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Autore: fragolalidia    16/06/2015    0 recensioni
Nel regno di Camelot c’erano numerosi cavalieri valorosi e, incredibile ma vero, per esserlo non era necessario avere un nobile lignaggio: bastava il cuore al posto giusto, gambe leste e mani capaci.
E il Piccolo Tor, figlio di Ars delle Terre Senza Re, questo lo sapeva bene: se lo faceva raccontare da sua madre ogni sera prima di addormentarsi e ogni mattina appena sveglio, mentre beveva il suo bicchiere di latte di capra.
(Storia legata a "Simbolo Vuoto", ma di cui non è indispensabile la conoscenza.)
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Artù, Mordred, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il cuore dietro l'ideale'
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Dopo i festeggiamenti di rito per i nuovi cavalieri, Tor scoprì in fretta che i suoi primi doveri erano riprendersi dalla giostra e trovarsi un alloggio al castello.
Il giovane cavaliere, però, ebbe solo il tempo di scegliere una stanza qualunque, prima di partire ai suoi genitori.
Il re aveva detto loro di portare Aretha a Camelot e Tor non si sarebbe mai perso l’espressione di sua sorella quando le avrebbero detto che era Regina e per tutto il viaggio alla volta di casa, aveva continuato a fantasticare sulla reazione della sorella.
Come avrebbe reagito a una notizia così incredibile? Si sarebbe spaventata? Si sarebbe arrabbiata? Avrebbe gioito e cantato per una settimana? Avrebbe cominciato a dare ordini a tutti, capre e cavoli compresi? O forse sarebbe stata così felice di rivederlo, da non considerare neanche la notizia di essere appena divenuta Regina.
Purtroppo per lui, la prima reazione della sorella non era stata quella di saltargli al collo per salutarlo, ma urlargli contro che, se era tornato indietro sconfitto e con la coda tra le gambe, allora lei non avrebbe più avuto un fratello. E dietro di le, i loro quattro dei loro fratelli, quelli abbastanza grandi da reggersi in piedi quindi, le davano ragione.
<< No, sorella. >> disse lui nel tono più serio e formale di quanto non avesse mai fatto con sua sorella, tentando di nascondere il malumore di quell’ingiuria << Vi sbagliate. Sono divenuto cavaliere ormai dieci giorni fa e sono qui per una missione ufficiale affidatami da Re Artù Pendragon in persona. >>
<< Ah, sì? E quale sarebbe? Fare il pomposo col vostro sangue? Insegnare l’arte della giostra alle mucche? O salvare le pecore dalla rasatura annuale? Ci sono: fingere di essere un cavaliere e non farsi sbeffeggiare dai vicini! Non preoccuparti Tor, ti difendo io. >>
<< No, scortare a Camelot il nuovo Sovrano della Terra senza Re. >> ribatté lui alzando il mento con beffarda superiorità.
<< Ti rendi conto che è assurdo che una regione che per definizione è “senza Re” ne abbia uno, vero? Non sarebbe molto logico. Temo che il re, se quello era davvero il re, ma temo che tu sia stato circuito da un viandante in una taverna, ti abbia preso in giro, fratello. E ora dimmi, come ti hanno sconfitto? Ti hanno fatto piangere perché ti hanno detto che hai il naso grosso. >>
<< Non ho il naso grosso. >>
<< Oh, sì che lo hai. >>
<< Non… Non voglio litigare con voi… mia signora.>> disse lui, inchinandosi davanti, seguito dai suoi genitori che nel frattempo avevano seguito la loro discussione nel più completo dei silenzi, permettendosi solo di lanciarsi qualche occhiata eloquente.
Lei di rimando li guardò male.
<< Oh, padre, madre! Come vi ha convinto a reggere questa buffonata? >>
<< Il fatto che non lo è. >> rispose Ars.
Tor tornò a guardarla, sorridendole.
<< E’ un peccato che tu non possa fare la principessa, sorella, ma sarai anche meglio come regina. Perché è vero, la nostra è ancora la Terra Senza Re, ma perché noi non abbiamo ancora un re e neanche ci serve. Ci bastate voi, maestà. >>
Per risposta, Aretha diede loro le spalle e con passo sicuro entrò in casa chiudendola alle sue spalle. Tor comprese che le ci sarebbe voluto del tempo per riprendersi. E come darle torto? Quella sera l’avrebbe portata a guardare le stelle e le avrebbe raccontato tutto. Come facevano quando erano bambini.
 
C’erano volute altre due settimane prima di riuscire partire nuovamente alla volta di Camelot: era servita una riunione straordinaria del gran consiglio anziano e, soprattutto, riuscire a convincere Aretha che, comunque, necessitava di qualcosa di più del corredo di una mungitrice. Tor non fu particolarmente sorpreso nel vedere il circondario esultare per questa nomina e proporsi di aiutarli per non far sfigurare Aretha davanti agli arricchiti cortigiani di Camelot: sapeva che la sua gente era composta per lo più da persone semplici e altruiste che si amavano e sostenevano l’un l’altro sia nei dolori che nelle gioie. Se poi era vero quello che aveva detto il re, suo padre Ars era stato l’effettivo re di quelle terre e restituire la corona alla famiglia, era come restituire identità al loro popolo.
Un popolo degno di avere Aretha come regina.
Fu soprattutto per loro che sua sorella, alla fine, cedette alla volontà popolare (la maggior parte degli abitanti della regione infatti si erano presentati a casa loro per renderle omaggio), e accettò la nomina di loro Regina.
Tor si chiese spesso del perché di tutte quelle remore, ma non osò mai farne domanda a sua sorella, per paura della risposta.
Poteva davvero esserci qualcosa che la sua intelligente e coraggiosa sorella temeva?
 
Tornare a Camelot fu più arduo di quanto sembrava, visto la predilezione alla fuga dei suoi i fratelli minori, ma quando Tor varcò le porte di Camelot, si sentì finalmente a casa.
