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Autore: lilac    09/01/2009    2 recensioni
Central Maze City, una metropoli come tante dove la corruzione e le ambizioni dei potenti sembrano dettare legge. Le uniche strade per sopravvivere sono l’indifferenza, il cinismo e il disprezzo per i propri simili. Ma, probabilmente, nemmeno queste cose bastano più. L’unica persona in tutta la città che sembra non avere a cuore niente e nessuno si troverà invischiata, suo malgrado, nelle mire del più malvagio e potente criminale istituzionalizzato del paese e, soprattutto, in un disegno ben più grande di lui, che pare coinvolgere l’intera umanità. Tra personaggi misteriosi e misteriosi poteri, scoprirà ben presto qual è il suo destino. Eppure, lui ne è convinto... I supereroi non esistono.
Piccolo Avvertimento: questa storia contiene alcune scene di violenza e linguaggio a tratti colorito.
Genere: Drammatico, Azione, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO QUATTRO:
Rabbia.


Hell’s Court, appartamento di Jason.
24 Dicembre, 7:36 p.m.


Ricordati che ogni supereroe che si rispetti deve mantenere la propria identità segreta, perciò...
Mai uscire di casa senza, per combattere i cattivi! Ti prego, non te la prendere!!!!
Non ho resistito ;)
Buon Natale!
Molly


Il cartoncino colorato fluttuò per un lungo momento nell’aria seguendo una traiettoria nervosa, poi si accartocciò su se stesso e finì nel secchio della spazzatura, accanto al lavello. Jason lo seguì con lo sguardo senza nascondere un certo fastidio, che si accentuò ben presto quando le due iridi scurissime si posarono istintivamente, un attimo dopo, sul costume di colore chiaro, afflosciato senza vita sul tavolo della cucina insieme alla carta da regalo. La sua espressione irritata tradì per un momento la tentazione di riservare la stessa fine a quel ridicolo travestimento; una mano, tesa ad afferrare qualcosa d’invisibile, si strinse a pugno a mezz’aria e la carta variopinta si ripiegò improvvisamente stropicciandosi sul piano del tavolo, strappandosi in mille pezzi un secondo dopo e spargendosi in un vortice per tutta la stanza.
Lo sguardo concentrato del ragazzo si posò solo dopo sul simbolo, in evidenza sul tessuto. Esitò per un momento sulla spirale di cerchi concentrici che sembrava muoversi sulla stoffa e abbassò la mano voltando le spalle al regalo, alla cucina e all’albero desolatamente buio.
Chissà quanto tempo aveva perso quella stupida per inventarsi quell’assurdità? Scherzo o non scherzo, dopo tutto quello che gli era accaduto nelle ultime ore, quel costume con tanto di maschera, cintura e stivali lo aveva gettato in uno stato vagamente confusionale.
Aveva passato l’intera giornata in una dimensione sospesa, lasciando una parte di sé, quel Jason che con cinismo e incredulità aveva deciso di dimenticare D. e tutte le cose insensate che gli aveva raccontato, a combattere una battaglia piuttosto violenta con un altro se stesso; il Jason curioso e assolutamente elettrizzato all’idea che la sua mente fosse qualcosa di ancora sconosciuto, che valeva la pena di scoprire.
Quella battaglia si era conclusa dopo molte ore con un nulla di fatto e fondamentalmente con un compromesso. Mentre, per ore e ore, aveva continuato a sondare i recessi della sua mente, a sperimentare e a scoprire una quantità di nuovi poteri che non avrebbe mai creduto di avere, si era al contempo isolato dal resto del mondo, evitando accuratamente di rispondere al bussare insistente della signora Parker nel pomeriggio, al telefono e, soprattutto, scongiurando nel modo più assoluto la possibilità di avere ulteriori notizie riguardanti Shark, Fearless e qualsiasi cosa potesse avere a che fare con loro; vale a dire, assicurandosi che la sua televisione restasse rigorosamente in silenzio.
Nessuno dei due Jason aveva vinto. Così, almeno, aveva creduto fino a quel momento.
Quando aveva scartato quel regalo, spinto da una curiosità istintiva che era affiorata da chissà dove qualche minuto prima, una serie di emozioni contrastanti aveva gettato scompiglio in quell’assoluto equilibrio di forze e quello che avrebbe potuto essere un efficace compromesso aveva perso lentamente ogni senso.
I suoi occhi si erano abituati pian piano all’oscurità, man mano che la sua mente aveva preso dimestichezza con un’altra vista; tanto che, assolutamente sovrappensiero, si era dimenticato di accendere persino la luce. Ormai al buio, si ritrovò a fissare lo schermo della televisione, silenzioso e vuoto, con la stessa curiosità che aveva mosso i suoi esperimenti per tutto il giorno.
Un click risuonò nella stanza quieta e il vecchio apparecchio prese vita, ubbidendo a un telecomando immaginario al di là dello sguardo assorto del ragazzo. Mentre si sedeva sul divano, la sua espressione imperturbabile non riusciva più a nascondere che, a quel punto, la curiosità o forse qualcos’altro aveva appena segnato un punto sicuramente risolutivo sull’indifferenza.
La notizia non lo colpì subito. Si fece spazio nella sua coscienza dapprima sottovoce, sottoforma d’immagini. Fumo, fiamme e macerie. Poi cominciò a sfiorarlo appena; la voce del telecronista. Una tragedia... Lo Shark Center era affollato di gente... La vigilia di Natale... Quelle poche parole cominciarono a scuoterlo lievi, poi sempre più brutali, finché ebbero la forza di altre migliaia... Un mio compagno di scuola... dopodomani andiamo a pattinare allo Shark Center... Devo comprargli un regalo? ... dopodomani è la vigilia... E iniziò a sentire un ronzio sordo, un fastidio. La pista di pattinaggio, il centro commerciale, gran parte dei negozi... completamente distrutti dall’esplosione e dalle fiamme... Che si trasformò in dolore, sempre più forte; finché quelle parole non lo percossero con una violenza inaudita, mai provata prima. Nessun sopravvissuto.
Poi non sentì più nulla, a parte una rabbia incontrollabile. Si alzò lentamente dal divano e restò a fissare lo schermo per un momento, immobile, senza accorgersi delle sue mani strette a pugno che fremevano di collera. Fissò lo schermo in silenzio; e quando le scintille e le parti meccaniche dell’apparecchio gli saettarono contro in uno schianto, immobile continuò a fissare per un momento ancora i resti fumanti di quella che era stata la sua televisione. Poi si avviò verso la porta.
Si fermò solo un altro istante a osservare il costume, ancora parzialmente avvolto dalla carta. Troppo poco tempo, per rendersi conto realmente di ciò che stava per fare.


