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Autore: Applepagly    27/07/2015    1 recensioni
Arrivate con un'espressione a dir poco seccata, scaraventate la cartella dell'angolino più remoto del salotto o della cucina e vostra madre, come un mantra, vi chiede cosa sia successo.
Era proprio quello, il problema. Non era ancora successo niente.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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- Questa storia fa parte della serie 'How long must we sing this Song?'
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Buon lunedì, caro lettore!
Lo so, questo capitolo avrei dovuto postarlo domani mattina, ma non sono sicura che mi sarà possibile, perciò anticipo di qualche ora.
E così, eccoci qua, con la terza parte, quella conclusiva.
Ti dico subito che non ci sarà un lieto fine. Dopotutto, tra i generi di questa storia c'è anche quello "triste" ( ti confesso che ero indecisa tra questo ed il "drammatico").
Tutto sommato, mi ero affezionata a questi personaggi, che hanno un po' delle persone a cui si ispirano ed un po' di tutto quello che vedo io in loro.
Ora ti lascio alla lettura, sperando di non turbarti troppo con il finale.
Ti ringrazio per l'attenzione!
TheSeventhHeaven
 
 
 
The Scientist
Terza parte
 
 
  La cosa più stupida che avessi potuto fare era andare ad infilarmi in mezzo a quella ressa. Non si sentiva niente oltre alla "musica" di sottofondo; non si vedeva niente e, cosa più importante, si moriva di caldo.
Non ce la facevo più, a stare tra gente che si dimenava neanche stesse ricevendo delle scariche elettriche. Oltretutto, avevo in mano un bicchiere traboccante di tè al limone, che rischiava di cadere rovinosamente a terra ogni qualvolta che qualche ragazza particolarmente distratta mi veniva addosso. Beh, il vantaggio dell'essere bassi stava nel poter sgattaiolare fuori dalle stanze passando attraverso gli spazi angusti che si creavano tra una persona e l'altra. Certo, ad un ballo di classe, forse non doveva essere esattamente un toccasana per la mia immagine; ma in fondo, cosa me ne importava? Di tutta quella marmaglia conoscevo forse i due quarantesimi. Un numero abbastanza esiguo, insomma. E, no, le frazioni non erano il mio forte ma mi piacevano.
  Appena mi trovai in un'altra stanza, con un po' di luce e meno caos, cercai un posto per sedermi, gustare il mio tè e riprendere un po' di fiato, magari. Ma guarda chi si vede..., pensai, alla vista di quella stupida, tediosa ed inutile biondina. Appena mi vide, mostrò il suo bianchissimo sorriso; in perfetto contrasto con la sua personalità, direi. - Ciao, Anita!
- Ehm... - biascicai, cercando di apparire quantomeno non indignata, alla vista di lei e quel poveretto che stava molestando. Anche se non sembrava che a lui dispiacesse. - Ciao.
  Risi tra me e me; alla fine non ce l'aveva fatta ad andarci con Lino, eh? - Mi piace molto, il tuo vestito! - esclamò, e dedussi che fosse un po' brilla, data la sua inusuale difficoltà a parlare. Non a dire qualcosa di sensato; no, quella facoltà non credo l'avesse mai avuta. - Sembri un fiorellino!
Non sapevo se prenderlo per un complimento o una critica. Cercai di convincermi del primo; anche perché non avevo proprio voglia di soddisfare le richieste del mio prurito alle mani. Non quella sera, almeno. - Grazie. - replicai quindi. - Anche il tuo è molto... - lo guardai per bene. Lungo, tempestato di paillettes blu scuro e nero e con uno scollo così profondo da mostrare quel che non aveva. Allora Gemma aveva ragione... Certo, non che io fossi molto più fornita. Beh, se non altro non era truccata pesantemente come mi sarei aspettata. - ... particolare. - conclusi, non sapendo esattamente cosa dire.
Sfoderò la sua abituale risata da ebete e decisi che fosse finalmente arrivato il momento di allontanarmi. L'anno prossimo spero proprio di non incrociarla nemmeno per sbaglio...
  Ovviamente, tutte le sedie e i divanetti erano già stati occupati da mielose coppiette che si sbaciucchiavano o cerchie di amici intenti a brindare alla loro felicità. Fu subito chiaro che mi sarei dovuta arrangiare in ben altro modo.
 
