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Autore: bambi88    30/12/2008    7 recensioni
Prima classificata al contest Metal di Laly e Hipatya
Kankuro, una finestra spalancata e una porta sempre chiusa.
Kankuro e una famiglia che va in pezzi.
Kankuro e la debolezza di non volersi salvare.
L’anta della finestra sbatté di nuovo, ricordandogli, nonostante tutto, che era ancora marzo, e che a marzo era ancora inverno.
Riuscì a sollevare il braccio intorpidito, sfiorandosi la fronte sudata e i capelli sporchi.
Puzzava di fumo ed alcool e gli abiti della sera prima erano accatastati ai piedi del letto, gettati senza riguardo.
Se quella era diventata davvero la vita di Sabaku no Kankuro, posato fratello mezzano della ricca famiglia Sabaku, nonché promettente studente di ingegneria meccanica, allora aveva ragione a smettere di viverla.
E lui ci stava provando disperatamente da mesi.
La storia è stata divisa in piccole parti.
Spero di avervi incuriosito.
Un bacio
Roberta
Genere: Malinconico, Drammatico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kankuro, Sabaku no Gaara , Temari, Altri
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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contest metal 4 XII Atto

Wake up


Quando ti addormenti con la testa sul tavolo e ti risvegli in un letto sfatto, la prima cosa che devi controllare è che non ci sia nessuno accanto a te.
Specialmente qualcuno di sgradito.
Kankuro aprì gli occhi, mentre nella testa rimbombava una vocina che urlava “sveglia stronzo”.
Afferrò il solito orologio, domandandosi cosa fosse successo in quelle cinque ore e perché si trovasse nuovamente sul letto, il viso rigato di bava.
Meglio, molto meglio, non chiederselo.
Osservò la luce rossa intermittente segnare le diciotto e ventitre con sguardo fisso, smettendo di battere le ciglia.
Ascoltò il suono del suo cuore, mentre gli occhi secchi iniziavano a dolergli.
Una piccola tortura prima di ritentare di nuovo a cercare l’inferno.
Si sollevò, notando con stizza che il mal di testa era cessato del tutto.
Nessun suono insistente, nessun dolore all’altezza del cuore.
Solo la solita vecchia fame e il solito e vecchio nulla nel petto.
Gettò uno sguardo alla giacca posata nell’angolo.
C’era sempre la Dose ad aspettarlo.
E lui aveva bisogno di smettere di ricordare.
O forse aveva solo bisogno di ricordare.
Si alzò meccanicamente, aprendo il cassetto con un rumore secco.
La siringa giaceva lì, tra un block notes e una vecchia penna a sfera dall’inchiostro ormai secco.
L’afferrò senza espressione, chiedendosi quanto, in quello stato, ricordava Gaara.
Almeno quel Gaara chiuso e scontroso della sua infanzia.
Forse un po’ meno quello premuroso e incredibilmente perfetto che si era formato nel tempo.
Quel Gaara che lo infastidiva.
E a cui non riusciva a smettere di voler bene.
E c’erano state solo due persone che gli avevano fatto provare una cosa del genere.
Ed entrambe lo avevano abbandonato.
Strinse con forza la siringa, rischiando quasi di romperla, tanta era la foga.
-    tra poco è finita, Kankuro – si rassicurò, sperando che la parola finita ponesse davvero termine a quell’inferno che non era solo il suo.
Per un attimo avvertì ancora la voce di Gaara dietro la porta e i tacchi di Temari ticchettare sul pavimento.
Poi aprì la giacca.
E la polvere bianca lo avvolse.
Come sempre.





XIII Atto
Trust in my self righteous suicide
I, cry, when angels deserve to die
In my self righteous suicide

