Only
Hope ~
Sei disposto a metterti in gioco per qualcosa che non esiste?
Capitolo
13 – Ritorno a casa, Giugno 2022
Il treno iniziò a rallentare e, sbirciando dal finestrino,
riuscii a scorgere la stazione di King’s Cross.
Sospirai, rassegnata, stringendomi nelle spalle. Il tanto atteso momento era
arrivato. Il momento della verità.
Era trascorso più di un mese da quando James aveva deciso che era finita e
tutto sembrava essere tornato alla fastidiosa normalità. Avevo perdonato Rose, ne
avevo abbastanza delle lacrime che versava, implorando il mio perdono. La
odiavo ancora, sì, ma non potevo permettermi di rimanere da sola. Non potevo
tornare a vivere in solitudine, avevo bisogno di qualcuno che mi sorreggesse.
Rosie era lì, in attesa del mio perdono, ed io avevo bisogno di lei.
Il nostro rapporto era tornato quello di prima, come se non fosse successo
nulla. Con Hugo non avevo ancora
parlato, ma ero disposta a perdonare anche lui, nonostante lui non ne sentisse
la necessità.
Tra me e James era finita. Non ci eravamo più parlati. I primi giorni erano
stati duri, per me. Singhiozzavo ogni volta e mi rannicchiavo su me stessa per cercare
di sfuggire al dolore, ma quello tornava sempre a colpirmi. E poi anche quello
se ne era andato. Mi aveva abbandonata, come James, come Dorian, ed io ero
tornata lentamente alla normalità.
Facevo finta di nulla, fingevo che nulla mi toccasse, quando, invece, tutto mi
faceva fin troppo male. Ignoravo il dolore, cercavo di andare avanti.
Elaboravo la perdita, ecco.
Dorian...con Dorian avevo provato a parlare, ma lui non mi aveva mai dato
ascolto. Si limitava a ignorarmi. Non gli importava più nulla se io stavo male,
se James mi aveva lasciato. Voleva salvare sé stesso. Lo capivo.
Aveva fatto bene a lasciarmi andare, a fuggire lontano da me. Voleva
dimenticarmi. Forse lui sapeva come si faceva.
Sospirai e tornai a guardare fuori dal finestrino.
“Ci sono io” sussurrò Rose, intercettando i miei pensieri. “Ti aiuterò io”
Annuii, mentre ricambiavo il sorriso esitante che mi rivolgeva. Mi strinse la
mano e non la lasciò andare. Per un attimo, l’odio che provavo ancora nei suoi
confronti, svanì completamente. Poi tornò, come se nulla fosse.
“Grazie” mormorai, lottando contro me stessa per pronunciare quella debole
parola. Grazie.
Sembrava surreale dirlo a colei che aveva rovinato la mia vita, eppure dovevo
ringraziarla. Perché era lì, a tenermi la mano. E a giurarmi che avrebbe
lottato anche per me.
Scorpius e Albus assistevano immobili al nostro scambio di battute. Malfoy
guardava fuori dal finestrino con aria assente, mentre Al faceva di tutto per
non fissare il suo sguardo su di me.
“Mi mancherai, lo sai?” disse Scorpius, tutto d’un tratto, voltandosi verso di
me.
“Cosa?” chiesi, inarcando un sopracciglio e fissandolo scettica. Lui sorrise,
un sorriso sincero. Poche volte lo avevo visto così, di solito si limitava a
sorrisetti sarcastici o sguardi scettici. Questo era un vero sorriso.
“Be’...mi mancheranno le tue battute, i tuoi commenti sarcastici. Eri
simpatica” sussurrò,imbarazzato, tornando a guardare fuori dal finestrino.
Rosie sorrise intenerita al suo ragazzo, mentre Al tossiva, divertito.
Ricambiai il sorriso.
“E tu sei stato bravo a ribattere ai miei commenti. Mi mancherai anche tu,
Scorpius” mormorai, subito dopo, mentre il treno entrava nella stazione.
Era lì, tutto finito.
I miei sette anni ad Hogwarts erano finiti, per sempre. Non sarei più tornata
su quel treno, non avrei più trascorso le serate in Sala Comune, non avrei più
mangiato al tavolo dei Corvonero assieme a Rose e Scorpius.
E quando il treno finì la sua corsa, fermandosi, capii che anche la mia
adolescenza era finita.
“Andiamo?” Rose mi strattonò il braccio, indicandomi l’uscita dello
scompartimento.
“Aspetta”
Posai il mio baule per terra e mi voltai verso Scorpius, mentre lui si voltava
verso di me. Mi abbracciò, come un fratello minore avrebbe abbracciato la
sorella maggiore con cui aveva sempre litigato.