Il soggiorno della sua famiglia fu breve e intenso. Il re rimase incantato dall’acuta intelligenza e dalla sincera modestia di Aretha e i cortigiani furono affascinati dalla sua soave bellezza. Suo padre era spesso sparito in lunghe passeggiate con i cavalieri più anziani e sua madre aveva intrattenuto la corte con delle canzoni popolari affascinando tutti con la sua voce melodiosa, accompagnata egregiamente dal menestrello di corte, un certo Talesin.
L’unica nota stonata fu Mordred che, a detta di Aretha, era immensamente più bello di lui e che per i suoi gusti, si era intrattenuto troppo con sua sorella. Non che avessero passato molto tempo da soli, tutt’altro, ma Mordred le aveva fatto da cicerone per tutto il tempo e lei, a conclusione di tutte le giornate di quel soggiorno, non aveva che lodi da tessere su di lui.
Tor pensò per un momento di spezzare il bel naso dritto del figlio del re e si compiacque con se stesso per il proprio autocontrollo.
In quei giorni, poi, Tor si era accorto che gli altri quattro neo-cavalieri avessero già fatto amicizia tra di loro, mentre lui a mala pena ricordava i loro nomi.
C’erano Agravaine, figlio di Lot, un ragazzo dall’aria troppo intelligente e lasciva per dargli sicurezza, Carradoc, figlio di Carradoc, elegante e dall’aria selvaggia, e Yvain, che come lui era ufficialmente figlio di nessuno d’importante e che, per quanto avesse capito, aveva passato l’infanzia con un arco in mano.
La sera dei festeggiamenti per l’incoronazione di Aretha, Agravaine si era avvicinato a lui solo per poter corteggiare sua sorella, ma l’istinto di Tor di prenderlo a pugni fu fermato dall’arrivo di Mordred che catalizzò la loro attenzione.
<< Il mio bel cugino… >> gli disse Agravaine alzando il calice a mo’ di saluto << Bello come sua madre e ingenuo come suo padre. >>
Mordred fece per ribattere ma poi tacque, facendo sogghignare l’altro cavaliere.
<< Vorrei invitare vostra maestà a un ballo, se lei me lo permette. >> disse poi Mordred porgendo la mano con un leggero inchino alla neo regina.
Lei non se lo fece ripetere due volte e Tor dovette trattenersi dal prenderlo a calci.
Fu allora che cominciò a parlare con un suo commilitone, che sembrava intenzionato sia a distrarlo dall’idea di uccidere il figlio del re che scoprire qualcosa su di lui. Tor seppe così che Agravaine era il figlio della sorella del Re, e che suo padre Lot era il re delle Orcadi. Aveva sentito parlare delle Orcadi da suo padre, gli disse, come un regno sulle rocce e sul mare dove il popolo di pescatori raccoglieva le perle più belle del regno. Agravaine confermò con una grassa risata, alzando il calice al cielo. Mordred, gli raccontò allora Agravaine, era sì il figlio del Re e di quella che lui stesso definiva come sua moglie, ma secondo il nuovo ordinamento legislativo non ne era che il figlio illegittimo. La regina Morgana, sua madre, era l’amazzone regina di Avalon, la donna più bella di ambo i mondi e che a suo tempo si era rifiutata di sposare Artù secondo il nuovo ordinamento rendendo così illegittima tutta la loro progenie di cui, a quanto si diceva, Mordred non era che il primo di una lunga serie.
Agravaine poi si fece serio, nonostante il troppo alcol in corpo.
<< Mordred è un bravo ragazzo, sul serio. Io personalmente lo adoro, forsanche perché è la mia cavia preferita... ah… mi mancano i miei fratelli… anche se ne ho uno qui, ma con lui non ho mai legato molto: è troppo serio… Ieri si è sentito in dovere di punirmi per aver rubato i vestiti di Mordred… sciagurato. I fratelli maggiori sono dei gran prepotenti, eh? >>
<< Oh… non saprei. Sono io il fratello maggiore. >>
Agravaine lo fissò per un lungo istante.
<< Oh… già… >>
Tor cominciò a provare compassione per Mordred: un parente come Agravaine non doveva essere particolarmente rilassante e anche lui si sarebbe aggrappato alla diplomazia dell’ospite e sarebbe rimasto al fianco di chiunque gli permettesse di non rimanere solo e alla mercé di un cugino simile.
La conversazione con l’altro cavaliere non era durata ancora per molto: Agravaine si era defilato presto in cerca di un altro bicchiere e Mordred aveva riaccompagnato sua sorella poco dopo.
Col tempo, Tor avrebbe imparato a fare attenzione ad Agravaine, al modo in cui si defilava e alle intonazioni che usava: non solo sarebbero stati il modo più sicuro per evitare qualunque burla da parte sua, ma anche per capire quali erano gli umori del regno. Agravaine aveva quella naturale dote di intercettare gli umori della moltitudine attorno a sé e il terribile qualità di manipolarlo per umiliare e non per difendere. Non che Agravaine lo facesse con vera cattiveria, ma – cosa anche peggiore visto che con Agravaine capitava fin troppo spesso – per noia.
Tor, però, lo avrebbe capito solo col tempo.
 
Quando la sua famiglia se ne andò, Tor sentì per la prima volta un forte senso di solitudine.
Era pronto a molte cose, ma non al dover pranzare da solo o a discutere con le persone solo per lo stretto necessario. Tor, certo, non era mai stato troppo loquace, ma col passare dei giorni la cosa gli era sembrata sempre più difficile.
Quando Agravaine gli propose di andare a pescare con lui ed altri cavalieri, non se lo fece ripetere due volte: l’ultimo consiglio di suo padre fu quello di instaurare un senso di cameratismo con i suoi compagni che sarebbe divenuto la base dell’amicizia tra cavalieri e quello era un buon modo per iniziare. Senza contare che sapeva benissimo di aver bisogno di qualche svago e andava bene anche discutere sull’intelligenza dei pesci, dopo tanti giorni di allenamento e studio.