Oh, let's go back to the start
 
  Uscii dalla villa che era stata prenotata per l'evento, ritrovandomi nell'enorme giardino d'ingresso. Dovevo ammettere che si stesse davvero bene, con quella fresca brezza a scompigliare le chiome degli alberi e la mia. Mia madre aveva tentato di convincermi a legare i capelli, ma io avevo insistito per lasciare la criniera al suo stato brado. Proprio come quella di un leone, solo che molto più scura.
  Dalla lunga scalinata che faceva da ingresso, continuava ad affluire gente, tanto che mi chiesi come avremmo fatto, a starci tutti. Era chiaro che ci fosse un buon numero di "infiltrati"...
- Va tutto bene? - mi avvicinai ad una ragazzina che doveva essere del primo anno. Era seduta su un gradino e stava piangendo. - Hey... che succede?
Mi sedetti accanto a lei, cercando di capire cos'avesse. - L'ho... l'ho perso... - continuò a piangere. Si voltò a guardarmi e capii subito a cosa si riferisse. - L'orecchino... - sussurrai, fissando il suo lobo sinistro da cui non pendeva un cerchione come al destro. - Dai, non è così grave... - cercai di rassicurarla.
- Sì, invece... - mi contraddisse, cercando di asciugarsi le lacrime miste al trucco. - Mia mamma mi aveva detto di non metterli, ma io non le ho dato retta. - iniziò a raccontare. - Sono del suo matrimonio, sono preziosi per lei e io... io...
Sorrisi; per fortuna c'erano ancora ragazzi a cui interessasse delle cose degli altri. La maggior parte dei miei coetanei o di quelli più o meno della mia età non si sarebbe preoccupata di una cosa del genere. Com'è che dicevano tutti...? Ah, sì; cose come "Cazzomene" e "Fotte sega", bah...
  - Non preoccuparti, - la rassicurai. - ti do una mano a cercarlo.
- Davvero? - domandò, incredula. Dopotutto, non avevo nulla da fare e mi sarebbe dispiaciuto, non fare niente per aiutarla! - Grazie! Grazie! Mi chiamo Clodia.
La aiutai a rialzarsi. - Piacere di conoscerti. Sono Anita. - sorrisi - Hai idea di dove possa esserti caduto, Clodia?
- No... so solo che un attimo prima lo avevo e... e poi...
Cercai di riflettere. - Dove sei stata, prima? - indagai. Certo, cercare un orecchino in un posto del genere era un po' come cercare un ago in un pagliaio... - Sono stata nel parcheggio dove c'è il selciato e... nel giardino, nella parte dove ci sono le querce. - fece un rapido resoconto. - Perfetto! Allora - diedi indicazioni. - tu inizia a guardare nel parcheggio e io do un'occhiata nel giardino. Ma non piangere, d'accordo?
Mi sorrise radiosa e s'incamminò, incespicando ogni tanto per via dei tacchi che portava. Com'ero felice di aver messo dei sandali bassi! Dove ci sono le querce...
Beh, anche al buio non era difficile distinguerne una da un albero qualsiasi, soprattutto quando erano schierate tutte in un unico punto.
  Procedetti a passo spedito, prestando attenzione alla mia preziosissima bibita. Oh, e anche alla ricerca dell'orecchino, ovvio. Guardai attentamente per terra, ma la flebile luce del lampione era insufficiente; così mi feci strada con il led del cellulare. Niente; qui solo erba e qualche margheritina... Strano che le lasciassero crescere così, quando si dannavano per raggruppare tutti i fiori in aiuole ordinate.
  Le ricerche andarono avanti per una ventina di minuti quando, finalmente, intravidi un piccolo bagliore ai piedi della quercia più grande. Era una pianta davvero maestosa, dalla corteccia scura e robusta.
Mi avvicinai, chinandomi fino a constatare che si trattasse solo di una gocciolina d'acqua. Là vicino c'erano degli idranti, a pensarci bene. Sospirai, sconsolata; avrei dovuto iniziare a cercare daccapo.
  - Anita...? - sobbalzai e, nel gesto frenetico di alzarmi, tirai una capocciata contro un ramo che stava davvero basso. La risata fragorosa di Matt, mentre mi massaggiavo il capo, mi fece appurare di aver fatto un'altra splendida figura. - Hai la testa proprio dura, eh? - rincarò la dose.
Lo guardai storto e solo allora mi accorsi dell'enorme e terribile figuraccia. Matt stava fumando. Era più corretto dire che Matt e Lino stessero fumando. - Oh, merda. - balbettai, sconvolta. Non ero solita dire o pensare parolacce che non fossero "stronzo" - e quella era l'unica che usassi per una ragione-, ma in quel momento mi sorse naturale e fu come una liberazione.
 
