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Autore: Sincro    01/03/2015    1 recensioni
Una storia ambientata in Francia in un imprecisato periodo temporale.
Personaggi custodi di un destino scritto per loro da un'entità celata da una maschera.
Questo destino sarà loro gabbia o salvezza? Chi mai si spingerebbe in qualcosa del genere e perché?
Genere: Horror, Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 8 - Visione esterna
Passato
 
 
La pioggia batteva furiosamente contro i vetri di casa Miller. Talmente forte che i vetri sembravano quasi infrangersi. Non si vedeva da tempo un temporale così aggressivo. Il lago da calmo e piatto cominciò a gonfiarsi e ad infrangere onde sempre più alte contro la costa. Betty era ancora dolorante nel letto con la caviglia strettamente fasciata. Veline era in piedi davanti alla finestra ad osservare, come ipnotizzata, la pioggia scorrere contro le vetrate. Improvvisamente uscì dalla stanza con passo svelto e idee ben chiare, ignorando la domanda di un bicchier d’acqua provenire dalla malata sorella. Percorse tutto il primo piano fino a trovarsi sotto una botola.  Afferrò una cordicella in modo da svelare una lunga scala in legno.
Un forte odore di muffa gli entrò nelle narici e quasi le fece lacrimare gli occhi. Schiacciò un interruttore per illuminare la sala. La soffitta era molto ampia mentre il soffitto seguiva la fisionomia spiovente della casa, era alta al centro e bassa ai lati. Veline si accovacciò e gattonando raggiunse una grande e vecchia cassapanca in vimini. Al suo interno c’era di tutto e di più, era davvero enorme. Cartelline, documenti, un paio di vecchi cappotti ancora incellofanati, alcuni libri e alcune scatole di varia misura chiuse con del nastro nero. Veline iniziò a scavare fino a trovare un sacchettino color porpora dalla forma allungata. Sistemò tutto e si avviò verso l’uscita; tra tutta quella sporcizia in soffitta riuscì a scorgere una deliziosa scatolina con intarsi e disegni vari. C’erano davvero tantissime cose in quella soffitta ammuffita e polverosa.
Di ritorno in camera Veline, silenziosamente, aprì il sacchettino e svelò un antico ma ben tenuto cannocchiale. Sembrava quello che usavano i pirati per scrutar l’orizzonte in cerca di navi da depredare o di isole sulle quali approvvigionarsi, dorato con varie parti in pelle e legno.
Sempre ignorando le numerose domande e richieste della sorella diresse l’obiettivo verso il lago. La pioggia era talmente forte che tutta la zona sembrava coperta da un sipario d’acqua e vento.
Ecco, in lontananza, intravedeva il Signor Craft sotto la pioggia invitare con cenni di mano il cane in casa. Veline spostò l’attenzione verso il retro della palafitta e scorse un altro uomo. Non riuscì a veder chiaramente ma l’uomo di spalle voltandosi sembrava essere armato.
 
Tom supplicò Nosferatu di entrar in casa ma sembrava non dargli retta, il che era molto strano. Il cane continuò ad ignorare le suppliche di Tom fin quando non digrignò i denti. Tom era quasi intimorito da tale comportamento. Un boato. Il cane balzò in avanti superando Tom, addentò il braccio di Carl che per liberarsi lasciò cadere una rivoltella ancora fumante per poi scaraventare il cane verso un albero, tramortendolo. Tom era caduto sulle ginocchia con lo sguardo perso nel vuoto e la pioggia che ancora batteva violentemente su di lui. La camicia cominciò a tingersi di rosso.
«Mi dispiace fratello, mi dispiace davvero.»
Dopo queste parole Carl entrò nel furgoncino e sgommando sparì nel bosco. Tom restò immobile sulle ginocchia per qualche instante per poi crollare con la faccia nel fango, inerme.
 
