Fu nel momento in cui i miei piedi raggiunsero la soffitta che il terrore cominciò a pervadermi. Il sole entrava timido e tagliente dalle finestre, ma nel solaio aleggiava un’oscurità perenne. Appoggiai lo scatolone, quando distrattamente notai con sorpresa la presenza di una fotografia. Una polaroid, un’istantanea. La raccolsi. Sull’estremità bianca c’erano delle macchie rosse, al centro una bellissima ragazza sorridente, ripresa dall’alto. Era seduta su un divano e guardava il fotografo sorridendo, in un maglioncino rosa e una minigonna nera.
Non sapevo chi fosse, così la voltai. In una calligrafia
sottile in corsivo c’era scritto “Kayako Fukamoto,
1997…quella fotografia risaliva a dodici anni prima. La fissai bene per un secondo e poi me la misi in tasca, per poi scendere in camera.
Ripresi in mano la foto e l’appoggiai con cura sulla scrivania, dopo averla nascosa con la copertina del libro di letteratura giapponese.
Fu in quel momento che ricevetti un messaggio da Yumi.
“ Sei arrivata, Urumi???
Finalmente possiamo ritrovarci.
Rispondi. Ti voglio bene. Yumi.”
Cominciai a
pigiare i tasti.
“Ciao…finalmente…da quanto diavolo
Di tempo non ci sentiamo? Mi
mancavi Yumi, mi mancavi tanto…
Ti va di venirmi a trovare?
Rispondi presto.
Urumi”
Bip Bip. Bip
Bip.
“Se ti va posso venire anche subito.
Io sono libera, ora.
Yumi”
“Ok…vieni…
Ho giusto trovato una cosa molto
interessante.”
Non so
esattamente il perché, ma quella fotografia attirava la mia attenzione in modo
morboso. La ripresi in mano e la esaminai. I miei
occhi corsero sulla superficie lucida e statica di quell’attimo immortalato.
Alcuni pensano
che la fotografia rubi l’anima a chi è immortalato, questo perché la fotografia
è immobile. È immobile: ferma la vita frenetica di tutti i giorni e la
stravolge in uno scatto che immobile lo sarà per sempre. È come la morte, è
come l’apocalisse.
Continuai a
fissarla, mentre una mano dietro di me si avvicinava sempre più alla mia
guancia, tentando di afferrarmi la spalla. Sentivo il sospiro di una persona
dietro di me. Mi voltai di scatto, prima che quella presenza potesse
acciuffarmi, ma non vidi nessuno.
Avevo paura. Mi
guardai intorno, ma nella mia stanza regnava il silenzio.
Forse era solo
una mia stupida impressione. Appoggiai sul tavolo in camera mia la fotografia e
accesi lo stereo, facendo partire “XO” di Elliot Smith a tutto volume.
“Tomorrow Tomorrow” risuonava nell’atmosfera leggiadra e
fugace, mentre con controvoglia mi mettevo di impegno nell’analisi di alcuni
haiku per compito, in attesa che Yumi venisse a trovarmi.
Non riuscivo a
concentrarmi sullo studio.
La mia mente
continuava a ricondursi in modo morboso a quella fotografia, così decisi di
accendere il pc che distava a solo dieci centimetri dal mio gomito.
Non sapevo bene
il perché, ma avevo intenzione di cercare quella donna su internet. Sapevo che
forse non ci sarebbe potuta essere: non era una attrice,
né una cantante di successo…
Digitai su
google japan “Kayako Fukamoto”, quando il terrore mi travolse!
“Casalinga
trovata assassinata nel suo appartamento”
Era il titolo
di un articolo di giornale risalente al 2001.
Cliccai.
“La
casalinga Kayako Fukamoto, 28 anni, è stata ritrovata morta nel suo
appartamento ieri, 12 settembre 2001. il corpo è stato letteralmente squartato a
pezzi, con un arma contundente (si sospetta in un coltello o un paio di
forbici). Ancora ignoto l’assassino. Ignoto persino il
movente.
Il cadavere è stato
ritrovato intorno alle sette di sera da una vicina che era passata di casa in
casa per far firmare una petizione contro il rumore acustico dei lavori in
corso poco distanti…”
Cliccai anche
su altre pagine. Kayoko Fukamoto: trovata letteralmente smembrata nella cucina
di casa sua. L’assassino è ignoto. Persino in articoli risalenti al 2007 o al
2008, ovvero recenti, che richiamavano l’attenzione sull’omicidio
testimoniavano che l’assassino non era stato ancora ritrovato. Dapprima pensai
che si trattasse di un omonimo, ma quando vidi una foto della donna su internet
restai di sasso: era lei. Assolutamente lei. La stessa dell’istantanea da me
trovata in soffitta.