I had to find you, tell you I need you
 
  Rimasi lì a fissarlo come una scema, non sapendo cosa fare. Alt, puntualizziamo: il mio piano prevedeva la fuga. Ma non riuscivo a muovere una singola ciglia; e sembrava lo stesso per lui. Alla fine è venuto sul serio...
Era stupito, semplicemente stupito che mi trovassi là. Come anch'io, del resto, lo ero di lui. - Che bel vestito! Sembri... - mi sorrise Matt. Non lo dire, non lo dire... - un fiorellino!
Maledizione; perché dovevano tutti dire la stessa cosa? - E' raro che le ragazze si mettano degli abiti così allegri, al ballo... - commentò. Avevo un vestito rosa antico; non mi pareva poi così sgargiante. - Ti sta davvero bene!
Biascicai un "grazie" poco convinto, ancora troppo disorientata. Adesso Lino aveva ripreso a fumare, osservando torvo il cielo scuro.
  - Porca puttana, Lino! - inveì, scherzoso. - E' rossore, quello che vedo sulle tue guance? Ed io che credevo che non ne avrei mai visto neppure l'ombra, sulla tua faccia da culo! - sghignazzò; e, effettivamente, un po' rosso in viso lo era. Ma doveva trattarsi del caldo. Per forza. Non ero io. Non ero niente di eccezionale, quella sera. Come gli altri giorni dell'anno, del resto.
- Mi sento quasi il terzo incomodo! - rise Matt, spegnendo in terra la sua sigaretta. Avrei voluto rimproverarlo, perché era sbagliato e tremendamente nocivo, per l'ambiente - e anche per lui, a dire il vero -, ma al momento ero troppo presa a rimuginare le parole che aveva appena detto. - Vi lascio soli, eh? - gli diede una delle sue pacche sulla spalla, facendolo sussultare; e mi chiesi come ancora fosse possibile che lo cogliesse di sorpresa.
Un "No, ti prego!" mi sorse sulla punta della lingua ma, come ho già detto, non ero esattamente nel pieno possesso delle mie facoltà mentali e/o fisiche. E così, era di nuovo un faccia a faccia.
Lui rimase appoggiato al fusto dell'albero, ignorandomi, ed io lì accanto, fingendo di essergli totalmente indifferente. Tanto valeva sbrigarsi e trovare quel dannato orecchino. - Spero non sia birra o qualcosa del genere. - iniziò, facendo cenno al mio bicchiere. Ma cosa gliene importava?
- E' solo tè al limone. - borbottai, bevendone qualche sorso con la cannuccia. Iniziavo ad avere caldo. - E comunque non capisco quale sarebbe il problema.
Lino scrollò le spalle, con una faccia della serie "Fa' come vuoi.". Certo, che avrei fatto come volevo! Mi chinai di nuovo, controllando la terra fresca. Quanto mi piacerebbe che ci fossi andata io, nel parcheggio... - Cosa stai cercando?
Sollevai lo sguardo; con una nota vagamente divertita, mi stava osservando. Lo sapevo: ero ridicola. Oh, ma chi se ne importa... - Un orecchino. Una ragazza lo ha perso e io la sto aiutando a trovarlo. Non è che per caso - chiesi. - lo hai visto? Lei dice di essere stata da queste parti, perciò potrebbe esserle caduto qui.
Non mi rispose, lo stronzetto. Anzi, scoppiò a ridermi in faccia. - Lo sai, - disse, scosso. Che bella risata, aveva. - sei davvero buffa.
Che stronzo... - Bene. Grazie. - replicai, acida. Ecco che mi tornava la voglia di farlo a fettine. - Intendo dire che... - cercò di tornare serio. - sei ad una festa, ti dovresti divertire e invece... ti sei messa ad aiutare qualcuno non preoccupandoti che il tuo vestito si sporchi, o...
 
