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Autore: rossella0806    26/11/2014    3 recensioni
Piemonte, inizi del 1900.
Adele ha appena vent'anni quando è costretta a sposare il visconte Malgari di Pierre Robin, di quindici anni più vecchio, scelto in circostanze non chiarite dal padre di lei, dopo la chiusura in convento di Umberto, il ragazzo amato da Adele.
I genitori del giovane, infatti, in seguito ad una promessa fatta a Dio per risparmiarlo dalla tubercolosi, non ebbero alcun dubbio a sacrificare il figlio ad una vita di clausura, impedendogli di scegliere una strada alternativa.
Sono passati due anni dal matrimonio e dall'allontanamento forzato da Umberto, e Adele si è in parte rassegnata a condurre quell'esistenza tra Italia e Francia, circondata da persone che non significano nulla per lei, in balia di un marito che non ama, fino a quando, una sera di marzo, giunge a palazzo una lettera di Umberto, che le confessa di essere scappato dal convento di monaci e che presto la raggiungerà per portarla via.
Genere: Avventura, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
Capitoli:
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“Voi mi amate?”
Adele stava guardando fuori dalla finestra della biblioteca, dove aveva raggiunto il marito pochi minuti prima: la giornata era splendida, tipicamente primaverile, tanto che la servitù aveva colto l’occasione per far arieggiare gli abiti più leggeri, ormai seppelliti da mesi nei pesanti armadi di ciliegio.
La ragazza era appena tornata da una passeggiata a cavallo e indossava ancora il suo splendido abito da amazzone con i merletti all’orlo e alle maniche, dono di sua madre per lo scorso Natale.
“Certo che vi amo! Che razza di domante fate?” domandò allibito il visconte: era seduto sulla sedia Luigi XV, dietro la grande scrivania in mogano, disseminata di lettere, libri contabili, la penna d’oca di fianco al calamaio in argento con le sue iniziali incise, e un paio di romanzi di Salgari.
A quelle parole, l’uomo si avvicinò alla giovane sposa, il lieve tacchettio della suola degli stivali sulle grandi piastrelle di marmo quadrate, attratto come ogni volta in cui avvertiva l’ingenue fragilità di lei.
“Quello che provate per me non è amore, Francesco: è l’affetto che nutre un fratello per una sorella, non quello che dovrebbe nutrire un marito nei confronti della propria moglie”
“Cominciate a preoccuparmi, Adele: in questi ultimi giorni vi state comportando in modo … enigmatico, e vi giuro che non riesco a capirne il motivo: prima la richiesta di un figlio, poi il desiderio di partire al più presto per la Francia, e adesso questa domanda così assurda! Cosa vi sta succedendo, per l’amor di Dio?!”
Adele si voltò, le mani intrecciate sul grembo, pallide come l’incarnato del viso.
“Non sono diventata matta, se è questo che vi preoccupa: ho solo troppo tempo per pensare al nostro rapporto. E non posso fare a meno di pormi delle domande”.
Il visconte sorrise scuotendo la testa e, prendendo la moglie per un braccio, con non troppo delicatezza continuò:
“Adesso vi faccio io una domanda: perché avete acconsentito a sposarmi?”
Adele guardò la mano che le stringeva il braccio, poi spostò gli occhi sul volto perfettamente squadrato del marito, i lunghi capelli corvini raccolti con un nastro di velluto blu.
“Ora siete voi quello strano" rispose con voce piatta "lo sapete molto bene che non ho potuto scegliere, come del resto ogni donna che vive in questo mondo. Però se proprio desiderate una risposta, vi dico che vi ho sposato perché siete arrivato al momento giusto.”
Il visconte lasciò la presa, frastornato dalle parole e dal profumo di bergamotto che sprigionava il corpo della moglie.
“Lo so bene questo. Quindi anche voi ammettete di non amarmi?”
“Non credo di amarvi nel giusto modo, ma vi stimo e vi ammiro, ve lo devo”
“Anche questo non è amore”
“Lo so, ma per il momento non posso fare diversamente”
Un silenzio calò, come una spessa coltre di nebbia taglia in due l’orizzonte alla vista di chi osserva al di là della foschia , e si frappose tra i due coniugi.
“Tra domani e dopodomani dovrò sbrigare delle faccende” continuò come se nulla fosse il visconte:
“ Incontrerò dei latifondisti a cui voglio affittare il vecchio casolare a Riva del Po. Poi, se tutto andrà come spero, potremo partire per la Francia già sabato mattina. Cosa ve ne pare?”
Una fitta, come una scarica elettrica, attraversò lo stomaco di Adele che, con la voce più inespressiva possibile, rispose:
“E’ perfetto, Francesco. A proposito di affari” la giovane donna si avvicinò all’uomo che, nel frattempo, aveva di nuovo preso posto sulla sedia e, le dita affusolate a lisciare di nascosto il lungo abito, propose “ nella mattinata di domani vorrei recarmi da mia sorella: lo sapete, suo marito è impegnato tutto il giorno in ospedale, così pensavo di trascorrere qualche ora con lei e i bambini …”
“Se è quello che desiderate, fate pure mia cara, non sarò certo io a impedirvelo. Resterete fuori per pranzo?”
“Sì, ma tornerò prima che faccia buio. Un’ultima cosa, farò una passeggiata a cavallo, non prenderò la carrozza … ”
“Ne siete sicura? Così ci impiegherete molto più tempo” gli occhi verdi, inquisitori e supplichevoli allo stesso tempo, si posarono sulla giovane sposa, mentre le mani frugavano delicatamente tra i soprammobili sulla scrivania, alla ricerca di chissà quale appiglio per mascherare la sua ragionevole curiosità.
“Molto bene, allora è deciso. Ora scusatemi, ma ho della corrispondenza da sbrigare”
 