Veline lasciò cadere il cannocchiale per correre in soggiorno dai genitori che erano rilassati sul divano davanti alla tivù. Si affrettò a spiegar ciò che aveva visto ma i genitori sembravano ignorarla. Senza pensarci due volte, prese cappotto e ombrello, uscì.
L’acqua batté forte contro il suo viso e petto. Le mani gelide serrate all’ombrello lottavano contro il vento che sembrava graffiarle la pelle. Evitò una pozza d’acqua ma alla fine, addentrata nel sentiero boscoso, inciampò e cascò con le mani nel fango che le sporcò anche il viso e i capelli. Non sapeva cosa avrebbe fatto una volta lì. Aveva paura ma un qualcosa di istintivo la stava attirando verso l’uomo ferito.
La folta vegetazione si diradò e agli occhi di Veline apparve la scena vista dalla sua finestra. Un paio di lampi illuminarono in modo sinistro la scena: il Signor Craft era supino e immobile nel fango così come Nosferatu. Veline si avvicinò all’uomo e notò che al tocco della sua mano contro il suo viso aprì leggermente gli occhi, era ancora vivo. Veline urlò al Signor Craft di non rinvenire e di non preoccuparsi. La pioggia sembrava aumentare sempre più così come i lampi e tuoni che rendevano il tutto più arduo, il lago era fuori controllo e il suo scaraventare onde dopo onde contro gli esili tronchi che sorreggevano parte della palafitta sembravano cedere. La ragazza afferrò le caviglie dell’uomo per trascinarlo verso un riparo. A fatica raggiunse l’ingresso della casa che, però, decise di superare per via dei gradini. Arrivò sotto la protezione di un albero. Sprigionando una forza soprannaturale, sistemò l’uomo con le spalle verso il tronco. Il cane sembrava respirare a fatica ma era vivo anche lui. Veline non sapeva cosa fare. Le onde continuavano, furiose, ad infrangersi contro la casa, trascinandola, poco dopo, sul fondo del lago. La ragazza cercò di tener sveglio l’uomo che sembrava essere svenuto un’ennesima volta, tutto era inane. La pioggia filtrò attraverso i rami fino al ricadere sulla testa di entrambi. Non esisteva una soluzione fin quando la ragazza avvistò due fari farsi strada tra la pioggia: era la macchina del padre con a bordo Betty e il Signor Miller.
 
La strada verso l’ospedale era ancora molto lunga e il Signor Craft perdeva ancora sangue. In macchina il padre rimproverò la figlia per la sua iniziativa ma subito dopo avanzò le sue scuse per averla ignorata. Tentò di giustificar la sua negligenza ma Veline ignorò ogni singola parola. Il cane, dal retro della macchina, stava piagnucolando. La macchina sfrecciava tra la pioggia ad una velocità elevata ma che sembrava troppo lenta per Veline che chiese ripetutamente al padre di spingere sull'acceleratore. I sempre presenti tuoni fecero piangere sempre più sonoramente Nosferatu che ormai sembrava essersi ripreso completamente.
 
Il Signor Craft era in sala operatoria da un’ora ormai. Il padre sembrava essere quello più in ansia dei tre. Ansia per chi ha salvato e non per chi non ha lasciato morire nel lurido e freddo fango. Il padre aveva paura delle ripercussioni di questo gesto da eroe.
(Salvare un colpevole ti rende colpevole? Sarò esiliato? Cosa ne sarà della mia carriera adesso?)
La sua testa creava domande su domande e decise di andare alla macchinetta a prendere qualcosa di caldo, nella tenue speranza di scaricare i nervi. Sole, le sorelle restarono in silenzio per un po’ fin quando Betty non spiegò alla sorella che aveva convinto lei il padre. Proseguendo diede della “stupida impulsiva” alla sorella dicendole che l’irriflessiva della famiglia era lei, tutto ciò detto con un tono d’ironia e tanto affetto. Il tempo sembrava passare sempre più lentamente fin quando un uomo in camice bianco uscì dirigendosi verso di loro.
«È vostro zio?» chiese il dottore.
«No, è un amico di famiglia.» disse Veline.
«È uno sconosciuto, nessun legame con noi, lo abbiamo soltanto soccorso come farebbe chiunque.» corresse il padre intento nel sorseggiare con mano tremante un bicchiere di tè fumante.
«Ha perso molto sangue ma è fuori pericolo di vita. Il proiettile ha sfiorato il cuore di un soffio, si rimetterà presto.» concluse il dottore.
«Bene, ora andiamo a casa. Torneremo domani.» disse frettolosamente il Signor Miller.
«Io voglio passare la notte qui.» annunciò Veline con tono sicuro.
«Non esser sciocca, devi cambiarti e fare un bagno caldo.» continuò il padre «Domani ti accompagnerò, promesso.»
Veline restò sulla sua decisione ma le parole del medico la tranquillizzarono e decise di non inscenare una lite familiare proprio lì, così i tre entrarono in macchina e tornarono a casa.
 