“Stammi bene, Malfoy” sussurrai, sorridendogli e spettinandogli i capelli. Lui
annuì, con gli occhi un po’ lucidi e mi lasciò andare.
“Dai, non facciamo i sentimentali. Lo inviteremo alla Tana!” esclamò Al,
ridendo divertito.
“Al, non voglio che mio padre tenti di strangolare il mio ragazzo” trillò
Rosie, con le mani sui fianchi come una
vera Weasley. Sorrisi, divertita, poi mi avviai da sola fuori, mentre loro si
scambiavano ancora battute. Per loro non era ancora finito nulla.
Ora dovevo andare da sola, lo avevo capito. Dovevo affrontare da sola quel
momento.
“Dai, Scarlett, muoviti!” sentii la voce di Dorian e sobbalzai. Lo vidi
aspettare pazientemente fuori dallo scompartimento, mentre incitava sua sorella
a muoversi.
Il mio cuore fece un salto al’indietro e mi immobilizzai.
“Ti vuoi muovere?” fece qualcuno dietro di me, ma io mi limitai a scostarmi un
po’ per farli passare.
Dorian.
Non l’avrei più rivisto. D’improvviso, questo pensiero mi fece più male di
quanto potessi immaginare.
Dorian era il mio migliore amico, non potevo lasciarlo andare così, senza
neanche chiedergli scusa.
Lui si voltò verso di me nello stesso istante. I capelli castano chiaro gli
ricadevano disordinatamente sugli occhi verdi, il viso era increspato in un
sorriso divertito, all’indirizzo della sorella, ma quando mi vide, quel sorriso
sparì completamente dal suo volto.
“Dorian” lo chiamai, ma lui fece finta di non avermi sentito. Guardava sua
sorella raccattare le cose e metterle alla rinfusa nel baule.
“Dorian, ti prego” Lo implorai, ma lui non si voltò neanche una volta. Quando
sua sorella, Scarlett, uscì, ci fissò entrambi, poi prese per mano suo fratello
e insieme si avviarono verso l’uscita.
“Mi dispiace. Sono stata una stupida e ti ho fatto del male. Scusa” dissi,
tutto d’un fiato, prima che lui potesse andarsene. “Volevo dirti solo questo”
Lui si bloccò nel corridoio, mentre io presi il mio baule e lo superai in
fretta, con le lacrime agli occhi. Probabilmente, neanche questo aveva voluto
sentire.
Poco male, io avevo detto quello che volevo dire.
Poi, improvvisamente, sentii un piacevole calore circondarmi il polso e mi
voltai, stupita.
“Non posso perdonarti, Dominique. Non ora” Il suo volto era stravolto in una
smorfia sofferente. “Però sappi che mi mancherai”
Mollai il mio baule e lo abbracciai, come avevo fatto con Scorpius. Solo che
questa volta, in quell’abbraccio, ci misi tutto quello che non riuscivo a dire
a voce.
“Arriverà un giorno in cui saprò perdonarti, te lo prometto” disse. Annuii,
mentre le lacrime tornarono a scendere lungo le guance.
“Ti aspetterò” sussurrai, prima di avviarmi definitivamente verso l’uscita.
Sorrisi, tristemente, tra le lacrime. Ero divisa a metà. La mia metà felice
esultava, perché Dorian mi aveva parlato, aveva detto che un giorno mi avrebbe
perdonata e io non potevo fare a meno di sperarci, ma l’altra metà di me,
quella disillusa e cinica, si chiedeva se quel giorno sarebbe mai arrivato o
era solo una scusa di Dorian per liberarsi di me.
E, alla fine, il mio lato cinico e disilluso prevalse quando vidi Victoire, Ted,
mia madre e mio padre immobili, tutti con la stessa espressione amareggiata.
Tutto questo, e poi alla fine James aveva
rinunciato. Aveva deciso che non ne valeva la pena, che il gioco non valeva
la candela o come cavolo si diceva. E mi aveva mollata, a combattere da sola.
Credeva forse di fare qualcosa di giusto?
“Mamma, papà, Victoire, Ted” Salutai, con un sorrisetto di scuse, poggiando il
mio baule a terra. Tutti e quattro, contemporaneamente, aprirono la bocca per
parlare, ma io li anticipai. “Non ce bisogno di fare storie. Mi ha mollata”
Mi ha mollata.
Quelle semplici parole avevano fatto malissimo.
Mi ha mollata.
Non lo avevo mai detto ad alta voce, mi ero limitata a far leggere la lettera a
Rose, in lacrime, dopo essermi resa conto che da sola non ce l’avrei mai fatta.
Ma dirlo... faceva tutt’altro effetto. Ancora più doloroso, ovviamente.