In quell’occasione aveva conosciuto Gawain, il fratello di Agravaine, un uomo serio e integerrimo, nonché braccio destro del re, che gli si rivolse come si fa a un fratello minore. Aveva lo stesso modo di scrutare di Agravaine, ma senza tutta quella malizia.
La sua maggiore scoperta, però, fu il figlio del re. Mordred era proprio come diceva suo cugino: ingenuo. Era stato coattivamente portato con loro da Gawaine, con un altro cavaliere che gli aveva impedito la fuga e per tutto il tempo aveva risposto alle battute di Agravaine come solo un bambino di tre anni avrebbe potuto rispondere, scatenando l’ilarità dei più, con il risultato che per la maggior parte del tempo era rimasto fermo immobile a fissare la sua canna da pesca senza rivolgere parola a nessuno se non strettamente interpellato.
<< E’ inutile, ragazzo, non ti faccio entrare in acqua da solo. Non fuggirai. >> gli disse uno dei cavalieri più anziani scompigliandogli i capelli con la grossa mano callosa.
<< Dai, lascialo in pace, Bendivere! >> lo richiamò Gawain << Lo sai che Mordred è timido. Deve prima acclimatarsi come tutti gli animali selvatici. >>
<< Non sono timido, non ho molto da condividere. >>
<< E hai paura di Agravaine. >> lo canzonò Bendivere
<< Infatti sono intelligente. >> disse lui arricciando il naso in segno di lieve stizza.
Un attimo dopo era stato buttato in acqua dal cugino più giovane.
Bendivere urlò irato.
<< No, stupido idiota! Fuori! Uscite fuori! >>
Le risate di Agravaine però coprivano quelle urla. E con lui quelle di tutti gli altri.
<< Dov’è Mordred? >> chiese poi Gawaine.
Tutti smisero di ridere, guardando lo specchio d’acqua.
Del figlio del re non c’era traccia.
Tutti i cavalieri presenti di radunarono a guardare lo specchio d’acqua.
<< Oh, Dio… >> sussurrò Agravaine guardandosi attorno sinceramente spaventato << Mordred! >>
<< Non sarà annegato, vero? >> chiese Ser Yvain guardando gli altri, mentre Agravaine continuava a chiamare preoccupato il nome del cugino e si immergeva per cercarlo.
<< Non dire sciocchezze! >> esclamò Ser Bendivere << Mordred ha imparato prima a nuotare e poi a camminare ed ha passato gli ultimi dieci anni a pescare nelle terre di sua madre! È scappato! Quella maledetta anguilla! >>
<< Bisogna trovarlo. >> sentenziò Ser Gawaine con un ringhio << Se il re scopre che lo abbiamo perso di vista ci metterà agli arresti. >>
<< O peggio, metterà lui. >> disse Ser Bendivere scuotendo la testa.
Il gruppo si separò e Tor si ritrovò a camminare con Ser Yvain lungo la sponda del lago.
<< Tu ci hai mai parlato? >> gli chiese ad un tratto.
<< Con chi? Mordred? >>
<< Sì. >>
<< Solo qualche parola di rito. Non mangia con noi e… sinceramente non so cosa faccia tutto il giorno. >>
<< Io sono abituato a svegliarmi prima dell’alba, mio padre pretendeva che lavorassi assieme ai nostri braccianti e il vizio mi è rimasto. >> disse Ser Yvain << Lo vedo allenarsi da solo e sembra anche molto bravo. Carradoc mi ha raccontato che il re chiede sempre dov’è, quasi avesse paura di perderlo e che mentre noi siamo ad allenarci, lui lo accompagna nelle udienze. >>
<< Non vuole fare il cavaliere? >>
<< Credo di sì… Se no perché allenarsi? Ma quanti anni ha? Tu lo sai? Sembra un ragazzino da un lato e un uomo dall’altro… >>
<< Non lo so. E’ così… alto. >>
<< Già… Persino più alto di te… O Gawain. E’ difficile essere più alto di Gawain. Quando ero piccolo pensavo fosse impossibile. >>
<< Sei delle Orcadi? >> chiese Tor d’istinto.
<< No, mio padre è un proprietario terriero a sud, ma mia madre è una figlia illeggittima di Re Lot. Quando Gawain ha deciso di andare a combattere per il re, lei lo ha seguito per essere presentata a corte e fare un buon matrimonio, solo che ha conosciuto mio padre alla festa dei raccolti e sono scappati per sposarsi, non essendo lui un nobile. Credo ci sia una taglia sulle loro teste, nelle terre di mio nonno, ma Gawain e mia madre sono sempre rimasti in buoni rapporti. >>
Tor non poteva fare a meno di pensare a quanto piccolo fosse quel mondo, quando alzando lo sguardo verso la sponda opposta del lago non vide, appoggiato a un albero, Mordred a torso nudo che riposava con i vestiti sull’erba ad asciugare.
<< Torniamo indietro. >> disse << Mordred tornerà quando vorrà andare a casa. >>
<< Dici? >>
<< Sì, è là che riposa. Probabilmente si sente a disagio a essere l’unico non cavaliere e Agravaine non gli rende la vita facile. Se è vero che il re poi se lo vuole portare ovunque, avrà voglia di starsene per un po’ per i fatti suoi, non credi? >>
<< Probabilmente hai ragione. >> concordò Yvain guardando verso Mordred << In fondo lo capisco: con tutto quello che dicono alle sue spalle certi cortigiani, anche io avrei voglia di starmene per i fatti miei. >>
<< Parlano di lui? >>
<< Non sei stato qui molto tempo, ma ti ci vorrà poco per sentirli. Credo che se il re lo scoprisse, li farebbe frustare e non credo di potrei dargli torto. >>
<< Ma è solo un bastardo come altri, non mi sembra che la vita sia particolarmente difficile per i figli illegittimi dei re. >>
<< Di solito, ma lui è il primogenito maschio di un re senza eredi legittimi, in fondo. E non un re qualsiasi, ma Artù Pendragon. Sua madre, poi, è anche più leggendaria di suo padre e… >>
<< E’ una regina, no? >>
<< Non è una regina qualsiasi. È la regina Morgana di Avalon, dell’Antico Popolo. Si dice che in un campo di battaglia, Morgana porti più distruzione di cento soldati. Mia madre mi raccontò che aveva sconfitto con una mano sola Re Lot e con l’altra Re Pellinore e che non li aveva uccisi solo per fare un piacere ad Artù che le chiese di risparmiare loro la vita. È anche la figlia di Merlino, l’istitutore del re, consigliere personale del precedente re, nonché padre di Re Merlino il Pazzo, il cui regno è il più ricco tra quelli dell’ovest. >>
<< Addirittura? >>
 
L’amicizia tra Tor, ser Yvain e Ser Agravaine si fece più salda nelle settimane successive, e col tempo cominciò a conoscere ed apprezzare anche Ser Carradoc, primogenito di un re dell’Ovest dal carattere umile e aperto. Non riusciva, però, a comprendere il funzionamento delle relazioni con gli altri personaggi della corte.
