Non
mi è mai importato molto di vivere o morire. Forse sarebbe
stato meglio evitare
di nascere.
Odio
mia madre, odio mio padre. Perché mi hanno messo al mondo,
se dovevo rimanere
dentro all’ospedale, senza uscire? Non ho mai avuto amici,
non ho mai avuto una
storia con qualcuno. Per questa maledetta malattia. E nessuno vuole
avvicinarsi
a me, perché ho questi dannati capelli bianchi. Che fanno di
male? Cos’hanno
che non va?
Ma
io sopportavo e basta. E sorridevo. Tanto sarei morta. La malattia mi
avrebbe
portato via.
E
invece sto ancora qua. Mi dimettono tra un paio di giorni. Mi hanno
trapiantato
un paio di organi ed eccomi salva. Devo solo fare diversi controlli
ogni tanto.
Non
sono sicura di voler cominciare una nuova vita. La gente mi fa paura. O
forse è
meglio dire che ha paura dei miei capelli? Ho pensato più
volte a una tinta, ma
sembra non servire. Il risultato è disastroso, sembro
invecchiata di una
cinquantina d’anni.
Non
mi resta che andare a vedere com’è il mondo.
Mi
chiedo solo se in questo mondo c’è qualcuno come
me. Con cui possa parlare.
Quella
ragazza aveva decisamente qualcosa di particolare,
ma che a quanto sembrava non piaceva. Non facevano che tirarle fogli
accartocciati con scritto “Devi Morire”. La ragazza
ogni volta riaccartoccia
tutto e buttava al secchio, facendo sempre centro.
I giapponesi
forse non sopportavano che una avesse un
colore così chiaro ai capelli? In fondo li capiva: tutti con
quei capelli neri
tinti e pettinati in tanti modi strani, al passo con la
moda… Veniva da ridere!
Il Giappone sembrava davvero un altro pianeta!
Ma il
Giappone era anche così bastardo… La trattavano
tutti così freddamente, così male. Per i capelli
bianchi, per la sua
nazionalità americana, per i suoi voti eccellenti, per tutto.
Eppure
sopportava. Sopportava sempre e tutto. Tanto le
superiori stavano per finire.
Come al
solito, suonò la campanella, si preparò la borsa
e
mise il banco a posto, mentre tutti lasciavano i loro ricordini come
biglietti
e avanzi del pranzo. Lei non sopportava il disordine. E poi
così non avrebbe
avuto problemi con le pulizie scolastiche.
Si diresse
verso la scarpiera, come al solito, e come al
solito si cambiava scarpe. Almeno all’uscita la lasciavano
stare. Più che altro
facevano finta di non vederla. Anche se coi suoi capelli era una cosa
assai
difficile non notarla. Lei avvertiva gli sguardi, mica era ebete.
Comunque
quel giorno aveva di meglio a cui pensare:
aspettava con ansia i risultati delle simulazioni d’esame. Si
impegnava sempre
come una matta, per guadagnarsi il primo posto. E non ce la faceva mai.
Il
primo in classifica era sempre un nome ambiguo, scritto in modo
particolare:
Light Yagami. Light si scriveva con l’ideogramma di
“luna” ma si leggeva
“luce”, mentre Yagami era formato da
“ya” di “notte” e
“gami” di “Dio”.
Sembrava un nome imponenete, ma questo Light Yagami lei non
l’aveva mai visto.
Forse meglio così: l’avrebbe senza dubbio gonfiato
di botte per quei risultati.
La ragazza
uscì da scuola da sola. Come sempre. E come
sempre si sentiva poco bene. Ecco perché diceva sempre che
avrebbe preferito
morire. Una vita fatta di malori e capelli bianchi non le piaceva.
Camminava
per le affollate strade di Tokyo, evitando di
guardare la gente.
Era
frustrata per tante cose. Il disprezzo, il non
riuscire a farsi accettare… Per quanto ancora
l’avrebbe sopportato?
Inoltre quel
giorno avrebbe affrontato l’ennesimo
trasloco. Trasferirsi dall’altra parte della
città. In un quartiere tutto
sommato tranquillo.
Si diresse
alla sua nuova casa, mentre i suoi genitori
sistemavano alcuni mobili.
-Bentornata,
Cassidy!- disse sua madre, e al seguito ci fu
il padre a salutarla –La tua camera è libera!
Avrai una stanza tutta per te,
contenta?-
-Sì…
Grazie- rispose lei, Cassidy, salendo le scale
–Allora vado a vederla…-
Era grande,
confortevole. C’era solo un letto senza
coperte e i mobili erano ancora da sistemare. Si mise subito
all’opera,
spostando qua e là. la cosa che gli piaceva di
più, in quello che aveva fatto,
era la scrivania. Era bella, antica, sapeva di vissuto. Le piaceva
perdersi in
ricordi nostalgici.
Ed eccola,
la sua stanza. Sua. Non era più obbligata a
condividerla coi fratelli. Si buttò sul letto, pieno di
cuscini, e respirò
profondamente. Ogni volta che traslocava le sembrava di ricominiare una
nuova
vita. Peccato che tanto la vita era sempre la stessa.
Sospirò, pensando che
doveva mettersi a studiare, per poter classificarsi prima a quei
maledetti
esami.
