Sì, nella fanfic c’è scritto Night Ros, ma perché, provando a digitare a occhi chiusi (no comment!) è venuta fuori questa sigla che come storpiatura non mi dispiaceva.

Ultima nota: le Strigi nominate da Dante sono mostri della mitologia classica (“in vacanza” perché originarie appunto dell’Europa, se pensiamo che Dante abiti in un’ipotetica America!). Il loro aspetto è quello, se non ricordo male, di donne alate con artigli e rostri acuminati, coi quali si “riempivano il gozzo” del sangue delle loro vittime, preferibilmente neonati.

Credo di aver detto tutto :D

Ringrazio tantissimo Mecchan, Kid e Haro che hanno letto e commentato il prologo in anteprima! E tutti quelli che mi hanno dato un caloroso benvenuto nella sezione, apprezzando altrettanto il capitolo! Thanks! ^__^

Un bacione!

~ene

 

 

 

 

PS: questo capitolo l’ho postato a così breve distanza perché l’avevo già iniziato, ma del secondo ancora non c’è che la citazione iniziale e il titolo, quindi il tempo di pubblicazione sarà più lungo!

   
 
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