And coming back as we are
 
- Beh, cos'ho, che non va? - domandai, alzandomi e fronteggiandolo finalmente negli occhi. Lui sorrise. - Niente. E' solo molto...
- Strano? Oh, beh, - ridacchiai, infastidita. - non crederai che mi metta alla stregua delle oche, spero. Pensavo saresti venuto con la tua amica bionda. - sputai, con disprezzo. In realtà, quell'affermazione celava una domanda ben precisa.
Sospirò. - Non mi andava. - disse semplicemente. - Credevo che steste insieme, o qualcosa del genere.
- Non proprio. - tagliò corto, anche se così dicendo aveva aperto un altro mondo di domande. Quel "non proprio" mi fece pensare che lui e lei fossero in quella relazione che molti definiscono "scopamicizia", se non sbaglio. Anche se il senso di tutto ciò mi era ancora ignoto, ad essere sincera. - E tu? Sei venuta da sola?
- Pare di sì. Ma avrei fatto meglio a non venire. - sospirai, decidendo di andarmene di là e porre fine a quella stupida discussione.
  Mossi qualche passo, ma non molto più tardi un getto d'acqua si diffuse per aria; e così molti altri. Erano partiti gli idranti per tutta quella sezione di giardino! Non mi misi ad urlare, come fui tentata di fare all'inizio, per lo spavento. In fin dei conti, era solo acqua, no?
Il mio vestito era leggero, perciò si bagnò quasi subito; beh, almeno avevo la fortuna di avere i capelli idrorepellenti e poco trucco. Indietreggiai verso la quercia di prima, mentre Lino si godeva la scena e ridacchiava sotto i baffi. - Io non lo trovo molto divertente! - sbottai, chiedendomi se esistesse un modo per asciugarmi in fretta. Ormai l'abito rosa antico aderiva completamente alla mia figura, ed era piuttosto imbarazzante. Non che fossi chissà quanto formosa, ma mi dava comunque fastidio che una cosa simile mi fosse successa in presenza di qualcuno e, ancora peggio, quel qualcuno era Lino. Questa dev'essere la mia serata delle figuracce...
  - Tieni. - mi porse quella che doveva essere la sua giacca. Cosa ci facesse con una sorta di key way in estate e, soprattutto, quando aveva una camicia indosso, non avrei saputo dirlo. - Non la voglio, grazie. - rifiutai, riducendo gli occhi a due fessure. Non avrei accettato il suo aiuto. E poi, a cosa mi sarebbe servito?
Gli diedi le spalle, cercando di schiodare il tessuto dalla pelle, maledicendomi per essere così dannatamente sfigata e sperando che si trattasse solo di uno dei soliti incubi in cui rimediavo qualche pessima figura. - Anita?
- Sì? - mi voltai, chiedendomi se avesse ancora intenzione di deridermi. Oh, buon Dio... Forse Matt aveva avuto ragione; l'imbarazzo sul viso di Lino era qualcosa di straordinariamente leggendario. Ci sarebbe voluta una bella macchina fotografica. Aspetta; ma io avevo il telefono, con me! - Che c'è? - insistetti.
- Niente. - si zittì, tornando al suo ormai mozzicone di sigaretta. Pensavo l'avesse già finita. Oh, no... il tè..., piagnucolai, fissando con rimpianto il mio amato bicchiere, rovesciato vicino agli idranti che volteggiavano ancora, impazziti. Lo avrei raccolto dopo, sperando che quei cosi non ripartissero e che al bancone allestito nella villa non avessero finito il tè. Anche un po' di soda poteva andar bene.
 