La servitù, ad esempio, era cordiale e distaccata, come se temesse una qualunque slealtà da parte di un cortigiano e per loro, anche Tor lo era; le serve, ad esempio, non si azzardavano di entrare da sole in una qualunque camera da letto se dentro c’era qualcuno.
 I cortigiani, poi, erano anche più ambigui pronti a cambiare versione e atteggiamento in meno di una giornata. Si era ritrovato così sconcertato dal comportamento di due tesorieri delle terre del nord che non riuscì a dormire tanto che decise di fare un giro quando ormai era l’alba. Tor sapeva che più c’era ricchezza, più c’era il rischio di corruzione, ma pensava che a Camelot lavorassero personalità più auguste dei ladruncoli che suo padre Ars faceva scappare il giorno del mercato.
Era appena uscito dal castello quando decise si ricordò delle parole di Yvain sul principe illegittimo e d’istinto si diresse verso la Piazza d’Armi dove immaginava di trovare Mordred. Aveva appena svoltato l’angolo quando lo vide, fermo immobile al centro del campo con gli occhi coperti da una benda. Lo vide voltarsi nella sua direzione.
<< Ser Tor? >>
Tor sobbalzò.
Era distante più di cento passi e non aveva fatto alcun rumore, ma Mordred, bendato, lo aveva comunque scoperto e riconosciuto.
<< Sì, Ser Mordred. >>
Mordred si tolse la benda e lo guardò stranito, prima di avvicinarsi.
<< Non sono ancora Cavaliere. Come mia siete qui? >>
<< Non riuscivo a dormire. E voi? >>
<< Mi allenavo un po’. Di giorno non posso mai farlo e la notte dormo sempre molto poco. >>
<< Strani pensieri? >>
<< No, solo metabolismo materno. Come lei, mi basta dormire quattro ore per riposarmi e riprendermi da qualunque fatica. >>
<< Qui a Camelot ho sentito parlare molto di vostra madre. >>
Mordred abbozzò un sorriso ironico che lo avvicinò a Agravaine più di quanto non mai successo prima e Tor non poté non pensare che quello era praticamente il primo sorriso che gli aveva visto fare.
<< Immagino. >>
<< No, sul serio. Dicono che sia un’amazzone bellissima… >>
<< … e che abbia sedotto il re per avere il suo regno. >>
Tor tacque per un momento pensandoci su.
<< Sì, anche quello. >>
<< Siete un uomo onesto, Ser Tor. Una bella qualità, spero non la perdiate. >>
Tor guardò l’altro mentre recuperava i guanti ed il mantello lasciati a terra in qualche modo.
<< Grazie. >>
Mordred gli fece segno di seguirlo.
<< Sapete, anche io quando mi sono trasferito qui a Camelot ho subito molto il distacco da Avalon. La società di mia madre è molto più semplice e tranquilla. A Camelot la vita è più dinamica, senza dubbio, ma spesso sembra che ai suoi abitanti sfugga qualcosa, non credete anche voi? >>
Tor meditò un attimo sulla risposta.
<< Non a tutti. Diciamo che a molti di loro manca qualcosa. Forse un po’ della tranquillità che invece hanno da altre parti. Probabilmente servirebbe un po’ di vita frenetica e un po’ di vita appartata. >>
<< Un bel pensiero. Ne parlerò al re, magari prende la decisione di andare qualche giorno a caccia. È da un po’ di tempo che non si distrae e lo vedo stanco. >>
Mordred cominciò poi a dare un paio di direttive su come comportarsi a corte: gli aveva consigliato, ad esempio, di trattare con cortesia, ma non servilismo qualunque servo, ma non chiedere aiuto sempre agli stessi, perché questi non pensino che avesse delle preferenze. Sarebbero stati loro, poi, a decidere se servire preferibilmente lui o lasciare quel posto ad altri. A quanto pareva, era una libertà che la servitù del castello gradiva molto. Del resto, dalle sue gesta in difesa della piccola Rivalem, molti servi della corte erano già ben disposti nei suoi confronti e quindi non doveva preoccuparsi di acquisire la loro fiducia, quanto vedere di non perderla. Con i cortigiani che chiedevano un’opinione su un’altra persona o su un fatto doveva rispondere in maniera vaga e pacata per poi cambiare argomento o defilarsi: le sue parole sarebbero potute diventare armi contro di lui o lo avrebbero potuto coinvolgere in una faida di cui neanche sapeva l’esistenza. Ce n’erano molti, di cortigiani, degni della massima fiducia e ai quali dare tutti gli onori possibili, ma li avrebbe riconosciuti solo con l’allenamento. Lui stesso, spesso, dubitava delle sue stesse opinioni.
Quando Mordred aveva finito di parlare, Tor si era accorto di essere arrivato nelle cucine, dove una grassa e anziana signora abbracciò il figlio del re con affetto e guardò Tor con sorpresa cortesia. Fu così che Tor conobbe la cuoca del palazzo, la creatrice dei magnifici manicaretti che aveva gustato durante le giornate di festa e, per la prima volta dopo tanto tempo, Tor sentì di aver trovato un nuovo eroe che, al posto della spada, teneva un mestolo in mano. Mordred sorrideva felice e sembrava quasi un bambino, mentre faceva servire loro la colazione e mangiava con gusto. A quella vita, Tor rivide il sorriso aperto e sincero del re e ne fu lieto.