Il giorno
dopo era, come si aspettava Cassidy, uguale agli
altri. Anzi, nella scarpiera trovò uno dei tanti scherzetti
che le lasciavano
di tanto in tanto: un topo morto, tanto per intendere. Cassidy prese
l’animale
per la coda con aria schifata, e lo buttò al secchio
più vicino.
La
guardavano tutti, ma a lei non sembrava importare.
Richiuse l’armadietto e cominciò a dirigersi in
classe, ma inciampò. Qualcuno
quella mattina doveva avercela a morte con lei, per farle passare tutte
quelle
coe.
Ridevano
tutti e tutti la prendevano in giro.
-La vecchia
è inciampata…-
I capelli
bianchi le avevano valso la fama di “vecchia”.
Non lo sopportava.
-Forse
farebbe meglio a tornarsene in America, lì i
capelli bianchi fanno molto “cool”- dicevano alcuni
imitando l’accento
americano.
Cassidy si
rialzò, ma sentì un silenzio improvviso e una
mano che le prendeva delicatamente un gomito. Alzò lo
sguardo e vide un
ragazzo, giapponese, che la guardava incuriosito. Aveva i capelli corti
e ben
curati, castani. Sicuramente erano tinti. Non era appariscente, ma lo
guardavano tutti con ammirazione e stupore.
-Stai bene?-
disse lui aiutando Cassidy a rialzarsi.
-Eh?
Uhm… Sì, grazie- rispose lei allontanando subito
il
braccio. Ce la faceva da sola.
Gli altri
studenti poco a poco se ne andarono, mormorando
qualcosa di incomprensibile a Cassidy.
-Scusali-
disse il ragazzo, rimettendosi in piedi e pulendosi
i pantaloni dell’uniforme –Sono degli idioti, in
questa scuola-
Cassidy fece
un sorriso sarcastico e si sistemò la gonna
–E tu?-
-Puoi
ritenermi tutto tranne idiota, credo- rispose lui
facendo un sorriso.
-Bè,
grazie comunque- Cassidy gli porse la mano –Mi chiamo
Cassidy Marris. Piacere-
Il ragazzo
non le porse la mano, ma sorrise –Io mi chiamo
Light Yagami-
Cassidy
trasalì –Ya… Yagami?-
-“Ya”
come “notte” e “gami” come
“Dio”, mentre il mio nome
si scrive con l’ideogramma di “luna” ma
si legge “luce”. Un nome singolare, non
trovi?-
Cassidy
forse non si rendeva cionto che stava arrossendo.
Era una cosa inaccettabile che il ragazzo che l’aveva aiutata
fosse lo stesso
cervellone che non riusciva a battere.
Cercò
di sviare guardando l’orologio –Devo andare a
lezione-
-Sì,
anch’io- rispose Light ridendo –Ci vediamo, Marris-
-Certo…-
“Spero proprio di no, maledetto di un Yagami”
Si
concentrò tantissimo alla lezione, cercando di levarsi
dalla testa quello studente. Le dava una strana sensazione. Anche se
l’aveva
aiutata, rimaneva lo studente da battere a ogni costo.
All’uscita
purtroppo lo ribeccò. Com’è che ora che
si
erano incontrati lo beccava sempre?
Fortunatamente
Light sembrò non accorgersi di lei, e si
avviò a casa. Bene, pericolo scampato.
Cassidy
andò dritta a casa, sempre con quella strana
sensazione. Non sapeva perché, ma voleva evitare Yagami il
più possibile.
A casa vide
che i suoi genitori parlavano con una donna,
capelli corti e grembiule addosso, che porgeva a loro dei dolci tipici
giapponesi.
-Oh,
Cassidy, arrivi al momento giusto! Questa è la nostra
vicina, abita proprio qua a fianco!-
La signora
fece un enorme sorriso –Che carina! Tu sei
Cassidy, vero? È un piacere, spero che vi troviate bene,
qui!-
Anche se si
sforzava di essere gentile, si vedeva che era
in soggezione per i capelli di Cassidy.
Cassidy
cercò comunque di essere gentile –Piacere,
signora-
-Sai, ho due
figli più o meno della tua età!- poi la
signora notò che un ragazzo si avvicinava a casa
–Ah, eccolo uno di ritorno!-
lo chiamò, e Cassidy si voltò per guardarlo.
Qualcuno
doveva avercela a morte con lei, ora non aveva
più dubbi.
-Light,
questi sono i nostri nuovi vicini-
-Marris,
vero?- disse Light –Che coincidenza. Siamo nella
stessa scuola-
-Ah, bene,
allora!- rispose la madre di Light –Aiuterai
questa signorina ad ambientarsi, vero?-
Stavolta
Light era titubante. Ma rispose comunque con un
–Certo- poi si voltò per casa sua –Ora
vado a studiare. Ci vediamo, Marris-
-E’
veramente un bel ragazzo suo figlio, Sachiko- disse la
madre di Cassidy guardando Light con ammirazione.
-Ed
è anche intelligente! Si classifica sempre primo alle
simulazioni d’esame!-
Cassidy non
ne poteva più. con una scusa si congedò dalla
conversazione e si chiuse in camera. Era una questione di orgoglio.
Doveva battere
quello spaccone. Ecco, cosa gli sembrava! Uno spaccone!