You don't know how lovely you are
 
  - ... Sei bella.
Quelle parole mi entrarono in un orecchio e mi uscirono dall'altro; non vi badai, insomma. Poi, come per magia, mi resi conto di chi le avesse appena pronunciate. Mi pietrificai.
  Io non ero bella, non lo ero mai stata e, sebbene molti avessero provato a convincermi del contrario, non mi ero mai lasciata incantare. Insomma; se io sapevo di non esserlo, perché si ostinavano ad illudermi? Come mio padre, che quand'ero piccola mi diceva che sarei diventata alta come lui, come le mie sorelle; e invece...
No, io non ero bella.
Lino sì. Lino era quel genere di ragazzo che sarebbe apparso bello anche se si fosse messo un costume da gufo. Non aveva quella bellezza abbagliante e rampante che potevi riscontrare su un buon numero di individui, a scuola; era più che altro questione di... fascino. Tanto, troppo fascino.
Quella sera, oltretutto, indossava una camicia celeste; capite? Una camicia! Io amavo le camicie, e vederle su di lui era una sorpresa - certo, a livello di shock, niente batteva il rossore che gli avevo intravisto sulle guance. Lui sì, che avrebbe meritato di sentirselo dire. Ma non sarei stata io, a rivolgergli un complimento, fosse anche solo per un suo ricciolo dalla particolare flessuosità. Mi sentivo andare completamente a fuoco.
Forse anche a lui era costato parecchio, ammetterlo. Intendiamoci: non era certo il tipo che si vergognasse con le ragazze, ma... non è che si vergognava con...? - Credo di doverti delle scuse. - disse, tutto d'un fiato. Oh, come mi stava sorprendendo. Avevo sempre pensato che fosse un tipo molto orgoglioso, in fatto di scuse.
Per che cosa...? Non glielo chiesi. In un certo senso, mi convinsi che fossero scuse generali. Perché forse Lino sapeva. E perché forse, forse, un po' gli dispiaceva. Forse.
  - In più, - lo sentii sorridere. - ora so che si è trattato davvero, di una svista.
- Di... di che stai...? - non capivo.
- Quell'occhio nero e quel taglio. - specificò. - Ora so che è stato per una svista, se te li sei procurati. - era un comodo giro di parole per dire che ora temeva la mia non-forza? - Pff... - sorrisi di rimando. - Quella era solo una minima parte, del mio vasto potere.
- Immagino lo sprigionerai in tutta la sua grandezza solo quando avrai di fronte a te la "stupida biondina". - mi diede corda. Io arrossii fino alla punta dei rovi che mi ritrovavo per capelli. - E tu come fai, a saperlo?
- Andiamo; - si sedette a terra, contro il tronco. - Penso che l'unica a non essersi accorta dei tuoi sguardi assassini sia proprio lei.
Oh, quindi era così poco distratto da riuscire a notare certe cose? - No, intendevo il...
- ... Modo in cui la chiami? - mi lesse nel pensiero. - Alcune fonti parecchio ciarliere non esitano a riferire informazioni da nulla, figuriamoci quelle così importanti. - ridacchiò. Matt...
- Mi spiace di odiare la tua fidanzata. - mentii. Non me ne poteva fregare di meno, di lei. Controllai che nessuno mi stesse telefonando e... perbacco, erano già le undici!
- Non è la mia fidanzata. Non è che magari... - ghignò - ... sei gelosa?
- Assolutamente no! - mi affrettai a smentire. Forse lo dissi con troppa enfasi, per essere credibile. Beh, non sarei stata credibile comunque. - Non è la mia fidanzata... - ribadì. - ... non ricordo di aver mai chiamato così una delle ragazze che frequentavo.
Non mi stupii più di tanto. - Fammi indovinare: - avrei voluto cucirmi la bocca ed andarmene, ma la curiosità mi stava davvero uccidendo. - dopo due giorni ne arrivava un'altra?
  Lino non era il tipo che si impegnava in relazioni lunghe, e questo avevo avuto modo di scoprirlo durante l'anno scolastico. Un giorno lo vedevi accanto ad una moretta, il giorno dopo stava avvinghiato ad una rossa, e quello dopo ancora ad una biondona di un metro e novanta. - Forse, fosse stato per loro, sareste durati di più. - gli feci notare.
- Oh, lo so. Alcune ci tenevano davvero. Ma il problema sono io. Mi stufo quasi subito. - ammise. Era strano vederlo senza la sua dannata sigaretta, adesso. - Tu, invece?
Quasi mi venne da ridere, a quella domanda. Diversi in tutto... - Io? Forse avrò avuto uno, massimo due fidanzati, negli ultimi due anni. Più che altro, la mia testa stava altrove. - ero sempre stata una perditempo, sapete? - Dalla prima media fino a... buona parte di quest'anno sono stata innamorata di un altro.