<< Posso chiedervi una cosa? >> disse Tor maledicendosi per tanta curiosità << E’ qui che mangiate? >>
<< Solo se non sono con il re. >>
<< Come mai? Non vi sentite solo? >>
<< Non mi piace mangiare nelle mie stanze e non sono un cavaliere, quindi non mi sembrerebbe giusto nei confronti di tutti gli altri aspiranti cavalieri condividere i pasti e i luoghi che sono accessibili solo a voi. Il re poi è il mio unico parente che non pranza con i cavalieri e che risiede a Camelot e poi qui nessuno si mette a fissarmi: tra i nobili, i cortigiani, i cavalieri e la stessa servitù da sfamare, qui non hanno tempo da perdere. Ogni tanto, poi, la signora Aislin mi permette di esserle utile e a me fa piacere. È una gran donna Aislin, non sono qui da molto, ma da quando la conosco è riuscita a farmi sentire a casa. Mio padre è molto fortunato ad averla al suo servizio e per me è l’amica più sincera che potrei mai trovare a Camelot. >>
<< Non avete molti amici qui. >>
<< Non credo che li avrò mai. >> rispose lui con un sorriso sincero.
Tor vide che non c’era ombra di rassegnazione o rancore e se ne sorprese.
<< Perché dite così? >>
Mordred abbozzò una leggera risata, ma non rispose.
Per la prima volta, Tor sentì di provare simpatia verso quel giovane ragazzo che come lui era solo e che come lui tentava di ritagliarsi il suo posto in quel mondo.
<< Perché non sei ancora cavaliere? >>
<< Sono ancora troppo piccolo e credo che mio padre non sia entusiasta all’idea che io rischi la vita in un duello, come se servisse la nomina per comportarsi in maniera così stupida. Oh, non fraintendete, ser Tor, io rispetto enormemente la vostra avventura contro quei tre avventurieri e ho di voi la massima stima, semplicemente, come avete ben detto voi quel giorno al re, non è la nomina che fa decidere a un uomo se e quando difendere il prossimo. Mia madre poi mi ha sempre insegnato che l’utilizzo della violenza gratuita è segno di infinita debolezza mentale e morale, piuttosto che spessore caratteriale e la cosa è condivisa da mio padre. Perché io dovrei giostrare con sconosciuti solo perché sono cavaliere? Sapete che molti uomini si credono cavalieri solo perché hanno un cavallo? E che esistono individui che sono infinite volte di più meritevoli di quel titolo di qualunque signorotto, ma non hanno mai avuto il denaro per avere neanche un asio? Nelle contrade minori ci sono cavalieri, parlo di guerrieri nominati tali dai vassalli della zona e che quindi possono davvero definirsi tali per diritto, che quando si annoiano si fermano a un bivio e sfidano a duello chiunque gli passi davanti, che esso sia un cavaliere, un bambino, una donna o un prete e quando li hanno battuti li derubano solo perché in tempo di guerra questo è il diritto del vincitore. >>
Tor scosse la testa in segno di assenso, colpito di essere stato oggetto di riflessioni per il figlio del re, così maturo e serio da domandarsi il senso dell’essere o no cavaliere per poter agire come uomini d’onore.
<< Quando potrò diventare cavaliere, se il re mi permetterà mai di esserlo, farò in modo che questo ruolo ritorni ad avere il suo senso primigenio e se non me lo permetterà, voglio che si comprenda che non è la nomina che fa essere degni di quel ruolo, ma che tutti possiamo essere cavalieri di noi stessi, come voi quella sera. Questo sarà il mio contributo al regno di mio padre. >>
Mordred, comprese Tor ascoltandolo, era un uomo degno e augusto. Un uomo degno di ogni stima.
Poi un dubbio lo pervase.
<< Scusate, Mordred, ma quanti anni avete? >>
<< Ne ho fatti quattordici la scorsa primavera. >>
Tor lo fissò intensamente, decretando che avrebbe odiato quel moccioso per il resto della sua vita.
 
L’anno ormai stava volgendo al termine, quando Mordred partì alla volta di Avalon promettendo al re di tornare prima dell’anno nuovo e di mandargli continue missive. Il re aveva provato a trattenerlo, ma per la prima volta, Mordred fu intransigente e lasciò suo padre da solo, a Camelot.
Artù Pendragon divenne malinconico e silenzioso e Tor si dispiacque di non vederlo socievole come suo solito, ma le feste invernali furono un motivo di distrazione tale, da non preoccuparsi della tristezza del re.
Con l’arrivo della neve, arrivarono anche molti altri cavalieri a Camelot.
Ser Hector spiegò a lui e agli altri neocavalieri che per capodanno, all’anniversario dell’incoronazione ufficiale del re, avvenuta ormai quattordici anni prima, i signori di tutte le terre del regno venivano a rendergli omaggio e tutti i cavalieri di Camelot facevano ritorno per omaggiare il loro re. In quell’occasione si sarebbe tenuta una giostra di mirabolante meraviglia, dove il vincitore avrebbe ricevuto una borsa di cento monete d’oro.
Loro però non avrebbero ancora potuto gareggiare, ma avrebbero partecipato alla parata iniziale e fatto parte del servizio d’ordine.
Tor chiese come mai tutta quella gavetta, composta da servizi di vigilanza, studio e allenamento, senza però fare dei veri combattimenti.
<< Il re era un ragazzo della vostra età quando è divenuto re. >> disse allora Gawain, avvicinandosi al gruppo << Dovette combattere sin da subito per poter affermare il proprio potere e, seguendo gli insegnamenti del suo Maestro, dare la pace alla sua terra. Io stesso non ero che un ragazzino, quando mio padre si rifiutò di giurargli fedeltà e io disertai dall’esercito delle Orcadi per mettermi al servizio del nostro re. Non eravamo preparati a tutto quello che abbiamo affrontato. Non lo si è mai, a dire il vero, e non si può dire che noi fossimo tecnicamente inesperti.  >>
Gawain tacque per un momento, alzando lo sguardo triste verso l’orizzonte.