Raccattai il baule e mi diressi verso Rose che scendeva dal treno. Lei mi venne
incontro e mi strinse in un abbraccio goffo, dovuto sia alla sua goffaggine che
ai bauli che ci trascinavamo.
“Andiamo. Mamma e papà sono lì” Mi
indicò un punto lontano della banchina e iniziò a camminare.
“Hai già salutato Scorpius?” chiesi, facendo finta che andasse tutto bene. Lei
sapeva che tutto questo era una farsa, eppure non si scompose minimamente.
“Sì. Non volevo che papà ci vedesse. Già invitarlo per Natale, lo scorso anno,
solo perché gliel’aveva chiesto Albus, suo nipote,
era stato troppo, per lui. Chissà come reagirebbe se vedesse che io e il
rampollo Malfoy stiamo insieme” spiegò, sorridendo un po’. Me lo immaginai,
Ronald Weasley che cercava di strangolare – con molto successo – Scorpius
Malfoy. Sorrisi un po’ anche io.
“Ciao, zia Hermione” sussurrai, quando me la ritrovai davanti. Lei sorrise un
po’ esitante, ma io la strinsi in un abbraccio. Era giornata, evidentemente.
Cercai di farle capire tutto quello che non ero capace di dire in
quell’abbraccio e lei mi strinse a sé, esitante.
“Mi dispiace” mormorò, quando mi scostai da lei. Alzai le spalle e fissai il
mio sguardo su zio Ron, che mi sorrideva esitante.
“Sono sempre Dominique, zio. Non mi è cresciuta un’escrescenza schifosa sul
viso, non mi sono tagliata le vene. Sono sempre io”
Lui sospirò e mi scombinò i capelli, incerto.
“Lo so” sussurrò, prima di dirigersi verso l’uscita. Sospirai e mi chiesi se
mai tutto sarebbe tornato come prima.
“Sei sicura che posso rimanere, zia? Non ...do fastidio?” domandai, mentre
trascinavo il mio baule verso l’uscita.
“Certo che no, Dominique! Almeno fino a quando le acque non si saranno
calmate...potrai restare da noi” rispose lei, con un sorriso intenerito sul
volto.
Ringraziai, ma non riuscii a ricambiare il sorriso. Sentii i richiami di Ted,
che mi chiedeva di tornare indietro, ma non mi voltai.
Dovevo andare avanti, dovevo dimenticare. Senza voltarmi indietro.
Promisi a me stessa che non mi sarei più voltata.
~
“Come sono andati i M.A.G.O?” chiese zia Hermione,
porgendomi un pacco di biscotti. Eravamo solo noi due a colazione. Rose aveva
già mangiato ed ora era di sopra ad anticiparsi
i compiti delle vacanze, zio Ron e Hugo – con il quale ancora non avevo
parlato- dormivano ancora e io mi ritrovavo lì, a parlare con lei.
Non che non volessi, solo che... mi dava fastidio sentirla dire che le
dispiaceva, quando io non riuscivo a dimenticare.
“Credo bene. Ho la sensazione di aver sbagliato a tradurre alcune Rune, ma per
il resto sono andati fin troppo bene” mormorai in risposta, afferrando i
biscotti. Inizia a sgranocchiarne qualcuno, mentre zia sorrideva, divertita.
“Anche a Rose sono andati bene, gli esami”.
“Lo so, me l’ha scritto. Aspettiamo ancora il risultato ufficiale, ma mia
figlia è abbastanza autocritica con se stessa da dire che era sicura di aver
fatto tutto bene”
“Detto da Rosie, che è convinta di sbagliare sempre, è un grande passo in
avanti”.
“Già”
Restammo per un secondo in silenzio, senza sapere cosa dire.
Era strana, come situazione. Io e zia Hermione avevamo sempre parlato molto,
pronte a scambiarci consigli e pareri su ogni cosa. Mi trovavo a mio agio con
lei, ma non quel giorno.
Quel silenzio era imbarazzante.
“Dominique?”
Mi voltai verso di lei, inzuppando un biscotto nel latte.
“Si?” chiesi, inarcando un sopracciglio. Lei sospirò e guardò fuori dalla
finestra.
“Hugo vorrebbe parlare con te, ma non ha il coraggio. Ti prego, se venisse, tu non...non
trattarlo male. Dice che gli dispiace, che...”
“Non c’è bisogno di parlare per me, mamma” Sobbalzai e mi voltai di scatto,
stupita. La figura di Hugo, alta e magrissima, faceva capolino dalla porta
della cucina, con espressione colpevole.
Zia Hermione sospirò e guardò me, poi il figlio, prima di alzarsi da tavola e
lasciarci soli.
Bene, ottimo.