I, cry, when angels deserve to die

Kankuro le poggiò una mano sulla gamba soda, osservandola tirare la polvere bianca dal naso.
I ciuffi castani le scendevano dai codini sfatti e la maglia rosa le accarezzava i fianchi ossuti.
Conosceva Tenten da cinque giorni, quando si erano trovati entrambi sotto la stessa pioggia, ad aspettare lo stesso spacciatore, ma da allora non aveva fatto altro che fissarla, rapito dal suo modo leggero di distruggersi.
-    ne vuoi ancora? – chiese la ragazza, la voce argentina, come piaceva a lui, sul corpo esile.
-    No – rispose, osservandola ripiegare con cura il terzo cartoncino bianco, stretto stretto nelle mani tremanti.
-    Come vuoi, Kankuro – replicò infine, riponendo con cura il cartoccio sul comodino, lasciando una sguardo morbido sulla foto dalla cornice lucida.
Una delle poche cose normali, in quella stanza.
Il ragazzo la vide portare le ginocchia nude al petto, rannicchiandosi contro la spalliera del letto.
Ricordava poco di quello che avevano fatto, durante quei giorni.
Sapeva che lei gli aveva offerto un posto dove farsi, dato che Temari si era momentaneamente trasferita da lui.
Giusto il tempo di sistemare casa mia per me e il mio ragazzo, lo sai che è pigro, le cose le deve fare con calma, gli aveva detto, con il solito ghigno sulle labbra.
E lui si era ritrovato la sua insistente e protettiva sorella alle calcagna.
E un quasi- cognato che non aveva la minima intenzione di terminare il suo trasloco.
Ma lui sapeva bene fosse Temari a chiedergli di temporeggiare.
-    Kankuro, mi passi la birra? – chiese la ragazza, la voce arrochita dalla droga.
Lui la fissò interdetto, rigirandosi tra le mani la bottiglia ormai calda.
-    sei sicura?-
-    ho sete – replicò lei, gli occhi castani e caldi sgranati.
Kankuro le portò il collo della bottiglia alle labbra, osservandola bere assetata.
Si chiese quante volte avessero fatto sesso.
Non ricordava davvero nulla, tranne qualche immagine evanescente e qualche ricordo bollente.
Sapeva di averla stretta e di averla sentita gemere al proprio petto.
Ma finchè non aveva visto il pacchetto di preservativi giacere sul comodino aveva davvero creduto fossero tutte illusioni.
Tenten posò una mano su quella di Kankuro, allontanandosi dalla bottiglia ormai semivuota.
-    basta – mormorò, come rassegnata.
Al ragazzo sembrò logico aggiungere “tanto non basterebbe”.
L’osservò reclinare la testa sul cuscino, i codini ormai ridotti a due intricati cespugli e le labbra vermiglie tirate in una linea biancastra.
Nulla a che vedere con le Tenten della foto sul comodino.
-    perché lo facciamo? – chiese poi la ragazza, mentre gli occhi appannati si chiudevano lentamente.
Kankuro bevve una lunga sorsata di birra calda, che gli scese lungo la gola come lava bollente e disgustosa.
-    io non l’ho ancora capito – biascicò il ragazzo – deve avere a che fare qualcosa col fatto che sono uno stronzo – si sforzò in una risata, che gli usci poco più di un rantolo.
Tenten lo fissò come allucinata – io ero una brava ragazza, sai? – disse dopo poco, le labbra che si muovevano appena – ero felice, ero spensierata e felice, sempre felice –
Fissò il soffitto, il respiro delicato – li vedi quei due sulla foto? –
Kankuro osservò i due ragazzi che fissavano la stanza dalla cornice – si – annuì poi, il senso di disagio sempre più forte.
Tenten sorrise, ebbra – Lee e Neji li conoscevo da quando ero bambina. E li amavo, in modo diverso, ma li amavo molto –
Kankuro appoggiò la bottiglia vuota a terra, chiedendosi se fosse meglio interrompere la ragazza e il suo sproloquio su quei due.
-    li amavo tanto. Lee credeva gli volessi bene come un fratello. Che stupido, io lo amavo davvero, sai? –
Lui le fissò gli occhi e nella sua espressione lesse il riflesso della propria.
-    che è successo, Ten? –
La ragazza trattenne il respiro, sempre sorridendo.
-    eravamo usciti, quella sera – ridacchiò – festeggiavamo…non ricordo cosa, ma Lee si era ubriacato, non che gli servisse poi molto per farlo –
Kankuro la vide socchiudere i pugni, impercettibilmente – Neji mi aveva detto che bisognava tenerlo fermo, sai, Lee era un vero demonio quando beveva – si strinse nella spalle, come in cerca di riparo – guidavo io la macchina, quella sera – concluse poi, funerea.
I due si fissarono per interminabili secondi, prima che lei riprendesse – il camion ha sbandato e ci ha presi in pieno. Lee e Neji non avevano la cintura, li ho visti volare via dal parabrezza –
Kankuro rabbrividì alla parola volare.
Alla fine lui e Tenten non erano poi così diversi.
Cadde un silenzio tombale per diversi minuti.
La ragazza iniziò a tremare, il veleno nelle vene.
Lui la fissava svuotato, chiedendosi perché non smettesse ancora di pensare a quel volare.
-    mia madre si è suicidata e mio padre ha distrutto la mia famiglia – sbottò poco dopo, rendendosi conto di aver dato voce a un pensiero troppo a lungo celato.
-    Ma non riesco a odiarli. Come Gaara e Temari voglio solo essere accettato. Anche se loro sono due cadaveri, ormai –
Tenten, il corpo ormai quasi esanime, si voltò a fissarlo, lo sguardo tiepido.
-    io voglio essere perdonata da due cadaveri – mormorò –È questo che stiamo facendo Kankuro. Vogliamo diventare come loro –
Il castano socchiuse gli occhi – non hai mai paura che loro ci guardino? Non hai paura che…facciamo loro schifo? –
Tenten ridacchiò, il petto smunto che si alzava e sollevava irregolare – io mi faccio schifo già da sola – gli tese la mano – e so che loro mi amano, comunque. –
Kankuro si osservò riflesso allo specchio, il corpo deperito e l’espressione smarrita – vorrei poterlo pensare anche io –
Tenten si avvinghiò a lui – devi saperlo, Kankuro. – sorrise, le labbra incerte - noi abbiamo ancora il fardello della nostra merdosa vita addosso. Non aggravarlo, non ne vale la pena. -
Il ragazzo le passò un braccio lungo la schiena ossuta, baciandola tra i capelli spessi e lucidi
– passerà mai? –
Lei gli sorrise con le labbra nuovamente calde – magari, un giorno –