Central Maze City, The Flan (quartiere commerciale).
24 Dicembre, 8:09 p.m.


Il centro commerciale è suo. Tutti i negozi sono suoi. Le strade sono sue. La città è sua. E le persone sono sue. Tutto deve essere eliminato e cancellato. In fretta, in modo efficiente. Lui deve essere cancellato. Perché? Un click, un’immagine. Forse è un ricordo. Qualcuno sorride. Non devo esitare. Il nemico deve essere cancellato. La situazione è questa. Sono al punto quattro della strategia. Ho eseguito i punti uno, due e tre con una percentuale di successo pari a novanta. È opportuno perseguire un approccio aggressivo. Il nemico deve essere stanato. Il nemico è lui. Perché? Un click, una voce. Ho qualcosa di strano? Non devo esitare. Un click, un fruscio. Non posso muovermi.
“Chi sei? Identificati!”
“Fottiti.”
Non lo disse nemmeno con odio. Quella rabbia era ormai solo un’energia insolita e potente che gli scorreva nelle vene assieme ad un vago senso di quiete, quello di chi aveva ormai oltrepassato un cancello da cui non sarebbe tornato indietro. L’aveva fatto istintivamente e continuava a non chiedersi niente. Né il perché, né cosa sarebbe successo dopo. L’aveva fatto e basta; e l’indifferenza a tutto ciò che sarebbe significato era più forte, nettamente più forte del vago senso di responsabilità che gli solleticava appena la coscienza.
“La tua risposta è ostile. Sei un nemico.”
La sua voce sembrava davvero quella di un uomo; l’unica cosa che riuscì a constatare.
L’arma sollevata verso di lui esplose un secondo dopo e la sua mano restò ferma a mezz’aria, nell’atto di ghermire qualcosa. Si contrasse appena; e, a quell’altezza, il rumore del collo spezzato del suo antagonista risuonò a un volume innaturalmente alto.
“Direi di sì” rispose piano.
Le sirene dei vigili del fuoco e il rumore del traffico giungevano dal basso estremamente ovattati. Jason osservò per un momento il fumo che continuava a propagarsi ad un paio d’isolati di distanza da quello che doveva essere lo Shark Center; si era quasi estinto, ma erano passate già parecchie ore. Lasciò che quello scherzo della natura si accasciasse a terra, mentre ascoltava il rumore degli elicotteri della TV farsi sempre più lontano. I notiziari della sera avevano avuto ciò che volevano. Poi si avvicinò al corpo senza vita e si chinò su di esso. Riuscì a vederlo.
“E tu chi cazzo saresti?!”
Si girò lentamente verso l’uomo che era apparso a qualche metro di distanza. Lo scrutò senza particolare emozione, mentre si rialzava e si voltava definitivamente verso di lui.
“Sono sul tetto della Mobyrent.” disse l’uomo ad una trasmittente, senza staccargli gli occhi di dosso. “L’ho trovato. Muovetevi!”
Jason osservò la sua espressione sorpresa e incuriosita, nel momento in cui probabilmente si rendeva conto di quello che era accaduto o, perlomeno, provava ad intuirlo. Quando l’uomo tornò a fissarlo, gli sembrò di notare una sorta di sogghigno divertito sul suo volto, nella penombra.
“Senti, non so chi tu sia né come abbia fatto a farlo fuori, ma...” L’uomo esitò un momento. “Cristo, non so se devo ringraziarti, o cosa; o se devo farmi una risata per quel ridicolo costume che hai addosso”. Sembrò rilassarsi. Abbassò lo strano congegno elettronico che teneva in mano e non si curò di soffocare una sonora risata. “Davvero, da dove diavolo spunti?!” bofonchiò trattenendosi a stento. “Mi spieghi come sei riuscito a neutralizzare quella corazza e quelle arm...”
Le parole, però, gli morirono in gola in una morsa soffocante.
“Così, Signor Shark.”