<< Abbiamo perso degli amici, perché l’età ci ha fatto essere superficiali. Eravamo come dei bambini che giocavano alla guerra e poi abbiamo scoperto che non era un gioco. >>
Il primogenito di Re Lot si volse a guardarli.
<< Voi avete talento. Il re l’ha visto e vi ha scelto. Ma il talento deve essere raffinato dall’umiltà e dalla conoscenza e non possiamo rischiare di perdervi perché siete poco più di fanciulli e come tali vi comportate. La ronda serve per non dare per scontato il lavoro delle guardie e non pretendere troppo da qualcuno che dipende da noi quanto noi dipendiamo la lui. Lo studio delle leggi poi è fondamentale per il re: noi siamo i suoi emissari più fidati nel regno. Noi dobbiamo garantire che le sue leggi vengano rispettate. Abbiamo il diritto e il dovere di infliggere le punizioni più adeguate ai nemici della legge, perché questi sono anche nemici di Camelot. Dobbiamo conoscerla per poterla rispettare e farla rispettare a nostra volta. >>
Ser Hector scosse la testa in segno di assenso.
<< Tutto vero. >>
Tor guardò i suoi quattro compagni. Come loro, non pensava di essere solo un fanciullo e avrebbe voluto essere considerato come tutti gli altri cavalieri, ma sapeva che era impossibile trasgredire a questa direttiva reale: pena la scomunica regale.
Addio titoli, addio sogni.
A Tor non restò che camminare per le vie della città, sperando di trovare qualcosa da mettere sotto il suo gambessone per essere sicuro di rimanere al caldo: le ultime ronde erano state più fredde di quanto si era immaginato.
<< Signor cavaliere! >>
Tor si ridestò dai suoi pensieri e volse lo sguardo verso la voce che sembrava chiamarlo.
Una giovane fanciulla, coperta da un pesante mantello di panno, lo guardava sorridendo.
<< Signor cavaliere, siete davvero voi! >>
Dopo un attimo Tor la riconobbe. Era la fanciulla alla quale doveva la sua nomina a cavaliere.
<< Sono Rivalem, figlia di Fedor. Vi ricordate di me? >>
<< Sì, mai signora. Felice di vedervi in salute. >>
<< Grazie. State facendo compere? >>
<< Sì. >> disse lui notando che dietro alla giovane c’era un gruppetto di ragazze che li guardava << Anche voi? >>
<< Oh, no! >> disse lei ridendo << Io e le mie amiche stiamo andando a lezione. Perché quella faccia? Anche dalle vostre parti c’è la scuola, no? >>
<< No. >> ammise lui comprendendo di aver assunto un’espressione suo malgrado sorpresa << Io e i miei fratelli abbiamo imparato a leggere e fare di conto da mia madre. >>
Accompagnando la figlia del fabbro e le sue amiche, Tor scoprì che con la sua salita al trono, il Re aveva istituito anche una scuola per le classi meno abbienti. La sera, una o due volte a settimana, i figli del popolo potevano riunirsi e imparare a leggere e scrivere.
<< Il vostro re non fa di queste cose? >> chiese con aria maliziosa una delle sue amiche di Rivalem.
<< Io sono della Terra Senza Re. >> disse allora Tor << Avevamo un consiglio di anziani che decideva le cose importanti, ma non molto altro. Solo di recente abbiamo avuto l’elezione da parte del re di una sovrana. Penso che gliene parlerò: troverà questa idea molto interessante. >>
<< Esisteva davvero una terra senza re? >>
<< Non c’è neanche ora, in verità: abbiamo una Regina. >> rispose allora Tor con un moto di orgoglio.
Le fanciulle lo guardarono sbalordita.
<< Oh, no! State mentendo! >>
<< No, mie signore. Il re ha nominato Lady Aretha, figlia di Ars, regina della Terre senza Re. Non conosco dama più degna di quel ruolo. >>
Rivalem gli sorrise.
<< Siete innamorato di lei? >>
<< No! >> disse lui in una risata << E’ vero, però, che dopo mia madre, lei è la donna a cui sono più affezionato. Ora scusate, mie signore. Ma ho una maglia di lana da comprare. >>
Detto questo tornò al mercato per completare i suoi acquisti per poi correre al suo turno di ronda sentendo vivida per la prima volta dopo tanto tempo la mancanza della sua famiglia.
Quel giorno, sarebbe stato particolarmente freddo per lui.
Era sulle mura superiori e stava ancora pensando all’ultimo inverno passato a casa, quando aveva aiutato suo padre a far nascere un vitello e sua sorella lo aveva preso in giro dandogli della levatrice di buoi, quando una voce bassa e profonda attirò la sua attenzione.
Tor guardò in basso.
Un cavaliere più si stava avvicinando a Ser Gawain con fare marziale e l’armatura indosso. Ser Gawain, da parte sua, lo stava aspettando in piedi a braccia conserte. Il nipote del re sembrava calmo, con le spalle rilassate e il mezzo sorriso divertito, mentre l’altro toglieva l’elmo scoprendo il volto di un cavaliere suo coetaneo.
<< Aglovale! Vecchio vagabondo che non sei altro! Cos’è? Sei tornato perché hai bisogno di soldi? >> disse infine Ser Gawain aprendo le braccia e abbracciando l’altro cavaliere.
<< E cosa dovremmo dire di te, eh, Gawain? Cosa ci fate ancora qui, al capezzale del vostro bravo zietto? Siete proprio un uomo pigro, lo sapete? Mai una missione, mai un’avventura… >>
<< Ci sono altre avventure oltre a quelle che affrontate voi, amico mio. Se le vostre si possono chiamare tali. >> ribatté l’altro con l’aria di chi la sa lunga.
<< Taci o comincerò a pensare di star parlando con mio padre. >>
Ser Gawain scoppiò ridere.