Rimanere sola con colui che mi aveva reso gli ultimi mesi un inferno era proprio
nelle mie priorità, secondo solo a buttarmi giù dalla Torre di Astronomia.
“Sei arrabbiata con me”
Non era una domanda, lo sentivo nel suo tono di voce. Incrociai le braccia e
fissai ostinatamente il mio bicchiere di latte.
“Anche tu lo sei”
Lui sospirò, ma non lo guardai in faccia. Mi ero sbagliata, non ero disposta a
perdonarlo. Forse perché lui mi aveva odiato.
“Sì” disse, sedendosi al posto lasciato vuoto dalla madre e fissandomi.
Caparbia come al solito, non lo degnai della mia attenzione.
“Anche io”
Sospirò ancora e fissò a lungo il mio volto.
“Mi dispiace”
“A me di più”
Silenzio. Forse non sapeva cosa rispondere, o forse non aveva la forza di
rispondere.
“E’ colpa mia”
“Già”
Ancora il silenzio. Forse non avrei dovuto rispondere a monosillabi, forse lo
intimorivo con quelle risposte secche.
“Avevo paura”
Mi voltai verso di lui, a metà tra lo stupito e l’arrabbiato.
“Paura?” ringhiai. Lui non aveva un’espressione intimorita, ma mi si strinse il
cuore a guardarlo. Non fissava più me, guardava il tavolo di legno chiaro.
La sua espressione era davvero afflitta. Forse stava anche per piangere, ma non
potevo vedere i suoi occhi.
“Paura. Avevo paura che la mia famiglia andasse in frantumi. Con la storia di
te e James... si sarebbero schierati in due parti, lo sapevo. Alcuni con voi e
altri... altri contro di voi. E io non volevo, non volevo che accadesse. E non
sapevo neanche cosa fare, l’ho detto a Rosie e lei mi ha pregato di stare in
silenzio, di non dire nulla, ma non l’ho fatto. Rose ti ha mentito, Dominique.
Non è stata lei a dire tutto a mia madre”
Lo fissai, sconcertata.
Non riuscivo a credere che Rose fosse capace di mentire a me, la cugina che
considerava più vicina.
“Cosa?” biascicai, senza fiato.
“Già. Sono stato io a dire tutto a mamma, ma Rose non voleva che io finissi nei
guai. Ha detto a tutti che è stata lei, che lo aveva fatto per chiedere
consiglio. Mi voleva proteggere. E ora la odiano tutti per questo” concluse,
tetro. Mi guardò nuovamente, con quell’espressione afflitta che mi faceva male.
“Tu? E per tutto questo tempo... Rose ha finto? Ha recitato?” domandai,
disgustata.
Lui annuì.
Avrei voluto alzarmi e correre via da quella casa, da quella famiglia,
inventarmi una nuova identità, cancellare la mia memoria e ricominciare da
capo, ma forse fu l’espressione di Hugo a trattenermi.
“Ero disgustato dal fatto che tu e mio cugino stesse insieme...” Sentii una
fitta allo stomaco quando i ricordi mi assalirono nuovamente, ma cercai di
ignorarli. “Ho reagito in modo eccessivo. Ero disgustato. E spaventato. Non
volevo che la mia famiglia si dividesse”
“Ed eri disposto a sacrificare me e James?” chiesi, incollerita.
“Sì. Egoista, vero?”
“Già”
Calò, ancora una volta, il silenzio. Hugo era seduto sulla sedia con aria tetra
e le braccia poggiate sul tavolo. Si torturava le mani, respirando
silenziosamente.
“Hugo?” lo chiamai. Lui alzò lo sguardo, rassegnato. Forse si aspettava una
sfuriata.
“Sì, Dominique?” chiese, con voce limpida.
“Mi dispiace” sussurrai, prima di alzarmi. “Forse un giorno riuscirò a
perdonarti. Ma non ora”
“Posso concedermi di aspettare?” domandò, speranzoso.
“Sì” mormorai, restando in piedi e torturandomi un po’ le mani. “Direi di sì”
E uscii silenziosamente dalla cucina, con le lacrime agli occhi.
Angolo
Autrice
Penultimo capitolo. Eh sì, ci si avvia verso la fine, ormai.
Manca solo un capitolo e poi l’epilogo. Ho già scritto entrambi, ovviamente –
quando sono in fase di ispirazione acuta non c’è nulla che possa distrarmi
dalla scrittura – e ho scritto anche la parola “FINE”.
Ma ora non fa niente, i sentimentalismi li rimandiamo per l’epilogo.
Uhm...spero vi sia piaciuto questo capitolo, davvero. Ho impiegato secoli per
scriverlo, per dare il giusto peso ad ogni parola o verbo o qualunque altra
cosa. E’ stato impegnativo, ecco.
Spero vi piaccia.