- Innamorata? - fece lui, dubbioso. - Sì. Non penso fosse una semplice cotta, dato che il mio pensiero fisso andava a lui nonostante poi fossimo finiti in scuole diverse e ci vedessimo pochissime volte all'anno. - raccontai. Chissà come dovevo sembrargli ridicola, in quei termini. Figuriamoci; io ero il genere di ragazza che si sarebbe imbarazzata anche solo a sentir nominare il nome del ragazzo che le piaceva... Ma io ero stata davvero innamorata, almeno, fino ad ottobre di quell'anno.
Poi era spuntato lui, ed erano iniziati i casini. Avrei voluto dirgli quest'ultimo particolare, ma lui mi anticipò. - E come mai hai smesso?
Touché... Come spiegarglielo? Come spiegargli che i suoi maledetti occhi e il suo sorriso da stronzo avessero invaso la mia mente all'improvviso? Certo, mi ci era voluto del tempo, per lasciarmi alle spalle l'altro ragazzo. A che scopo continuavo a restargli devota, se mai, mai, mi aveva riservato un trattamento simile a quello delle ragazze con cui si metteva? Cos'avevano, loro, in più di me? E, soprattutto, a che scopo io portavo avanti la mia battaglia per Lino quando, quasi sicuramente, non sarebbe mai stato capace di vedermi come una ragazza?
  - Credo tu possa immaginarlo. - O saperlo... - Senti...
Mi morirono le parole in bocca, perché ora avevo catturato la sua piena attenzione; perché ora era di nuovo lo scontro tra l'acqua dei suoi occhi ed il legno dei miei. E non c'era combattimento più bello. O forse era una cosa speciale solo per me. Forse io mi immaginavo tutto ed elaboravo una percezione distorta della realtà.
  Lino si alzò, avvicinandosi. Oh, mio Dio... Cercai di schermarmi con le braccia il petto, ancora bagnato.
La biondina non si sarebbe fatta tanti problemi, anzi. La biondina avrebbe fatto in modo di richiamare l'attenzione proprio lì, dove, in realtà, non aveva un bel niente. La biondina era sfacciata, sfrontata e, in un certo senso, naturale, in tutto quello che faceva. Diceva solo stronzate, ma tutti pendevano dalle sue labbra neanche stesse annunciando qualche verità incontestabile. Faceva la svampitella, ma in realtà era furba come poche.
Forse molto tempo prima sarei stata pronta ad imitarla, se Lino me lo avesse chiesto. Ma avrebbe davvero avuto senso? Lei poteva essere tutte queste cose senza una richiesta. E, finalmente, capii che non avrei mai voluto essere come lei.
  Intanto, lui mi era arrivato di fronte, ad un palmo di naso da me. Ero quasi pronta a ringraziare di avere alcune ciocche in faccia, che lui me le scostò, con fare insolitamente delicato. Era quindi vero? Esisteva una parte di lui sconosciuta a tutti?
Se prima mi era parso tanto strano, compresi che fosse naturale. - Non pensavo che giocassi ancora, con i bambini. - scherzai, cercando di non pensare alla distanza ridicola tra il mio capo e il suo petto. Perché, no, Lino non era un gigante, ma io ero davvero bassa. O forse era solo una mia impressione. - Una cosa, non ho del tutto chiara.
Mi scrutò, nella tacita richiesta di andare avanti. - Se io sono così piccola... perché non reputi tale anche lei? - ebbi il coraggio di chiedere.
- Perché? - si fece pensoso. Tirai ad indovinare su quale sarebbe stata l'ennesima cavolata poetica che mi avrebbe rifilato. Sospirò. - Tu sei piccola d'età, di statura... sei piccola nel senso di ingenua, ma... ma sei anche grande. Non è un controsenso. Tu sei matura, ed è questo, che vi differenzia. Tu sei...
  Okay, diciamo che l'insufficienza multiorgano sarebbe stata davvero la causa del mio decesso. Il cuore premeva per uscire dal petto, stile coriandoli; i polmoni, invece, mi stavano strozzando e scalpitavano per essere vomitati. - ... sei... - E il cervello, oh, non lo avrebbero nemmeno trovato. - ... come dicono spesso, una donna nel corpo di una ragazzina.
Boooooom. - Lei è... - organi che schizzavano in ogni dove - una bambinetta - sangue e budella a terra - nel corpo di una ragazzina. - viscere che imploravano pietà - Ecco, perché ho una considerazione diversa.
- Cioè... tu... - in effetti, era stata una visione piuttosto cruenta, del destino delle mie interiora. - Anita. - mi interruppe, sfiorandomi la guancia.
Okay; stavo decisamente raggiungendo temperature mai viste e il rossore... bah, non ne parliamo. - Tu non ne sai niente di soldi, fumo, droga... sesso. - arrossii, se possibile, ancor di più. Andiamo; credevo davvero che lui non lo avesse ancora sperimentato? Ed io che mi imbarazzavo per uno sguardo... ero proprio un'ingenua. Chissà chi era stata, o chi erano state, le ragazze con cui si era sollazzato, prima di allora... Chissà se... - Ed è giusto così. Io... sono solo un buco nero, Anita.
 