Jason lo fissò appena negli occhi, spalancati per lo sgomento e la sorpresa. Poi, si limitò ad assistere alla scena.
“Ma che... Oh mio Dio!” Shark impallidì all’improvviso; sussultando per lo spavento, lasciò cadere a terra il dispositivo elettronico che teneva in mano e iniziò a tremare in modo incontrollato, cercando di strapparsi di dosso la tuta che aveva indosso, simile a quella che Jason aveva appena fatto a pezzi. Gettò a terra le armi sfilandosi le tracolle come se bruciassero e cominciò ad agitarsi in modo inconsulto, le mani cercavano spasmodiche un appiglio.
Jason rimase impassibile a osservare, poi allentò appena la presa e lo seguì con gli occhi, mentre indietreggiava verso il muro e annaspava in cerca di ossigeno; il terrore gli impediva anche di emettere un suono.
Restò impassibile anche quando lo vide, la sua sorpresa durò lo spazio di un momento e si manifestò a stento nel serrarsi dei muscoli facciali.
“Oliver, è tanto che non ci vediamo, non è vero?” D. si era avvicinato all’uomo con un’espressione affabile. “Devo constatare con rammarico di non trovarti in splendida forma, tuttavia.” Sogghignò impercettibilmente.
“S... sta... l... lontano da m... me!” riuscì a intimare a fatica Shark, in un gorgoglio strozzato dal panico.
L’altro rispose fintamente dispiaciuto, continuando ad avvicinarsi. “Oh, ma perché mi tratti così?”
“T... ti preg...”
“Non è carino da parte tua, sai?” Il tono di D. si era fatto saccente. “O forse è la sorpresa?”
“Io... m... mi dispiace. T... ti giuro... Non vole...”
“Certo, deve essere così” proseguì accondiscendente, ignorando quel tono supplichevole. “In fondo, una volta concluso un affare è già tempo di pensare al successivo. E, per quello che ne sai tu, in questo momento dovrei essere all’Inferno ad arrostirmi, giusto? Qualcosa del genere, immagino.”
Il fuoco si propagò in un’esplosione improvvisa tutto intorno ai due. Per un momento, gli occhi di D. sembrarono assolutamente incolori nella luce delle fiamme e Jason vacillò per un momento, attraversato da una fugace inquietudine. Indietreggiò istintivamente di un passo.
Shark era in preda ad un terrore incontrollato, lo sentiva rimbombare nella sua testa in modo incredibilmente feroce. Tremava vistosamente, scosso da violenti spasmi e se l’era appena fatta nei pantaloni.
“Mio Dio, n... non farl...”
“Dio ti manda i suoi saluti, papà.” rispose pacatamente l’altro, sorridendo. “Non è potuto passare. Sai, gli impegni di lavoro.”
“N... non farl...”
“Fare cosa?!” L’espressione di D. divenne improvvisamente seria. “Questo?”
Le grida di Shark, che si contorceva dal dolore, con il braccio destro e parte del volto in fiamme, gli ferirono quasi le orecchie; ma Jason restò impassibile, assolutamente rapito dalla scena e incapace di distogliere lo sguardo.
Fu il rumore inaspettato dello sparo a scuoterlo, all’improvviso, e il dolore che gli infiammò la spalla un istante dopo. Cadde, letteralmente, fuori dalla testa di Shark, con la stessa violenza con cui piombò sul cemento.
“Stai lontano!” si sentì intimare da una voce poco convinta. Si sollevò faticosamente, facendo leva sul braccio che non gli doleva e notò un gruppetto d’individui nella penombra. “Fai un movimento e sei morto! Qualsiasi... arma hai con te, non muoverti!”
Sentì una fitta lancinante alla testa e una stanchezza improvvisa. Uno di loro gli puntava contro un’arma, ma sembrava evidentemente confuso e spaventato. Un altro stava aiutando Shark a rialzarsi e lo stava allontanando da lui, mentre un terzo era impegnato a recuperare il cadavere di Russell, qualche metro più dietro. Nessuno osava togliergli gli occhi di dosso, nonostante dovessero distinguerlo appena, nel buio e a quella distanza; parevano in preda all’agitazione e in evidente trepidazione, palesemente disorientati sul da farsi. Solo uno di loro aveva un’espressione diversa; era un uomo sulla quarantina o forse più vecchio, l’unico che non aveva l’aria di essere un militare, nonostante l’equipaggiamento. Sembrava curioso, stranamente eccitato.
Un’altra fitta lo costrinse a socchiudere gli occhi. Sentì una strana spossatezza invaderlo a ondate, come fosse acqua. Li osservò mentre si allontanavano e un’isolita sensazione d’onnipotenza lo spinse a rialzarsi. Per un momento fu tentato di seguirli, ma dovette fermarsi in preda ad un forte senso di vertigine. Barcollò, sul punto di crollare.