Immersa nella vasca tra l’acqua calda e la schiuma Veline si rilassò al punto da crollare in un sonno. Si riconobbe dall’alto di un albero come fosse uscita dal suo corpo. Riuscì ad osservarsi esternamente, stava percorrendo il sentiero che porta al lago. Osservò la strada che aveva fatto non troppe ore prima per soccorrere il Signor Craft. Dopo aver osservato l’esterna Veline sistemare l’uomo sotto l’albero la visuale mutò. I fitti rami si dileguarono dando spazio alle nuvole, sembrava letteralmente di volare, per poi ricadere in picchiata verso una costruzione in legno non troppo distante. Scorse il furgoncino del Signor Craft parcheggiato nei pressi di un fienile, una stalla. Si avvicinò sempre più fin quando non arrivò sul tetto della stalla. Notò un uomo molto simile al Signor Craft alzare una botola e tuffarcisi dentro. La visione volante seguì l’uomo in un cunicolo buio e lungo fin quando una fioca luce illuminò una piccola cucina. C’era l’uomo che aveva sparato al Signor Craft in compagnia di un vecchio alto e dall'aspetto rigoroso.
«Ho fatto come mi ha ordinato Maestro Flamel.» sussurrò Carl con lo sguardo rivolto verso terra, quasi intimidito da quella presenza.
«Hai fatto un buon lavoro, voglio premiarti.» disse il vecchio «Odio i bugiardi come tuo fratello.»
«Lui ha solo cercato di proteggere il ragazzo.»
«Lo stai forse difendendo?» chiese con tono accusatorio il vecchio.
«Certo che no Maestro, non lo farei mai. Perdoni la mia sfacciataggine.»
Il vecchio da una scodella di zuppa all’uomo e lo invitò a mangiar con un cenno di mano. L’uomo affamato non se lo fece ripetere due volte e impugnando un cucchiaio in legno iniziò a sorseggiarla. L’uomo sembrava gradirla ma più la beveva e più sentì la sua bocca secca. Chiese un po’ d’acqua al vecchio ma lui rispose che era normale e iniziò a percorrere la cucina fino ad arrivar alle spalle dell’uomo poggiando le grandi mani sulle sue spalle. L’uomo comincia a tossire ma continua a mangiare quella zuppa nella speranza di alleviar quel fastidio e senso di sete che sembrava aumentar invece di diminuire. Ad un certo punto Carl lasciò cadere il cucchiaio sul tavolo e spalancò gli occhi.
«Sai Carl, io odio i bugiardi. Ma odio ancor più la tua razza. Essere sporco capace di macchiarsi le mani con il sangue di un fratello per un ordine superiore.»
«Signore ma io ho solo ubbidito ai suoi ordini, se non l’avessi fatto mi avreste ucciso.» disse Carl con la consapevolezza di esser stato avvelenato.
«Hai ragione ma ti avrei eliminato in ogni caso, mi eri già inutile dopo l’ultima consegna.»
«Ma signore l’ho sempre servita con dedizione e puntualità.»
«Carl, caro Carl non sciupare i tuoi ultimi aliti di vita per dirmi cose inutili.»
Dopo questa spiegazione il vecchio si incamminò verso una porta. La visuale sembrava seguire il vecchio lasciando alle spalle la visione del morente Carl. La porta si chiuse ma le urla strazianti di Carl che imprecavano erano chiaramente udibili. La visuale traballante continuò fino al centro di una stanza buia, illuminata solo da uno spiraglio del soffitto attraverso il quale passava della luce che ricadeva al centro di un bacile. Poi si vide il vecchio avvicinare la mano verso la sua spalla e con l’allontanarsi di essa si allontanò anche quella visuale che si spostò proprio di fronte al suo viso.
«Ora aspetto solo te.» disse il vecchio fissando qualcosa sopra la sua mano.
 
Veline sobbalzò e affondò la testa sott'acqua. Con il cuore palpitante in petto uscì dalla vasca più impaurita che mai. Si sistemò e corse tra le coperte. Cercò di prender sonno ma quelle parole, che sembravano dirette a lei, e quella strana visione continuò a occuparle la mente: ora aspetto solo te.
   
 
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