Oh, it's such a shame for us to part
 
  Lo disse con una nota di rimorso, rimproverandosi per oscuri peccati commessi in passato; almeno, secondo lui. In quel momento realizzai di sapere ben poco, sul passato di Lino. - E' per questo che non vado bene? - azzardai, confusa. Maledetta a me e a quando mai avevo comprato quel biglietto.
Lo vidi sorridere, sorridere in un modo così... sincero ed intenerito... Ma che...? - Devi goderti i tuoi anni. Spassartela, magari fare anche qualche cazzata, ma... ma adesso... adesso sarebbe una forzatura. Sarebbe solo una costrizione. - rispose.
- Stai insinuando che sia volubile? - chiesi. Ed un po' lo ero, forse.
- Non dubito della tua fermezza, ma della mia. - replicò, semplicemente. Sospirai, scotendo la testa.
  Decisi che fosse arrivato il momento di andare via, in tutti i sensi. Ero stanca delle mezze parole, degli sguardi che dicevano un mare di cose e che alla fine non significavano niente. Forse aveva ragione: sarebbe stata una costrizione, ed io rivolevo indietro la mia libertà o, quantomeno, parvenza della stessa. - Non vi capirò mai. Non capirò mai se scherziate o siate seri. - sorrisi, amaramente. - Se vi piaccia, oppure...
  Forse mi sarei dovuta voltare. Forse avrei dovuto guardare. Era tutto un "forse", un "se", un "ma"... - Tu che dici?
 
And tell me you love me, come back and haut me

  Ed era proprio vero che fu l'occasione, a fare dell'uomo un ladro.
 