 
Adele si strappò il vestito di velluto nero con i merletti all’orlo e alle maniche, con una foga che nemmeno lei credeva di poter possedere.
Stupida” si disse “una bugia così sciocca non sarebbe potuta venire in mente nemmeno alla più inesperta tra le cameriere!
La sua reale intenzione per l’indomani, infatti, era quella di recarsi all’indirizzo che Umberto le aveva scritto nella lettera arrivata a palazzo appena il giorno prima: non avrebbe mai avuto il coraggio di rispondergli, perché temeva follemente che il visconte suo marito potesse intercettare la posta e, così, venire a conoscenza di quel segreto che lei credeva aver seppellito ormai due anni prima, insieme alla sua precedente esistenza.
E poi che cosa avrebbe potuto scrivere? Quali parole avrebbero colmato quel vuoto che sentiva da tanto tempo, non appena pensava a Umberto?
La soluzione migliore le sembrò subito quella di andare di persona all’appuntamento che, presto o tardi, inesorabilmente avrebbe avuto luogo.
Il cuore di Adele batteva furiosamente al solo pensiero di rivederlo … “chissà se mi riconoscerà? Sarà cambiato? Io gli apparirò diversa? E se non lo amassi più?”. Quell’ultima domanda le parve così irrazionale che dovette reprimere un gridolino isterico.
Come poteva non essere più innamorata di Umberto, come poteva anche solo lontanamente dubitarne? La giovane sposa si avvicinò allo specchio da toeletta appoggiato in un angolo della camera da letto, la grande finestra dietro e spalle, e cominciò a studiare i suoi lineamenti riflessi in quel pezzo di vetro.
Gli occhi dalla forma leggermente allungata, dello stesso colore del miele di castagno, erano ancora vivaci come due anni prima: il naso piccolo e ben proporzionato, la bocca rossa in contrasto con la pelle lattescente, il collo lungo e sottile, in parte coperto dalle ciocche ricce castano chiaro, spettinate dalla cavalcata di poco prima.
Potrò ancora piacergli” constatò soddisfatta e, indirizzando lo sguardo verso la piccola sveglia rettangolare di porcellana sul comodino, cominciò a contare le ore che la separavano dall’incontro con Umberto.
 
 
La mattina successiva, il sole era appena sorto quando Adele uscì da palazzo.
Indossava una giacca di feltro verde scuro, da cui spuntava un’elegante camicetta di seta bianca, la gonna di velluto blu notte e gli immancabili stivali di pelle nera, a cui erano abbinati i guanti.
Aveva scelto accuratamente l’abbigliamento, con la voluta intenzione di non risultare troppo elegante nel caso sfortunato in cui qualcuno della servitù – o peggio ancora lo stesso visconte- l’avesse incontrata.
Sellò personalmente il suo baio grigio e bianco, cosa che non aveva più fatto da quando si era sposata, perché non le era mai capitato di uscire di nascosto dalla servitù e, quindi, di conseguenza, dal marito.
Diede un’ultima occhiata al cielo sgombro di nuvole, e salì a cavallo, i lunghi capelli acconciati sotto il cappellino di lana.
 