“Quella delle fiamme è stata una trovata assolutamente interessante.” La voce di D., alle sue spalle, sembrò non sorprenderlo. La stretta solidissima, che gli aveva impedito di cadere, per un istante gli fece ritrovare la lucidità. “Mi rammarico davvero di non esserne realmente capace.”
Lasciò la presa sul suo braccio e si fermò di fianco a lui. Jason lo osservò in silenzio con la coda dell’occhio e notò che si era fatto per un momento pensieroso, mentre fissava il punto in cui fino a un momento prima si trovava Oliver Shark. Poi, il gatto che si strusciò sui suoi pantaloni sembrò distrarlo.
“Grazioso, il costume” affermò, dopo averlo guardato solo un istante e tornando a osservare di fronte a sé. “È davvero un peccato che si sia rovinato.”
“Sai che cos’è davvero un peccato, D.?” replicò Jason in tono serio. “Il fatto che io non possa usare i miei poteri su di te.”
L’altro si limitò a sorridere. “Già, immagino che sia una questione di punti di vista.”
“Perché li hai lasciati scappare?” chiese con una punta d’irritazione.
“Veramente sei tu che li hai lasciati scappare.” D. rispose candidamente, come fosse qualcosa di ovvio, e il suo tono spontaneo e innocente produsse automaticamente una smorfia sprezzante sul volto di Jason.
“Se eri qui a goderti lo spettacolo!”
“Uno spettacolo incantevole, non c’è proprio niente da obiettare.” ammise divertito l’altro. “Ma non dimenticarti per chi faccio il tifo.”
“Già, a proposito.” Jason si voltò per la prima volta a guardarlo. “Me lo sono goduto anch’io lo spettacolo. Tante grazie per la bella sorpresa... papà!” Si era fatto sostenuto e vagamente beffardo. “E, soprattutto, grazie infinite per avermi usato. E per avermi raccontato tutte quelle interessantissime idiozie. Stavo quasi per crederci, pensa!”
“A che ti riferisci, scusa?” D. continuava a rivolgere pacatamente il suo sguardo di fronte a sé.
“Senti, a questo punto...” proseguì Jason “Non so chi tu sia veramente e non m’interessa nemmeno, ma almeno fammi il piacere di non trattarmi come un idiota.”
D. si voltò verso il suo interlocutore solo in quel momento. “Stai sanguinando, te ne sei accorto?”
“Vedo che non ti sfugge proprio niente.” borbottò sarcastico.
Il dolore al braccio sembrava qualcosa di distante, in realtà. Quella che sentiva era una sofferenza ben più opprimente, che si espandeva dal centro della testa a tutto il resto del corpo. Le vertigini si fecero all’improvviso più intense e vacillò di nuovo, costringendosi a forza a restare in piedi. Era la stessa identica sensazione che aveva provato risvegliandosi nel divano di casa sua, la notte prima. Perlomeno sapeva che sarebbe svanita, ma il rumore morbido di quel gatto che continuava a fare le fusa gli sembrava assordante e insieme ipnotico.
D. lo osservò per un momento con un’espressione indecifrabile. Poi infilò una mano nella tasca e ne estrasse un biglietto da visita. “Tieni.” C’era solo un indirizzo, che Jason non riconobbe. “Chiedi di Wayne e digli che ti mando io.” spiegò, non appena l’altro lo prese. “Potrebbe esserti utile. E inoltre possiede un grosso pregio; è muto.”
Jason s’infilò il bigliettino nella cintura senza rispondere. Per un momento, aveva avuto la sensazione di essere sul punto di dire qualcosa che non gli apparteneva. Era come se, assieme a quella strana stanchezza, anche qualcosa di più tangibile fosse penetrato in lui. Credette di riconoscere Shark in quel qualcosa, come se un suo impercettibile residuo stesse ancora fluttuando nella sua testa. La voce di D., tuttavia, risvegliò quell’improvviso senso di torpore dopo appena un istante.
“Potrebbe esserti utile anche nel caso volessi consegnare Fearless ai federali.”
Lo scatto istintivo con cui si voltò verso di lui gli procurò una fitta al braccio, che strinse socchiudendo gli occhi in un moto altrettanto istintivo. “Come diavolo sai che sono riuscito a prenderl...”
La sua smorfia di dolore si trasformò, però, ben presto in un’espressione esasperata, quando notò che D. era scomparso di nuovo nel nulla. Al miagolio del gatto, che continuava ad aggirarsi sul tetto, rispose sollevando gli occhi al cielo e borbottando qualcosa d’incomprensibile.
Esitò per un momento prima di andarsene. Anche lui, come l’altro, soffermò lo sguardo nel punto in cui era penetrato nella mente di Oliver Shark, assorto ugualmente in qualche pensiero. Improvvisamente, un lampo d’incredulità gli attraversò lo sguardo. Poi fu consapevolezza.
Solo per un breve momento, sarebbe potuto sembrare sconforto.