  Alla fine, Clodia aveva ritrovato l'orecchino. Era nel parcheggio. Ma dai...
Per un attimo, mi odiai con tutta me stessa per non esserci andata io, in quello stramaledetto parcheggio. Poi, però, una sequenza di immagini mi attraversò la testa.
E sorrisi. Tanto. Non so se avete presente quel genere di sorriso ebete di quando siete nel vostro mondo.
  Era quasi mezzanotte, ma io non avevo minimamente voglia di andare a dormire. Di andare a casa sì; ma solo per farmi tutti i film mentali e ripensare continuamente a Lino. E alle sue labbra dal retrogusto di ciliegia. Che cos'aveva bevuto...? E alle sue labbra sulle mie. E al suo odore di Coccolino extra morbido. Curioso come riuscisse a non puzzare di fumo, con tutte le sigarette che teneva tra le dita bell'arco di una singola giornata.
  Mia sorella aveva detto che tra una decina di minuti sarebbe venuta a prendermi, perciò mi incamminai verso quell'infausta area dove era caduto l'orecchino. Lo sguardo mi ricadde su un piccolo dettaglio. Un piccolo, quanto mostruosamente imbarazzante (almeno, lo era per me) dettaglio.
Un ragazzo ed una ragazza stavano su una panchinetta, avvinghiati l'uno all'altra come due polipi, e credo che avrebbero dato luogo a qualcosa di equivoco in mezzo alla gente, se non si fossero accorti di me ed io di loro.
Li vedevo, mentre si esploravano e si bramavano tramite il semplice tocco delle mani, il loro rossore; i loro... baci. Il tipo di bacio che Lino non mi avrebbe mai dato, forse.
Per un attimo, mi chiesi perché il suo fosse stato incredibilmente dolce, a differenza di tutti quelli che gli avevo visto scambiarsi con le sue fidanzate. - An-Anita...? - balbettò il ragazzo, cercando di ricomporsi.
Era Matt, constatai. - Puoi scusarmi un attimo? - fece alla ragazza che era con lui.
Quella sorrise ed annuì; allora Matt mi prese sotto braccio, allontanandomi dal luogo dove stava per accadere qualcosa di... - Ehm... allora... - balbettò, ancora a fuoco. - Che mi dici? Hai un sorriso ed un umore che non ti si vedeva in faccia da... beh, più o meno la prima volta che ti ho parlato.
Non sapevo cosa rispondere. - Scommetto che c'entra quel mattacchione di Lino.
Ed ecco che andai in fiamme io stessa. Buffo come mi vergognassi per un solo e casto bacio, neanche avessi appena rapinato una banca. Beh, in un certo senso, era Lino, il ladro. In tutti i sensi.
- Ma immagino non siano fatti miei... - sorrise fraternamente. - Ora ti devo lasciare, però. Chissà, magari ci si vede in giro, quest'estate. In caso contrario; al prossimo anno.
  Io annuii e lo salutai. Non potevo sapere che non lo avrei rivisto mai più; io, e come me tutti i suoi amici.
  Salii in macchina e, mentre mia sorella ghignava un "alla buon'ora; dove sei stata, cos'hai fatto; perché sei fradicia; come mai quel sorriso" e bla bla, mi sfiorai le labbra. Avevo quasi l'impressione di avvertire ancora le labbra di lui.
A metà viaggio, mia sorella aveva attaccato a parlare del più e del meno, pensando che davvero me ne importasse qualcosa; poi sentii il mio telefonino vibrare.
Gemma mi chiedeva se fosse andato tutto bene, perché ad un tratto non mi aveva più vista; ed io mi sentii una carogna a non averla neppure salutata. Ma poi lessi quel che mi diceva dopo.
Dopo il ballo, due di quarta erano stati investiti. Non sapevo perché, ma avevo come un brutto presentimento.
Cercai di non pensarci.
 
  Tornata a casa cercai di fare meno rumore possibile. Ma, ovviamente, mia madre intercettò i miei passi e se ne venne fuori con il suo solito " C'è qualcosa che non va? E' successo qualcosa?". E, stranamente, il mio solito "niente" aveva molti significati, dietro di sé.
Mi addormentai sognando Lino che mangiava un muffin alla banana e al cioccolato. Nello stesso sogno, io e lui disputavamo una partita di calcio usando un melone come palla. Ma lui non mi parlava mai.
Mi svegliai di soprassalto, turbata.
  Più o meno un'ora dopo, nell'oscurità della mia stanza, il telefono si illuminò. Lessi il messaggio la mattina successiva. Era da Rina.
Mi diceva che la notte prima, dei ragazzi si erano messi al volante ubriachi.
 
Do not speak as loud as my heart
 
  Lino era finito in coma. Matt, invece, era morto sul colpo.
  
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