<< Non è così divertente. Piuttosto, notizie dal nord? >>
I due cavalieri continuarono a conversare, allontanandosi da lui e Tor non poté fare a meno di seguirli incuriositi con lo sguardo.
<< Che fai? >> lo richiamò la voce di Agravaine. << C’è qualche bella donzella? >>
<< No. C’erano Ser Gawain e un altro cavaliere qui sotto. Sembravano amici. >>
Agravaine alzò un sopracciglio.
<< Mio fratello non ha amici. Hai sentito come si chiamava? >>
<< Aglovale, se non ho capito male. >>
Agravaine tacque un momento fissandolo per un istante.
<< Non è un amico. È Aglovale, figlio di Pellinore. >>
<< E allora? >>
<< Pellinore confina con il regno di nostro padre. Quando re Artù è salito al trono, Pellinore lo affrontò in duello e sconfisse, prima di decretare di accettarlo come re. E questo solo perché re mio zio riuscì a resistere tre giorni. Mio padre, invece, che sperava che col matrimonio con mia madre sarebbe diventato lui l’erede di Uther, si rifiutò di giurargli fedeltà. Il risultato fu che Gawain disertò, il nostro sovrano vinse e mio padre perse molte terre a favore di Pellinore. Non è stato deposto o ucciso solo perché mio fratello è intervenuto in suo favore. Gawain non può più tornare a casa da allora: mio padre ha compreso cosa ha portato Gawain a ribellarsi a lui, ma non gli perdonerà mai di avergli salvato la vita. Ma entrambi concordano nel dire che dei vicini non bisogna fidarsi ed entrambi si danno da fare in tal senso. >>
<< Non capisco. >>
<< Pellinore è un bastardo approfittatore. Non si è alleato con il re perché anche nella sconfitta si è dimostrato superiore, ma perché sapeva, come tutti del resto, delle mire di mio padre ed era lui quello che Pellinore voleva sconfiggere. E infatti ha guadagnato delle terre ricche e un affaccio sulla baia del sale. Certo, sperava di avere tutte le Orcadi, ma il nostro sovrano è comunque il fratello della regina di quelle terre. Senza contare che un’azione simile avrebbe provocato una guerra nella regione, sarebbe stato da stupidi sfidare così la fedeltà di un popolo. >>
Tor notò per la prima volta in Agravaine della sincera stizza nei confronti di qualcosa.
<< A Gawain manca la nostra terra. Rimane a Camelot perché ormai questa è casa sua. C’è di buono che mia madre arriverà a Camelot tra pochi giorni e se c’è Aglovale, re Pellinore non farà la sua comparsa. >>
E così fu.
La regina Anna di Lothian arrivò l’indomani con una corte ricca e chiassosa.
Il re, dopo molto tempo, sorrise nuovamente, salutando la donna magnificamente vestita e dai lunghi capelli ramati.
Tor rimase incantato nel guardare la sorella del re. Sapeva fosse più vecchia del re, ma sembrava Più giovane del suo primogenito: la pelle era dello stesso colore delle perle grosse come noci che le circondavano la gola e tutto in lei sembrava alludere a piaceri sublimi. Tor si sentì in imbarazzo a rivolgerle la parola, tanto che lei stessa se ne accorse e, mettendogli la mano sulla gamba a una cena, gli disse:
<< Rilassatevi, Ser Tor, o i miei figli non smetteranno più di prendervi in giro quando me ne sarò andata. >>
La sua voce era di miele, come la risata che fece subito dopo.
La vide guardarsi attorno come in cerca di qualcuno, ma senza trovarlo.
<< Cercate qualcuno in particolare, regina? >> gli chiese dopo essersi dissetato con l’ennesimo bicchiere di vino, al momento unico alleato del suo coraggio.
<< Sì. Mio nipote per lo più. >>
<< Ser Mordred? >>
Lady Anna lo guardò allibita.
<< Mio fratello l’ha fatto cavaliere? >>
<< No, non ancora. >>
<< Allora chiamatelo Principe, piuttosto. Anche se in molti non vogliono definirlo principe di Camelot, lo è sicuramente di Avalon. >> lo redarguì lei con un sorriso << Comunque sì, lui. E Ser Yvain. È stato reso cavaliere assieme a voi e al mio Agravaine, se non erro. >>
<< Sì signora. Ma nessuno dei due è presente in sala. Il principe Mordred si è allontanato da Camelot a novembre, promettendo al re di essere qui per Capodanno. Ser Yvain invece è di ronda. >>
<< E sareste così cortese da accompagnarmi da lui? >>
Tor non se lo fece ripetere due volte.
La notte era fredda ed il giovane cavaliere cedette volentieri la sua casacca a favore della Regina delle Orcadi.
Yvain stava sonnecchiando sotto un arco quando lo raggiunsero.
Tor rimase sbigottito dai pochi convenevoli della regina che lo abbracciò, riservandogli lo stesso caldo sorriso che aveva donato al re e ai suoi figli. A suo dire, la madre di Yvain era nata l’anno in cui era andata in sposa al re e lei l’aveva allevata come fosse stata figlia sua e la sua fuga d’amore le era costata tante lacrime di solitudine consolate solo dal saperla felice con un brav’uomo.
Yvain, felice e imbarazzato, rispondeva alle domande della matrigna della madre, rassicurandola sul fatto che lady Soredamor, questo era il suo nome, aveva davvero avuto una vita felice al fianco di un uomo giusto e molto innamorato di lei. La donna stava inoltre per arrivare a Camelot col consorte in occasione dell’anniversario dell’inaugurazione del re e che in quest’occasione, se la regina avesse voluto, avrebbero potuto riunirsi, anche se per poco tempo.
I due stavano ancora parlando quando Tor si accorse di una presenza nascosta poco lontana da loro.
Lentamente, prese la sua spada e gli si avvicinò, ritrovandosi con sua gran sorpresa Agravaine, disarmato, fermo ad ascoltarli.