 
Dopo quasi due ore di cavalcata, la giovane fermò il purosangue in un’ampia radura di querce, dove il fiume finiva di scorrere, tuffandosi nel lago in lontananza.
L’indirizzo che le aveva scritto Umberto nella lettera doveva distare non più di qualche centinaio di metro, dal momento che Adele riusciva a scorgere piuttosto distintamente un agglomerato di case oltre gli alberi.
Si asciugò distrattamente la fronte per nulla madida di sudore, poi sì incamminò in quella direzione, il cavallo al suo fianco, trattenuto dalle redini in pelle.
Quando arrivò davanti al presunto indirizzo, la giovane credette di aver sbagliato strada, sebbene l’insegna rettangolare di marmo bianco, recava proprio il nome della piazza che stava cercando.
Constatò senza alcuna difficoltà, che era un posto troppo squallido per il suo Umberto, che non c’entrava assolutamente nulla con l’esistenza idilliaca e agiata a cui erano sempre stati abituati entrambi.
Indecisa su come comportarsi, la ragazza rimase lì per qualche secondo, consapevole del fatto che non aveva fatto tutta quella strada per niente, che era lì per uno scopo, non poteva –e non voleva- tornare indietro a mani vuote.
Avvolse le redini del baio grigio e bianco, attorno all’apposito anello infilato nella parete scrostata dell’abitazione, accarezzando il muso allungato dell’animale.
Quindi, spostò nuovamente la sua attenzione vero quel muro anonimo che, nella migliore delle sue congetture, la separava ancora per pochi secondi, dal suo Umberto.
Bussò con insicuri colpi alla porta in legno davanti a lei: un’anziana donna, vestita con un pesante abito color antracite –probabilmente di lana- le si parò innanzi.
Aveva i capelli candidi come i fiocchi di neve appena depositati sul terreno, gli occhi cerulei, la bocca dalle labbra sottili, rimarcate dalle grinze del tempo, così come le mani-che continuava a strusciare su un liso rettangolo di pezza- , rugose e con le vene in rilievo.
“B-buongiorno” azzardò la giovane “Vive qui Umberto?”
“Chi lo cerca?” la voce dell’altra aveva un retrogusto sospettoso, un timbro caldo che traspariva dal tono, in contrasto con la raucedine che caratterizzava le sue parole.
“Sono …” a come avrebbe dovuto presentarsi, Adele non aveva avuto occasione di pensarlo, eccitata com’era al pensiero di rivedere l’innamorato.
Sentì un improvviso calore avvamparle le gote che, ben presto, si diffuse all’intero volto.
“Mi chiamo Adele … “
Ma non dovette nemmeno sforzarsi di proseguire con una scusa per nulla formata nella sua mente, che la donna proruppe estasiata:
“Oh Dio del Cielo! Voi siete Adele, quell’Adele?! Come ho fatto a non riconoscervi? Umberto mi ha così tanto parlato di voi, che avrei giurato di potervi riconoscere in mezzo a mille altre donne! Entrate, vi prego!”
La giovane avvertì quella vampa misteriosa svanirle dal volto, mentre le parole dell’anziana donna, continuavano ad essere accompagnate da gesti d’entusiasmo delle mani, alternati a lievi scuotimenti del capo.
“Ve lo vado a chiamare subito” sentenziò la vecchina, una punta di infantile  incredulità nella voce, e scomparve su per una traballante scala di legno.
 
 
Adele si guardò intorno: la stanza in cui si trovava, non era più grande delle sue stalle, tuttavia era molto più luminosa, grazie alle due finestre incasellate nel muro, ai lati della porta d’ingresso.
Al centro della camera, imperava un semplice tavolo di legno adornato da quattro sedie, mentre nell’angolo del camino a vista – con un grande paiolo sul fuoco acceso- un altrettante misero sgabello di faggio, attirava l’attenzione della giovane.
intanto che stava osservando le tre mensole incastrate nella parete opposta alle finestre, Adele intravide la donna ridiscendere le scale, una destrezza incredibile nelle gambe, rispetto agli anni di cui, fortunatamente, godeva.
Ma chi impressionò veramente la ragazza, fu la persona che seguiva l’anziana: il giovane in questione, indossava una consunta camicia rossa di lana grezza, i pantaloni scuri di tela pesante, ai piedi un paio di stivali rattoppati, la folta chioma corvina illuminata da un raggio di sole che entrava a scomporre il pulviscolo roteante che avvolgeva le teste dei presenti.
“U-umberto …” la voce di lei era come un sussurro, una preghiera mormorata nel suo intimo, dopo interminabili mesi di astinenza dal pronunciare quelle poche ma vitali sillabe.
Il giovane fece di corsa gli ultimi gradini che li separavano, e si gettò tra le braccia di lei.
“Adele, amore mio!” i loro corpi s’intrecciarono, le mani di lui a prenderle il volto, mentre caldi baci le impedivano di parlare.
La vecchina uscì discretamente dalla porta, il rumore cigolante del legno che sta marcendo, ad accompagnarla.
“Oh, Umberto, sapessi quanto ho aspettato questo momento! Due anni, due lunghi anni! Io… io sono così felice che non riesco a crederci!” riuscì a dire la ragazza, il corpo scosso da asincronici singhiozzi, mentre le lacrime cominciarono a rigarle il volto, perennemente nascosti nell’incavo del ragazzo.
“Non devi piangere, finalmente siamo di nuovo insieme, uno di fronte all’altra. Dio mio, anche a me sembra impossibile, invece è vero, è vero!”
Adele si strinse ancora di più a quel corpo che per settecentotrenta lunghi giorni, aveva agognato di tenere fra le braccia.
Una fitta d’inquietudine le attraversò il cuore e, improvvisamente, si ritrovò a pensare al motivo per il quale stesse piangendo.
Era immensamente felice, dopo tutti quei mesi passati ad immaginare, a sperare ardentemente in quell’incontro che ora, prontamente, si era realizzato, non riusciva però a capire se quelle erano lacrime amare oppure no.
Quella sensazione di vuoto che le invadeva la mente e non la lasciava respirare tranquillamente, sembrava essere cessata, eppure … eppure si sentiva in colpa, stupida come se non dovesse essere lì, perché sapeva che, presto o tardi, la sua bocca non  sarebbe riuscita a rimanere chiusa davanti all’esplosione di gioia che la divorava da dentro, perché Umberto, il suo Umberto, era finalmente ritornato da lei.
 
   
 
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