CONTINUA...



La storia si avvia ad una conclusione e, passate le feste, spero di aggiornare gli ultimi capitoli più in fretta. Ringrazio le persone che hanno seguito fin qui e in particolare:

Lely1441: D. sentitamente ringrazia per il geniale, ma soprattutto per il perfetto e, anche se ne è sicuramente consapevole, non gli dispiace di certo sentirselo dire XD. A parte gli scherzi^^, mi fa davvero piacere che questo capitolo di spiegazioni non sia risultato noioso o affrettato. Come vedi, Jason si è trovato a scegliere abbastanza presto cosa fare, per quanto, dal suo punto di vista, lui non la definirebbe una scelta vera e propria^^. Spero che ti sia piaciuto anche questo capitolo. Grazie mille^^.

taisa: E va bene, i forconi esistono, ma non è il caso di sbandierarlo così ai quattro venti come niente fosse, non ti pare? U.U Passando a discorsi più seri (come se ci credessi), sono contenta che il mistero resti, nonostante le "spiegazioni" di D., e che s'intuisca che questo simpatico individuo non sia uno proprio normale, come vuole dare ad intendere... O forse essere così misterioso è proprio quello che vuole? Credo di non saperlo nemmeno io XDD. In effetti è vero, la situazione in cui si trova Jason non è tanto normale nemmeno per uno come lui, mi fa piacere che si noti anche questo^^. A questo punto mi eclisso misteriosamente anch'io, non senza averti ribadito i miei ringraziamenti ^^.


  
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