<< Siete impazzito, Agravaine? Avrei potuto uccidervi! >>
<< Non l’avete fatto, mi sembra. >> rispose lui con un sorriso sardonico, prima di lasciare che la luce di una torcia lo illuminasse del tutto. << Volevo solo essere sicuro che steste bene. >>
La regina Anna e Ser Yvain si erano nel frattempo ammutoliti per poi avvicinarsi ai due cavalieri.
<< Agravaine, che succede? >> gli chiese la madre scorgendo il figlio dietro le spalle larghe di Tor.
<< Nulla, madre. Ero solo curioso di sapere dove vi stava portando ser Tor. Sinceramente non immaginavo da ser Yvain. >> rispose lui con un inchino ironico e un leggero inchino.
La donna rispose con un sorriso altrettanto provocatorio e una carezza al figlio.
<< Oh, caro Agravaine, potevate dirmelo che eravate così possessivo nei confronti dei vostri compagni. >> ribatté la donna.
Agravaine dovette mordersi la lingua.
<< Ser Tor ha risposto alla mia richiesta di conoscere vostro nipote e così mi ha portato da lui. Non pensavo di scatenare la vostra gelosia. >>
Tor e Ser Yvain si fissarono chiedendosi come defilarsi da quella situazione.
Agravaine, dal canto suo, si avvicinò alla madre e le baciò la guancia prima di ricominciare a parlare.
<< E chi sarebbe mio nipote? >>
<< Ser Yvain, mio caro. È il figlio di Lady Soredamor. >>
<< La bastarda di mio padre? >> chiese lui alzando il sopracciglio, senza notare il moto di stizza del compagno << Quella che infischiandosene delle sue direttive è scappata con un mercante di pelli? >>
<< Di lane. >> lo corresse Yvain.
Tor si chiese come aveva fatto a trattenersi dal prenderlo a pugni.
Agravaine lo fissò un attimo prima di indicarlo e rivolgersi nuovamente verso sua madre.
<< Lo è davvero? >> chiese lui guardandola scettico.
<< Sì, certo caro. >>
L’espressione di Agravaine cambiò, diventando più rilassata e aperta tanto da rendere quasi sincero il suo mezzo sorriso.
<< Ora capisco perché mi sembrava che ser Yvain avesse qualcosa di famigliare. Mi ricordava Morgouse! >>
<< Oh! Avete ragione, caro. Ser Yvain ha la stessa bella bocca della nostra cara Morgouse e oserei dire pure il nasino. >> disse la regina della Orcadi prendendo sottobraccio il figlio. << Fa freddo e sono stanca, figliolo. Mi accompagnereste nelle mie stanze? O devo farmi accompagnare da Ser Tor? >>
 
Il giorno dopo, Tor venne svegliato da un delicato bussare alla porta delle sue stanze.
Una cameriera sconosciuta gli stava restituendo la casacca data alla Regina delle Orcadi.
Appena ebbe chiuso la porta dietro di sé, Tor aspirò profondamente il suo indumento, scoprendo con sui grande piacere che ne aveva carpito l’aroma di lavanda.
Fu solo quando lo indossò, che si accorse di avere qualcosa nella sua tasca.
Una chiave.
Ser Tor la osservò per un momento. Non l’aveva mai vista.
Solo quel pomeriggio, incontrando la regina Anna che camminava nel giardino del palazzo con ser Gawain, che scoprì che era sua.
Mentre ser Gawain lasciava la madre per adempiere ai suoi doveri di cavaliere, lady Anna gli si avvicinò.
<< Spero che la mia serva non vi abbai svegliato, quando vi ha restituito la vostra casacca. >>
<< No, affatto, mia signora. >> mentì lui.
La regina delle Orcadi lo osservò per un lungo istante, prima di sorridergli nuovamente, inclinando la testa da un lato.
<< E ditemi, avete trovato il mio dono? >>
<< Io… sì, mia signora. >> rispose intuendo si trattasse della chiave.
<< E, dite, pensate di usarla? >>
<< Io… non so cosa apre, mia signora. >>
A quelle parole, la regina scoppiò a ridere. Quando si calmò, scuotendo la testa, fece per superarlo, prima di sussurragli:
<< Le mie stanze. >>
 
Le due notti successive, chiuso in camera sua, Tor non riuscì a dormire, fissando il soffitto con in pungo il dono fattogli dalla Regina Anna. Lei, dal canto suo, si era fatta devotamente osservare da lontano, come una sacra reliquia, mentre intratteneva il re e la corte con storie che Tor non avrebbe mai ascoltato.
La terza notte, si fece coraggio e uscì dalle sue stanze.
Non sapeva esattamente a cosa stesse andando incontro e per tutto il tragitto che fece nel silenzio di quella notte, continuò a immaginare gli scenari possibili e non: dal trovare lei con i figli a prenderlo in giro, o Agravaine (o peggio Gawain) pronto a trafiggerlo con la spada, incurante che fosse disarmato. Solo quando arrivò davanti alle stanze della regina ed infilò la chiave nella serratura, che smise di pensare a qualunque cosa.
Quando aprì la porta, vide Lady Anna seduta davanti alla sua toletta, intenta a pettinarsi i capelli alla luce di tre candele. La donna si girò e gli sorrise, come una fanciulla il giorno delle sue nozze.
Quella notte, Tor non l’avrebbe mai scordata e l’avrebbe accompagnato per tutto il resto della sua vita.
In quella notte, come le altre passate con la Regina delle Orcadi, Tor imparò l’arte di amare e di dar piacere. Lady Anna, bella ed elegante come la luna invernale che illuminava il suo corpo immacolato, fu una maestra generosa e paziente che gli insegnò a fare e a lasciarsi fare. Si lasciò baciare la candida pelle centimetro per centimetro, come un devoto bacia una reliquia, non lo redarguì per la fretta e ne apprezzò la foga, gli insegnò l’arte della calma e quella della delicata potenza.
Tor non aveva coscienza del domani, in quelle notti.
Non sapeva cosa gli sarebbe accaduto o come sarebbe andata a finire.
Sperava solo che l’alba non arrivasse mai.
  
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