Quando Kankuro trovò Tenten nel suo stesso vomito, due mesi dopo, gli sembrò che la sua vita avesse perso un altro pezzo e che avesse una persona in più da piangere nel suo Oblio.
Allo stesso tempo, però, Kankuro pensò che la vita di Tenten si fosse finalmente risolta.
E che, forse, potesse finalmente urlare al suo Lee che lo amava, giù nel vero Inferno.
Che era, sicuramente, meglio di quello che i due si erano creati da soli.




XIV Atto

Wake up

Kankuro sbarrò gli occhi, il fuoco in gola.
Tentò di sollevarsi con uno scatto, ma gli arti, immobili, sembravano voler ostinatamente ignorare i suoi ordini.
Avvertì nuovamente l’ondata di calore travolgergli lo stomaco e la vista, già annebbiata, sparì del tutto.
Attese qualche secondo nel buio di quella notte senza fine, poi l’udito seguì il primo senso, svanito e risucchiato da una forza invisibile.
Fu allora che urlò, aggrappandosi al lenzuolo umido.
E urlò muto, in quella notte che gli sembrò davvero senza fine.



Quando, solo dopo cinque minuti, Kankuro ritrovò la forza si vedere e poi, solo poi, di sentire, si ritrovò nella sua stanza, tra i cuscini sudici, il ghiaccio che aveva preso il posto del fuoco sotto la pelle.
Lo sentiva, gelido, infilarsi nelle vene già provate, scavare solchi tra i muscoli indolenziti.
Kankuro strinse i pugni, rifiutandosi di urlare ancora.
Si era preparato a morire, tante e tante volte.
Lo aveva provato la prima volta che si era infilato un ago nelle vene, pregando che trovasse il coraggio di volare via, come Karura.
Lo aveva provato nel bagno, mentre Matsuri si rivestiva, sperando che lei non entrasse a dargli il bacio della buonanotte.
Lo aveva provato con Tenten, e quando lei ci era riuscita, lui stava comprando della stupida pizza.
Ma ora l’avrebbe raggiunta, in quel loro inferno, e le avrebbe detto che proprio mentre stava per morire, aveva capito una cosa.
Lui non voleva farlo.
E Kankuro urlò.
Poi il buio.


Morire.
Ora che Kankuro fluttuava in quell’oscurità gli sembrò di rivedersi, ragazzino viziato che sbatteva i piedi perché la vita non era andata come aveva sempre sperato.
Bambino poco socievole.
Adolescente aggressivo.
Adulto instabile.
Una parte di lui aveva lottato per distinguersi dalla massa e dai suoi fratelli.
Che perfetti non erano, ma unici… eccome.
E a lui che restava?
La faccia del padre e l’emotività della madre.
Bella accoppiata.
Era allora che aveva deciso che senza uno scopo non valeva la pena vivere.
E che forse il suo scopo non era volato via con Karura, né sepolto con il padre.
Semplicemente, lui non aveva voglia di lottare per esso.
Aveva deciso di andare alla deriva, vivendo solo di quei ricordi che era la droga a dargli.
Smettendo di vivere il suo tetro presente, lasciandosi trasportare dal suo passato.
E un giorno, lo aveva sempre saputo, sarebbe morto.
E addio affanni, giusto, Kankuro?

Ma ora, piegato in due, la testa tra le ginocchia e le mani strette al cuscino, non vuoi morire, vero Kankuro?
Ora che vomiti anche l’anima che avevi giurato di aver già venduto per un po’ d’eroina, vuoi vivere, vero Kankuro?

-    si – biascicò il ragazzo, smuovendo la bocca impastata dalla saliva e dal vomito.
E il buio lo avvolse di nuovo.



L'ultimo capitolo verrà pubblicato a giorni, insieme ai ringraziamenti.
Grazie per aver atteso, tanto - impegni e imprevisti di Natale -

Un bacio

Roberta

  
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